How everything started [MOMENTANEAMENTE SOSPESA]

di CassandraBlackZone
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«Morris, mi hai sentito?» Lo scienziato sobbalzò dalla sorpresa e ritrasse subito le mani dalla tastiera. La lettera R aveva riempito ben undici righe di testo. «Bisogna archiviare il file» ripeté Kelly per la quarta volta.
Morris imprecò a bassa voce e riportò velocemente i dati cartacei per poi salvarli nel database. «Ok. Fatto.»
La donna sospirò aggiustandosi gli occhiali sul naso e si avvicinò al collega, ancora visibilmente scosso. Per cosa, lei non lo sapeva. «Si può sapere che cos’hai oggi? Non sei mai stato così distratto.»
«E tu da quando ti preoccupi per me?» incalzò l’altro con finta malizia.
«Non dire scemenze. Voglio semplicemente finire alla svelta il lavoro» Kelly buttò un occhio sui fogli alla postazioni di Morris e si rattristò. «Un altro fallimento, eh?»
Lui rimase in silenzio e chiuse la cartella contenente l’ultima visita di Maria. «Il professore sta facendo il possibile. Perlomeno ora ha dei nuovi dati su cui lavorare per altri farmaci. Sebbene i numeri dicono che lei sta male, la marmocchia ce la sta mettendo tutta per resistere.»
Kelly forzò un sorriso annuendo. «Maria è una ragazza molto forte e matura. Pur avendo solo dodici anni sa a cosa va incontro e fa di tutto per aiutarci.»
Per quanto odiasse ammetterlo, Morris non poté infierire su ciò che Kelly aveva detto, perché era tutto vero. In quei quattro anni non solo la vera natura del professore erano venuti a galla, ma anche l’inaspettata determinazione della dodicenne; ogni anno Maria era stata sottoposta a una seria di operazioni potenzialmente pericolose, ma che avrebbero potuto migliorare le sue condizioni e lei aveva acconsentito guardando sinceramente uno per uno negli occhi.
Nessuno, persino Morris, avrebbe potuto immaginare che in quel corpicino così esile potesse nascondersi uno spirito così forte. Nonostante i numerosi fallimenti, la piccola Robotnik aveva sempre incoraggiato gli scienziati, ma soprattutto Gerald, affranti a ritentare e a non arrendersi.
Lo scienziato ruppe il silenzio porgendo alla donna la cartella di Maria. «Quando puoi riportala allo studio del professore, ma solo quando non c’è lui.»
«E perché?»
«Non è il caso di farlo sentire ancora in colpa, non credi? Proprio ora che ha riacquistato la fiducia. Fammi questo piacere e poi torna qui»
Kelly dovette sbattere più volte le palpebre prima di riuscire a parlare. «Mi hai appena chiesto un favore? Gentilmente?»
Morris si bloccò nell’atto di riprendere a scrivere e sbuffò. «Senti, Kelly. Non è il momento di soffermarsi in queste sciocchezze. Abbiamo del lavoro da sbrigare.»
Kelly rispose con un sguardo basso e si sedette alla postazione accanto a Morris. «Ha avuto un altro esaurimento?» l’uomo si appoggiò allo schienale per poi annuire. «E tu sei preoccupato.»
«Come tutti, no?»
«Ma è evidente che tu lo sei più di noi messi insieme e…» Kelly venne interrotta bruscamente da Morris che si alzò picchiando entrambi i pugni sulla scrivania e rivolgendo alla scienziata uno sguardo truce. Quest’ultima non reagì alle due provocazioni e rimase impassibile.
«E questo cosa te lo fa pensare, eh?» disse lui a denti stretti, ancora intento a spaventarla, ma senza riuscirci.
Kelly sospirò pesantemente, come un’insegnante stufa della testardaggine del proprio studente. «Emozioni, eh?»
