Prefazione
Questa storia è ambientata nel 2009, siamo ad Aprile. Una primavera
come tante, in un mondo come tanti. Solo che c'è qualcosa di diverso.
Tutto ha inizio nel 1840, in una primavera come questa. La storia
racconta che un uomo che tutti conoscevano come uno stimato lavoratore,
ottimo padre di famiglia rimasto vedovo tre anni prima impazzì.
Raccontava che la figlia quattordicenne, Julia, aveva fatto cose che
solo le streghe potevano fare. Ovviamente, l'ignoranza del tempo non
pote constatare che non si trattava affatto di una strega, ma di
qualcosa altro. Ben presto, la ragazzina morì. Quando il DNA venne
scoperto, gli eventi si moltiplicarono e ben presto si scoprì qualcosa
di assolutamente incredibile: l'esistenza di un nuovo stadio
dell'evoluzione umana. Gli umani si stavano evolvendo... Ma non tutti.
Solo alcuni. Ai tempi d’oggi, sono circa tremila le persone che sono
state chiamate Different e quando si vuole esagerare, esseri mutanti o
peggio ancora, mostri. Nessuno riesce a capire come mai queste persone
sono così: il mondo intero non se ne capacita e li teme come non mai.
Alla nascita, i controlli non rilevano nulla di anomalo: poi, una volta
compiuti i tredici anni, scatta l'allarme. Da quel momento ogni
adolescente è un potenziale Different. In media su cento adolescenti di
un liceo uno lo diventa, ma superati i diciotto anni il pericolo passa.
Fino a venti anni fa, i ragazzi spesso venivano cacciati dai genitori
incapaci di accettare questa anomalia e i ragazzi rimanevano da soli
con le loro abilità, senza saperle controllare a cadendo nel terribile
giro della criminalità. Nacque così il Collegio: tre scuole situate in
diversi punti del mondo precisamente America, Europa e Oceania dove i
ragazzi vengono mandati per poter imparare, oltre le cose fondamentali
della vita, a gestire i loro poteri. Molte famiglie li spediscono
subito, spaventati da quei "mostri". Altri piangono calde lacrime dal
separarsi dai loro figli, almeno per loro non è cambiato nulla. Una
legge mondiale dieci anni prima decretò che il Collegio doveva essere
obbligatorio per chi cambiava, pena il carcere per i genitori o i
tutori in questione. Così, si riempirono presto. Gli insegnanti sono
anche loro Different salvati dalla strada, diventati grandi da soli per
diventare adulti nel vero senso della parola. Dimenticavo: non è detto
che tutti siano così fortunati. Capita che, su cento frequentanti in
uno dei tre Collegi, all'ultimo anno tre muoiano. Nessuno sa perché. Ma
succede sempre, da quando esistono. Raggiunti i diciotto anni, tre
muoiono sempre senza motivo.
Fino a due giorni fa ero una ragazza umana, con amiche fantastiche, un
ragazzo adorabile che amavo da due anni. Ma purtroppo, il destino ha
deciso che io doveva essere l'eccezione su cento adolescenti.
Mi chiamo Alisha Withney Moore, quindici anni. Sono nata a Los Angeles,
California. Lì il sole fa parte della vita di tutte le persone, come le
spiagge, il mare. Sono sempre stata felice della mia vita: mia madre
Alice è una casalinga da sempre mentre mio padre Robert un semplice
impiegato. Sono stata figlia unica per ben dieci anni, finché mia madre
non è venuta in camera mia dove giocavo con le Barbie e mi comunicò che
sarei diventata sorella maggiore. Sette mesi dopo è arrivata Serenity,
ora di cinque anni. Andavo da sempre bene a scuola. Frequentavo il
secondo anno della scuola del mio quartiere, uno di quelli abbastanza
benestanti anche se non da snob. A tredici anni mi sono fidanzata con
Dylan, con cui sto da due anni e che ho sempre amato. La mia migliore
amica Janet mi considerava una sorella e io anche. Insomma, la mia vita
era nella media. Purtroppo, una mattina è cambiata. Di colpo, così.
