Var lath vir suledin, vhenan.

di Sarahblack94
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Prologo



Aprì gli occhi tutto d'un tratto, destandosi dal sonno. Era diverso dagli ultimi sogni; non ansimava, non vi erano gocce di sudore sulle sue tempie, né sul collo. Non vi erano ansia, né paura, né rabbia.
Non c'era Corypheus nei suoi pensieri, né le ultime parole di Hawke a turbare il suo animo, solo una sensazione difficile da descrivere, da accantonare in una pila di parole fuori luogo.

Era una sensazione che le era già capitato di provare, nell'intimità di un bacio, in un fugace attimo ritagliato in una scuderia, mano nella mano, dita intrecciate.
Vicinanza che divenne calore, respiro sempre più vicino, forte. Il clangore dell'armatura contro gli stivali. Una parola mormorata, tra un respiro e l'altro, un bacio lento, un bacio vorace. Mani che strinsero i fianchi magri, calore, desiderio.

Un nome diverso, che non aveva a che fare con quegli attimi che ancora tratteneva nella memoria, ma era ciò che più si avvicinava a quell'emozione.
Sapeva, però, che si trattava di qualcosa di più. Si strofinò gli occhi, espirando, turbata. Non c'era tempo per pensare, ultimamente. Lasciò cadere le gambe verso terra, destandosi del tutto. Sfiorò coi piedi il pavimento della sua stanza, che non è mai stata tanto fredda come quella notte. Il suo respiro era condensa e sentì le sue esili spalle tanto deboli, nonostante in molti contavano su di esse. Le strinse, reprimendo un brivido. La stanza era immersa nel silenzio. Spesso le capitava di udire la voce di Cullen che elargiva ordini con decisione, o il clangore delle spade delle nuove reclute durante le esercitazioni, o il canto delle sorelle giunte per portare speranza ai feriti.
Ora, solo il freddo aveva un suono pungente, quanto le voci che ancora le mormoravano nella mente. In particolare, una voce familiare. Abbassò lo sguardo.

Si fissò le cosce, occultate dalla stoffa della sua veste da camera, di seta bianca. Josephine aveva già dimostrato più volte di tenere molto alle apparenze, ma non avrebbe mai immaginato che quest'ultime si estendessero anche all'intimità della sua stanza, lontana da qualsiasi sguardo.  Anche tutto il resto era stato preparato apposta per lei, per valorizzare il suo ruolo a capo dell'Inquisizione. Ringraziò, sempre, per ogni gentile concessione o premura, poiché sapeva quanto sarebbe parso ingrato e sgradevole un rifiuto. Nel suo clan non le furono mai riservate simili attenzioni, non perché non fosse importante, ma erano semplicemente altre le cose che contavano davvero.
Le mancava sua madre, suo fratello. Le mancava il suo intero clan. Spesso, di notte restava sola al centro di quel letto troppo grande, immaginando di mollare tutto.
Amava volgere lo sguardo oltre la balconata, mentre l'aria fresca le sfiorava il viso. Fantasticava, chiedendosi se le sue lenzuola sarebbero state abbastanza lunghe da condurla quantomeno al piano inferiore di quella torre, a Skyhold.

Al momento, tuttavia, la sua mente era assorta da qualcosa in grado di farle scordare tutto quanto.
Si alzò, senza meta, infilandosi le sue graziose ciabatte orlesiane per poi dirigersi verso le scale, ignorando l'armadio o qualunque altra priorità avesse in mente l'intera nobiltà ospite al castello prima di palesarsi al pubblico. Aprì la porta, scorgendo dall'alto l'ingresso del castello. Lasciò scivolare lo sguardo poco più in là. Era la porta della sala in cui una persona era solita trascorrere il suo tempo, a cui poche volte aveva fatto visita prima della loro ultima conversazione.
Una conversazione capace di dare forma ad un sogno che ricordò quasi come fosse uno dei suoi viaggi.

Decisa, sospirò, dirigendosi verso la stanza di Solas.







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