Dondola le braccia come un
gorilla ubriaco.
Scrolla la testa per liberare i
capelli lunghi ai lati del viso.
Flette le ginocchia, espirando
come un mantice.
Risale.
Geme.
Salta sul posto.
Perché diamine James lo fissa in quel modo?!
Sta impazzendo.
_ * _
Parte quinta – What dreams may
come.
“Sto impazzendo.”
Sirius,
James considera, ha una propensione naturale per
constatare l’ovvio.
“Ah – ah.”
La furia dei Black non esita ad
abbattersi sulla sua persona. Precisamente, all’altezza del braccio che Padfoot strattona crudelmente.
“Non fare ‘ah – ah’ a me, cerbiatto del cavolo. Non
capisci che dico sul serio? È una tragedia!”
Considerato il normale livello di
tragico che c’è effettivamente in
quanto Sirius ritiene tragico, il giovane Potter rifiuta a prescindere di
preoccuparsi.
Sottovalutando,
se non l’entità del problema, almeno l’eloquenza dell’afflitto.
“Se non riuscirò a dirglielo
prima delle vacanze continuerò con questi maledetti
capelli annodati e queste idee piene di treccine afro
babbane fino all’anno nuovo, ed è un periodo
maledettamente lungo in cui, oltre a sembrare impresentabile, mi nutrirò di
scarafaggi sguazzando nell’autocommiserazione
e nell’odio per me stesso, con la sola compagnia delle tue occasionali
visite cornute, quando mi porterai conforto e pudding in punta di
zoccolo.”
James
non trova miglior risposta che una caustica scrollata di spalle.
“In fondo resti un ottimista.
Pensi ancora che verrei a trovarti.”
Ora, Sirius
potrebbe colpirlo. Potrebbe lanciare uno di quei gridi di battaglia che gli
vengono su dalla gola così naturalmente, a testimoniare la purezza del suo
puro, puro sangue, e mandarlo a sbattere contro il
muro più vicino, ottenendo un delizioso Volo Acrobatico A Traiettoria
Iperbolica dei fondi di bottiglia che ha sul naso. O
potrebbe andare sul subdolo, e afferrargli gli stupidissimi capelli nelle due
mani per poi tirare in sei diverse direzioni alla volta, ridendo volgarmente
inebriato dalle strazianti urla di dolore che riempirebbero l’intero
dormitorio. O ancora optare per il patetico,
buttandosi sui Più Che Efficaci Insulti All’Incantevole Persona Di Lily Evans, acclarati come il più letale tra i Dodici Metodi
Letali per farsi prendere a testate nello stomaco da un cervo in calore.
L’ultima probabilmente non
risolverebbe nulla in alcun caso, ma
non è per questo che si ferma.
È che Remus
sceglie proprio quell’istante per comparire
sull’uscio, alle spalle di Prongs, con una battuta
d’entrata da far rizzare i capelli sulla nuca – e i suoi capelli
hanno già i loro problemi.
“Dire cosa a chi?”
Oh, per tutti gli accenti sulle e di cliché.
La prima cosa che realizza (dopo
aver strabuzzato gli occhi come fosse sul punto di svenire ed essersi
accasciato all’indietro sul letto, tentando invano di svenire sul serio) è che James ha tagliato la corda con la professionalità di uno borsaiolo incallito – il che è ben poco lontano dalla
realtà, a ripensarci. Un’immagine piuttosto divertente di Remus
vestito da donna che viene derubato della borsetta da
un Potter in passamontagna con presa d’aria per capelli gli incolla sulla faccia un ghigno
allucinato e perverso, con tempismo incredibilmente atroce, visto che Moony è proprio lì davanti – in quel modo che ha lui di
essere proprio lì davanti.
“Nnnhhhkkkggghrrffssah.”
Dice Sirius,
e lo bacia.
Posto che non ha pensato affatto,
non dovrebbe stupire che non abbia calcolato il
dislivello d’altezza. Deve letteralmente arpionarsi al collo di Remus – privandolo nel mentre delle corde vocali – per
mantenere le loro bocche in contatto, finendo col costringere la vittima a
sovrastarlo, un ginocchio grottescamente poggiato sul letto e l’altra gamba
pericolosamente inarcata in avanti.
Moony
emette una specie di grugnito nel bacio, prima di staccarsi bruscamente.
Sirius
ha gli occhi spalancati e l’espressione più genuinamente terrorizzata che abbia mai visto su volto umano. Non sa come prendere il fatto che, evidentemente, fa più paura come
baciatore che come lupo mannaro.
“Q-Questo era, cosa? Mettere la
lingua in posti sbagliati?”
“Non ancora.”
E Sirius lo bacia di nuovo, schiudendo le labbra per
mostrargli esattamente uno dei posti dove la sua lingua desidera essere da
mesi.
Quella di Moony,
d’altro canto, non sembra dispiaciuta all’idea di trasferirsi per un po’, al
punto che improvvisamente tutto diventa vero. Il bacio è vero, la saliva, i
mugolii strozzati, e il respiro umido e caldo che cresce, e il cuore nel petto
che detta il ritmo, e le mani stupide e goffe che non sanno dove né cosa, e lo
scontrarsi dei nasi nel cambiare angolazione, e tutto
– non importa, perché tutto è vero e tutto è grandioso. Incomparabile.
