Il Sonno ed il Furto
Levi,
quella sera era nero. E per nero s’intendeva più nero del
solito, tanto che Sasha e Connie avevano trovato opportuno
citare il loro film Disney preferito: “Senti il suo nero
potere?”, aveva commentato la prima, quando l’aveva
visto entrare nel locale. “Oh, nero forte” era
stata la risposta. Ed il motivo era solo uno: i nuovi vicini di Levi e
dei suoi coinquilini.
Infatti,
appena il Piccolo Caporale varcò la soglia del bar,
accompagnato dalla cara Petra – che invece portava sul viso
una strana espressione mista di esasperazione e apprensione, che molto
spesso si trovava ad indossare esclusivamente per il suo amato Levi
–, l’atmosfera nel locale si fece tesa e, Connie
avrebbe continuato a giurarlo per tutta la sua vita, le lampade sul
loro tavolo e su quello accanto presero a spegnersi e ad accendersi a
intermittenza, sempre più veloce mano a mano che la coppia
si avvicinava. Questo scatenò un sospiro preoccupato seduto
all’altro tavolino quadrato.
“Professor
Smith?” fece Sasha, rivolgendosi a colui che, oltre ad essere
l’avvocato d’ufficio di Levi dai tempi della
primissima denuncia – fu l’inizio di una grande
amicizia –, era stato anche loro professore di diritto. Si
era guadagnato l’eterno affetto e la gratitudine dei due
alunni svolgendo per loro anche il suo primo lavoro, e salvandoli da
qualsiasi ripercussione o conseguenza delle loro peggiori beghe
scolastiche. Tanto lo adoravano che, intravedendolo dalla vetrata del
bar, si erano fiondati a salutarlo, ritrovandosi senza volerlo in mezzo
all’ennesima chiamata in tribunale per l’Ackerman Vecchio.
“Non
so nemmeno se ho voglia di non farlo andare in carcere, questa
volta” rispose lui, appena in tempo perché il suo
cliente e la sua fidanzata storica non lo sentissero, mentre prendevano
posto nelle due sedie di fronte. Il riguardoso
“buonasera” della voce gentile di Petra fu seguito
a ruota dal borbottare poco umano – decisamente
più attribuibile al mondo dell’anticristo
– di Levi, da cui però orecchie ben allenate
potevano distinguere le ultime vocali di un saluto.
“Come
mai anche loro qui?” furono le prime parole effettive
pronunciate dal Caporale, rivolgendo un cenno del capo a Connie e Sasha.
“Siamo
entrati a salutare il Prof” spiegò il ragazzo,
giocherellando con una bustina di zucchero.
Sasha
annuì. “Giusto. Oh, e non preoccuparti, il Prof
usava sempre i tuoi casi come esempi estremi durante le sue lezioni:
non ti giudicheremo”, continuò, anticipando le
parole di Erwin e scatenando altri versi scocciati di Levi.
“Su,
su.” Petra, ridacchiando, gli accarezzò il capo
con fare comprensivo. “Anche questo mese dobbiamo
assolutamente evitare di farti finire in prigione. È
importante, ricordi?”
“Sì.”
“Quindi
possiamo sapere cosa è successo stavolta?”
chiese Sasha, fremente di curiosità, rosicchiandosi
l’unghia dell’indice.
“Mia
cugina non vi ha ancora detto nulla?”
Lei
e Connie fecero segno di no con la testa.
“Mikasa
alla fin fine sa essere leale con chi le nascondeva l’erba
quando era ragazzina.”
Mentre
loro due ridevano e Petra ed Erwin si dilettavano entrambi in uno
sguardo diverso, ma in entrambi i casi veramente da raccomandare, da
rivolgergli, Levi si schiarì la voce e, tagliando corto il
suo avvocato, rivelò finalmente vittime e movente del reato.
“I
nostri nuovi vicini sono delle fottute merde parassite
infedeli.”
