Quello che ho fatto…
Non l’avevi capito. Proprio per
niente. Avevi passato minuti, ore, giorni a rimuginare su quale significato
avessero le parole che, ormai sempre più spesso, invadevano il campo base.
“Ci
sono gli Alchimisti di Stato.”
“Oggi
ci hanno pensato loro.”
“Sono
assurdi, vero?”
Frasi che si rincorrevano tra
loro, nella quiete pigra di una notte che non avrebbe portato altri scontri, ma
solo sonni occupati da incubi – almeno per quei pochi che ancora riuscivano a
dormire.
Avevi già visto in azione gli
Alchimisti di Stato – il Maggiore Kimbley e il Maggiore Armstrong – ma malgrado
questo ancora non ti era chiaro. C’era qualcosa, un frammento, che ancora si
rifiutava di farsi comprendere, e più cercavi di prenderlo più lui scappava
via, dispettoso e crudele, quasi a dirti che ti attendeva al varco.
È stato in un giorno in cui il
sole sembrava bruciare più delle altre volte – ma era davvero il sole? – che
tutto ti è stato chiaro. È stato oggi che ogni tassello è andato al proprio posto.
Hai sentito un brivido, poi un
formicolio alla schiena; è stato come se il tatuaggio che porti impresso sulla
pelle iniziasse a riscaldarsi, quasi fosse capace di generare il fuoco di cui
descriveva il segreto. E fiamme sono state. Potenti. Devastanti. Brucianti.
Orrende. Un intero distretto distrutto in meno di un minuto; odore di corpi
carbonizzati nell’aria; fumo che lento e impietoso copriva il cielo. Sì, allora
hai capito. Ora hai capito.
Ti manca il fiato. Ti tremano
le mani. Sai già in verità. Ma il tuo occhio si appoggia comunque al mirino del
fucile che imbracci, e scruta ansioso ogni punto.
Occhi sgranati. Sguardo
orripilato. Roy Mustang, nel tuo mirino.
“Che
cosa ho fatto?”
Che cosa hai fatto, piccola
Riza? Davvero te lo chiedi?
Ma sei giovane, troppo giovane;
lo eri ancora di più quando gli hai rivelato quel segreto. E credevi in lui, quel giorno, nei suoi sogni e nelle
sue parole cariche di ideali. Sei forse stata ingannata?
No, sai che Roy era serio,
allora. Sai che non ti ha mentito, sulla tomba di tuo padre. Sai che ci credeva
davvero.
“Che
cosa ho fatto?”
Gli hai rivelato il segreto che
porti impresso sulla schiena, il segreto di cui tuo padre ti ha caricata. L’hai
fatto con l’ingenua speranza che fosse giusto, e che avrebbe portato a qualcosa
di buono, di migliore. Dopotutto l’Alchimia non esiste forse per la gente? E
allora perché, qui e ora, non riesci che a pensare che è stato tutto uno
sbaglio, un errore di proporzioni inimmaginabili?
“Che
cosa ho fatto?”
I suoi occhi sono spenti, morti
come quelli delle persone che ammazza. Le occhiaie che glieli circondano sono
la prova di un sonno che ormai è mera fantasia. Le labbra non sorridono più,
ammiccanti, provocatorie, a volte dolci; sono una linea dura, stretta, troppo
stretta, che fatica persino a far uscire poche semplici parole.
“Che
cosa ho fatto?”
“L’hai
trasformato in un mostro.”
“Lieto
di rivederla, signor Mustang. No, forse dovrei chiamarla Maggiore Mustang
adesso. Ha cominciato a ricordarsi?”
“Come
potrei aver dimenticato?”
“Che
cosa ho fatto?”
Te lo chiedi davvero, Roy?
Potrebbe sembrarti grottesco, ma non sei il primo a porsi questa domanda. Lei
stessa, sino a poco fa, ha continuato a ripetersela nella testa.
La guardi e non la riconosci.
No, non è lei – malgrado gli stessi capelli biondi, malgrado le stesse mani
affusolate e pallide, malgrado gli occhi dello stesso colore.
