storia di come L imparò a giocare a tennis

di ToscaSam
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Aveva i capelli rossi.
Fu questo a catturare l'attenzione di quel passante dall'aria disinteressata.
Il tempo era piacevole: le nuvole non erano che una spruzzata di panna su quella limpida distesa turchese. Un regalo che di settembre era molto raro, per essere in Inghilterra.
Lei si trovava oltre un campo da tennis protetto da un'alta rete metallica. Doveva essere verde, quella rete, ma ogni colore impallidiva dinnanzi alla particolarità di quei capelli rossi che svolazzavano dall'altra parte.
Lui si era fermato a guardarla, rapito dal dono con cui quella ragazza era nata.
Gli avevano detto che anche sua mamma aveva avuto i capelli rossi, da giovane, che poi si erano scuriti verso i trent'anni.
Chissà se anche a quella ragazza si sarebbero scuriti.
Ci fu un piccolo rumore metallico, poi una sfera gialla si schiantò contro la rete, proprio all'altezza degli occhi dello spettatore. Lui si riscosse dal mondo dei suoi pensieri.
« Ciao!»
Disse la ragazza coi capelli rossi: era incredibilmente vicina, adesso. Sul viso poteva contarle centinaia di lentiggini scure, mentre gli occhi color nocciola erano dolci e vispi come quelli di uno scoiattolo.
Prima di ricordarsi di rispondere, lo spettatore dovette rammentarsi da che parte aveva la bocca.
« Ciao» disse poi, lentamente.
La ragazza si chinò a prendere la pallina: era vestita con una maglietta da maschio, bianca con le spalline blu, che le copriva quasi tutti i pantaloncini, dando quasi l'impressione che fosse in abbigliamento da casa, in mutande.
Le scarpe da ginnastica erano vecchie, ma ben tenute. Doveva usarle spesso per giocare a tennis.
Non poteva essere tanto più piccola di lui. Avrà avuto tredici, quattordici anni.
« Ti sei incantato?» chiese, irriverente, ma con un largo sorriso sulle guance lentigginose.
Lui si sentì avvampare:
« No … scusami. Mi piace guardare la gente che gioca a tennis»
Era una bugia, ma la più verosimile piombatagli in mente. Sperò che il suo rossore non fosse troppo visibile, ma d'altro canto, era così pallido che alla minima emozione diventava un libro aperto.
« Che accento strano! Di dove sei?» sorrise la ragazza, che ora aveva la pallina in una mano e la racchetta nell'altra.
Lui perse in un attimo il rossore e si incupì.
« Ho vissuto per un po' in Russia» rispose.
« Wow» fece lei.
Aveva un sorriso sincero.
Poi lo salutò con la mano e tornò ad allenarsi da sola contro il muro.
La pallina sfrecciava avanti e indietro, dalla racchetta al muro. Tum-tum, tum-tum, tum-tum.
« Erald» lo chiamò il signor Wammy.
Erald era di nuovo incantato dai capelli rossi della ragazza. Alla voce del signor Wammy, fece un sobbalzo.
« Ti stavo aspettando in macchina. Non mi avevi visto?»
Era gentile, ma anche un po' preoccupato.
« Certo, è solo che … » Erald si voltò verso il campo da tennis: la ragazza era sempre lì.

 





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