Come?
Sono diventata una Different o come qualcuno mi ha chiamata un
"mostro"...
1. Quando si dice la sfiga ci vede benissimo...
La mattina per alzarmi e andare a scuola era sempre stato un tormento
per me. Sono una tipa a cui piace dormire, anche fino a mezzogiorno
cosa che mia madre non ha mai sopportato. E nemmeno Janet, visto che
adora il mare mattutino che io odio. La sveglia aveva sfoggiato il suo
trillante suono, segno che erano le sette e un quarto. Pigramente,
allungai una mano per spegnerla e tirai fuori la testa da sotto lo
coperte con occhi assonnati. Con un pò di difficoltà mi alzai e andai
davanti allo specchio, osservando lo stato dei miei capelli castano
chiaro e leggermente mossi, arruffati in quel momento.
Speravo che Dylan non mi vedesse mai così, anche se lui affermava che
io ero sempre bellissima pure con un sacco in testa. Quante cavolate
dice, il mio ragazzo. Sentii la chiamata di mia madre: le sette e
venticinque. Fra trentacinque minuti, Dylan sarebbe passato a prendermi
con la moto e io non ero ancora pronta, come sempre.
Scesi al piano di sotto della nostra piccola villetta, situata al
centro davanti al lungomare che adoravo. Mia madre Alice era intenta a
passare una scatola di cereali a Serenity, sorridendole.
<< Potevi anche metterti già qualcosa >> osservò lei, con
uno sguardo di disapprovazione.
<< Si, così lo sporcavo. Magari >> obbiettai a mia volta,
sedendomi a tavola. Mia sorella mi sorrise con il suo sorriso che mi
incantava sempre. Sostenere che l'adoravo era troppo poco. Mangiai in
fretta, lasciandomi dietro di me le parole di mia madre che voleva che
mangiassi ancora. Mi feci una doccia veloce e corsi in camera non
appena vidi che erano le otto meno dieci. Frugai nell'armadio, cercando
qualcosa di carino da mettermi e che non mi avrebbe fatto sembrare un
di quelle che si vestono come se avessero una bomba nell'armadio.
Trovai un paio di jeans chiari e una maglia a collo alto rossa e me li
infilai in meno di un minuto. Passai davanti allo specchio,
sistemandomi i capelli con un fermaglio nero e mi passai velocemente
matita, ombretto e lucidalabbra. Niente fard, cipria e stupidaggini
varie: preferivo così la mia pelle, come piaceva a Dylan. Appena ebbi
finito di passare il lucidalabbra, sentì suonare il campanello.
<< Dylan! >> urlò Serenity, aprendo la porta. << Dice
che ti aspetta! >>.
Presi la mia stupenda borsa che adoravo, azzurra e accarezzai la
testolina bionda di mia sorella e scappai fuori dopo un rapido saluto
anche a mio padre. Ero così di fretta che persi l'ultimo gradino ma
Dylan mi riacchiappò ridacchiando.
“Fantastico, un'altra delle mie
mitiche figure!”, pensai.
<< Sei proprio una sbadata! >> esclamò lui, guardandomi.
<>.
Sorrisi, perdendomi nei suoi occhi azzurri e lui mi baciò. Ricambiai,
ma eravamo già in ritardo. Salimmo sulla moto velocemente. Corse verso
la scuola così veloce che ero sicura che lo avrebbero fermato per una
multa. Per fortuna, non accadde e noi fummo a scuola appena cinque
minuti prima che la campanella suonasse. Janet mi corse incontro,
sorridendo.
<< Alisha! >> chiamò, mano nella mano con Christian, il suo
ragazzo da un anno. Ancora non riuscivo a capire cosa ci trovasse Janet
in uno così: basso e tozzo ma sopratutto con un pessimo carattere, di
quelli da sessantenne scorbutico.
