Just... Stay

di Manto
(/viewuser.php?uid=541466)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


DISCLAIMER
All’infuori degli OC Amaya e Umiko, i personaggi qui presentati non mi appartengono (purtroppo).
Questa storia è stata scritta senza alcun scopo di lucro.


{ Partecipante al contest ‘Like an Hero – Eroe per un giorno’ indetto da Emanuela.Emy79 sul forum di Efp }



Just… Stay




{ I ~ Ascolta il Mondo }




La Città K non sarebbe stata nulla senza la sua verde corona di foreste: era la perfetta armonia dell’ingegno umano con la potenza naturale, il luogo dove in più punti i pilastri dei palazzi si univano alle colonne arboree come in una pacifica metamorfosi; a significare che, se lo si voleva, era davvero possibile una soluzione che unisse le esigenze più moderne agli arcani e continui richiami della Madre Terra.
Sì, perché quest’ultima chiamava, gridava, a volte cantava; e se si sapeva riconoscere la sua voce, si poteva comprendere da essa cose che nessuno avrebbe mai sospettato: allarmi, ammonizioni… a volte, anche il futuro che il suo grembo oscuro custodiva, pronto a esplodere e a rovesciare certezze e giorni già scritti.
Come successe quel mattino.



Quel mattino l’aria era pesante, rigonfia di un fastidioso sentore d’umidità e intrisa di così profondo silenzio da dare l’idea di trovarsi in un sogno; il cielo era sereno, ma era comunque ben udibile il rombo di una tempesta in avvicinamento.
È come se la Terra provasse sbigottimento.
Così Umiko definì la sensazione che provò sulla pelle appena si fu lasciata le stanze della propria abitazione alle spalle e trovò solo il cielo a coprirla; il chiarore malato del Sole la costrinse ad abbassare immediatamente il capo, spingendola poi a rabbrividire per il freddo.
«Ma che razza di giornata è?», mormorò, prima di stringersi maggiormente nel golfino – siamo in piena primavera, e fino a ieri si stava così bene… perché oggi si congela? – e lasciare il vialetto di casa, per scendere in strada e raggiungere al più presto la vicina fermata dell’autobus.
La faccenda si prospettava peggiore rispetto a quello che aveva creduto osservando l’orizzonte da sotto le coperte; e se dopo poche ore non avesse avuto quell’odioso esame per cui studiava da mesi, si poteva stare ben certi che avrebbe voltato i piedi nel tempo di un respiro e si sarebbe rinchiusa nuovamente in casa, lontana dalla confusione che percepiva in ogni cosa la circondasse.
Tuttavia, la vista delle tante persone nella sua identica situazione le alleviò un po’ la fatica che quell’anomala giornata le aveva posato sulle spalle.
Forza… è solo la tensione. Oggi pomeriggio sarà tutto passato, in un modo o nell’altro, si incoraggiò mentre raggiungeva il suo obiettivo, strofinando le gambe l’una contro l’altra e finendo per inveire contro ogni cosa ed essere esistente – pure sé stessa – per aver indossato una gonna in un giorno come quello.
E a quel punto, come se non avessero fatto altro che aspettare l’istante adatto, nella sua mente si delinearono un volto noto e un vecchio ricordo.

Ma insomma, Umiko! Dove stai andando, a un appuntamento? Si vede che non sono più lì con te, sei diventata ancora più sbadata!

