Pharaoh's Kingdom 1
1.Colloqui di lavoro alternativi
Un
sognatore è colui che non sa trovare la propria via se non al
lume della luna; e il suo castigo è che egli vede l'alba assai
prima degli altri.
Oscar Wilde, 1888
- Tutto questo è ingiusto.
Dovresti andarci tu a scaricare la merce, e senza fare storie!-
- Oh davvero? E secondo quale comandamento non scritto?-
- Ieri hai mangiato tutti gli ingredienti dei profiteroles!-
- Bugiardo! Ho solo fatto il mio
consueto assaggio, com'è giusto che sia, prima di cominciare a
preparare i dolci!-
- E hai assaggiato tutti gli ingredienti, mi sembra sensato!-
- Beh, ma alla fine ho preparato il dolce richiesto!-
- Esatto, IL DOLCE! Ti avevamo richiesto TRE porzioni!-
- Beh, io ne ho preparata UNA da tre persone! Che differenza c'è?!-
- C'è una grossa differenza! Accidenti a te...carta-
Quando il dieci di quadri andò a posarsi accanto alla regina di
cuori e al tre di fiori, le speranze di Yusei di restare in partita
crollarono come un castello di carte trascinato dal vento. Con gli
occhi blu sgranati sulle carte che segnavano la sua sconfitta, e le
mani tra i capelli scuri, il giovane si sentì più nudo
che mai, nonostante a coprirlo ci fosse ancora il grosso grembiule
nero. Strinse inconsapevolmente le gambe, mentre sentiva Judai
esplodere in una roboante risata di vittoria con tanto di braccia
alzate in segno di trionfo. Poco distanti da loro, Yuma e Yuya, che a
nominarli insieme sembravano formare un improbabile duo comico
accomunato dalla passione per i capelli colorati, alzarono gli occhi
dal bancone e dai bicchieri che stavano sistemando con cura, per
posarli sul variopinto quartetto che trafficava con le carte su quel
mezzo metro di quercia scura.
C'era Judai, come già nominato poco prima, che sorrideva
vittorioso e allegro come avevano imparato a conoscerlo, i folti
capelli castani che si striavano d'oro sotto i faretti del bancone; a
veramente pochi centimetri di distanza, abbastanza da essere colmati da
uno sganassone che chissà cosa stava trattenendo Yusei dal
rifilargli, il moro aspirante astronomo si sfregava gli occhi con
fervore, curvo su sé stesso più che gli riusciva, con le
ginocchia piegate al petto e solo il grembiule nero a coprirlo dalla
vita a scendere (quando e soprattutto come aveva rimediato tutte quelle
cicatrici sul braccio destro, di grazia?!). Dietro al bancone, invece,
Yugi aveva momentaneamente distolto lo sguardo dalla mano di blackjack
per concentrarsi sul suo smartphone. Le dita scorrevano veloci sul
tastierino virtuale, componendo un messaggio piuttosto lungo: davvero,
quel ragazzo doveva imparare ad essere più sintetico quando
scriveva al telefono. Accanto a lui, in piedi a schiena ben ritta, come
un implacabile giudice infernale, Atem sorrideva ad entrambi i
giocatori, le labbra piegate in quel suo solito, affabile sorriso
sornione, tipico dei professionisti del poker, dei prestigiatori o
delle grandi menti criminali che si mischiavano tra la folla.
- Sembrerebbe che l'incombenza tocchi a te, Yusei-
Anche la voce di Atem era quella bassa e profonda di un narratore
onnisciente, e le sue parole erano quelle sicure e dirette di un abile
stratega e calcolatore. Yuma si lasciò sfuggire un ghigno e si
voltò verso Yuya, l'ultimo arrivato che ancora non aveva avuto
occasione di ammirare il padrone di casa all'opera seriamente: lo sguardo del giovane rimbalzava ora su Yuma, ora su Yusei tutto
rannicchiato sullo sgabello, ora su Judai e infine su Atem,
imperturbabile arbitro di quella insolita sfida, e il ragazzo non
riuscì a non ghignare a sua volta.
Conosceva Atem abbastanza per poter dire, con certezza, che non parlava
mai a vanvera, e che usava con molta accortezza le parole da
utilizzare. E quel “sembrerebbe” era bastato a far drizzare
le antenne di tutti, Yusei incluso che, dopo qualche attimo di tormento
interiore, aveva alzato lo sguardo verso di lui e lo stava osservando
speranzoso, gli occhi scintillanti di un assetato nel deserto che
scorgeva, oltre una duna di sabbia, la vegetazione di un'oasi.
- A ben pensarci, potrebbe però esserci un modo per far ricadere l'onere su Judai-
Agli occhi di un qualsiasi estraneo, non sarebbero apparsi niente
più che due ragazzini troppo cresciuti dai capelli colorati e
quattro pseudo-adulti, di cui uno vergognosamente nudo (o quasi) che si
erano sollazzati in una partita a blackjack, mettendo i loro capi di
vestiario come puntate nel piatto: un modo molto subdolo, ma
imparziale, che Atem aveva per assegnare ingrati compiti ed incombenze
come quella di andare a scaricare la merce in arrivo; a nessuno piaceva
passare tre quarti d'ora e anche più a tirare fuori scatole
dalla cabina di un furgoncino, e men che meno piaceva passare lo stesso
quantitativo di tempo a fare avanti e indietro con i carrelli per
portarle nel deposito del locale.
Ognuno cercava sempre di scaricare la faticosa incombenza sul proprio
collega, e agli inizi la cosa aveva creato accesi diverbi conditi da
frasi a effetto e orribili recriminazioni lanciate da una parte
all'altra del locale; alla fine le baruffe si concludevano tutte con un
giro di bicchieri per tutti, e amici come prima. Ma le discussioni, con
il tempo, erano diventate sempre più intense e accese, e quando
si era cominciato a mettere mano ai preziosi bicchieri di cristallo, e
usarli come improprie armi da lancio, Atem aveva deciso di usare la sua
autorità e, in quanto direttore e anima pensante alla testa del
Pharaoh's Kingdom, aveva annunciato che, da quel momento in poi,
sarebbe stata la sorte a decidere chi avesse compiuto, di volta in
volta, le operazioni di carico e scarico.
In sintesi, metteva mano al suo sabot di carte francesi e metteva i
contendenti faccia a faccia con le due opzioni disponibili: la prima,
la possibilità di scaricare la merce, la seconda, la certezza di
scaricare la merce vestiti solo dell'abito donatogli da Madre Natura
dopo il parto.
Tuttavia, quella volta c'erano stati dei cambiamenti.
Atem aveva astenuto i due ragazzi e il fratello Yugi dal duello,
sostenendo che avesse bisogno della loro presenza nel locale. Yuma e
Yuya erano due pesti in fatto di preparazione di cocktail e bevande: il
primo creava combinazioni di dubbio gusto che spedivano in coma etilico
chiunque osasse avvicinare il naso al bicchiere, il secondo a volte
esagerava con i virtuosismi e le acrobazie, mandando a fracassarsi
qualche calice o, nei casi peggiori, intere bottiglie che gli venivano
sottratte dallo stipendio. Entrambi, però, erano estremamente
svelti nelle preparazioni, e quando gli si davano ordinazioni precise
erano meticolosi e accorti e, soprattutto, efficaci: il Martini del
Pharaoh's Kingdom aveva fama di essere il migliore tra i Lounge Bar
della città. La loro impareggiabile velocità li rendeva
preziosissimi nell'arco della serata, e non era il caso di dimezzare le
loro energie con una fatica intensa come quella dello scarico merci.
In quel periodo, inoltre, avevano urgente bisogno di un addetto alle
ordinazioni e Yugi, per quanto bravo e veloce, a volte non riusciva a
gestirle tutte da solo: la grossa mole di clienti rendeva, spesso e
volentieri, necessaria anche l'entrata in gioco di Atem, armato di
tablet e penna digitale.
Le inattaccabili motivazioni secondo cui il trio era stato esentato
dalla sfida, non erano bastate per fermare le lamentele e le proteste
di Judai, né per arginare il seguente fiume di imprecazioni di
Yusei: non era giusto, diceva il primo, non ci penso neanche, diceva il
secondo tra un'imprecazione e una bestemmia celata.
Atem aveva quindi sorriso sornione, com'era solito fare, e con una
scintilla di maligno divertimento ad illuminargli le iridi ametista
aveva annunciato che, se le cose stavano davvero così, allora
avrebbero entrambi scaricato la merce, entrambi nudi come la mamma li
aveva fatti e senza neanche il grembiule che, in quel momento, si stava
rivelando tanto caro e utile a Yusei.
Ecco quindi come erano finiti, rispettivamente lo chef e il capobar del
Pharaoh's Kingdom, a denundarsi reciprocamente a colpi di carte da
Blackjack.