Proprio
in quel momento calò il silenzio nella sala, e le sue parole
riecheggiarono fra quelle quattro mura ed oltre. Dal retro si
sentì il barista urlare:
“Buongiorno
Contessa, aspettavamo solo lei per il tè delle
cinque!”
“Si
fotta!” replicò il Caporale. “E voi che
avete da ridere, mocciosi?”
“Niente,
niente.”
“Assolutamente
nulla” provarono a camuffarsi Sasha e Connie, traditi da
grugniti e colpi di tosse che non riuscivano a nascondere le ennesime
risate.
Gli
altri due, abituati, non si scomposero. Anzi, Erwin si sentì
gonfiare il petto di orgoglio quasi paterno: Levi era stato comunque
più educato e meno scurrile di quando lo aveva telefonato
per riferirgli i vari fattacci e, infine, il colpo grosso.
“Quindi,
dicevamo, prima che qualche stitico decidesse
d’interromperci, che i nostri nuovi vicini sono la
definizione di stronzo sul
dizionario”
E,
raccolto davanti ai loro caffè come giovani scout che si
raccontano storie dell’orrore attorno a un falò,
quel piccolo, inusuale gruppo rimase in silenzio ad ascoltarlo
denunciare tutte le loro malefatte. Anche chi era già a
conoscenza di tutto – Petra, coprotagonista assieme a lui e i
loro coinquilini – o aveva ricevuto spoiler – Erwin
– non si perdeva una sillaba del sintetico ma carico
d’astio racconto del Tyrion Lannister povero.
“Ho
capito di che razza erano dal giorno in cui, lavando il pavimento del
balcone, ho visto il furgone nella strada sotto casa occupare tre
parcheggi. E mezzo. E tutti che mi dicevano: ma no, Levi, vecchio
visionario, stai esagerando, su. Non li hai nemmeno visti in faccia,
prenditi un bel tè, rilassati e non ci pensare
più, nulla sarà mai peggio dei sordomuti con due
bambini piccoli che piangono, amanti degli zoccoli olandesi. Ma
no, no, io me lo sentivo,
cazzo.” E qua finiva l’unica parte, effettivamente
non sintetica, del racconto. Il resto altro non era che una o
più sfilze d’insulti intervallata dai vari
“reati” dei vicini, e poi ancora insulti.
Addirittura Petra s’era intromessa come seconda narratrice,
liberando la parte di sé più colorita e stronza,
quella che da quando conosceva Levi era cresciuta in maniera
esponenziale e, da minuscolo semino di cattiveria, era sbocciata in un
altissimo girasole.
Soltanto
quando vide gli occhi di Sasha e Connie in bilico sul bordo delle
orbite capì di aver esagerato a chiamare il vicino insulso pirla microdotato
che sfoga la sua frustrazione esistenziale su chi a differenza sua ha
sia un cazzo che dei neuroni.
“Porca
puttana, mi dispiace, ragazzi.” E, ancora stringendo i pugni,
tornò ad appoggiarsi allo schienale della sedia.
“Levi,
ancora una volta mi trovo a dirti che non avevi alcuna ragione di fare
quello che hai fatto. Di grazia, queste sono solo incomprensioni tra
vicini di pianerottolo.” disse Erwin , fissandolo con
disapprovazione e appoggiando la tazzina vuota sul piattino.
“…
Erwin, forse dovresti farmi finire la lista.”
replicò Levi, a testa bassa, quasi come un toro alla carica.
“Levi—“
“No.”
Al no, Petra
cominciò a ridacchiare, attirando su di sé gli
sguardi confusi di tutti. Era come se sapesse qualcos’altro,
un altro pezzo del racconto di cui loro non erano ancora a conoscenza.
Levi la guardò e, senza che gli occhi perdessero quella loro
espressione da boia, le regalò un sorriso.
Un’infinitesimale frazione di secondo, prima della
conclusione.
