Personalità
05 |
01 | 2011. Damasco.
Mio carissimo Faaris.
Continuo a scrivere e cestinare fogli
su fogli, non riesco a trovare le parole giuste da scrivere.
È difficile chiudere un cerchio come
si deve, specialmente se il cerchio in questione è il nostro.
Sai, da quando non sei più qui con me,
nella mia mente, la mia vita non è la più la
stessa.
È cambiato tutto, molte mie abitudini
devono sparire a favore di altre. Non servono più sedativi
per
controllare i tuoi scatti d'ira, né tantomeno che mi cali
ancora in
lotte clandestine per farci sentire, per quei pochi istanti, una cosa
sola. Niente più sedute psichiatriche, se non qualche
sporadico
controllo per prevenire ricadute.
Forse è meglio così. Anche se
m'affaccio con timore alla nuova situazione, immagino che tutto non
potrebbe andare che bene. Anche senza la tua silente presenza, pronta
a proteggermi e scattare come un cobra contro i pericoli del mondo.
Credo che sia tutto questione di buona volontà.
È da quando ci siamo integrati che mi
frullano in testa parole su parole, ma a spingermi a scrivere tutto
ciò su carta è stato qualcosa sul lavoro: mentre
ricatalogavo
alcuni libri di una biblioteca, mi sono imbattuto in alcune raccolte
di lettere, lettere di persone di varie epoche rivolte a familiari
che, per vari motivi, hanno lasciato la patria per non morire. Per
sopravvivere.
Cervelli in fuga, insomma, come i
nostri fratelli che scappano pur di scampare alle bombe.
E ciò non può che essermi familiare:
in fondo, è la storia della nostra vita, del nostro tempo.
Due
cervelli in fuga l'uno dall'altro o, per meglio dire: due
metà di
una stessa mente, separate tra loro come possono essere due gemelli
siamesi. Mi sono chiesto, leggendo e interpretando, cosa spinge un
cervello dal fuggire da sé stesso, dalla sua patria, dalla
sua
origine. Forse la causa è la stessa che provoca la
frantumazione di
un Io in due o più parti e poi tentare di rimanere in vita
nonostante sia così rotto, trascinandosi negli anni cercando
di
recuperare le stesse capacità di quand'era sano e uno.
Te lo ricordi, Faaris? Ricordi quando
ancora non eravamo separati? Ti ricordi quando non esisteva una
personalità centrale e una secondaria? Ricordi quando
eravamo una
mente sola? Quando non eri separato da me?
Non ti ho mai chiesto se avevi ricordi
dei nostri primi quindici anni. Allora sì che ero felice.
Tra le
macerie dei bassifondi di Damasco, nella loro sporcizia, nella loro
desolazione e nella loro incertezza, noi due eravamo uno. Non
esisteva una personalità centrale da difendere, non c'era un
Faaris
che, per sopravvivere, deve separarsi da un Hassan tremante.
Non esisteva orrore nel mio cuore, solo
voglia di vivere.
E poi è venuto. Il collasso, la
rottura, la separazione. Ancora adesso non riesco a spiegarmi del
motivo della nostra caduta, anche tu nel ricordare la tua nascita ti
chiedevi: perché?
Perché i militari, proprio coloro che
rappresentavano la legge e l'ordine, organizzavano raid vendicativi
contro il popolo? Perchè dovevano proprio spezzare il
piccolo
adolescente che ero con così tanto impeto? Perché
usare proprio
quelle torture e quegli abusi? Perché, Faaris,
perché gioivano nel
vedere quell'Io ancora così precoce andare in mille pezzi
sotto alle
sevizie?
Ciò che rimase di me dopo che gli
aguzzini furono uccisi... bhe, erano macerie e un'anima ferita.
Lacerazioni che non guarivano, rattoppi malfatti e crepe sottili
permisero la tua nascita o, in gergo tecnico, l'insorgenza di un
disturbo dissociativo della personalità. Ed eccoti, una
personalità
senza un corpo proprio, un essere che esisteva solo nella mia mente.
Una personalità multipla.
...
Detto da uno sconosciuto,
sembra una
cosa tremenda.
Ma quando Eva lo diceva aveva
tutt'altro tono. Te la ricordi, Eva? Sì, la nostra
psichiatra
definitiva. Era l'unica che non mi trattava come un pericoloso pazzo.
Nonostante il tuo essere così cinico, freddo e quasi
malvagio, l'hai
amata assieme a me così violentemente... l'abbiamo
desiderata con
così tanto trasporto che quasi, con la sua guida, permise la
riassociazione. Era l'unica cosa ad avere la virtù di essere
al
centro delle passioni di due entità e, grazie alla sua
forza, di
farle lavorare come un unico essere, seppure per poco.
La sua morte a causa di un proiettile
vagante fu la goccia che fece traboccare il vaso, quella che mi
convinse ad unirmi ai ribelli in maniera attiva. Anche tu eri
eccitato, allora. Avremmo avuto la nostra vendetta nei confronti di
chi ha rovinato il nostro Paese, opprimendo e umiliando il popolo.
Non rimpiango nulla, tant'è che ancora lsostengo ancora i
ribelli,
nelle mie possibilità. No, non rimpiango neanche gli atti di
terrore
e le esplosioni. Neanche quando i detriti di alcune abitazioni
colpite -evidentemente qualche calcolo era sbagliato,
chissà-
vennero giù a valanga per seppellire me e altri colleghi in
una
tomba di polvere e roccia.
Non rimpiango nemmeno quello. Perché
lì in fondo, mio amato Faaris, finalmente abbiamo capito.
Abbiamo
capito assieme che non importava più nulla, ormai.
Ripensavamo a
tutti coloro che amavamo, che non ci sono più, che se ne
sono
andati, che sono rimasti con noi.
Ripensavamo alla Siria che rinascerà
dopo la Primavera Araba grazie ai sacrifici dei ribelli. E noi che
lentamente morivamo schiacciati dal nostro passato. Ripensavamo alla
vita difficile ma spensierata di allora, prima del collasso, e -non
so bene il perché- nello stesso istante decidemmo
simultaneamente
che doveva essere così la nuova nazione.
Con tutte le sue più colorate
sfumature, ma unita. E, d'incanto, ripensammo alla
nostra Eva,
alla nostra patria, alle cose felici che ci sono capitate. E tutto di
colpo perse significato. Come neve al sole, mentre ci estraevano
dalla nostra prigione di detriti le nostre barriere si sciolsero, i
brutti ricordi smisero di essere incubi e tu, mio grandissimo amico,
tornasti da me. Tornasti alla tua origine, all'altra metà
del
cervello occupando quel vuoto posto della mente lasciato libero e che
ti spettava di diritto. Tornasti
finalmente a casa.
Da me.
Tuo, Hassan.
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