E la Fortuna si era sporta a baciare la fronte di Judai, quella sera:
il giovane era stato in netto vantaggio fin dalle prime puntate,
costretto a liberarsi semplicemente della pettorina del grembiule, di
gilet e camicia, mentre i vestiti di Yusei avevano iniziato ad
ammucchiarsi uno ad uno su un punto del bancone. Il tonante boato di
risate che aveva seguito il dolce planare dei suoi boxer sul bancone
aveva quasi scosso la vetrinetta alle loro spalle, e Yuya si era
lasciato sfuggire un bicchiere, caduto con un sordo tonfo nel lavello
sottostante.
L'ultima mano giocata aveva decretato la fine dello spietato gioco e
l'apparente vittoria di Judai: tuttavia Atem sembrava avere qualcosa in
serbo per loro, e trovava davvero divertente tenerli bonariamente sulle
spine mentre, in religioso silenzio, Yusei più speranzoso che
mai, lo osservavano tutti prepararsi, con pochi esperti gesti, un
perfetto Martini freddo al punto giusto, merito del ghiaccio grosso e
con la canonica oliva che produsse un delicato, impercettibile
“plop” quando affondò nel bicchiere. Atem fece
scorrere lo sguardo sui suoi colleghi, mentre pollice ed indice della
mano destra regalavano, alla sua miscela, una impercettibile punta di
sale.
- Ma ricorda, Yusei, avrai una
sola possibilità- disse poi Atem, una volta bevuto un sorso del
suo Martini – One call, rispondi o perdi-
- Sono pronto. Cosa devo fare?-
Atem sorrise ancora, questa volta più ampio e suadente. E solo
allora Yusei sentì un brivido partirgli dal retro della nuca e
percorrergli di scatto tutta la schiena, lasciandogli un'ustionante
scia fredda che gli fece leccare nervosamente le labbra.
Non era mai un bel segno, quando Atem sfoderava quel sorriso provocante
e maliardo insieme. Judai stesso si accigliò, arricciando il
naso infastidito dalla possibilità di perdere la sua vittoria.
- Come ben saprai, noi siamo alla
ricerca di un secondo cameriere- spiegò Atem, sorseggiando il
suo Martini tra una pausa e l'altra – Ho affisso un cartello
apposito, all'entrata principale e secondaria del Pharaoh's Kingdom, e
pubblicato un annuncio su un sito specialistico. Ho lasciato
disponibili per i colloqui le due ore precedenti l'orario di
apertura...beh, ecco cosa ti propongo-
Atem si concesse un'ennesima pausa, per accrescere la teatralità
del suo discorso e bere ancora qualche piccolo sorso. Sentiva i loro
sguardi addosso, stavano tutti letteralmente pendendo dalle loro labbra.
Gli piaceva essere al centro dell'attenzione, come un re. O un faraone, per restare in tema con il suo locale.
- Al primo che entrerà da
quella porta...- e gliela indicò, alzando il bicchiere di
Martini verso la porta di vetro – Regalerai un bel bacio sulla
bocca-
Yusei sembrò sgonfiarsi come un gigantesco pallone bucato con
uno spillo. Lo osservò con tanto d'occhi, quasi gli fosse
spuntata una seconda testa bavosa o un terzo occhio in fronte.
- Ovviamente, con
“primo” intendo chiunque varcherà per primo quella
soglia. Potrà essere una ragazza giovane e carina, potrà
essere una vecchia. Potrà anche essere un lui, per quello che ne
sappiamo. Ti esento dai bambini, non vorrei farti finire nei guai per
una goliardata. Ah, ho ragione di pensare che i tuoi colleghi si
godranno il doppio del divertimento se ti vedranno ancheggiare per
bene, quando andrai dalla persona in questione-
Fu come sventolare un drappo rosso sotto il naso di un toro: Yuma
esplose in una grossa risata e per poco non rifilò una
ginocchiata al mobiletto dietro il bancone, mentre Yugi e Judai
scambiarono un vigoroso “cinque”, unendosi al giovane
barman. Yuya sgranò gli occhi prima di scoppiare a
ridere anche lui, mentre Yusei balzò in piedi come se fosse
stato morso da una tarantola.
Atem era un giovane uomo altruista e generoso, sempre pronto ad
offrirti una mano così come a chiuderla e a farla schiantare
sulla tua faccia, dritto sul naso; ma ciò che più
stupiva, di lui, era la perfidia che metteva nelle sue penitenze e
punizioni, roba da far passare un aguzzino come un bimbo delle
elementari che rubava caramelle. Tempo prima, per una scommessa persa,
Yuya si era ritrovato con una mano legata dietro la schiena, mentre con
l'altra preparava i suoi soliti cocktail: era stato faticoso certo, e
anche frustrante in alcuni momenti, eppure lo aveva aiutato a
sviluppare riflessi più pronti e a migliorare le sue acrobazie
con shaker e bottiglie, quindi doveva anche ringraziarlo, in un certo
senso.
Quello che però stava proponendo ora era una cosa che rasentava
l'impossibile: per quanto affabile e gentile, Yusei restava sempre un
ragazzo serio al limite dell'imbronciato, capace anche di stare allo
scherzo ma non così. Chiedergli di avvicinare, in quelle
condizioni poi, un perfetto sconosciuto e addirittura baciarlo...no,
era troppo anche per lui.
- L'alternativa sarebbe...?- chiese Yusei affranto, con un filo di voce.
- La immagini da solo l'alternativa- gli
rispose Atem, suadente – Sarai tu a scaricare la merce e lo farai
solo col grembiule addosso. Anzi, potrei pensare di farti togliere
anche quello-
- Ma-maledizione...-
Fu un infinito attimo di silenzio quello che seguì
l'imprecazione di Yusei, rotto solo dal dolce, ovattato glissare della
porta di vetro.
A ben pensarci sopra, era una cosa da pazzi. Quello che stava facendo
non aveva alcun senso. Tutti, tutti gliel'avevano detto: amiche, amici,
cugini, parentame assortito sostenevano che non servisse, che non ce ne
fosse bisogno, che poteva tranquillamente risparmiarselo. Perché
lavorare per pagarsi gli studi di medicina? La sua famiglia era pronta
a sostenere tutte le sue spese, avrebbe avuto vita facile, tanto tempo
per studiare e sicuramente non avrebbe avuto necessità di
mischiarsi con la “gentaglia”, come suo zio l'aveva
apostrofata.
Forse era stata proprio quella denominazione a far storcere il naso ad Aki.
Gentaglia, l'aveva chiamata. Persone che, a differenza loro, non
avevano avuto la fortuna di nascere a Nuova Domino ma in qualche
pidocchioso, polveroso buco, covo di criminali o piccola cittadina
rurale che fosse. Il solo pensare di avere, in famiglia, qualcuno che
nutrisse così bassi pensieri e opinioni sociali le aveva fatto
ribollire il sangue dalla rabbia.
Era una ragazza dei ceti sociali più alti, era vero, con ogni
bene e fortuna a sua disposizione e un capitale sicuro al quale
attingere in ogni momento: era forse un crimine mettersi in gioco nella
vita vera e provare ad avanzare da sola, con i suoi passi, senza che ci
fosse qualcuno pronto a costruirle la strada usando le banconote come
manto stradale?
La cosa le dava quasi il voltastomaco, a ripensarci.
Aveva lasciato la casa paterna con due valigie, qualche vestito e aveva
anticipato l'affitto di un bilocale in centro, grande abbastanza per
stare comoda da sola. Ma le spese condominiali non si pagavano da sole,
e l'appartamento in sé aveva diversi problemi: una grossa
macchia di umido nel bagno indicava una perdita, e la caldaia si
bloccava spesso quando prolungava di qualche minuto la sua doccia
ristoratrice, lasciandola senza acqua calda del giro di qualche
istante. Per non parlare dell'impianto elettrico che saltava quando
collegava la piastra per capelli e lo stereo insieme.
Tutti difettucci, questi, che richiedevano della manutenzione che il
padrone di casa non intendeva offrirle, anzi. Era chiaro che, se voleva
davvero sistemarli, doveva provvedere lei personalmente a mettersi in
contatto con qualche professionista.
Le servivano soldi, in poche parole. E non aveva alcuna intenzione di
darla subito vinta alla sua famiglia e attingere al suo patrimonio.
Aveva con sé un piccolo fondo economico, quanto bastava per
vivere bene per qualche mese, e doveva correre subito ai ripari se
voleva una seconda entrata.
E quindi eccola lì, a salire la breve rampa di scale che portava
all'accesso al cuore del Pharaoh's Kingdom. La guardia all'entrata
l'aveva quasi respinta, sostenendo che non fosse orario di apertura, ma
quando lo aveva rimbeccato menzionandogli un probabile colloquio di
lavoro si era fatto da parte, silenzioso ed imperturbabile.
Per arrivare alla sala si salire una rampa di scale stretta, ma
sufficientemente illuminata per evitare di inciampare sui gradini. Con
una mano che scivolava sul muro, quasi a cercare un invisibile
sostegno, Aki si sistemò meglio la borsetta sulla spalla
sinistra prima di salire.
A sbarrare l'accesso c'era una porta di vetro opacizzata, che schermava
l'ambiente al di dietro quasi alla perfezione: si individuava qualcosa
dalle porzioni lasciate libere dall'Occhio di Ra impresso su di essa.