Morris rilassò i muscoli per poi allontanarsi dalla scrivania, sbigottito. Scosse la testa per dimenticare il volto compiaciuto di Stanford. «Non è divertente, Kelly.»
«Non era mia intenzione. Volevo solo dire che per quanto tu ti ostini a nasconderle sei pur sempre un essere umano» avvicinatasi alla postazione di Morris, Kelly salvò gli ultimi dati e spense il computer. «Il peso che porti sulle spalle lo percepiamo sia io che l’intera l’ARK, ma tu più di tutti, poiché sei il più vicino al professore»
Morris lasciò che Kelly spegnesse il resto dei macchinari, senza proferire una parola. «E anche perché sei molto simile a lui» lo scienziato rimase spiazzato da quelle parole e incrociò gli occhi della collega che le comunicavano compassione.
«Direi… che per oggi abbiamo finito» disse lui per spezzare l’incantesimo. «Ricordati di quel favore. Finisco io di spegnere le luci.» Kelly annuì stringendo la cartella e uscì dalla stanza.
Morris si portò una mano fra i capelli e si risedette sulla sedia, sfinito. Assicuratosi di essere rimasto solo, tirò fuori dal camice un vecchio portafogli da cui tirò fuori a sua volta una fotografia e subito sorrise.
«Allora anche tu sorridi» Lo scienziato nascose il tutto velocemente e si rialzò di scatto. «È raro vedertelo fare con sincerità»
Morris schioccò la lingua irritato appena si ritrovò davanti Shadow appoggiato alla porta e con le braccia incrociate al petto. «Che ci fai qui, topastro? Ero convinto che fossi con la marmocchia per oggi.»
«È andata nella sua stanza» rispose il nero chiudendo gli occhi. «Metterci venti minuti per riporre una videocamera è troppo, vero?»
L’uomo fece per aprire bocca, ma si limitò a schiarirsi la voce. «Notevole. I farmaci hanno fatto sì che resistesse fino adesso.» Il riccio aprì gli occhi per fissare un punto sul pavimento con uno sguardo spento e rassegnato, attirando l’attenzione dell’uomo intento a non mostrarsi comprensivo. «In ogni caso, è un buon risultato. Il suo corpo reagisce bene.»
«Sicuramente è un risultato migliore del mio» borbottò il nero.
«Come scusa?»
Shadow si avvicinò a Morris squadrandolo accigliato, ma anche sicuro. L’ennesimo incontro con la creatura lo aveva indotto a prendere una decisione senza alcuna possibilità di tornare indietro. Sei ancora debole. Quelle tre parole risuonavano nella testa di Shadow facendogli ribollire il sangue dalla rabbia. Il tempo stringeva e non poteva permettersi altre distrazioni. «Mi rendo conto che le mie prestazioni siano state al di sotto degli standard che vi eravate prefissati per me.»
Morris inarcò un sopracciglio interessato. «Va avanti.»
Shadow strinse con forza i pugni e annunciò con fierezza:«So di non essere abbastanza forte, ma soprattutto di non essere pronto per diventare la creatura perfetta che il professore desidera. Oggi ho imparato la lezione» gli occhi color rubino del riccio bicolore rispecchiarono in quelli verdi di Morris tali da accecare quest’ultimo. «Ho bisogno che tu mi renda più forte il più in fretta possibile.»
Lo scienziato sghignazzò divertito e, abbassatosi alla sua altezza, avvicinò la fronte del riccio alla sua. «Finalmente. Era quello che volevo sentire.»
 
Kelly scosse la testa ad ogni valore scritto nella cartella di Maria e la chiuse all’istante, sofferente. Era al corrente della pessima situazione della piccola Maria, ma non credeva che fosse arrivata fino a quel punto. «Dove stiamo sbagliando? Perché non riusciamo a venirne a capo?» si chiese bisbigliando. Raggiunta la porta dello studio di Gerald cercò di non  pensare a quelle domande e a sorridere, ma si dovette fermare appena sentì il professore imprecare.
