Rudere.

di egovincitomnia
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La notte indugiava distratta fra le vesti comodamente sistemate dal demone sul corpo del suo padrone, della sua preda.
Gli occhi vuoti e stanchi, un sorriso accennato mentre la camicia gli veniva abbottonata, troppo lenta per i suoi ordini, troppo velocemente per la sua mente celata dai falsi sospiri che stava disegnando coi polmoni e con la lingua, troppo sola per quell'istante.
Non sentiva più il calore di quelle labbra demoniache sulla pelle, la delicata foschia che quelle mani gli regalavano, irretendogli i sensi e privandolo dell'ossigeno.
Ossigeno ch'era il sapore di quella pelle, ora amata, ora odiata. 
Lì per lui solo in funzione della sua morte, nell'attesa di dilaniargli l'anima.
Ma lui l'amava, si struggeva d'odio, quel piccolo, dolce narciso;
che in un incubo personificato aveva trovato sollievo.




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