Dall'altra parte si udivano delle parole che non comprendeva, complice
l'auricolare che aveva lasciato al padiglione sinistro: se lo
sfilò con un leggero movimento prima di infilare le cuffie nella
borsetta, e colpire delicatamente la porta di vetro con le nocche della
mano destra.
Non le parve di udire risposta. Forse c'era stata, o forse l'aveva
immaginata. Osservò accigliata la superficie opaca della porta
per qualche attimo ancora, prima di farsi coraggio e, preso un bel
respiro quasi stesse per immergersi in una piscina di acqua di cottura,
aprì la porta vetro.
Insomma, cosa vuoi che sia un colloquio di lavoro?, pensò, mentre l'anta glissava dolcemente alla sua destra. Poco conta che sia il primo della tua vita, no?
No?
Appena entrata venne colta da un'improvvisa, quanto allegra sensazione
di caotico ordine. Gli altoparlanti tutt'intorno diffondevano
un'inarrestabile e piacevole motivetto electro-swing che riempiva
gradevolmente il silenzio tutt'intorno. C'erano bassi tavolini, e
poltroncine e divanetti, tutti neri sul lucidissimo pavimento scuro:
molti accenni dorati sulle gambe dei tavolini scolpivano immagini di
scarabei, gatti e rapaci dallo sguardo fiero.
In fondo alla sala, lì dove c'era il palco delle esibizioni, un
gigantesco Occhio di Ra, dipinto in nero sul muro con delle precise,
piacevoli curve, puntava lo sguardo direttamente sul bancone: un grosso
ferro di cavallo, dietro cui erano posizionati vini e alcolici vari. E
lungo tutto il perimetro della sala, sospese a qualche metro di
altezza, alcune balconate dai parapetti in cristallo ospitavano altri
tavoli e sedie, più un paio di zone privè nel fondo. Un
ragazzo dagli occhi ametista aveva alzato lo sguardo su di lei,
giocherellando distrattamente con un ciondolo che aveva al collo, e
quello che sembrava il fratello maggiore, tanta era la somiglianza,
aveva replicato il gesto.
A dire la verità tutti la osservavano ora: dei due che
apparivano più giovani, il primo stava riallacciandosi meglio il
grembiule dietro la schiena, mentre il secondo, con un paio di
occhialetti che spuntavano dall'assurda capigliatura tinta di verde e
rosso, asciugava distrattamente un bicchiere fin quasi a farlo cigolare
tra le sue dita e il panno. Le ci volle qualche secondo per notare che
i suoi occhi riprendevano in maniera inquietante i capelli. Occhi
diversi, come si diceva...? Eterocromatici. Non erano molto frequenti,
soprattutto con un simile stacco di tonalità: verde brillante
uno, rosso cremisi l'altro. Verso di lei si era voltato anche un
ragazzo con occhi e capelli castani, l'unico lì in mezzo ad
avere una capigliatura di un colore umano, e misteriosamente nudo dalla
vita in giù.
L'ultimo a voltarsi fu un figuro alto almeno venti centimetri
più di lei, dai capelli scuri striati d'oro e degli occhi blu
che spiccavano violentemente sulla pelle ambrata: elettrici, quasi
vibranti di energia, la osservavano con un misto di rabbia e nervoso
nello sguardo.
Aki aggrottò la fronte, in un certo senso intimorita dalla
spietatezza del suo sguardo. Strinse il manico della sua borsetta con
forza, quasi a volervi trovare ulteriore coraggio e sostenne la sua
occhiata, indecisa su cosa pensare, dire o fare.
- Buonasera-
A parlare era stato il più grande dei due (apparentemente)
fratelli: il giovane aveva aggirato il bancone, silenzioso come un
vampiro, e le si era avvicinato con poche, fluide falcate. Aki
seguì i suoi movimenti, distogliendo lo sguardo dal giovane
rabbioso.
Non preoccuparti, nonostante il muso da dobermann che si ritrova non morde. Di solito-
Era ovvio che si riferisse al giovane con cui aveva ingaggiato una
silenziosa lotta all'ultimo sguardo, e le sue parole avevano suscitato
qualche divertita risatina messa a tacere da un sordo ringhio. Il
giovane le sorrise affabile, porgendole una mano con fare sicuro.
- Immagino tu sia qui per l'offerta di lavoro-
Oh, almeno uno su sei sembrava capace di ragionare e restare a contatto
con la realtà: Aki ne era sollevata. Sebbene non sapeva cosa
aspettarsi, da un ragazzo con i capelli per metà biondi e per
l'altra metà...che colore era quello?!, sembrava molto cordiale
ed educato. Oltre che possessore dei due occhi più belli che
avesse mai visto. Aki annuì e ricambiò la stretta di
mano, fece per rispondere ma lui la precedette.
- Devo tuttavia chiederti una
gentilezza- le disse poi il giovane, scostandosi leggermente e
rendendola nuovamente bersaglio dello sguardo serio ed imperturbabile
dell'altro – Ci hai interrotti proprio mentre stavamo facendo un
gioco-
Un gioco?! Okay, la faccenda si stava facendo sempre più strana.
I restanti cinque continuavano ad osservarla, ma alternavano spesso lo
sguardo sul loro compagno dai capelli scuri e l'espressione seria.
Troppo seria, in contrasto con quella da buffi giocolieri di tutti gli
altri. Aki osservò l'intera scenetta con scetticismo, cercando
di capire cosa ci fosse di effettivamente divertente.
Poi notò, di fronte al ragazzo castano, una serie di carte
disposte in egual modo per entrambi i colleghi. Poco più in
là, accuratamente ripiegati, stavano diversi capi di vestiario.
Solo allora si accorse che il ragazzo dallo sguardo quasi rabbioso era
a malapena coperto da un nero grembiule che gli scendeva fin poco sopra
i piedi. La giovane sgranò gli occhi, esterrefatta.
- Non ti chiederemo di
partecipare, assolutamente!- esclamò poi il giovane dagli occhi
ametista – Solo, ci serve un piccolo aiuto. Vedi, il nostro Yusei
è uscito sconfitto da una partita a blackjack, ma è
ancora in tempo per evitare la vera penitenza-
Come se andare in giro nudi e coperti solo da un grembiule non fosse abbastanza...
- Ti chiedo gentilmente di restare
ferma dove sei qui, mentre Yusei deciderà come concludere la sua
giornata. Senza paura e preoccupazione, non morde! Dopodiché, se
vorrai, passeremo al colloquio vero e proprio-
Colloquio? Quale colloquio?! Se n'era quasi dimenticata...tutto quello
che vedeva era la surreale immagine di uno sconosciuto, suo coetaneo
probabilmente, data la giovane età, alzarsi dallo sgabello e
sistemarsi meglio il grembiule, passandoci sopra le mani con fare
imbarazzato prima di avanzare verso di lei. Il ragazzo dai capelli
castani gli fischiò dietro, meritandosi un ben poco cortese
gesto della mano destra che suscitò le risate di tutti gli
altri. Il bicchiere che il ragazzo con gli occhialetti stava asciugando
con tanta energia gli sfuggì di mano, sbattendo rumorosamente
contro il mezzo metro di scura quercia che lo separava dal resto della
sala.
Aki seguì con lo sguardo la sua imperturbabile avanzata. Senza
dire una parola, senza neanche muovere un muscolo del volto, il giovane
le si fece vicino, sempre più vicino, fin quando a separarli non
ci fu che un braccio. Aki mosse un piccolo passo verso l'uscita,
incerta e desiderosa di finire quella pagliacciata il prima possibile:
sul serio, cosa stava succedendo? Dov'era finita, cos'era quel covo di
matti?!
Possibile che la sua famiglia avesse ragione? Che lei non fosse fatta
per la vita cittadina, in mezzo alla “gentaglia”? Che il
mondo là fuori fosse davvero pericoloso e inavvicinabile?
Mosse ancora un passo indietro; Yusei colmò di scatto la distanza e la baciò.
Lieve, estremamente pudico, lo stesso bacio che si dà a qualcuno
quando si è bambini, spinti dai genitori a simili esternazioni
affettuose piuttosto che da un vero volere: e lui sembrava davvero un
bambino in quel momento, con le guance rosse di imbarazzo e vergogna e
gli occhi bassi di chi cercava di non sentire le risate divertite e a malapena soffocate di
chi gli stava dietro. Un bambino troppo cresciuto, sicuramente, alto e
ben piantato, con un vago odore di aghi di pino a circondarlo e le
braccia affusolate segnate da alcune cicatrici. Yusei rimase ad
osservarla per qualche secondo ancora, Aki si specchiò per
qualche attimo nelle sue iridi bluastre. Lo sentì chiederle
perdono con una voce incolore, rigido come se qualcuno gli avesse
rifilato una bastonata nel sonno.
Poi si voltò di scatto, con uno sventolio del grembiule nero che
fece trasalire i compagni rimasti al bancone. Aki squittì
sorpresa e si portò le mani al volto, ingabbiando i suoi occhi
al sicuro dietro le dita, quasi sperasse che quel gesto potesse in
qualche modo schermarla da quello che stava vedendo.