«Tutto questo non era previsto!» urlò lui. «Non era quello che mi avevi promesso!»
Il silenzio che seguì preoccupò non poco la donna che avvicinò l’orecchio per capire se ci fosse qualcuno assieme a lui.
«Continui a dirmi che il tempo stringe, ma se non mi dici quando accadrà io non posso fare ciò che mi chiedi!» La voce di Gerald si faceva sempre più minacciosa e Kelly non poteva credere che fosse proprio la sua. Non lo aveva mai sentito parlare così prima d’ora. «Senti, le cose non si stanno mettendo bene. Se vuoi quei dannati smeraldi allora… Come?»
Al secondo silenzio la scienziata si allarmò in cerca di un riparo, ma in quel corridoio non vi erano porte che lei potesse aprire senza una determinata tessera magnetica.
«C’è qualcuno fuori?»
Kelly  si allontanò dalla porta, maledicendo i suoi tacchi, prima che quest’ultima si aprisse all’improvviso.«Oh professore, cade proprio a fagiolo» disse con estrema calma lei.
«Kelly. Eri tu» era ritornato il solito Gerald. «Avevi bisogno di qualcosa, cara?»
«Semplicemente consegnarle gli ultimi dati che abbiamo archiviato io e Morris» Kelly consegnò tra le mani del professore una cartelletta color indaco.
«Ti ringrazio. Per caso lui ti ha dato un’altra cartella per me?»
Dissentì subito. «No, professore. Mi ha dato solo questa. Vuole che gliela chieda?»
«Oh capisco. No, non importa. Vorrà dire che me la porterà lui stesso. Ottimo lavoro. Per oggi hai finito.»
«Nessun problema, professore. Grazie mille» fatto un leggero inchino si avviò camminando il più tranquilla possibile e cercando di dimenticarsi quanto aveva sentito, mentre Gerald, insospettito, la osservava andare via con la cartella di Maria stretta al petto.
 
 
Nonostante ad ogni respiro le facesse male il petto, Maria continuò a correre per raggiungere l’Osservatore. Senza accorgersene era rimasta nella sua stanza per più di venti minuti e sapeva fin troppo bene che Shadow si sarebbe preoccupato: le nausee non le avevano dato pace e, come le aveva detto il nonno, al posto delle solite due capsule ne avrebbe dovuto prendere quattro. «Devo… devo sbrigarmi.»
Raggiunto l’ultimo corridoio pensò velocemente ad una scusa plausibile, ma tutto ciò che riuscì a dire fu che la videocamera le era caduta a terra, ma Maria smise di parlare appena vide che il suo migliore amico non era lì ad aspettarlo. «Ma… dove è andato? Shadow!» pronta a ricominciare a correre, la ragazzina cadde a causa di un forte scossone. «Che sta succedendo?!» si chiese prima che il secondo terremoto la sorprese, seguito dal suono di colpi laser a lei familiare.
«Cerchi la palla di pelo,vero?» Rialzatasi velocemente, Maria non si lasciò intimorire dalla figura di Morris appoggiata sul vetro con le braccia conserte. «Spiacente di rovinarvi la giornata, ma ha deciso di allenarsi.»
«Che cosa gli hai detto?» incalzò subito Maria visibilmente arrabbiata.
Morris sogghignò davanti all’apparente fermezza della bambina e le si avvicinò infilandosi le mani nelle tasche del camicie. «E cosa te lo fa pensare che sia colpa mia?»
«Tu sei l’unico che lo sfrutta.»
«Sfruttare? Mi spiace deluderti ma è stato proprio lui a venire da me e a chiedermi di allenarsi.»
Maria rilassò le sopracciglia inarcate e scosse la testa incredula. «Lui cosa?»
Morris accolse l’espressione delusa della bambina con un sorriso malizioso. «Rassegnati. Shadow non può permettersi delle distrazioni e tu lo dovresti sapere.»
