Artù si dirige a passo svelto verso la sua auto blu metallizzata.
Una jaguar F-Type coupé, l’unico vero regalo che si era concesso da quando
si era arruolato. Adorava le auto e questa qui è stata da sempre la sua
preferita.
Posa il bouquet di rose sul sedile del passeggero e si dirige verso il bar
dove lavora Ginevra.
Aveva finito di allenare i ragazzi più tardi del previsto e si faceva
spazio nel traffico sperando di trovarla ancora lì per sorprenderla come
solo lui sapeva fare. Non ebbe neanche il tempo di cambiarsi ed era rimasto
con i suoi fedeli anfibi, i pantaloni mimetici e la mogliettina verde
militare a maniche corte, un paio di occhiali da sole scuri.
Mentre guida si guarda attorno e pensa a quanto sia diverso.
Le scottanti rivelazioni del giorno precedente gli avevano scombussolato la
vita più di qualsiasi altra missione che avesse mai fatto negli ultimi nove
anni militari.
In cuor suo aveva sempre saputo di essere diverso, di non essere sempre e
solo stato il ragazzo che è ora, che ci fosse qualcosa di più.
Rivedere Ginevra è stato un colpo al cuore dopo svariati anni a sognare il
suo volto e a cercarla in ogni angolo delle città.
Aveva avuto molte altre esperienze, fisiche, non di più.
Aveva un blocco nel riuscire ad innamorarsi e non aveva mai avuto interesse
in qualsiasi tipo di relazione che non fosse carnale.
Molte ragazze ricevettero due di picche da lui quando si trattava di
portare la relazione al “livello successivo” e si sentiva un viscido
codardo nel farlo.
Avrebbe voluto una relazione con tutto il cuore, specie perché non era
facile andare in missione e non ricevere lettere o telefonate da nessuno.
Di suo padre Uther ricorda davvero ben poco in quanto morì in Afghanistan
quando Artù aveva solo cinque anni, durante una missione.
Sua madre Ygraine gli è stata vicino ed era l’unica donna della sua vita.
Contraria alla scelta di arruolarsi a sua volta, non riuscì a persuaderlo
dal voler indossare la mimetica e seguire le orme del padre.
Le aveva dato tutto ciò che aveva dall’affetto ad ogni singolo stipendio
che percepiva.
Ygraine era un’insegnante di musica, di pianoforte e, benché insistesse che
Artù tenesse i suoi soldi e si godesse i tanti agi che la vita gli aveva
negato, lui era ostinato nel rendere più facile quella di sua madre, per i
tanti sacrifici che ha fatto per cercare di farlo crescere come tutti gli
altri bambini, senza fargli mancare mai nulla.
Si struggeva spesso chiedendogli di trovare una brava ragazza con cui
intraprendere la sua vita, ma sapeva che non era facile per uno come lui.
Si rasserena sapendola assieme a lui in questa vita, dato che in quella
precedente gli era stata negata.
Per Uther si dispiaceva ben poco, ricordando come disapprovasse ogni sua
decisione, persino di sposarsi per amore con Ginevra.
I mille pensieri e flussi di coscienza lo portano fino al bar in meno di
dieci minuti.
Accosta al marciapiede e mentre spegne l’auto la vede uscire dal locale
esausta con la sua borsa.
Si catapulta fuori dall’auto con quel maestoso mazzo di rose ma, prima che
potesse chiudere la portiera, accade l’inaspettato:
Ginevra si guarda attorno per poi sorridere e scostarsi i capelli dietro
l’orecchio imbarazzata.
Un giovane dai capelli ricci e biondi scende da una macchina parcheggiata
di fronte al bar, in giacca e cravatta. Un completo blu elegante con tanto
di scarpe scamosciate e occhiali da sole.
Abbandona la sua Audi grigia per andare incontro a Ginevra e abbracciarla.
Il pugno sinistro di Artù si stringe forte da trafiggersi con le spine
delle rose, ma in quel momento c’era qualcos’altro che gli faceva più male:
il cuore.
Per la prima volta si accorse di averne uno, e cominciò a palpitare come un
pazzo dentro il suo petto per la rabbia mista alla delusione.
Ginevra si accorse di lui e si ritrasse dalla stretta sobbalzando
spaventata su se stessa.
Artù sogghignò.
- Davvero? Addirittura ti metto paura...
Lei gli andò incontro insieme al ragazzo incravattato, Lion.
- Artù... io posso spiegare te lo giuro...
Parlava d’un fiato e le tremavano la voce e le mani che agitava
vorticosamente in preda al panico.
- Quando tu sei morto io... ero straziata dal dolore e.. lo so che ci
eravamo promessi amore eterno ma... mi sono ritrovata sola e spaesata e
Artù la bloccò.