Non aveva visto male: oltre al grembiule non aveva NULLA, addosso, che
assomigliasse ad un capo di vestiario! Aki sbirciò cauta da
dietro le dita: scorse la schiena tornita di Yusei allontanarsi a passo
di carica, in direzione dei suoi colleghi urlanti e ridacchianti,
borbottando qualche imprecazione tra i denti che la giovane non
comprese. Pochi attimi passarono, prima che il ragazzo afferrasse una
cannuccia tutta avviticchiata e la lanciasse in direzione del castano,
quasi centrandolo in un occhio e facendolo ritrarre di scatto,
masticando tra i denti furiose imprecazioni. Accanto a lei, il giovane
che l'aveva accolta si lasciò sfuggire un risolino, mentre Yusei
afferrava i suoi vestiti arrabbiato e si dirigeva a grandi passi in un
bagno di servizio.
- Beh Judai, a questo punto credo
che l'oneroso compito di scaricare la merce tocchi a te- disse poi,
rivolgendosi verso il castano che si stropicciava furiosamente l'occhio
destro.
- Guarda, solo perché lo
spettacolo offerto è stato impagabile!- esclamò l'altro,
frenando a stento una risata e sparendo dietro una porticina.
Solo allora il giovane dagli occhi ametista tornò a rivolgersi
verso di lei, riservandole un bel sorriso affabile e sicuro. Aki si
ritrovò a sorridere a sua volta, seppur spiazzata da tutto
quell'insolito teatrino.
- Se sei arrabbiata ti comprendo-
le disse poi – Ti chiedo scusa se ti ho trascinata in questa
pagliacciata ma andavano sistemate delle...cose. Se vuoi e se sei
interessata ancora al posto, posso spiegarti tutto con calma. E senza
denudarci ovviamente-
La testa di Aki si mosse prima che il suo cervello le desse l'input.
Decisamente il colloquio di lavoro più strano della storia.
****
L'uomo che l'aveva accolta si era presentato come Atem, direttore, capo
e padrone dell'idea alla base del Pharaoh's Kingdom. L'Egittologia era
stata la sua materia di studio ai corsi universitari, da cui ne era
uscito con i massimi dei voti e degli elogi: una passione, la sua,
tramandatagli dalla sua famiglia di esploratori, e che si stava
riflettendo sul fratello minore Yugi: il pendaglio che il più
piccolo recava al collo era un piccolo tesoro ritrovato in una delle
ultime spedizioni, e il giovane sembrava molto legato a quella cuspide
d'oro che osservava il mondo con il suo occhio.
Ad osservare Atem, però, si capiva che c'era molto più
dell'egittologo e studioso: aveva dei modi di fare gentili e cortesi,
eppure qualcosa sfuggiva alle percezioni di Aki. Atem sembrava
osservare tutto con il divertito distacco di chi già sapeva e
conosceva, e la rossa non riusciva a decidersi se trovare la cosa ammirevole o
snervante: era sicuramente invidiabile possedere capacità di
analisi tali da fargli individuare la natura di una persona prima
ancora di conoscerla direttamente, ma per certi versi poteva essere
davvero irritante.
Prova delle sue capacità di deduzione gliel'aveva concessa
durante il loro breve, intenso colloquio, quando gli era bastata una
rapida occhiata per intuire, di lei, tante cose che erano poi esatte:
il fisico atletico di chi praticava palestra quanto bastava per
mantenere una forma longilinea, senza appesantirla con eccessiva massa
muscolare, e un'acconciatura ben tornita per rimettere in ordine uno
stato mentale caotico o una vita affettiva poco stimolante. Il nastro
di raso rosso che aveva al collo era molto bello ed elegante, e anche
quel pendente dorato ornato dall'opale verde: un gioiello narcisistico
che colmava, in parte, una carenza affettiva, e allo stesso tempo la
stringeva, come l'abbraccio di una madre troppo invadente e di un padre
troppo possessivo. Si mordicchiava il labbro inferiore spesso,
rivelando un malessere che cercava di nascondere in ogni modo, prima di
passarci sopra la lingua con un fare nervoso.
Le aveva snocciolato tutte queste cose insieme, e Aki si era sentita
improvvisamente rabbrividire dalla testa ai piedi. Nel silenzio che
aveva seguito le parole di Atem, chiusi nel suo piccolo ufficio, la
giovane aveva trattenuto il respiro, arpionata da quello sguardo
indecifrabile.
Poi il giovane era scoppiato in una forte risata, facendola trasalire,
e l'aveva consolata dicendole che sì, l'effetto che creava era
proprio quello. Non era la prima ad essere sottoposta ad un simile
gioco, né probabilmente sarebbe stata l'ultima, e in ogni caso
la reazione generale era proprio quella: il suo interlocutore restava
in silenzio, quasi scioccato dall'evidenza di tutte quelle informazioni
che rivelava, seppur involontariamente, al padrone di casa del
Pharaoh's Kingdom.
A quel punto, quasi delle invisibili catene di diffidenza e tensione
fossero state spezzate, Aki aveva vuotato il sacco. Aveva
ininterrottamente parlato per minuti interi, e Atem era rimasto ad
ascoltarla in silenzio, senza interromperla né fare domande,
attento ed imperturbabile. Mai, per un solo secondo, aveva distolto lo
sguardo da lei, mentre la giovane gli faceva il resoconto delle tante
motivazioni che l'avevano spinta a lasciare la sua lussuosa magione per
farsi una vita lì, nel silenzio onesto dei lavoratori. Il senso
di oppressione della sua nobile famiglia, composta da rampanti avvocati
del diavolo e primari di ordine eccelso, la voglia di mettersi in gioco
e farsi valere per le sue capacità e non solo per il suo nome
nobile e il suo bell'aspetto, il desiderio di dimostrare a suo padre
che anche lei valeva qualcosa, fuori dalle sicure mura di casa, e la
necessità di dimostrare, più a sé stessa che a
chiunque altro, di essere in grado di provvedere autonomamente al suo
sostentamento. Ecco come era finita dalle parti del Pharaoh's Kingdom,
ecco come aveva deciso di mettersi in gioco e servire, piuttosto che
essere servita come faceva da una vita.
Atem aveva ascoltato in silenzio, attento a cogliere ogni sfumatura,
nella voce della ragazza, che avrebbe potuto rivelargli qualche
informazione in più, ma nulla lo fece scostare dalla sua idea
iniziale: quella ragazza aveva, della rosa, anche l'atteggiamento
apparentemente scontroso, non solo il rosso sui capelli. Le sue spine
tenevano alla larga eventuali sprovveduti che provavano ad approcciarsi
senza alcuna cautela, ma chi era in grado di avvicinarsi con garbo e
sicurezza poteva godere da vicino della bellezza dei suoi petali.
Una simile personalità meritava di essere messa in risalto,
così come un uccellino non meritava la triste sorte di animale
imprigionato in una gabbia dorata solo per il suo bel canto.
Quando Aki aveva terminato il suo racconto, era stato allora che Atem
si era momentaneamente congedato, prima di ripresentarsi con una
perfetta divisa da cameriere. Era la più piccola di cui
disponevano, ma essendo una taglia maschile poteva non starle
effettivamente bene: colpa sua, aveva ammesso, che non aveva pensato
alla possibilità di mettere una ragazza a servire i tavoli.
Avrebbe fatto arrivare degli abiti più adatti alla corporatura
femminile nel giro di un paio di giorni, nel frattempo quella divisa
sarebbe andata più che bene. Era stata l'unica volta che si era
concesso di abbassare lo sguardo per osservare le sue calzature,
annuendo e sostenendo che quelle nere scarpe da ginnastica andavano
bene: avrebbe avuto molto da camminare, preferiva che stesse comoda.
Aki aveva ancora il batticuore e la respirazione accelerata, quando
entrò nel camerino di servizio per cambiarsi d'abito e indossare
la sua divisa. Decisamente il colloquio più assurdo della storia
del mondo: Atem non le aveva chiesto nulla di sue eventuali esperienze
pregresse nel mondo del lavoro né del suo (inesistente)
curriculum, né aveva tanto meno approfondito la sua origine
nobiliare. L'aveva conosciuta per quello che era, individuando sue
caratteristiche dai suoi gesti e facendosi dire il resto dai suoi
racconti, e l'aveva accettata. Non era stato minimamente interessato
alla sua facciata di apparenza né al buon nome della sua
famiglia, l'aveva accettata per quello che era e che gli aveva mostrato.
Non sapeva se esserne lusingata o meno.
Terminò di chiudere tutti i bottoni del gilet, prima di
osservarsi allo specchio e decidere che sì, non stava affatto
male con quegli abiti: erano inevitabilmente adatti ad un uomo, e la
camicia bianca si gonfiava troppo in corrispondenza delle braccia,
così come ne sentiva l'orlo salire fastidiosamente sul ventre,
complice il seno in boccio che non l'aveva aiutata particolarmente con
i bottoni. Almeno il gilet aderiva alla perfezione, e nascondeva tutte
le pieghe e piegoline create dalla misura non adatta della camicia, ma
i pantaloni avrebbero necessitato di un orlo alle gambe: Aki non era
esattamente tutta quest'altezza, ma quei pantaloni le sembravano
davvero troppo lunghi.
