Maya
(or, maybe, Māyā)
Qual
è l'ora più buia? Di solito, a questa domanda si
risponde, forse
senza nemmeno pensarci più di tanto, 'Quella prima
dell'alba'.
Da
un punto di vista metaforico, questo vecchio detto è un
messaggio di
speranza: 'Dai che ce la puoi fare... Resisti ancora un poco e il
sole sorgerà di nuovo anche su di te.'
Peccato
che in fondo noi, tutti noi, siamo un po' come i Maya: la
serenità
che ci può derivare dalla certezza che il sole
benedirà di nuovo
con i suoi raggi le terre dei mortali, non l'abbiamo fino in fondo.
Non possiamo sapere quale sarà l'ora più buia...
Perché non
conosciamo il momento in cui l'alba giungerà. Potrebbe
accadere da
qui a un secondo, da qui a un minuto o... Mai.
Mai?
Sì, mai. La speranza che il momento della notte
più nera sia ormai
alle spalle cede il passo alla disperazione, all'ansia che l'istante
in cui l'oscurità ci avvolga e ci soffochi definitivamente e
inesorabilmente con i suoi ovattati e neri tentacoli è
ancora di là
da venire, ci attende con un ghigno divertito oltre a ogni porta che
apriamo, in agguato ad ogni curva del nostro percorso, in attesa
dietro ad ogni parola che ci rivolgeranno.
E
allora, come respirare, come evitare di annegare in questo mare di
inchiostro?
Massì,
facciamo proprio come loro, i Maya: anneghiamo il nero nel rosso:
insozziamo la notte con il sangue di mille sacrifici! La forza, la
violenza, è, in fondo, il nostro credo, che lo si voglia
ammettere
oppure no. Ci illudiamo di poter allontanare il buio, esercitando una
qualche forma di controllo su ciò che ci circonda. I popoli
precolombiani sgozzavano con coltelli di ossidiana, noi moderni
uccidiamo il prossimo affossandone la dignità, annullandone
l'autostima, azzerandone il valore. Ci teniamo a ricordare con
raffinata voluttà quanto l'altro, per noi, non sia
nient'altro che
un gradino da calpestare sulla nostra scala verso un ipotetico (e
infinitamente lontano) successo... E parimenti viviamo nel terrore di
essere noi, a nostra volta, i sacrifici umani di qualcun altro.
Teniamo
a bada la disperazione attraverso la poetica autosuggestione
romantica di essere noi i protagonisti della nostra vita...
Che
in qualche modo Dio o qualche altra creatura superiore ci 'debba' di
garantire qualche momento di felicità, prima o poi. Ce lo
deve, no?
Che
in qualche modo, ergendosi sopra pile e pile di teschi, arriveremo a
scacciare per sempre la paura che ci assale dopo il tramonto... Che
il giorno arrivi di nuovo.
Illusioni.
Sì,
perché noi non siamo l'uomo che issa la bandiera sulla cima
della
collina.
No.
Noi
non siamo altro che le ossa schiacciate alle sue pendici.
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