- Non c’è bisogno di dire altro. Lo stronzo di troppo qui sono io.
Fece per andarsene ma Ginevra lo prese per il braccio per farlo voltare.
Per tutta risposta Artù si voltò minaccioso gettando per terra il bouquet
ormai distrutto liberando la sua mano ormai insanguinata.
- Se non altro, Ginevra, avrei apprezzato che ieri non avessi fatto moine
inutili. Tu mi hai baciato. Hai idea di che cazzo significa?
Non si rese conto di urlare e che il petto gli si era gonfiato a dismisura
sotto la magliettina leggera, per prendere fiato.
Ginevra piangeva mentre Lion le mise una mano sulla spalla in segno di
conforto.
- Io non ce la faccio più Artù! Non posso vivere un’altra vita così con te
che sparisci e vai chissà dove a morire mentre io sono in pensiero a casa
aspettando un uomo che potrebbe non fare ritorno. Ho bisogno di una vita
tranquilla, non è la vita che voglio fare, mi dispiace.
Artù ride istericamente, indietreggiando.
- Io faccio la guerra, Ginevra... e tu “non ce la fai”.. Capisco.
Si rivolse a Lion.
- Abbi cura di lei, ne ha un disperato bisogno.
Aprì la portiera dell’auto e partì velocemente tornando verso l’Università.
Per la prima volta, mentre guardava dritto avanti a se sfrecciando nel
traffico, gli scese una lacrima.
Era nervoso con se stesso e sapeva che questo era il modo in cui la vita
gliela stava facendo pagare per tutte le volte che ha spezzato lui il cuore
ad altre ragazze.
Nel frattempo la giornata universitaria non regalava nessun brivido
particolare, ma solo tante parole e tante pagine da studiare.
Clarissa mordicchia la sua matita mentre guarda fuori dalla finestra e le
parole della sua insegnante di cinese svolazzano nell’aria senza sfiorarla
minimamente.
La lezione giunge al termine e, dopo aver preso i suoi libri, segue per
osmosi la folla diretta agli armadietti.
Si chiede come sia andato l’incontro tra Ginevra e Artù e li immagina
mangiare il gelato insieme sul lungomare della città tenendosi per mano o
abbracciati.
Chiude l’armadietto libera da quel fardello di conoscenza che portava tra
le mani e si volta lentamente verso il corridoio.
Infondo ai pilastri di cemento scorge Gaius, Merlino, Freya ed un ragazzo.
Si accorgono di lei e la guardano senza espressione, come rassegnati.
Il sorriso di Clarissa nei loro confronti svanisce e lascia spazio allo
stupore che le procura il semplice gesto del ragazzo, di voltarsi.
Quei capelli neri e ricci lasciano spazio a due grandi occhi azzurri, un
viso semplice e sbarbato.
Il ragazzo la guarda a sua volta ed entrambi sorridono con le lacrime agli
occhi.
- Mordred.
Clarissa gli corre incontro come una falena verso la luce e lui avanza di
qualche passo pronto ad accoglierla tra le sue braccia.
I due piangono e si tengono stretti increduli, si guardano negli occhi e
sorridono per la felicità di essersi ritrovati.
Dopo l’esaltazione iniziale, Clarissa si stacca velocemente dalla sua
stretta e rimane a fissarlo impietrita. Lui si incupisce.
- No... non mi lascerò ingannare di nuovo... non te lo permetterò anche in
questa vita.
Mordred scosse la testa allargando le braccia, non sapendo di cosa Clarissa
stesse parlando.
Gaius fece capolino tra i due.
- Clarissa, ricorda che Mordred è stato stregato da Morgana, lui non
ricorda nulla.
Clarissa inarca un sopracciglio.
- Ricordo che durante una perlustrazione ho trovato Kara, una ragazza alla
quale ero molto legato ma poi...nulla. Mi ricordo solo di quando Artù mi ha
trafitto con la sua spada, uccidendomi... dopo che io l’ho trafitto a mia
volta...
Si voltò di scatto verso Gaius.
- Gaius... dov’è Artù, io gli devo delle scuse, non volevo... niente di
tutto quello.
Merlino avanzò verso di lui minaccioso.
- Non ti azzardare ad avvicinarti ad Artù, sei stato fortunato ad essere
amato da Clarissa e per il bene che le voglio ti ho lasciato stare, ma
questa volta non sarò così clemente. Sapevo che eri un pericolo ma ho
abbassato la guardia. Non ti concederò una grazia simile in questa vita.
Ringrazia che non ti abbia già trafitto con la prima cosa che ho davanti.
Freya prese Merlino dalla giacca.
- Ora basta!