Si sistemò meglio i capelli rossi, dando un certo ordine alle
ciocche che le accarezzavano lievemente le spalle, prima di decidersi
ad uscire dal camerino e buttarsi nella mischia. L'orologio a parete
dava le otto meno quindici, il locale avrebbe aperto di lì a
breve.
E già mentre risaliva le scale per tornare nella sala, le
sembrava di sentire la frenesia che animava l'intera equipe del
Pharaoh's Kingdom nel terminare gli ultimi preparativi. Come aveva ben
immaginato, quei sei giovani che l'avevano inizialmente accolta non
erano i soli: c'era un intero team di addetti alle pulizie, tecnici per
gli impianti elettrici e di illuminazione, un'intera squadra di veloci
e prestanti cuochi e tantissime altre persone che, sicuramente,
contribuivano alla crescita e alla perfetta resa del Pharaoh's Kingdom,
solo erano molto meno...come dire, vistosi. Aki alzò lo sguardo
verso la zona delle poltroncine: un ragazzino smilzo e scattante come
una donnola, con i folti capelli scuri quasi davanti agli occhi,
posizionava i tavolini e le sedute con la precisione millimetrica di un
geometra. Poi si voltava verso il suo compagno, un tipetto basso e
tarchiato impegnato a ingozzarsi di noccioline, e cominciava a sbuffare
ed imprecargli contro, sostenendo che lui e il suo pancione da gestante
gli stessero rovinando il lavoro: effettivamente, ad ogni passo il
ragazzone urtava qualcosa, spostando inevitabilmente l'arredamento.
Lì dove c'era il palco delle esibizioni, un tecnico stava
spostando un faretto, sotto lo sguardo attento di una donna in
vestaglia con lunghi capelli neri.
Era chiaro, però, che la vera anima del locale fosse proprio
Atem e i suoi fidati collaboratori. E Yusei era già lì,
in posizione dietro il bancone: stava osservando qualcosa al cellulare,
ogni tanto alzava lo sguardo verso i due responsabili dell'arredamento.
Si era rivestito di tutto punto, pronto a cominciare la serata; alle
sue spalle, i due ragazzi che Atem le aveva presentato come Yuma e Yuya
avevano ultimato di sistemare diligentemente le bottiglie sui loro
ripiani, bene allineate come soldatini di piombo. Il primo sembrava
aver fatto a pugni con il pettine, tanto i capelli gli stavano
disordinati e sparati: camminava avanti e indietro per gli scaffali,
studiando le etichette e riallineandole in modo che il nome fosse messo
bene in evidenza; il secondo, che sembrava invece aver litigato con
qualche tintura di troppo, era tutto preso da alcuni esercizi fisici
per sciogliere braccia e spalle. Dal lato opposto del bancone, la porta
a soffietto si apriva e chiudeva senza sosta, e a uscirne era sempre
Judai che, ormai terminato di scaricare la merce, andava a versarsi un
bicchiere di qualche alcolico non ben definito prima di ritornare nelle
cucine e dare disposizioni ai suoi uomini. Ogni tanto Yusei gli
imprecava dietro, sostenendo che stesse facendo troppo rumore, e il
castano replicava facendogli il verso.
- Fanno sempre così quei due. Ti ci abituerai presto-
A parlare era stato Yugi, prima di porgerle il tablet su cui venivano
annotate le ordinazioni. Aki si voltò a guardarlo e lo
ringraziò, prendendo l'apparecchio tra le mani. In pochi attimi
il giovane le spiegò il suo funzionamento, come selezionare il
tavolo, le ordinazioni richieste, e come inviare l'ordine; le
indicò poi il monitor che stava in un angolo del bancone, mai
notato prima. Le spiegò che era da lì che osservavano, di
volta in volta, le ordinazioni, e un simile schermo c'era anche nelle
cucine da cui Judai entrava ed usciva come i matti senza casa.
- A chi ti riferivi prima?- chiese
poi Aki, una volta presa confidenza col palmare – Quando hai
detto che fanno sempre così?-
- A Yusei e Judai- rispose Yugi,
con un'alzata di spalle, la voce bassa e gentile – Si
punzecchiano molto, soprattutto quando c'è di mezzo qualche
compito ingrato come l'andare a scaricare la merce...ma
fondamentalmente si vogliono bene. Hanno solo un modo piuttosto
contorto di dimostrarselo, che va dagli improperi alle cannucce tirate
negli occhi-
- Mi sembravano piuttosto agitati...-
- Ma sì, è solo una pagliacciata-
- Cos'ha in faccia?-
- Oh?-
- Il ragazzo al bancone. Yusei. Cos'ha in faccia?-
E accennò con il capo al volto del ragazzo, ancora concentrato
sul suo telefono: Aki percorse con lo sguardo la sottile linea dorata
che gli attraversava il lato sinistro del volto, dalla linea della
mascella fino a sparire sotto l'occhio.
- Oh! Quello!- notò Yugi,
con una impercettibile punta di sorpresa e di...era disagio, quello
nella sua voce?! - Ah beh, una storia lunga-
- Mi sembra molto strano anche per essere un semplice tatuaggio-
- Non a caso ho detto che è
una storia lunga. Ha avuto qualche trascorso difficile, in passato-
- ...Cos'è, da bambino
voleva un pony ma suo padre non gliel'ha mai comprato, e ora esprime la
sua ribellione con segni strani?-
- Magari fosse così semplice. È una brutta storia, davvero-
Fu allora che Aki lasciò cadere il discorso, scrollando
lievemente le spalle e dimenticandosi velocemente del particolare
appena scorto. Non che potesse turbarla parecchio dopo tutto quello che
era successo e aveva visto: quella semplice linea sull'occhio era
l'ultima cosa che aveva notato, di Yusei. Era più semplice
individuare il suo sguardo imperturbabile e diretto, quasi osservasse
qualcosa di indistinto in lontananza, sperando che l'oggetto bersaglio
della sua attenzione esplodesse.
La sua nuova avventura al Pharaoh's Kingdom si stava svelando ancora
più stramba e interessante di quanto avesse previsto.
****
La serata era iniziata in sordina, con la prima clientela che entrava
nel locale: Aki aveva così avuto modo di verificare il reale
funzionamento del suo tablet, e rompere il ghiaccio con il primo
contatto ad un pubblico di terzi. Yugi l'aveva sempre osservata da
lontano, accorrendo in suo aiuto quando era più necessario e
dandole alcune dritte di tanto in tanto.
La somiglianza con il fratello maggiore era lampante, e non era solo
per un discorso di capigliature tremendamente simili: erano anche gli
atteggiamenti, i modi di porsi verso gli altri, amici o estranei che
fossero, a confermare la loro parentela. La gentilezza che Yugi
riservava agli altri, però, partiva da una certa timidezza di
fondo, cosa che Atem non sembrava neanche conoscere.
Presto il locale si animò ed entrò nel vivo della serata,
e fu subito chiaro il perché Atem avesse deciso di metterla al
lavoro con tanta urgenza: i tavoli e le poltroncine si erano riempiti a
velocità esponenziale, e anche se erano in due a prendere
ordinazioni e correre ai tavoli con vassoi carichi di cocktail, presto
anche Atem si era fatto avanti con il suo palmare a dare manforte.
Judai veleggiava tra i tavoli con i vassoi carichi di cibo: Aki poteva
giurare di averlo visto mettersi in bocca un'oliva ripiena prima di
chiudere la porta a soffietto e dirigersi ad uno dei tavoli vicino al
palco.
Presto anche le esibizioni presero velocemente il via. Ad animare la
serata c'era una compagnia di abili e sensuali danzatrici del ventre, e
la musica electro-swing venne quindi rimpiazzata da ritmi orientali e
percussioni. Troppo impegnata nel suo nuovo lavoro, Aki non poté
ammirare le evoluzioni danzanti delle ballerine, né farsi
abbagliare dai lustrini e dalle sete opalescenti, ma lo spettacolo
doveva indubbiamente essere notevole, a giudicare dall'unica direzione
presa da tutti gli sguardi.
Quando si sedette dietro al bancone per la sua pausa, le gambe le
dolevano per il tempo passato a fare avanti e indietro, e gli occhi
cominciavano a bruciarle dalla stanchezza. Si passò le mani sul
volto, stanca, china sulle ginocchia.
La serata si stava rivelando ancora più faticosa del previsto, e
il fatto che mancassero ancora quattro ore alla chiusura non la aiutava
di certo a rallegrarsi. Il tempo era letteralmente volato, certo, ma
non poteva ancora permettersi di rilassarsi.
Una cosa, però, non poteva negare, ed era che fosse tutto
maledettamente più faticoso di quanto credesse. E non avevano
neanche parlato del compenso...! L'idea di lavorare per niente le si
insinuò nel cervello e le fece contorcere le viscere dalla
rabbia. Forse quella serata non contava, in quanto primo turno? Forse
era considerata “in prova”?