Non può essere lei. Non può
essere lei, qui.
“Che
cosa ho fatto?”
I suoi occhi ti spaventano,
vero? Non hanno più luce, o innocenza, o genuinità. Sono solo occhi, freddi,
stanchi, vuoti. La vita è stata brutalmente strappata via da quelle iridi
castane, un tempo calde; ti chiedi come faccia a stare in piedi, come possa
parlarti visto che ormai sembra soltanto un corpo privo di vita.
“Che
cosa ho fatto?”
Ti stai forse incolpando,
Maggiore? Stai forse recriminando, Alchimista di Fuoco? O forse stai
semplicemente morendo dentro ogni istante in più in cui fissi i suoi occhi?
Vorresti parlare, dire
qualcosa, magari qualcosa d’intelligente. Senti quasi il bisogno di
giustificarti, a lei – non ci ha provato nemmeno con te stesso, o con i tuoi
commilitoni, ma con lei…
Hai disonorato ogni cosa:
l’eredità del tuo Maestro, il segreto che lei ti aveva affidato, le parole
davanti a quella tomba. Hai dissacrato con le tue stesse mani gli ideali e i
sogni in cui aveva tanta fede, e che hai condiviso con lei, solo con lei.
“Che
cosa ho fatto?”
Credi che sia per te, per le
tue parole, che ora lei è qui? Credi sia a causa dei tuoi sogni sdolcinati se
lei ora ha una divisa blu addosso e un fucile in grembo? Chissà, forse è
davvero colpa tua. Perché lei ci ha creduto, creduto davvero, a quel sogno che
le hai confidato in una tetra giornata d’autunno. E forse, in cuor suo, credeva
anche un po’ in suo padre, nella sua convinzione che l’Alchimia fosse per la
gente, e nel fatto che sarebbe stato per la gente che avresti usato il potere
che ti stava concedendo.
“Che
cosa ho fatto?”
Era una ragazzina, Roy. Una
ragazzina a cui era appena morto il padre, senza più legami e sola; una
ragazzina sognatrice e idealista quanto e più di te forse. Non hai mai pensato
che le tue parole avrebbero potuto avere queste conseguenze. Ma è davvero stata
colpa tua, Roy?
“Che
cosa ho fatto?”
“L’hai
trasformata in un’assassina.”
Vi guardate negli occhi, ora, e
mai ha fatto più male.
Su questo campo di battaglia –
Ishvar – non siete più Roy e Riza, l’allievo e la figlia del Maestro. Ora siete
solo soldati, burattini, pedine di una mano che è venuta a raccogliervi, avida,
voi che eravate fiori in pieno boccio, e vi ha guidati nel cuore dell’Inferno.
E siete giovani, tanto, troppo
giovani. Non lo sarete ancora a lungo, forse avete già smesso di esserlo. E
siete degli idealisti, ancora; questa, forse, è una delle poche cose che non
riusciranno mai a strapparvi via. Ma è ancora presto per questo.
Così come è ancora troppo
presto per Voi. Non è il tempo,
questo. C’è la Guerra, ora, che non dà tregua; troppo sangue invisibile ai più
a macchiarvi le mani. Non c’è un tramonto, o un’alba, qui; ci sono solo la luce
accecante del sole di giorno e il buio più profondo del cielo di notte. Non
esistono le mezze misure, i grigi, perché in Guerra è bianco o nero. È vita o
morte. Non c’è posto per nient’altro. Tantomeno per l’amore.
“Che
cosa ho fatto?”
Ve lo chiedete ancora, e ancora
e ancora senza sapere che questa domanda vi logorerà nelle infinite giornate di
battaglia e nelle assordanti notti di silenzio. È ancora troppo il tempo che
deve trascorrere dal giorno in cui smetterete di chiedervelo, di
colpevolizzarvi, e vi stringerete e basta.
“Che
cosa ho fatto?”
“Lasciate
che sia il tempo a farvelo vedere.”