- Tu non ti sei mai fidato di me, Merlino. Hai sempre dubitato di me
trattandomi diversamente quando invece finché sono stato cosciente ho
sempre voluto il bene di Camelot e del nostro Re!
Mordred gli andò incontro cercando di rivendicare la sua persona.
Clarissa li guardava immobile ma scorse con la coda dell’occhio che Artù
era tornato ma non aveva una bella cera. Sbattè violentemente la portiera
dell’auto e si diresse verso la palazzina con lo sguardo dritto avanti a se
ed il suo borsone mimetico.
Abbandonò quella situazione scomoda e decise di seguirlo per capire cosa
fosse successo e, magari, chiedergli un consiglio.
Gli altri la videro andare via verso Artù e Merlino sorride beffardamente.
- Spero davvero che ti mandi a fanculo per lui. È quello che meriti.
- Merlino... basta.
Gaius lo chiamò all’ordine e Mordred, per quanto si sentisse ferito
nell’orgoglio da cavaliere che sapeva di avere, decise che rispondere a
tutto tono avrebbe solo peggiorato la situazione.
- Io lo so che mi odi... spero solo potrai cambiare idea un domani. Io non
ho mai voluto il tuo male o il male di nessuno. Ricordatelo, Emrys.
E se ne andò.
Clarissa tentava di stare al passo di Artù ma ogni tentativo le era vano.
Arrivarono al piano con le loro stanze e Artù, col suo vantaggio, aprì la
porta della sua stanza e se la chiuse alle spalle.
Clarissa rimase lì impietrita indecisa se entrare o meno e, poco dopo, da
dentro la stanza si udirono rumori di vetro in frantumi e di mobili
spostati.
Entrò di scatto e trovò la stanza sotto sopra.
Aveva gettato le sedie per terra, distrutto oggetti in vetro compresa una
lampada e tirato un pugno deciso all’armadio in legno il quale si era
ammaccato.
Artù era di spalle rispetto a lei che osservava il disastro che aveva
combinato.
- Artù... ma cosa hai fatto...
Notò che la sua mano sinistra stava sanguinando e che riportava un livido
sulle nocche, completamente nere e distrutte.
Gli si avvicinò piano, facendo lo slalom tra i vetri per terra.
Lui si accorse che aveva deciso di entrare e si voltò andandole incontro
per farla uscire di forza prendendola dal braccio.
Clarissa indietreggiava non potendosi opporre alla forza del Marines ma
lasciandosi andare a smorfie e gemiti di dolore.
- Artù, ahia... mi fai male, ti prego!
Poggiò la mano sulla sua che la stringeva forte sul braccio mentre la
trascinava via e si fermò.
Guardò quella piccola mano fragile posata sulla sua che stava facendo
pressione sul braccio di Clarissa che, in tutto questo casino, non centrava
assolutamente nulla.
Lasciò la presa e la guardò portare la mano sul punto in cui la teneva
ferma, un po’ dolorante.
Capì che forse Ginevra aveva ragione e che adesso capiva il perché non
volesse avere a che fare con lui o il perché pochi minuti prima anche lei
fosse così spaventata.
Clarissa lo guardò e vide che stava osservando il suo braccio dolorante.
Aveva intuito ci fosse qualcosa che non andava e voleva evitargli altre
sofferenze inutili da aggiungere alla lista.
Gli sorrise.
- Non è niente, davvero! Mi hai solo spaventato perché ti sei voltato
all’improvviso, tutto qua.
Lui riusciva solo a guardare quel punto del suo braccio e abbassò lo
sguardo senza speranze andandosi a sedere sul letto con la testa tra le
mani.
Lei lo seguì e si sedette di fianco a lui che per tutta risposta la
abbracciò.
Clarissa rimase pietrificata e minuta in quell’abbraccio forte che forse,
però, ci voleva.
- Mi dispiace. Non so cosa mi sia preso.
Gli chiese se gli andasse di spiegarle bene cosa fosse successo e decise di
raccontarle di Ginevra e Lion, di come lui sia un pezzo di merda in amore e
come la vita adesso gliela stesse facendo pagare con gli interessi.
Clarissa non sentiva più il Marines ma l’uomo, l’uomo distrutto e disilluso
che per anni ha cercato l’amore che per lui aveva il suo volto e, ora che
l’aveva trovato, quel volto guardava altrove.
- Forse ha ragione. Dovrei congedarmi, posso fare altro nella vita...
effettivamente per una donna è frustrante.
Clarissa inarcò un sopracciglio e lui notò subito il suo disappunto a
riguardo.
- Ma sei fuori? Questo è tutta la tua vita! Se lei ti amasse, ti avrebbe
amato in ogni caso. Mi dispiace dirlo Artù ma questa mi sembra scusa bella
e buona... Tu fai la guerra però lei è quella che non ce la fai? Ma dai...
