Sing

di matmatt98
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Coming Home

Naturalmente non raccontò a nessuno dell'incontro nella sala insegnanti, di aver rivolto la parola a Carlo Bellarin e di aver accettato di duettare con lui alla fine dell’anno. Non buttò fuori niente, perché non se la sentiva e non ne aveva voglia. Lorenzo non avrebbe capito,Vito non l’avrebbe ascoltato e sua madre sarebbe saltata subito a conclusioni affrettate.
Per questo non disse niente e decise di fare le prove a casa sua quando questa era deserta. A scuola sarebbe stato difficile avere un’aula vuota e spiegare. Nella sua testa si era già formato il pensiero che sarebbe stato meglio lasciare la sorpresa alla fine.
Dopo una buona esibizione avrebbe inventato di aver improvvisato, o di essere stato obbligato. Insomma, una cosa del genere.
Non poteva permettersi di far trapelare voci strane sul suo conto a così tanto dalla fine dell’anno. In un mese si sarebbero potute formare teorie assurde, le persone ci mettono troppo poco a tirare le conclusioni, anche se hanno pochissime informazioni. E lui non voleva che gli altri scoprissero che lui rivolgeva la parola a Carlo, che al pomeriggio stavano chiusi in un aula a cantare e suonare.
Gli altri non avrebbero capito.  
«E’ da tanto che aspettavi?»
La voce di Carlo gli arrivò alle spalle, ma non sobbalzò. Si voltò ed incrociò il suo sguardo vispo mettendo su un’espressione a metà tra l’annoiato e l’incazzato.
«Sei in ritardo» dichiarò, mentre dava una sbirciata all’orologio legato al suo polso magro. «Sono qui fuori da dieci min-»
Avrebbe sicuramente continuato a lamentarsi se solo la voce di Lorenzo non l’avesse preso in contropiede, ingarbugliandogli ogni frase sulla punta della lingua.
Si sentì congelare i muscoli e cercò di capire cosa fare per poter sfuggire al ragazzo prima che potesse vederlo in compagnia del veneto, ma assurdamente fu proprio il biondo a prendere la situazione in mano.
E non solo la situazione.
«Taci» disse, mentre le sue dita bianche si allacciarono al suo polso abbronzato per poi scendere verso la mano. Lottarono contro le sue falangi calde e poi le strinsero, legandole tutte in un nodo saldo.
Francesco cercò una risposta a quel gesto negli occhi di Carlo, ma l’azzurro splendente si era spento, arrivando ad un blu notte scuro quanto lo sconforto che stavano trasmettendo i lineamenti del suo viso. 
Si girò senza aggiungere nient’altro e prese a camminare velocemente trascinando Francesco con sé.
Mentre camminavano il cuore del mulatto perse un paio di battiti. Sentiva l’organo graffiare contro le costole ogni qual volta i suoi occhi ambrati si fermavano a fissare più del dovuto le spalle larghe dell’altro o la sua nuca bianca.
Il biondo era bello, aveva un profumo inebriante e lui aveva perso davvero troppo tempo a guardarlo di nascosto, sentendosi poi un coglione del cazzo.
Ci aveva provato, sul serio, con tutto se stesso, ma non ce l’aveva fatta a evitare i contorni saldi delle sue braccia nivee, le curve morbide delle sue labbra rosse o il colore acceso dei suoi capelli chiari.
«Stiamo andando a casa mia» annunciò finalmente quando furono abbastanza lontani dalla villa di Francesco, rendendolo partecipe del piano.  
Fermò quella corsa lenta e lasciò la presa, prendendo a camminare ad un passo normale con le mani infilate nelle tasche.
La mano ora vuota del maggiore pizzicava per il fastidio di non poterne stringere un’altra.
Per provare a lasciar correre via la sensazione si guardò attorno e si rese conto che si erano spinti verso le case color tè, quelle che piacevano tanto a sua sorella minore. Ogni volta che portavano fuori Lady si fermavano a guardarle e lei rideva indicandole. «Le case color tè!» trillava, battendo le mani piccole.
«Così uso la mia chitarra e non la tua» attaccò dopo un istante Carlo, come se il silenzio lo mettesse a disagio.   
«Sì, meglio».  
«Siamo arrivati».  
Casa di Carlo era – come aveva immaginato – di uno stravagante color tè verde sbiadito, piccola ma curata. Fuori dal garage era parcheggiata una macchina piccola che Francesco non aveva mai visto prima e nel giardino scorrazzava un Golden Retriever che non appena li vide arrivare prese a scodinzolare allegro.
«Marley, stai giù» lo rabbonì il biondo, aprendo il cancello verde scuro. Una volta entrato si chinò ad accarezzare il cagnolone dal pelo chiaro e poi con un fischio lo incitò ad entrare in casa.
L’altro chiuse il cancelletto e seguì entrambi senza fare un fiato. Si sentiva a disagio, ma provò a mascherare tutto dietro la solita espressione scocciata.
«Benvenuto» fece Carlo, con un tono quasi ironico, facendo scattare la serratura della porta bianca.
L’interno della casa era anch’esso curato ed essenziale. C’era qualche foto appesa alle pareti color panna, alcuni quadri di nessun artista in particolare e la mobilia vintage di un colore scuro. Forse era mogano.
Marley si avvicinò a Francesco solo quando Carlo scomparve in cucina.
«Hey» mormorò lui, accucciandosi sul parquet.
Il cagnolone dagli occhi scuri gli annusò la mano e poi si fece coccolare, dandogli anche qualche testata sotto al mento. Probabilmente aveva sentito l’odore del Bulldog francese di sua sorella, Lady
«Gli sei simpatico» esordì Ballarin, tornando con un bicchiere in mano. «Spero che la limonata ti piaccia».
Francesco prese il bicchiere e annuì, tirandosi su. «Certo, va benissimo».
«Bene. Andiamo in camera mia?»
L’unica cosa che gli riuscì di fare fu annuire. Dentro di lui si stavano condensando una variante infinita di emozioni e sensazioni, perfino sconosciute, e più provava ad ignorarle, più quelle andavano a sbattere contro le pareti del suo cervello.
Per tutta la sua adolescenza si era costruito una parte nel mondo completamente fasulla e infelice e ora con Carlo era la prima volta che non serviva a niente. Perché Carlo Ballarin gli assomigliava più di quanto fosse ammissibile ammettere.
«E’ una bella casa» sussurrò, prendendo a salire le scale.
Il padrone di casa gli rivolse un’occhiata gentile. L’apparecchio trasparente fece capolino sui denti dritti. «Grazie Checco».

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Spazio Autore:
Allora, ringrazio tutti quelli arrivati fin qui, non so nemmeno se sono riuscito a farvi apprezzare un minimo.
Di solito non scrivo cose così leggere, ma sono sto cercando di smollarmi un po’.
Dopo Insane non era il caso di continuare a fare tragedie, sarei diventato il Lana Del Rey di Efp...

Alla settimana prossima 🙂




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