“Le
uniche due ore a notte in cui riesco a dormire, quei bastardi spostano
mobili come se avessero il fottuto IKEA nel cesso che, coincidenza, sta
proprio sopra la mia stanza. Non sanno fare la differenziata, cosa che
invece sarebbe loro molto utile per potersi gettare nel bidone
dell’umido e sparire dalla mia vista. Sembrano essere troppo
stupidi per comprendere l’uso di semplici utensili in legno
come il mocio per i pavimenti, figurando quindi come la prima specie di
australopiteco incapace di lavare le scale rispettando i turni
prestabiliti—“
“Queste
cose ce le hai già dette—“
“Un
attimo, Erwin” Sasha e Connie non ridevano più,
ormai, capaci solo di pensare a come la semplice riconoscenza verso il
loro prof li avesse portati a prendere il caffè
più emotivamente coinvolgente della loro vita. Levi era
sempre incazzato, vero – la sindrome di Napoleone era
ciò che gli valeva il suo soprannome, del resto –
ma così incazzato?
Mai. Forse, forse, soltanto
una o al massimo due altre volte, ma non ne erano sicuri.
“Sulle
scale. Hanno. Osato. Parlar male. Urlare. E fischiare. A mia
madre.”
Se
prima erano solo muti, ora i due ragazzi erano paralizzati. Ed Erwin
cominciò a capire il punto di vista di Levi. Tutti
conoscevano la Signora Kuchelle, una donna non più
giovanissima d’età, ma ancora molto bella e che
come il figlio portava bene i suoi anni, ormai cinquantuno. Non era
purtroppo difficile credere che la poveretta si fosse trovata vittima
di un classico episodio di catcalling.
Levi,
oltretutto, teneva la madre sul cuore anche più di quanto ci
si aspetterebbe normalmente da un figlio. Chiunque si fosse mai
permesso di dire qualsiasi cosa di negativo nei riguardi della donna
– che si trattasse della sua gravidanza adolescenziale o dei
diversi, pesantissimi sacrifici fatti per crescere lui prima, e la
piccola Mikasa poi – aveva a malapena il tempo di processare
la gravità del suo gesto prima di trovarsi addosso Levi e,
nel peggiore dei casi, i suoi calci.
“Ho
accompagnato io Kuchelle fino alla fermata del bus e, dopo averla vista
salire, sono tornata a casa per andare con Levi
nell’appartamento di questi infami.”
proseguì per lui Petra. “E per miracolo siamo
riusciti ad andare senza che tu ti portassi il coltellino in tasca,
giusto caro?”
“Giusto.
Tu ed Erd siete le mie fatine buone del cazzo.”
Vedendo
che gli altri tre ancora stavano zitti, Levi chiese loro:
“Sapete cosa è successo quando sono entrato
lì?”
“…
cosa è successo?” domandò, stranamente
paziente, Erwin che, conoscendolo, immaginava una rissa come quelle in
cui si cacciava quando l’aveva appena conosciuto.
“Ci
siamo seduti per parlare e vedere se avevo fatto bene o meno a non
portare un’arma. E quello che mette la carta
nell’alluminio, che però era l’unico che
non era sulle scale con gli altri, si è scusato da parte di
quei due sgorbi e ha provato a farglielo fare da soli. Quindi ci offre
qualcosa da bere. Io accetto e, ovviamente, esprimo la mia preferenza
verso il tè. Se fischiare a mia madre è stata la
goccia che ha fatto traboccare il vaso, questo è stato un
cazzo di allagamento. Lo sai come fanno il tè, quegli
stronzi?»
Petra
tornò a ridacchiare, questa volta con meno vergogna, mentre
Levi si preparava a rispondere ai dubbi di Erwin, Sasha, Connie e il
barista che lavava i bicchieri poco distante da loro.
“Col
microonde.”
Si
sentì il barista tossire.