<< Ancora un pò eravamo in ritardo anche noi. Janny vi voleva
aspettare >> disse Christian e io sbuffai. Pessimo modo per dire
che era colpa nostra se non fossero entrati prima. Dimenticavo di dire
che lui è anche un secchione incredibile che adora passare i pomeriggi
nella sua serra piena di piante esotiche e Janet con lui, ovviamente.
Peccato che lei odiasse stare in mezzo alla natura in generale.
Dylan mi diede un altro bacio e corse via per andare in classe. Lui era
più grande di due anni e frequentava l'ultimo anno. Tra qualche mese ne
se sarebbe andato al college a studiare medicina: preferivo non
pensarci troppo o voleva dire che ero veramente masochista. Janet baciò
Christian che frequentava il terzo anno e né se andò per la mia gioia
incomparabile. Chissà perché, lui non mi trovava simpatica. Come
succedeva con tutte le amiche di Janet.
<< Su, andiamo! Quella stronza della Sunders oggi m’interroga!
>> sussurrò la mia migliore amica, a voce così bassa quasi la
Sunders fosse dietro di noi. Percorremmo i corridoi gialli fino ai
nostri armadietti blu. Con la mia combinazione di una banalità assurda
(la mia data di compleanno: primo Maggio 1993), ma proprio per questo a
parere mio era difficile da indovinare presi i libri di storia e
biologia delle prime due ore. Janet prese quello di storia e
matematica. Io e lei avevamo qualche materia non in comune o in ogni
caso ad orari differenti.
<< Andiamo. Anche se oggi non ho voglia di prendere una
bellissima F!> > si
lamentò lei.
<< Cosa hai fatto ieri, scusa? Anzi, no. Non voglio saperlo
>> mi corressi, temendo qualcosa che non voleva assolutamente
sapere.
Janet ridacchiò. << Stupida! La nuova pianta di Chris ha fatto i
semi e voleva assolutamente che la osservassi con lui >>.
La guardai sperando che stesse scherzando, ma in quel momento entrammo
in classe andandoci a sedere in fondo. Era il nostro posto preferito:
si può chiacchierare molto di più! La Sunders entrò con il suo fare
importante, credendosi una dea. Si, era un insegnante ma mica aveva il
potere del mondo! Si sedette in silenzio alla cattedra, aprendo il
registro con fare sinistro facendo rabbrividire molti studenti. In
fondo era Aprile e nessuno voleva rovinarsi la media. Io tra quelli,
anche se avevo studiato volete mettere una bella prima ora a vedere
interrogato un altro al posto tuo?
Prese la penna, cattivo segno. Voleva interrogare. Scorse i nomi sul
registro, una alla volta. Ogni volta che passava un nome, si sentiva un
sospiro di sollievo.
<< Janet Smith >> chiamò, posando la penna e prendendo
quella rossa, pronta a segnarsi su uno dei fogli che portava sempre con
sé le risposte.
La mia migliore amica quasi quasi si sentì male. La vidi torcere le
dita sotto il banco, quasi a volersele staccare. Io la guardai,
desiderando fare qualcosa anche sapendo che sarebbe stato inutile. Le
domande andavano e spesso erano senza risposta. Risultato: D-. La campanella suonò e la prof
uscì soddisfatta.
Janet quasi piangeva per quella D
che le rovinava la media della B+.
<< Dai, non te la prendere. Lo recuperi. Vedrai >>.
<< Si, certo. Però è veramente stronza! Nonostante non sapessi
nulla, ha insistito! >>.
Uscì dall'aula inviperita parecchio. La seguì, pensando ad un modo per
consolarla, quando mi sentì strana. Un improvviso giramento di testa,
come quando si ha la nausea Sparì subito, come era venuto. Janet si
girò, guardandomi preoccupata. << Ali, stai bene? >>.