Remus
si allontana di nuovo, e stavolta è Sirius a
studiarlo.
Ha le guance arrossate e la bocca
lucida, ancora socchiusa. Un ciuffo inizia ad arricciarsi sulla fronte per il
sudore che la vela.
Tutto a
un tratto Sirius vorrebbe ridere, e ridere, e ridere,
perché quello che gli legge negli occhi in questo momento non può essere lì.
Non può essere reale.
Ce ne hai messo di tempo.
Inizia a ridere sul serio, ma viene interrotto presto. Mentre la
bocca di Moony torna sulla sua – oh, ciao alla bocca
di Moony! – arretra lungo il materasso, in risposta alla pressione di una coscia inopportuna che si
stringe al suo fianco sinistro, chiedendo spazio. Remus
lecca le sue labbra con lentezza, costringendolo ad una specie di sbuffo
isterico perché, davvero, questo sta diventando troppo, e intanto Sirius si allunga
all’indietro, pregando – pregando sia la cosa giusta da fare, e non sembri,
insomma, precipitare le cose, perché di precipitare le cose adesso proprio non gl’importa.
Remus
geme d’assenso nella sua bocca e insinua un ginocchio ad allargargli le gambe,
accompagnandolo nella caduta fra i guanciali. Poi si sdraia su di lui, e qualcosa tocca qualcosa, e Sirius – Sirius
non vorrebbe quel dannato problema nei pantaloni da
cui tutto è cominciato, ma il pensiero successivo è che potrebbe farne buon
uso. Quindi non sa dire quanto istintivo
sia in effetti l’istintivo
aprire le gambe e allacciarle ai fianchi di Moony,
inarcandosi verso l’alto. Però non riceve lamentele,
se si esclude quel morso alla lingua.
“Nnnhhttghoà.”
Il dialogo non è mai stato
preoccupante, tra loro.
Poi è ancora bocca, avida e
caldissima, eccitante oltre ogni limite di decenza
imposto da non ricorda più che cosa,
disgraziatamente, mentre l’oggetto di tutte le sue più recenti fantasie
erotiche spinge contro il suo inguine interessato, ricacciandogli in gola con
la lingua parola per parola.
Ugh,
non una gran bella immagine.
Ansima,
sentendosi disperatamente idiota – e Remus deve
pensarla allo stesso modo, perché s’interrompe ancora una volta.
Sirius
non vi bada. Gli intreccia le braccia dietro la schiena, trascinandolo di nuovo
giù e mordendogli ferocemente un labbro quando i loro qualcosa cozzano pesantemente l’uno contro l’altro, facendogli
venir voglia di – Remus azzarda uno strusciare lento
di bacino – Sirius perde il filo.
Quando
il movimento s’interrompe arrischia un’occhiata.
Visto dal basso, con il labbro
inferiore macchiato di scarlatto per la sua
veemenza, Moony è insostenibilmente bello.
Ed è
bello il modo in cui parla, come se non riuscisse a racimolare il fiato per una
frase intera e dovesse soffiar via ogni lettera.
“È il giorno dopo la luna. Ti
avevo messo in guardia.”
Sirius
si lascia sfuggire un ringhio canino. Non ha la forza
d’impegnarsi in una discussione quando tutto ciò che
sa di volere è strapparsi di dosso i pantaloni, ed è anche peggio perché questa
conversazione gli serve, ed è
altrettanto inevitabile, quindi non volerla è male e lo fa sentire in colpa.
Beh? I suoi pensieri non espirano
mai.
Quando
apre la bocca per dire qualcosa – senza una precisa idea di cosa – Remus osa di nuovo quel trucchetto
del ruotare il bacino proprio lì, fra le sue cosce, e Sirius
deve afferrare di scatto le lenzuola per restare ancorato alla Terra.
“Vuoi… volevi
dirmi qualcosa?”
Ah – ah,
divertente. Come se avesse la facoltà di parola, al momento.
Poi però realizza
che Moony è serio, e, diavolo, forse non sta neanche appositamente cercando di mandarlo in
orbita con quel benedetto inguine affetto da ormoni lunari.
Oh, questa è un’idea.
“Sai se gli ormoni lunari hanno
effetto anche sui grossi cani neri pieni di pulci?”
Non vuole neanche pensare al suo
tono di voce, che suona disgraziatamente strozzato. Remus
gli sorride, così vicino ma fuori portata di labbra da essere distruttivo.
“Non saprei. Quella delle pulci è
una cosa che dovresti dire prima di metterti a pomiciare con qualcuno, comunque. Non è come l’herpes o una di quelle malattie
veneree, però, sai.”
È così immensamente carino mentre lo dice, e Sirius
prende fiato perché questa potrebbe essere l’unica occasione.
“Se non sei in grado
di amare le mie pulci vuol dire che non puoi amare me, Messer Moony.”
Dopo si tratta solo di aspettare,
trattenendo il respiro e tormentandosi un labbro, e torcendo le lenzuola fra le
mani sudaticce – ugh, che schifo – e ignorare quello che succederà se non otterrà la risposta
sperata.
Che
arriva, un interminabile attimo più tardi.
“Poco male.”
Remus
sorride appena, prima di chinarsi a elargire un bacio
leggero.
“Ho sempre amato le tue pulci, Pads.”