Camminava,
camminava, camminava da tutto il pomeriggio: ormai Percy Weasley
aveva attraversato tutta la Londra babbana. Se qualcuno glielo avesse
chiesto, però, non avrebbe saputo nominare una sola strada o
una
sola piazza su cui i suoi piedi si erano posati, la maggior parte
delle volte frettolosi.
La
mano destra era infilata nella tasca del soprabito, e a tratti
sfiorava una piccola busta, che si trovava lì da quando gli
era
arrivata per posta, al Ministero. Lo stesso Ministero che quel giorno
era stato preso dai Mangiamorte: Scrimgeour era morto, e i seguaci di
Tu-Sai-Chi erano ovunque. Che cosa avrebbe dovuto fare, ora? Fuggire
o restare? Forse avrebbe dovuto tornare a casa, chiedere perdono,
passare dalla parte dei Weasley. E se loro non lo avessero accettato?
E se invece lo avessero fatto? Percy cercò di immaginare la
reazione
che avrebbe potuto avere sua madre quando lo avrebbe visto, quella
dei suoi fratelli, quella di suo padre. Poi un pensiero improvviso
gli attraversò la mente: fuggendo dal Ministero sarebbe
diventato un
traditore; gli avrebbero dato la caccia, e così facendo
avrebbe
messo in pericolo tutta la sua famiglia. No, non poteva farlo. E
quindi? Restare, sapendo di fare la cosa sbagliata? No, non poteva...
Con
la testa che pulsava, Percy si buttò a sedere su una
panchina, il
viso tra le mani, gli occhi chiusi.
Sarebbe
dovuto fuggire lontano... lontano, in un posto in cui non c'era
alcuna guerra in corso, e nessuna famiglia a cui fare ritorno.
Avrebbe potuto rifarsi una vita.
All'improvviso,
un dito picchettò insistentemente la sua spalla destra, e
per poco
Percy non si voltò di scatto brandendo la bacchetta: si
ricordò in
tempo di essere in mezzo ai babbani. Squadrò la sua
importunatrice
da capo a piedi: capelli disordinati, occhi color tempesta, sembrava
il suo perfetto opposto. Portava una camicetta bianca senza maniche,
che era infilata per metà in una gonna rossa, che faceva a
pugni con
le ballerine color verde. Accanto a lei, per terra, giaceva una borsa
capiente, dello stesso colore della gonna, da cui sbucavano due libri
e qualche foglio di carta.
"Ti
hanno mai detto che un buon libro è la migliore medicina per
l'anima?"
"Al
momento un libro è l'ultima cosa che mi serve, grazie" le
rispose, pungente.
Lei
fece spallucce. "Come vuoi" borbottò prima di alzarsi.
Quando Percy rialzò lo sguardo, lei se n'era andata; al suo
posto,
un libbriccino dalla copertina gialla.
"Babbani..."
commentò a denti stretti, ma alla fine la
curiosità ebbe la meglio.
Parlava
di coraggio, quel libro. Di una donna che non si arrendeva nonostante
tutto.
Era
ormai buio quando capì che no, non poteva scappare: era o no
un
Grifondoro? Il mondo magico aveva bisogno di lui, anche se non sapeva
ancora in che modo.
Alzò
gli occhi verso il cielo che si stava oscurando, e finalmente
accennò
un sorriso.
“Dove
vai?”
Gettò
via il cappello e disse:
“Volevo
portare a spasso la mia disperazione”
(I.
Svevo)
Angoletto
di Hope-barra-Gio:
questo
è il modo in cui mi immagino il primo incontro tra Percy e
Audrey,
il giorno del matrimonio di Bill e Fleur. La busta, quella che il
giovane tiene nella tasca del cappotto, è proprio l'invito
al lieto
evento. Volevo mostrare un Percy combattuto, che grazie a quello che
più ama (i libri) diventa
combattivo: spero di esserci riuscita!
Grazie
per aver letto, e ricordate che una recensione ha solo una
controindicazione: fa sorridere incontrollabilmente chi la riceve!
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