<< Si, si. Solo un leggero giramento di testa. Stamattina ho
mangiato poco >> risposi, tranquilla e convinta. Continuai a
camminare per il corridoio. Janet svoltò a destra per andare a
matematica, mentre io andai a sinistra per l'aula di biologia: avevo un
esperimento. Dylan mi notò quando ero quasi all'aula ed era con dei
suoi amici, quel genere di ragazzi che se la credono troppo per i miei
gusti. Per fortuna, lui era diverso. Mi si avvicinò e mi parlò ad un
orecchio:
<< Uno del liceo ai confini della città è diventato un Different!
>>.
Dalla sorpresa lasciai cadere i libri per terra e lui me li raccolse,
tra le risatine dei suoi amici deficienti.
<< Ma lo conoscevi? >>.
<< Si, dall'asilo. Poverino. I suoi lo stanno per mandare al
Collegio >> rispose lui, triste.
Capii che doveva esserci rimasto male per il suo amico. Personalmente
nessuna mia amica era mai diventata Differenti di conseguenza non
poteva capire cosa si provava a pelle. Ricordo che una figlia di una
lontana amica di mia madre lo era diventata a quattordici anni, spedita
nemmeno in quello a New York ma in quello in Europa per non vederla
proprio, tanto era rimasta shoccata.
<< Mi dispiace, amore. Veramente >> dissi, abbracciandolo.
<< Grazie, tesoro >>.
Sciolsi l'abbraccio e andai in classe, dopo un bacio sperando che fosse
consolatore. Ormai nessuno si stupiva più. Fin da bambini si sente
parlare dei Different. I medici raccomandano tutti i genitori di
osservare i figli se per caso avevano i sintomi, comunicandolo in
seguito all'ospedale. Contattavano il Collegio e loro finivano quattro
anni minimi chiusi la dentro come fenomeni da baraccone per imparare a
"gestire" le proprie capacità. Balle, secondo me. Tutto perché li
temono e allora se ne sbarazzano, scaricando le responsabilità su altre
persone, sempre Different.
La lezione di biologia fu interessante al minimo come sempre. La
lezione successiva avremmo dovuto usare i microscopi e cercare delle
piccole vite dentro una goccia d'acqua. Entusiasmante, devo dire.
Mentre camminavo per andare a prendere il libro di geografia per la
lezione successiva, risentii il giramento di testa ma più forte. Almeno
non barcollai, perciò nessuno se ne accorse. Arrivai al mio armadietto,
promettendo a me stessa di fare colazione la mattina a costo di stare
male, fino a scoppiare. Quando chiusi lo sportello, notai che Janet mi
scrutava a occhi socchiusi:
<< Tu hai il ciclo >>.
La guardai, pensando che fosse pazza. << Come faccio ad avere il
ciclo se ieri siamo andate al mare, amica mia? Ma che hai stamattina?
>>.
<< Sei pallida >> mi fece notare lei, indicandomi.
<< Che dici? Mi sono guardata allo specchio stamattina ed ero
come sempre >>. Aprì lo sportello per guardami allo specchio,
così avrei preso un pò di giro Janet accusandola di essere paranoica
però mi fissai a bocca aperta. Ero pallida davvero, come quando si sta
davvero male. Ma io stavo benissimo.
<< Mah... sarà perché sono debole. La fame, sai >> dissi,
chiudendo lo sportello. Arrivai in classe, sentendo che c'era qualcosa
che non andava per niente. Quella non era una mattina come tante,
assolutamente. Il prof restituì i compiti in classe: A. Per fortuna.
La campanella del pranzo suonò. Andai in mensa velocemente, decisa a
mangiare per riprendere colore e far fermare quei giramenti di testa.
Durante il pranzo, anche Dylan e Chris (nel suo solito modo garbato) mi
fecero notare che ero molto pallida chiedendomi se stavo bene. Affermai
che ero in perfetta forma. Dopo il pranzo, andai in bagno prima di
altre due ore di lezioni soporifere. Uscii dal cubicolo e passai
davanti allo specchio per sistemarmi il lucidalabbra, ma quello mi
cadde di mano. Ero ancora pallida, nonostante avessi pranzato. Mi
appoggiai alla parete, cercando di capire cosa avessi. Forse mi stava
venendo un'influenza, una di quelle rare... o diverse dal solito... Fu
parola "diverso" a suonare un campanello d'allarme nel mio cervello.