E se non fosse piaciuta? Se nonostante tutto, Atem avesse deciso che
non era tagliata per quel ruolo e l'avesse congedata? Aveva bisogno di
soldi, una necessità disperata: la stessa che impediva al suo
orgoglio di chiedere aiuto alla sua famiglia, incapace di ammettere le
sue difficoltà a chi aveva criticato, fin dal primo momento, la
sua scelta.
Forse stava sbagliando tutto e non se n'era ancora accorta.
- Tè o caffè?-
Aki alzò di scatto la testa, incerta e sorpresa. Di fronte a
lei, accovacciato a terra quasi stesse parlando con un bambino, Yusei
la osservava serio in volto, gli occhi blu malcelati dalle ciocche
scure. Alle sue spalle, Yuma e Yuya continuavano a preparare cocktail a
ritmo di produzione industriale, instancabili aiutanti che osavano
troppo con i virtuosismi su bicchieri e bottiglie.
- ...Eh?-
Fu tutto quello che Aki riuscì a dire, improvvisamente troppo stanca perfino per capire cosa le avesse detto.
- Cosa vuoi, tè o
caffè?- chiese di nuovo Yusei, con lo stesso, identico tono
usato poco prima.
- ...Tè, se non ti spiace-
Senza risponderle, il giovane si alzò, prendendo poi a
trafficare con un grosso bricco posizionato su un fornelletto.
Massaggiandosi le tempie con movimenti circolari delle dita, gli occhi
di Aki si persero a studiare le venature scure delle assi del parquet
consumato dai continui passi, prima che il suo campo visivo venisse
nuovamente invaso da Yusei e una scatola di legno. Il velluto viola
all'interno copriva anche i piccoli divisori, tra cui erano incastrate
alcune bustine di té. Dopo una veloce occhiata, Aki
allungò le dita e scelse una bustina scarlatta, recante le
immagini di quattro frutti rossi.
Con un gesto fluido, dettato più dall'abitudine maturata in
campo lavorativo che per una vera attitudine, Yusei chiuse la scatola e
si alzò in piedi, tornando quindi di fronte a lei con un bricco
di acqua calda dentro cui fece immergere la busta. Lo richiuse e
posò sul ripiano immediatamente accanto, tornando ad osservarla.
- Fa sempre così-
iniziò poi, quasi lei sapesse di chi stesse parlando – Il
giorno di prova capita sempre nel fine settimana, di venerdì o
preferibilmente il sabato: sono i due giorni di massima affluenza del
locale. Già la domenica sera possiamo tirare fiato con
più frequenza. Dice di preferire così, vede subito di che
pasta sono fatti i nuovi arrivati-
Era chiaro che si stesse riferendo proprio ad Atem. Aki annuì
quasi svogliata, in cuor suo aveva già intuito la realtà
dei fatti.
- E direi che te la stai cavando egregiamente, per essere il tuo primo giorno di lavoro-
- Cosa vuoi che sia, spingere un paio di caselle su un tablet...-
- Heh, per una volta che stavo facendo l'educato...-
Aki si morse il labbro e non rispose, abbassando gli occhi e
distogliendoli dalle iridi blu del capobar. Lui rimase ad osservarla
ancora qualche attimo, prima di rialzarsi in piedi; un lieve cozzare di
tazze le fece intendere che stava versandole il tè richiesto.
- Hai mangiato qualcosa, prima di
cominciare?- le chiese poi. La giovane spalancò gli occhi,
dandosi della stupida: tanta era stata l'eccitazione e la voglia di
iniziare che aveva dimenticato di mangiare, ecco perché si
ritrovava completamente senza forze...
- A dire il vero no- rispose infatti, con voce flebile.
- Immaginavo. Biscotti?-
- Magari, grazie-
Finì così a porgerle la tazza di tè e un vassoio
pieno di biscotti che Aki poggiò di traverso sulle sue
ginocchia. La giovane rimase ad osservarlo in silenzio mentre si
rifocillava, bevendo il té a piccoli sorsi e sgranocchiando i
biscotti.
Yusei appariva così serio ed imperturbabile, ora, che non
sembrava avere nulla a che fare con il ragazzo furente rimasto
vergognosamente nudo di qualche ora prima; era anche vero che aveva
avuto tutti i motivi validi del mondo per essere così costernato
e incollerito, non doveva essere piacevole ritrovarsi coperto da un
grembiule e sottoposto ad una penitenza stupida ed infantile...ma chi
poteva essere il burlone che aveva architettato un simile scherzo?
Aki rabbrividì: e se fosse stata anche lei tirata in ballo a
commettere quelle sciocchezze e cimentarsi in quelle ridicole sfide?
Non se ne parlava proprio, di denudarsi di fronte a quelli che erano,
fondamentalmente, degli sconosciuti...figuriamoci se erano tutti uomini!
- Ascolta...-
La voce di Yusei le fece alzare lo sguardo, scrutando ancora quegli
occhi blu che, per qualche motivo, le iniziavano a piacerle. Le sue
iridi avevano una bella tonalità, carica e intensa, e sulla sua
carnagione ambrata risaltavano ancora di più; peccato che avesse
sempre quell'espressione sostenuta...e per quel segno sul volto. La
scia dorata scendeva dalla palpebra inferiore fino alla linea decisa
della mascella, piegando leggermente un paio di volte e allungandogli
la linea dell'occhio con un minuscolo accento dorato proprio vicino al
punto di congiunzione delle due palpebre. Aki non sapeva come
identificarlo: aveva forse un significato particolare? Yugi aveva detto
che c'era una storia dietro quel simbolo, ma a sentirlo parlare non era
una vicenda molto simpatica da raccontare: sembrava che non fosse un
semplice desiderio di ribellione ai rigidi schemi sociali.
Nel dubbio, Aki decise di seguire la sua buona educazione e non
chiedere. Si limitò ad osservarlo mentre si mordicchiava il
labbro inferiore, indeciso su quali parole scegliere: stava forse
nascondendo anche lui qualche malessere?
- Per quanto riguarda quello...scherzo idiota di prima-
Aki annuì, capendo dove volesse andare a parare.
- Sono profondamente dispiaciuto
di averti messo in una situazione di tale imbarazzo- continuò
poi il giovane, passandosi una mano tra i capelli – Ma...penso tu
abbia capito che si è trattata della penitenza di un gioco
scemo. Spero non te la sia presa troppo...col tempo capirai. Scusami se
sono sembrato un po' burbero ma...non è nella mia natura baciare
la prima che passa-
- ...Immagino. Come credo non sia
nella tua natura mostrare a quella stessa persona le tue chiappe nude-
Aki si morse la lingua, dandosi della stupida subito dopo: proprio non
poteva tenerla per sé, quell'uscita al vetriolo, eh? Essere
simpatica a tutti i costi non era esattamente il suo forte...
Yusei la scrutò per qualche secondo, incerto se aveva capito
bene o meno, prima di inarcare un sopracciglio e lasciarsi sfuggire un
mezzo sorriso.
- Credo tu sia la prima a
lamentarsi delle mie chiappe...ma te lo concedo. Potrei aver messo su
qualche chiletto, in questo periodo-
E il rossore che le imporporò improvvisamente le guance gli fece scappare una risata dalle labbra.
****
Il locale aveva iniziato a svuotarsi già dopo le due di notte,
dopo l'ultimo spettacolo delle ballerine. Il ritmo era rallentato poco
a poco, i tavoli vuoti erano aumentati sempre più, finché
anche l'ultima coppia non si era dileguata oltre la porta in vetro; il
lavoro, però, era tutt'altro che finito: ora che la sala era
vuota, era necessario pulire, rassettare, spazzare e sgombrare.
Sostituite le note sensuali della musica orientale con dell'allegro,
ritmato electro-swing che tanto sembrava piacere a tutti quanti,
l'intera troupe del Pharaoh's Kingdom si concentrò nella parte
forse più barbosa del loro lavoro, cercando in tutti i modi di
rallegrare l'attività come meglio riusciva.
Judai faceva avanti e indietro tra i tavoli e le cucine, e proprio non
riusciva a resistere alla tentazione di assaggiare qualcuno degli
avanzi. Piluccando cibo qua e là come un uccellino alla ricerca
di molliche di pane, infilava poi i piatti in una lavatrice che faceva
un gran baccano, a giudicare dall'assordante fischio che Aki udiva
dalle porte a soffietto: il ragazzo sembrava entusiasta della
qualità delle pietanze, nonostante alcune fossero ormai fredde e
molti dolci fossero crollati sotto cucchiaiate troppo poderose, e
andava in giro ad invitare i suoi colleghi in diversi assaggi. Yusei
seguiva il suo viavai senza sosta con lo sguardo, lavando e asciugando
bicchieri e shaker con l'automatismo di chi compieva quel gesto almeno
mille volte a notte; si era arrotolato le maniche della camicia fino ai
gomiti, e solo allora la rossa aveva potuto notare la testa di drago
tatuata sul suo avambraccio destro. Aveva un'espressione diversa ora,
molto più rilassata e meno rigida, quasi riusciva ad individuare
l'ombra di un lieve sorriso a curvargli le labbra. Forse era l'allegra
musica diffusa dagli altoparlanti, o forse era la consapevolezza di
essere vicino alla conclusione del suo turno, ma sembrava aver
finalmente sciolto la sua rigida postura da barman tutto d'un pezzo,
per concedersi qualche minuto di relax in un'attività che
conosceva bene. Si permise anche qualche veloce gioco acrobatico con i
flute che stava sistemando, lanciandoli in aria e afferrandoli al volo
come le palline di un giocoliere. In lontananza, Yuya l'aveva ben
osservato, e aveva cercato di replicare i suoi movimenti, usando
però un paio di sedie che fecero allontanare Yuma di corsa. Il
risultato fu un gran baccano creato dalle sedie che caddero a terra in
sordi tonfi, e per poco Judai non finì colpito da una di esse.
