Prologo
Aprì gli occhi tutto d'un tratto,
destandosi dal sonno. Era diverso dagli ultimi sogni; non ansimava, non
vi erano gocce di sudore sulle sue tempie, né sul collo. Non
vi erano ansia, né paura, né rabbia.
Non c'era Corypheus
nei suoi pensieri, né le ultime parole di Hawke a turbare il
suo animo, solo una sensazione difficile da descrivere, da accantonare
in una pila di parole fuori luogo.
Era una sensazione che
le era già capitato di provare, nell'intimità di
un bacio, in un fugace attimo ritagliato in una scuderia, mano nella
mano, dita intrecciate.
Vicinanza che divenne
calore, respiro sempre più vicino, forte. Il clangore
dell'armatura contro gli stivali. Una parola mormorata, tra un respiro
e l'altro, un bacio lento, un bacio vorace. Mani che strinsero i
fianchi magri, calore, desiderio.
Un nome diverso, che non aveva a che fare con quegli attimi che ancora
tratteneva nella memoria, ma era ciò che più si
avvicinava a quell'emozione.
Sapeva, però, che si trattava di qualcosa di più.
Si strofinò gli occhi, espirando, turbata. Non c'era tempo
per pensare, ultimamente. Lasciò cadere le gambe verso
terra, destandosi del tutto. Sfiorò coi piedi il pavimento della sua stanza, che non è mai stata tanto fredda come quella notte. Il suo respiro
era condensa e sentì le sue esili spalle tanto deboli,
nonostante in molti contavano su di esse. Le strinse, reprimendo un brivido. La stanza era immersa nel silenzio.
Spesso le capitava di udire la voce di Cullen che elargiva
ordini con decisione, o il clangore delle spade delle nuove reclute
durante le esercitazioni, o il canto delle sorelle giunte per portare
speranza ai feriti.
Ora, solo il freddo aveva un suono pungente, quanto le voci che ancora
le mormoravano nella mente. In particolare, una voce familiare.
Abbassò lo sguardo.
Si fissò le cosce, occultate dalla stoffa della sua veste da
camera, di seta bianca. Josephine
aveva già dimostrato più volte di tenere molto
alle apparenze, ma non avrebbe mai immaginato che quest'ultime si
estendessero anche all'intimità della sua stanza, lontana da
qualsiasi sguardo. Anche tutto il resto era stato preparato apposta per lei, per valorizzare il suo ruolo a capo dell'Inquisizione.
Ringraziò, sempre, per ogni gentile concessione o premura,
poiché sapeva quanto sarebbe parso ingrato e sgradevole un
rifiuto. Nel suo clan non le furono mai riservate simili attenzioni, non
perché non fosse importante, ma erano semplicemente altre le
cose che contavano davvero.
Le mancava sua madre, suo fratello. Le mancava il suo intero clan.
Spesso, di notte restava sola al centro di quel letto troppo grande,
immaginando di mollare tutto.
Amava volgere lo sguardo oltre la balconata, mentre l'aria fresca le
sfiorava il viso. Fantasticava, chiedendosi se le sue lenzuola
sarebbero state abbastanza lunghe da condurla quantomeno al piano
inferiore di quella torre, a Skyhold.
Al momento, tuttavia, la sua mente era assorta da qualcosa in grado di
farle scordare tutto quanto.
Si alzò, senza meta, infilandosi le sue graziose ciabatte
orlesiane per poi dirigersi verso le scale, ignorando l'armadio o
qualunque altra priorità avesse in mente l'intera
nobiltà ospite al castello prima di palesarsi al pubblico. Aprì la porta, scorgendo dall'alto l'ingresso del castello.
Lasciò scivolare lo sguardo poco più in
là. Era la porta della sala in cui una persona era solita
trascorrere il suo tempo, a cui poche volte aveva fatto visita prima
della loro ultima conversazione.
Una conversazione capace di dare forma ad un sogno che
ricordò quasi come fosse uno dei suoi viaggi.
Decisa, sospirò, dirigendosi verso la stanza di Solas.
|