Non dire sciocchezze, sbadata lo sono sempre stata! E poi tu sei sempre con me, perché ora mi dici così?
Il rumore dell’autobus in avvicinamento la distolse immediatamente da ogni pensiero, spingendola a scrutare le foreste poco distanti e la nebbia – ma quando è sorta? – che gradualmente invadeva la strada. «Giornata strana… già», sussurrò dopo alcuni attimi di stasi, non senza sentire un’ombra di attesa nella propria voce – quasi le sue stesse parole avessero dato inizio a qualcosa di nuovo.
Quell’ennesima scossa sulla pelle non svanì neppure quando il cuore della città iniziò a sostituire la periferia; e se non fosse stato per i messaggi che improvvisamente iniziarono a bombardarle lo schermo del telefono, di sicuro le strade che si snodavano intorno come serpenti impazziti, i palazzi sempre più alti e i volti indistinguibili gli uni dagli altri, non avrebbero fatto altro che aumentare il suo disagio.
Ripensandoci, forse saresti dovuta venire con noi. Stai studiando da tantissimo tempo e non ti sei ancora presa una pausa. Lì in città com’è il tempo? Qui si sta bene. Mi manchi.
Come, in piedi a quest’ora? Comunque, qui non è molto bello… è nuvoloso, e non ho nemmeno visto l’alba. E per l’esame… ci proviamo: chissà di farcela.
Anche se non sono lì con te sento che sei agitata, e non mi piace. È successo qualcosa? Sai che mamma ti veglia anche da qui.
Solo stanchezza, che passerà appena questa giornata sarà conclusa. Lo so, ti sento sempre e non vedo l’ora di rivedere te e papà. Vi voglio bene.
Dovresti tornatene a casa. Non puoi affrontare una prova del genere con tale ansia.
Troppo tardi; ormai sono qui, a pochi passi dallinevitabile. In qualche modo ce la farò.
Sei la solita testarda ma d’altronde, con la madre che hai non poteva che essere così. Testarda, e sempre con la testa tra le nuvole.
Lo diceva anche lui.
Umiko strinse i denti e artigliò un angolo dell’inseparabile borsa, per poi sospirare.
Mamma… ascolta, stamattina mi è ritornata in mente una persona, e
Alzò la testa di scatto e quasi lasciò cadere il cellulare a terra, il cuore che aveva iniziato a battere furiosamente appena quel suono l’aveva raggiunta.
In quel preciso momento tutto – voci, persone, mezzi – si fermò, lasciando che fosse solo il tamburo della Paura a scandire il ritmo della realtà.

«Annuncio d’emergenza da parte dell’Associazione Eroi: alcuni Esseri Misteriosi sono apparsi nel centro della Città K.
I residenti sono pregati…
»
Gli occhi della giovane fissarono il caos esplodere senza realmente vederlo: si posarono sulle figure lanciate in fuga, fantasmi e ombre che non riuscivano ad afferrare, perché il cervello non era in grado o voleva rispondere agli impulsi che il corpo mandava. Nonostante i rumori si aggrovigliassero intorno a lei, insieme alle urla e al continuo gracchiare delle sirene d’allarme, una cappa di immobilità l’aveva avvolta, soffocandola nei suoi stessi tremiti e impedendole di avanzare anche solo di un passo; tale era il terrore, la sensazione di essere sola.
Tutto ciò fu questione di attimi, perché improvvisamente una mano sconosciuta l’afferrò per un braccio e la trascinò fuori dall’autobus ormai deserto, lasciandola poi a respirare a fatica nella folla che abbandonava piazze e vie per disperdersi in ogni dove. Stai calma. Stai calma o la situazione diverrà peggiore, fu la prima cosa che la ragazza riuscì a pensare appena uno spiraglio di lucidità ritornò a lambirle la mente e tutte le membra vennero scosse da pungoli d’adrenalina, e prima di tutto via da qui!
Mettendo al sicuro il cellulare ancora incastrato tra le dita, iniziò a correre anche lei alla cieca, cercando al medesimo tempo di formulare un piano.
Ritornare a casa? Sono troppo lontana, e credo che nessun edificio possa essere realmente sicuro… no, devo trovare un’altra soluzione.
Una serie di boati alle sue spalle le fece accelerare il ritmo della corsa, trasformando le sue gambe in un pulsare di disperazione.
Quando si lanciò un’occhiata indietro, vide persone con la sua stessa espressione, e polvere… polvere dove si agitavano enormi ombre nere, che non la spinsero a urlare solamente perché il respiro le si era mozzato.

Dai dai, pensa!
, ricominciò a inveire allora la voce della razionalità, mentre il caos si intensificava, che cosa potrebbe essere sicuro?
Uno scantinato? No… no no no! Ci dovrà pur essere qualcosa, maledizione!