Lui sorrise sollevato dal non essere l’unico a pensarla in quel modo.
- Ti prego Clarissa dimmi che ce ne sono altre come te.
Lei rise e gli diede uno spintone.
- Ah... quasi dimenticavo.
Tornò seria e decise di raccontargli di Mordred.
- Perfetto, ci mancava questa gran bella notizia di merda come ciliegina
sulla torta.
La guardò mentre teneva lo sguardo perso nel vuoto.
- Che pensi di fare?
Clarissa scosse le spalle guardando dritto avanti a sé.
- Lui era stato stregato da Morgana, non amava davvero Kara e non voleva
ucciderti o rovinare Camelot.... tra l’altro ha chiesto di vederti per
parlarti
Artù sorrise non rimanendone sorpreso.
- Non mi stupisce... È stato sempre un uomo d’onore e di rispetto.
La guardò nuovamente mentre stavolta anche lei lo guardava a sua volta.
- Dagli un’opportunità, senza impegno. Magari ritrovi quel ragazzo di cui
ti sei innamorata... più di duemila anni fa?
Rise e trascinò anche lei che gli buttò le braccia al collo stringendolo
forte.
- Ti voglio un mondo di bene, Artù. Grazie
Ricambiò forte la stretta.
- Due friendzone in un giorno, wow.
Merlino si sveglia di soprassalto da un incubo in piena notte.
L’orologio bianco e rotondo ticchetta incessante sulla parete e segna le
tre di notte.
Respira profondamente e si guarda subito di fianco a sé.
Lì, sdraiata con i capelli sciolti, neri e mossi, c’è la sua Freya.
Le accarezza un braccio dolcemente e lei apre gli occhi leggermente uno
dopo l’altro, sedendosi sul letto e poggiandogli una mano sulla spalla
preoccupata.
- Tutto bene? Sembra tu abbia corso per chilometri senza fermarti, stai
ansimando parecchio…
Lui, zitto e sorridente, le accarezza i capelli e le bacia la fronte
recuperando fiato.
- Sto bene... ora sto bene.
Gli scruta un luccichio in quegli occhi azzurri che illuminano tutta la
stanza e lasciando dietro le tende la luna invidiosa di quella lucentezza.
- C’è qualcosa che ti turba?
Scuote la testa e la tiene stretta a sé in un abbraccio.
Freya ricambia sorridente nonostante fosse turbata da questo suo
atteggiamento.
È sempre stato dolce e premuroso con lei, ma questa apprensione improvvisa,
per quanto gradita, la lascia sorpresa. Decise di scivolare dolcemente da
quell’abbraccio per prendergli il viso tra le mani e guardarlo negli occhi.
- Dimmi... che succede.
Merlino abbassa lo sguardo, cerca di posare i suoi occhi ovunque meno che
su di lei. Freya s’incupisce e lascia andare il suo volto, ecco che i loro
occhi si incontrano nuovamente mentre lui le riprende al volo le mani nelle
sue, prima che potessero toccare le lenzuola.
- Ho sognato di perderti ancora...
Freya sobbalza e si guarda attorno spaesata. Decide di stringerla
nuovamente e si lascia andare alla voce un po’ rotta dallo spavento.
- Ti giuro che in questa vita farò di più, non ti lascerò mai più andare,
sarò sempre presente… non lasciarmi di nuovo, non ho mai smesso di pensare
a te e ancora non ci credo che sei qui.
Decide di dargli un bacio. Un semplice bacio d’amore che suggella più di
qualsiasi altra risposta.
Si stringono nuovamente in quelle lenzuola fresche di una fresca nottata di
settembre.
- Almeno questa vita ha avuto pietà di me e nessuno mi ha ancora
maledetta...
Le prende il viso tra le mani.
- E nessuno lo farà... Freya, tu non immagini cosa significhi per me. Non
ti perderò mai più, lo giuro... Non permetterò a niente e nessuno ti farti
del male, te lo giuro. Saremo più attenti, più cauti.
- Io voglio vivere questa vita con te, qualunque cosa accada. Lo giuro.
- Lo giuro.
Ribatté lui.
Riuscirono a riaddormentarsi stretti poco dopo.
Lei prese sonno per prima e Merlino si perse nei suoi pensieri
accarezzandole i capelli mentre Freya si lasciava cullare dalla stanchezza.
Avrebbe fatto qualsiasi cosa per tenerla stretta salva a sé. Nessuno
l’avrebbe mai più neanche sfiorata per farle del male. Era sua, era la sua
Freya. Ed era tornata anche lei, per aiutarlo, consigliarlo e amarlo, come
ha fatto fine alla fine dei suoi giorni. Finalmente non più solo come un
fantasma che si palesa nel momento del bisogno.
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