«Ti sbagli. In questi quattro anni non ha fatto altro che sforzarsi, anche lui ha…»
«Bisogno di riposo? No, niente affatto. Lui non avrebbe nemmeno bisogno di dormire, ma il professore si ostina a trattarlo come fosse una creatura mortale, cosa che non è.» l’uomo avvicinò la mano destra al viso di Maria e strinse tra il pollice e l’indice le guance, irritandola non poco.
«Non toccarmi» ringhiò lei. «O giuro che ti stacco le dita a morsi.»
La minaccia della ragazzina non sembrò spaventare l’uomo che intanto continuava a fissarla con sufficienza. «Nonostante tu sappia che la tua situazione non è delle migliori hai ancora la forza di essere così tenace.»
«Noi Robotnik siamo fatti così. Difficilmente ci arrendiamo» rispose a tono Maria ancora tra le grinfie di Morris.
«Tenace e anche spavalda. Sei davvero ammirevole» l’uomo si portò all’altezza degli occhi il volto di Maria. Questi parevano brillare di un verde intenso. «Vediamo per quanto resisterai, Maria.»
I colpi laser provenienti dalla palestra separarono i due che rimasero in silenzio, finché la ragazzina non lo ruppe dicendo:«Tu non sei Morris, vero?»
L’uomo inarcò un sopracciglio, più divertito che sorpreso.«E perché mai sostiene ciò?»
«Perché in quattro anni Morris non mi ha mai chiamata per nome.»
«Maria? Maria dove sei?!» dai uno dei corridoi che circondavano l’Osservatore riecheggiava la voce preoccupata di Kelly, che stava raggiungendo l’enorme stanza. Maria era pronta a chiamarla, quando uno scossone la fece cadere a terra. «Maria! Allora eri qui! Oh santo cielo, stai bene?!»
La ragazzina annuì dolorante e si rialzò con l’aiuto della donna. «È successo qualcosa?»
Kelly tirò un sospiro di sollievo. «Non ti vedevamo in giro da un bel po’ e non avendoti trovata nella tua stanza ci siamo preoccupati.»
«Oh caspita mi dispiace! Non era mia intenzione! Sono solo…» Maria abbassò lo sguardo intristendosi. « Ero solo con Shadow. Ora ha ripreso ad allenarsi.»
«Oh Maria» la donna invitò la ragazzina ad abbracciarla e con fare materno le accarezzò i capelli. «Mi dispiace molto. Ma in fondo sai che è importante, vero? Per tutti noi.»
Maria annuì sforzandosi di non piangere, ma quel momento di consolazione venne interrotto dall’allarme dell’orologio di Maria: era il momento di fare un’altra visita. «Devo andare da mio nonno.»
«Allora ti accompagno» Kelly tese una mano a Maria che la prese distrattamente, poiché era impegnata a fissare con la coda dell’occhio la figura di Morris svanire lentamente.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE:
Ed eccomi qui. Con il tredicesimo capitolo.
Inutile dire quanto sono dispiaciuta per questo tremendo ritardo. Sono passati di nuovo dei mesi. Non voglio annoiarvi, perciò per farla breve ho avuto un bel po’ di problemi personali che mi hanno distrutta e blocchi che mi hanno davvero impedito di proseguire a scrivere.
Arrivata a questo punto della storia ho avuto davvero difficoltà e tutt’ora sto pensando a come finirla (sebbene io non voglia finirla, perché bene o male lo sappiamo tutti…). Difatti questo capitolo non mi convince e mi dispiace per tutti coloro che (forse) lo aspettavano da molto, perché purtroppo non trovaranno i soliti colpi di scena a cui sono abituati.
Di colpi di scena ce ne saranno ancora, ve lo garantisco, devo solo capire come metterli su.
Detto ciò, vi chiedo ancora scusa per questo ritardo e ci vediamo alla prossima.
 
Baci
 
Cassandra




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