Poi Yuma aveva proposto di fare la stessa cosa con le bottiglie, e
lì la situazione era velocemente degenerata. Bottiglie vuote di
ogni tipo volavano da una parte all'altra della stanza, prontamente
afferrate dalle mani di uno dei due giovani barman che si scambiavano
spesso posizione, come navigati artisti circensi alle prese con delle
clavette. E mentre lei e Yugi sistemavano le poltroncine e spazzavano
il pavimento, Atem se ne stava in disparte in un angolo, ad osservare
tutto quell'allegro trambusto con un lieve sorriso sul volto, come un
amorevole padre che osservava i suoi pargoli fare bordello per casa.
- Ehi, smettila di ingozzarti!-
- Fatti gli affari tuoi, musone!-
- Judai, sei allucinante, giuro-
- Ma dai, cosa vuoi che siano! Sono solo assaggini!-
- Tieni d'occhio i fianchi-
- Oh, lascia stare i miei fianchi tu!-
- Guarda che se ti allarghi troppo le ragazze non ti vorranno più!-
- Non mi sembra di essere quello che ha problemi con le ragazze, qui!-
- Cosa vorresti insinuare?!-
Il bicchiere sfuggì dalle mani di Yusei, e il barman lo
mandò a ruzzolare dentro il lavello mentre alzava
minacciosamente la mano destra, armata di canovaccio bianco. Aki fece
rimbalzare lo sguardo avanti e indietro tra i due, e anche Yuma e Yuya
interruppero il loro lancio di bottiglie, affiancandola velocemente.
Yugi si lasciò sfuggire un risolino.
- Eccoli che cominciano- sussurrò poi – Ora inizia il divertimento-
Aki non sapeva se definire “divertimento” vedere due
ragazzi che si scannavano tra di loro a suon di frecciatine e
insinuazioni: la crew del Pharaoh's Kingdom aveva standard del tutto
inusuali...
- Tu sei quello che a 24 anni non
sapeva cosa volesse dire la parola “fellatio”!-
sbottò Yusei, puntandogli teatralmente contro un indice.
- Ma cosa centra adesso?!- si
difese Judai, morsicando un dolcetto e rientrando in cucina– E
poi dimmi chi è che la chiama così!-
- Tutte le persone di un certo
livello culturale e capacità di raziocinio!- sbraitò il
compagno, a voce alta abbastanza per farsi intendere dal castano.
- Ma per favore, lo sai almeno cosa vogliono dire queste parole?-
- Non sono io quello duro di comprendonio, qui!-
- Senti, o mi spieghi cosa vuol
dire “muro di comprensorio” o per me puoi tranquillamente
buttarti in una discarica insieme alla tua moto!-
- Vuol dire che non capisci un cazzo!-
La porta a soffietto si spalancò nell'esatto momento in cui
Yusei schiantò, con un evidente moto di stizza, il canovaccio
sul lavello dietro al bancone. Judai si pulì le mani sul
grembiule, livido in volto.
- E pensi sia colpa mia?! Sei tu che usi parole difficili!- sbottò poi.
- Parola difficile?! Fellatio è una parola difficile?!-
- Oh per favore, nessuno
più la chiama così ormai! Sembra il nome di un cane!-
- Termosifone-
- Cosa?!-
- Niente Judai, visto e
considerato che non mi capisci ugualmente, ho appena deciso di
comunicare con te attraverso parole a caso. Almeno mi faccio due risate-
- ...seriamente?!-
- Rastrello-
- Io ti strozzo nel sonno-
- Bene, direi che può bastare-
La voce di Atem si levò alta e sicura dall'angolo vicino alla
porta di vetro, interrompendo la schermaglia tra i due colleghi. Aki lo
osservò avanzare con il suo consueto, calmo incedere, lo stesso
con il quale le si era presentato: la sua entrata in scena ebbe il
potere di far serrare le labbra del giovane chef e del barman,
congelandoli nelle loro posizioni.
Impossibile non notare la carica di carisma e autorità che Atem
sembrava sprigionare con la sua presenza. Per quanto lo conoscesse
relativamente da poco, possedeva tutte le caratteristiche ricercate nei
leader: presenza, acume, parlantina sciolta, capacità di
organizzazione e di direzione. Quando lui parlava, tutti si chetavano e
restavano ad ascoltarlo, pronti a ricevere ordini, disposizioni e
consigli per la giornata.
Chissà se anche fuori dalle mura del Pharaoh's Kingdom era
così, se anche dopo aver smesso i panni del ristoratore, era e
restava il leader incontrastato del gruppo.
- Voi due, come mai questi
battibecchi?- chiese poi, in tono serafico, gli occhi socchiusi e il
sorriso sornione, quasi felino – Mi siete parsi molto agitati da
ben prima della sfida a blackjack-
Seguì uno strano silenzio, in cui Yusei e Judai sembrarono
parlarsi solo con gli occhi. Lo facevano spesso, scambiandosi cenni e
gesti che costituivano un codice solo a loro conosciuto. Atem aveva
notato quella loro complicità fin dall'inizio, la stessa di
persone che si conoscevano da molto tempo e che non avevano bisogno di
parole per intendersi. A loro bastava anche solo un'occhiata per
comunicarsi cose come oggi mi sembri particolarmente impedito, smettila
di ingozzarti, avrei fatto meglio a restarmene a casa, avresti fatto
meglio a restartene a casa, se parli ti ammazzo.
Sapeva perfettamente che, nel momento in cui Yusei e Judai avessero
litigato davvero, e per qualcosa di serio, allora sarebbero stati
oggetti pesanti quelli a volare misteriosamente per la sala, e non
frecciatine e insulti gratuiti.
- Allora? Sto aspettando-
- ...Abbiamo ripreso a giocare a
Smash Bros- borbottò Yusei, il capo basso, con aria quasi
colpevole.
Nel silenzio che seguì, solo una domanda balzò in mente
ad Aki: cosa diavolo era Smash Bros? Yuma sembrava saperlo,
perché scoppiò a ridere quasi qualcuno gli stesse facendo
il solletico, andando a coricarsi su una poltroncina e tenendosi la
pancia.
- Oh. Un picchiaduro che raccoglie
più personaggi di universi diversi- notò Atem, con un
sorriso e un'alzata di sopracciglio – Ed è questo che ha
guastato i vostri rapporti odierni?-
- Certo! Perché LUI...- e
indicò Judai con un dito, mentre il castano continuava a
cacciarsi in bocca dolcetti e pastarelle – Me lo fa ODIARE! Lui e
quel suo maledetto Capitan Falcon!-
- Ma tappati quella bocca, Ike
passodazeroaottantapercentoinunCOLPO! Fai salire un nervoso...!-
- Ah IO?! Disse quello che vinceva facile tre su tre!-
- Non credo sia colpa mia se tu
sei particolarmente scarso e te la cavi con sì e no due
personaggi!-
- Ma certo, rincara pure! Giuro ti
attacco alla moto senza casco e ti faccio correre sul filo dei duecento
all'ora in autostrada!-
- Come no, fatti sotto!-
- Un goccio, prima?-
- Volentieri, grazie-
La schermaglia finì così com'era iniziata: d'improvviso,
senza una reale ragione se non quella di avere un pretesto per
borbottare e scherzare. Aki si passò la lingua sulle labbra,
guardando ora Yusei che versava del whisky in un paio di bicchierini,
ora Judai che alzava il suo e lo faceva tintinnare contro quello del
collega, di nuovo a Yusei che invitava tutti quanti ad un giro e infine
Atem, che le sorrideva enigmatico come una sfinge.
Chissà se sapeva cosa le stava passando per la testa.
Dove diavolo era approdata?
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Io almeno lo so dove sono finita! Su
una nuova sezione che non avrei mai pensato di toccare nell'arco della
mia pseudo-carriera di fanwriter!
Perché intendiamoci, ragazzi: io non ho mai giocato a Yu-Gi-Oh!
nell'arco di tutta la mia vita. Né visto l'anime o letto le
varie trasposizioni manga. Questo almeno fino a qualche mese fa, quando
il ricovero ospedaliero e il lungo periodo di fisioterapia non mi hanno
lasciata piena di tempo libero da usare per recuperare un altro
tassello della mia infanzia. Tassello volutamente scartato all'epoca,
lo ammetto, perché l'idea di un pensiero così buonista e
bimbo come quello del "cuore delle carte" mi faceva girare le balle
già da ragazzina.