“Capisco
ma non condivido le tue posizioni da estremista—“
cominciò Sasha, senza nemmeno sapere davvero cosa dire.
“Tu
stai andando in tribunale perché i tuoi vicini ti hanno
fatto il tè col microonde?” sbottò
Connie, incredulo, prima di passare la parola ad Erwin. Il
pover’uomo si massaggiava una tempia, in crisi per la
denuncia più assurda che il suo protetto aveva ricevuto in
tutti quegli anni.
“Tu
hai rigato un’auto, urinato in un portaombrelli e incendiato
uno zerbino per questo?!”
“Non
solo. Petra, fagli vedere cosa ti ho regalato l’altro
ieri.” disse Levi, fiero e soddisfatto del suo gesto. E lei,
gaia e ridente, con un gesto aggraziato della mano sinistra
mostrò loro il semplice, delicato anellino d’oro
giallo con un piccolo diamante che portava all’anulare.
“I
soldi che mi mancavano arrivano dal microonde di quei
miscredenti.”
Bonus:
Uscirono dal tribunale a
testa bassa, Levi, Erd, Gunther e Auruo, i suoi prodi amici e
coinquilini che l’avevano aiutato in quel furto alla Robin
Hood. Cosa cazzo ci fa la gente con un microonde da novecento euro? Il
loro era mezzo rotto, ne era costato ottanta ed era già
tanto che riscaldasse lo strato esterno del cibo.
Insieme a loro
camminavano la futura sposa, la signora Kuchelle e anche Erwin,
d’umore nero esattamente come tutti gli altri. Quel
microonde, assieme a portaombrelli, sportello dell’auto e
zerbino, alla fine, avrebbe dovuto ripagarli. Certo, Levi era libero
– per ora –, ma con molti meno soldi. E data la
povertà sua e di quello che ormai chiamavano tutti
“il coinquiliname”, forse sarebbe stato meglio che
fosse finito in carcere e sua madre e Petra si fossero dedicare a
spendere l’equivalente di un decimo del microonde in lime ed
ingredienti per torte, come vuole lo stereotipo.
Avvocato e cliente si
ritrovarono qualche passo più indietro rispetto agli altri,
abbastanza lontano perché soltanto Erwin potesse sentire i
sussurri del nano malefico.
“Ho comunque
avuto la mia vendetta.”
“…
Levi. “ Ti
prego, siamo appena usciti dall’aula, non voglio tornarci
così presto.
“Ho bucato una
gomma a quegli eretici rivoltanti.”
“Levi!”
“Tranquillo,
non una di quelle già montate.” Un sorriso, non un
ghigno, un vero e proprio sorriso, come quelli che rivolgeva alla donna
che amava, increspò le sue labbra. “Son riuscito
ad aprire il cofano e ficcare il coltellino in quella di scorta.
Così sarà una vendetta lenta… ed
efficace.”
Note
dell'autrice:
Cominciamo coi ringraziamenti: a Tata, per avermi dato l'incipit e
quindi il prompt. A Tata, per aver betato. E a Tata, per aver sostenuto
questa cagata.
Ho
cavato sta merdina in una sera, dopo aver trascurato la scrittura per
un mese, in favore del disegno (fuck me). Cercherò di essere
più equilibrata, da ora in poi! :V *Famous Last Words*Enniente,
mi è sempre piaciuta molto l'immagine della Squadra Levi, in
Modern!Au, come coinquilini un po' in stile CDM (Coinquilini Di Merda,
yup): poveri, criminali, ma altamente ingegnosi. Dei miserabili,
insomma.In
ultimo, titolo gentilmente offerto dalla canzone "Il Sonno ed il Furto
(Storia di un Coinquilino)" dei Pinguini Tattici Nucleari: una band
indie italiana e una delle mie preferite in assoluto. Consiglio a tutti
di ascoltarli, sono fantavolosi~
Stay
alive, kiddos!
Nana
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