Ricordai le parole di Dylan quella mattina:
<< Uno del liceo ai confini
della città è diventato un Different! >>.
Ricordai anche il corso di biologia fatto in terza media, quando si
presumeva che a tredici anni scatti l'età per diventare Different. Ti
spiegavano tutto, per bene così da riconoscere se c'era qualcosa che
non andava. Ma sopratutto... i sintomi. Di solito, il cambiamento
avveniva nel giro di tre giorni. Il primo c'erano lievi malori, seguiti
da un colorito pallido diverso dal solito. Il secondo giorno, il
colorito tornava normale ma proseguivano forti mal di testa seguiti da
nausea e infine il cambiamento. Si diceva che era la parte peggiore di
tutte, quella che faceva più male.
<< No... no... non può succedere a me... >> mormorai, con
il respiro accelerato dall'agitazione. Uscii dal bagno, certa di
essermi sbagliata al 100%.
Arrivai in classe con dieci minuti di ritardo, tanto che l'insegnante
di matematica minacciò una nota ma io non dissi nulla. Me n’andai
silenziosa al mio posto, cercando di seguire la lezione inutilmente.
Più volte l'insegnante tentò di catturare la mia attenzione, senza
successo. Mancava ancora un’ora, quella d’educazione fisica. Nemmeno lì
feci le cose per bene: la partita andò malissimo e Janet mi chiedeva
cosa avessi ma io rispondevo vaga. Ero troppo impaurita da me stessa.
Dylan mi riaccompagnò a casa.
<< Stasera usciamo? >>.
Non ero in vena così mentì. << Devo studiare >>.
<< Okay, allora. Ci sentiamo >> disse, partendo sgommando
con la moto. Quando salì a casa, mia madre era appena tornata dopo
essere andata a prendere Serenity all'asilo. Lei mi mostrò un disegno
secondo lei fantastico e io le sorrisi per farle piacere. Mia madre si
avvicinò alzandomi il viso.
<> osservò. <>.
L'orrore occupò il posto della perplessità nel volto di mia madre.
Sgranò gli occhi color nocciola, piena di paura. << Ali, non ti
starai... >>.
Non osò nemmeno finire la frase e io neanche. La guardai senza dire
nulla. Serenity ci guardava entrambe, con la confusione nel suo visino.
<< È impossibile. Deve essere qualcos’altro. Si, si... deve
essere così >> mormorava di continuò lei, cercando qualcosa che
potesse essere tutto tranne quello. L'incubo di ogni genitore: vedere
il proprio figlio diventare un Different. Prese il cellulare e fece per
chiamare il medico.
<< No! >> esclamai, togliendole il telefono di mano.
<< Aspettiamo. Magari non è niente! >>.
<< Alisha, ascoltami! Maledizione! Stai diventando uno di quei
mutanti! Quegli esseri lì! >> urlò lei, in preda ad una crisi
nervosa facendo piangere anche la bambina.
<< E anche se fosse, cosa pensi che il medico possa fare? Non
esiste una cura, mamma! >> strillai a mia volta, totalmente fuori
di me. Almeno non pensavo a ciò che mi stava succedendo.
Mia madre non rispose. Si prese la testa fra le mani. Io presi Serenity
tra le braccia e la portai in camera sua, tutta rosa perché per mia
mamma il classico era la cosa migliore. Piangeva e io odiavo vederla
così.
<< Calmati adesso >> suggerì, tenendomi la testa. Un altro
giramento di testa.
<< È vero? Diventerai una di quelle persone? >> chiese la
piccola, tra le lacrime.