Senonché mie conoscenze hanno avuto il coraggio (e il buon
cuore) di aprirmi gli occhi su questa serie, e mettermi al corrente
dell'atroce sfilettatura che questa ha subito dalla censura
(soprattutto tutto quello che riguarda Duel Monster...non si è
salvato praticamente NIENTE...ma anche GX a quel che so): e a quel punto, conscia del fatto che una
cosa come il cuore delle carte non è MAI esistita in tutta la
serie, nominata forse una volta in tutte le 200+ puntate; una volta
compreso che quello che appare come un innocuo gioco di carte per
ragazzini altro non è che un'arma di distruzione di massa, che
per carità non mettetela in mano a Kim altrimenti altro che
missili nucleari; appreso che tutta la storia in sé, soprattutto
la serie 0, mai arrivata in Italia né in America PER OVVI
MOTIVI, è molto più oscura e cupa e violenta di quanto
non appaia al primo sguardo...beh, mettendo insieme tutto questo ho
detto "massì dài, diamoglielo un tentativo".
Me misera. Me tapina. Mi sono letteralmente infognata in un fandom dal
quale non so quando, come e soprattutto SE uscirò.
E cosa succede quando io sprofondo in fandom di varia natura? Semplice,
ci immagino storie alternative sopra! In alcuni casi le scrivo
direttamente.
Questo è uno di quei casi. Una AU scritta davvero di getto,
iniziata col semplice intento di far prendere ossigeno al mio cervello
e alla mia vena creativa con qualcosa di nuovo: una storia che
inizialmente non aveva altro motivo di esistere se non questo, fare da valvola di sfogo.
Come tutte le storie, alla fine la valvola di sfogo si è trasformata in un gigantesco sfiatatoio.
A questo punto è doveroso fare qualche precisazione. Chi
già ha letto qualcosa di mio sa che ADORO farcire ogni capitolo
con qualcosa a cui fare riferimento e analizzare per bene, il che si
traduce in note post-capitolo lunghe quanto il capitolo stesso, a volte.
Come avrete capito si tratta di un'AU che di AU ha poco, alla fine dei
conti: i personaggi sono gli stessi, l'ambientazione anche, ma di Duel
Monsters non se ne sente parlare neanche un po'. Mai esistito in questo
mondo, che ho immaginato come una via di mezzo tra quello originale
delle serie e quello odierno in cui siamo relegati noi miseri mortali.
I nostri impavidi duellanti non si sfidano più a carte ed
evocazioni, ma a portate culinarie e volteggi di bottiglie, in un
locale che farà da principale sfondo alle vicende. Tutti i
protagonisti insieme, a condividere lo stesso tetto! Lavorativamente
parlando.
Come accennato nell'introduzione, potrebbe capitare l'occasione in cui
i personaggi potranno risultare OOC. Finora ho maneggiato solo
scanzonati cacciatori di demoni che hanno fatto del trash un loro
dogma, ho bisogno di tempo per abituarmi a viaggiare su linee diverse.
Farò del mio meglio per
restare fedele alla loro immagine, e sicuramente cercherò di
arricchirla con altri dettagli che trovo su di loro indicati; forse
sarà proprio per questo che in qualche occasione potrei sfiorare
l'OOC. Farò del mio meglio, lo prometto!
In questo locale dall'aspetto un po' glamour un po' esotico ognuno ha
il suo ruolo. E sebbene non siano solo i cinque impavidi duellanti
ad animarlo, ma tutta un'equipe di cuochi, addetti alle pulizie,
luci e altro, sarà su di loro che i riflettori saranno puntati.
Con il tempo appariranno altri personaggi ad animare tutto il cosmo che
ruota attorno al locale: non prometto di farli apparire tutti
tutti...ma quasi.
Ora vi chiederete: perché un locale? Un lounge bar,
perché? Ambientazione audace chiaro, ma perché?
L'idea di far
muoverei dei personaggi all'interno di un locale mi ha sempre attratta
per qualche misterioso motivo, e stavolta non ho proprio resistito. Mi
piace l'idea di poter osservare, da lontano e con discrezione, delle
persone intente a fare altro; magari anche fantasticare sulle loro vite
al di fuori di quella serata di svago che si concedono.
Nella vita reale lavoro in un call center, in una postazione di 1x1 e
con alti divisori a schermarmi dagli sguardi dei colleghi. Forse la mia
curiosità nasce da questo.
Atem e Yugi sono qui raffigurati rispettivamente come fratello maggiore
e minore: lo ammetto, una scorciatoia prevedibilissima per spicciarmi,
in maniera più ragionevole e plausibile possibile, la questione
del rapporto in simbiosi tra i due, oltre alla sconcertante
somiglianza. No, quello che Yugi ha al collo non è il Puzzle del
Millennio! xD ma il riferimento ad esso è molto chiaro.
Enigmatico e sornione uno, gentile e a volte fin troppo disincantato
l'altro: Atem DOVEVA essere il capo dell'intera combriccola.
Poi, in un locale che si chiama Pharaoh's Kingdom era anche palese.
Judai e Yusei, la Starshipping! Sul serio, la quantità di ship
di 'sto fandom è imbarazzante, io manco me le ricordo tutte. Non
serviranno tutte comunque, e sicuro non si parlerà di
Starshipping. Non nel mondo in cui immaginate comunque. I due
interagiranno spesso, SPESSISSIMO. Sappiatelo. E in maniera che non ha
nulla da invidiare con le serie di Yu-Gi-Oh! The Abridged su Youtube.
Questi due hanno richiamato autonomamente un simile rapporto,
considerato quanto sono agli antipodi: uno è schietto e allegro
e sempre in movimento che quasi vorresti strozzarlo nel sonno, e
l'altro è perennemente imbronciato e serio ai limiti del
sopportabile, a volte. Chi però diceva che gli opposti si
attraggono ci ha azzeccato, direi.
Yuma e Yuya, i due Yu al bancone. Ci ho messo un po' per farmi andare
Zexal giù, lo ammetto, ma lo sto studicchiando seriamente e
ammetto che offre degli spunti molto interessanti! Oltre alle
capigliature più improbabili di tutte le serie, credo. Yuma ha
molto potenziale, finché non lo sento parlare con l'audio
americano: in quel caso ho solo voglia di piazzare un esplosivo nelle
fondamenta della sede della 4Kids e congratularli CALOROSAMENTE
dell'infelice scelta fatta in sala di doppiaggio.
Ma ARC-V...ammetto che è stato con il primo episodio di questa
serie che sono ufficialmente entrata in questo loop di carte,
evocazioni e dimensioni e OMMIODDIO. Perché un ragazzino con i
capelli a semaforo che cavalca un ippopotamo rosa con la coda a
cuoricino BASTA, per far risvegliare in me quella curiosità
morbosa che mi fa dire "andiamo avanti, ne voglio ancora!".
Anche per loro il posto dietro al bancone era già bello indicato
con una gigantesca freccia lampeggiante. Il primo così energico
che non riesci a stargli dietro, e il secondo che ha fatto dello
spettacolo e il divertimento il suo marchio di fabbrica!
Non credo sia necessario spiegarvi il perché di "occhi diversi":
chiarissimo riferimento a Drago Pendulum Occhi Diversi, carta
principale del suo deck Artistamico. Che la prima volta l'ho chiamato
Antistaminico e il mio fidanzato sta ancora ridendo ma vabbé.
Aki Izayoi, aaaaah, e qui si scoperchiano tutti i vasi, tutti i
forzieri, lo scrigno di Pandora! Tra i cinque, il suo Rosa Nera
è il mio preferito e per ovvi motivi, anche se se la gioca alla
pari con Polvere di Stelle. E lei stessa, come personaggio, è di
una personalità così articolata e misteriosa che non puoi
fare a meno di chiederti quanto sia effettivamente nascosto, in lei.
Come il più bel bocciolo di rosa nascosto dal roveto più
grande e spinoso del mondo. Bella, ostinata e psicopatica abbastanza da
piacermi. La storia tratterà da vicino anche la sua crescita e
il suo fiorire, tra le altre cose.
Ebbene...questo è il primo capito di un vero e proprio viaggio
nella follia. Per me almeno. La storia è nata quasi per caso,
dopo un lungo periodo di degenza in ospedale. Avevo bisogno di qualcosa
che risvegliasse in me il desiderio di scrivere e la voglia di mettermi
in gioco, oltre che di uscire dai miei tradizionali schemi di atmosfere
cupe, sevizie mentali budelli infernali. Un vero e proprio modo per
"staccare la spina" e mettere il cervello a riposo.
Spero di non avervi annoiati. Spero di non annoiarvi neanche in
seguito, qualora decideste di seguire questa storia. In ogni caso,
sappiate che ogni commento sarà ben accetto! Recensione, MP,
gufo postino, olocron Sith, Strillettera, quello che vi pare. Anche dei
vintage segnali di fumo stile Apaches sul piede di guerra.
O anche una carta. Lanciata di taglio. Non Cilindro Magico, a meno che
non vogliate conoscere la mia collezione di improperi ed insulsi.
Ci si rilegge presto (spero)!
92Rosaspina.
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