<< Non lo sappiamo, Sery. Forse no >> mentì. Ormai ero
certo. Ero uno di quei casi su cento adolescenti della mia scuola. Che
sfiga incredibile!
<< Anche se fosse, io ti vorrò sempre bene >> disse lei,
abbracciandomi. Trattenni le lacrime. Ero sicura che a parlare fosse la
sua incoscienza infantile: se fosse stata più grande anche solo di
cinque anni non avrebbe certo parlato così. Almeno credo.
<< Mamma sta bene? >>.
<< Si, adesso le passa >> mentì ancora. Mia madre non
avrebbe mai accettato una cosa simile, la conoscevo troppo bene.
<< E papà? >>.
<< Vedremo >> risposi ancora, questa volta sincera. Sperai
che lui la prendesse meglio. La lasciai in camera, pregandola di fare
un sonnellino. Mia madre era ancora sul divano, con le mani congiunte
come se pregasse. Chissà, forse sperava che sua figlia non diventasse
un mostro. << Mamma >>.
Lei alzò il viso. << Cosa facciamo adesso? >>.
Non mi diede il tempo di continuare e disse: << Aspettiamo almeno
domani. Se avrai la nausea o altri sintomi... allora troveremo una
soluzione... Non diventerai una di quelle persone >>.
Scossi la testa, incredula. Mia madre era davvero convinta che ci fosse
una soluzione? No, non c'era e nessun medico del mondo l'aveva mai
trovata. Mica si può cambiare il DNA di una persona così.
<< Mamma, forse non hai capito. Non c'è modo. Se sto davvero
cambiando, allora è inutile disperarsi. Contatta quel Collegio, adesso.
Ti prego >>.
Mamma si alzò, con un’inaspettata energia. << Alisha, non
diventerai una di loro. Punto e basta >>.
La porta di casa sbatté e sentimmo dei passi per il corridoio: mio
padre.
<< Oggi è stata una giornata davvero leggera! Non capita mai!
>> commentò, entrando nel salotto con la valigetta ventiquattro
ore. Si fermò sulla soglia, notando la tensione nell'aria e aggrottò le
sopracciglia chiare, come le mie. << Che succede? State
litigando? >>.
La mamma si avvicinò a lui. << Alisha... guardala >>.
Mio padre mi fissò e sgranò gli occhi anche lui. Divenne pallido, quasi
sembrava che anche lui dovesse cambiare da un momento all'altro.
<< Alisha... no... >>.
Scossi la testa. << Io non posso farci niente >>.
Mio padre si coprì il viso con le mani, lasciando cadere la valigetta
sulla moquette blu. I suoi occhi verdi, così simili ai miei, avevano
un’aria disperata come non mai. Mi si strinse il cuore a vederlo così.
Ma cosa potevo fare?
<< Chiamiamo il medico >> disse lui.
Alzai gli occhi al cielo. << Sai benissimo che non servirebbe a
niente, papà. È tardi. Fra tre giorni sarò cambiata. Devo andare al
Collegio >>.
Mia madre cominciò a piangere, aggrappandosi a mio padre che non disse
niente rimanendo immobile. Io, sentii la disperazione. Stavo per
rinunciare a tutto quello che mi ero costruita in quasi sedici anni: la
mia adorata famiglia, la mia migliore amica, Dylan, la scuola. Non
avrei più fatto la mia mitica festa di sedici anni che avevo pensato.
Avrei passato tutta la sera e la notte a festeggiare con i miei amici.
Non avrei visto crescere Serenity in questi anni. Non avrei più visto
Janet, magari che lasciava Chris... Dylan... Dylan... era finito anche
quello. Dovevo andarmene a New York e non potevo stare più con lui. Me
ne andai in camera, decisa a piangere per le prossime due ore senza
vedere nessuno. Poi il giorno dopo avrei dato la notizia a tutti. Un
altro Different, un altro mostro.
Fu in quel momento che mi resi conto, nel complesso, di una cosa: la
mia vita era cambiata ed irreparabilmente.
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