Non sapeva nemmeno dove stesse andando: riusciva a comprendere ben poco, gli occhi che lacrimavano di sofferenza e terrore frantumando le immagini in figure tremolanti e guizzi di luce abbagliante, mentre solo l’istinto di sopravvivenza le impediva di rovinare a terra e divenire vittima di una morte atroce. Ma per quanto avrebbe resistito?
La domanda sembrò trovare una soluzione quando si ritrovò circondata dagli alberi del Nature Park [1], e qui le gambe smisero di sostenere il suo impeto facendola cadere. Echi di distruzione si confusero con il suo respiro, continuando a raggiungerla anche quando si premette le mani sulle orecchie fino a sentire le dita tremare.
«
Nuovo annuncio da parte dell’Associazione Eroi: alcuni eroi sono già giunti sul posto e hanno ingaggiato battaglia con i mostri. Si pregano i residenti di non avvicinarsi per alcun motivo al luogo degli scontri.
Il livello di calamità stimato è Tigre.
»
«Forse… forse per adesso sono al sicuro», sussurrò la giovane dopo
qualche istante, sentendo gli altoparlanti ululare per l’ennesima volta e rendendosi conto di essere rimasta rannicchiata per più di dieci minuti. Sciolse la posizione e si rimise in piedi, barcollando per alcuni secondi prima di riprendere equilibrio e avanzare nella rigogliosa vegetazione del parco. Il canto dei piccoli ruscelli che lo attraversavano la guidarono verso il suo cuore arboreo, lungo il sentiero principale e sui ponti di legno che solcavano i corsi d’acqua. «Magari da qui potrei anche raggiungere le foreste… chissà se c’è un modo», si chiese, guardandosi intorno con quanta più attenzione possibile.
E fu così che il suo sguardo incontrò la lunga chioma miele di una donna, appoggiata alla balaustra di uno di quei ponti ma così protesa verso il vuoto da sembrare sul punto di spiccare il volo, e gli occhi di chi da tempo combatte una battaglia con sé stesso.




◊♦◊




A volte il Futuro lo sentirai nel cuore.
Ti sveglierai un mattino, e saprai di essere diventata madre, che quell’amico a te tanto caro ritornerà in città, o che quelle saranno le ultime ore della tua esistenza. Ciò che per noi è più importante, questo ce lo suggerisce la nostra anima: momenti che solo tu dovrai conoscere, parole che nessun altro potrà comprendere.

E con tutti i giorni di nebbia e pioggia che si erano susseguiti sui tetti della città, il suo momento era giunto proprio in una giornata soleggiata. Buffo… sì, tremendamente, maledettamente buffo; un
altro scherno che si imprimeva sulla pelle e feriva maggiormente la carne già martoriata.
Al male segue il peggio; al peggio segue ciò che non vuoi prevedere.
Questa ruota non si fermerà perché tu l’implorerai; la Vita esige sempre qualcosa di più che semplici parole.

La prima cosa che Amaya aveva lasciato cadere tra le onde del piccolo torrente era stata la sua amata sciarpa. L’aveva fissata mentre veniva inghiottita dalle acque fino a scomparire sul fondo ed essere trascinata lontano come un sogno dimenticato, e non aveva versato nemmeno una lacrima, nonostante quello fosse stato l’ultimo regalo che i suoi genitori le avessero fatto; in tal modo aveva avuto la prova definitiva che le residue tracce di umanità l’avessero ormai abbandonata, che fosse arrivato il momento di salutare per sempre il mondo e lasciare il futuro agli altri.
Una macchina guasta non ha alcun motivo per continuare a sbuffare e riversare intorno il suo fumo malato, anche il silenzio la disprezza; in quei momenti è più decoroso spegnersi per sempre e non appesantire più la tristezza propria e altrui –
già, come se ti fosse rimasto qualcuno da rattristare. Ti stanno tutti aspettando oltre la barriera del tuo corpo; e ti serve ancora un passo, Amaya, un solo passo per iniziare a volare.
In quei medesimi istanti il vento che le scompigliava gentilmente i capelli trascinava echi di grida e implorazioni da ogni dove; tuttavia, i rumori si infrangevano contro la sua persona senza toccarla più di qualche attimo.
Tutta la Città K sembrava sul punto di precipitare con lei; ma anche quello non aveva molta importanza. Il suo mondo si era infranto al suolo già da tempo, e lei era rimasta a fissarne i cocci tremolanti – e a ferirsi con essi – da sola.
«Hey… hey! Che cosa sta facendo?»

Non è giusto: dovevo essere io ad andarmene. Loro sarebbero riusciti a rialzarsi… io, come è ormai chiaro, no.
«Perché è immobile?»
Ci sono tante cose di cui parlare, una volta insieme… tante confessioni e rivelazioni, come di quella volta che…
«NON LO FACCIA!»
La donna ebbe un singulto involontario e saltò indietro; perse l’equilibro e scivolò dalla balaustra ricadendo sul ponte, salvandosi così da un salto vertiginoso che non le avrebbe concesso scampo. «Che cosa diavolo…»
Appena le sue mani riuscirono a fare abbastanza presa sul legno da permetterle di trovare un equilibrio, alzò il volto. Gli occhi cerulei inchiodarono quelli spalancati di una giovane dai lunghi ricci ebano – l’ho intravista qualche minuto fa; perché è ancora qui? –, e si strinsero vedendo con quanta fretta questa le si stava avvicinando.
«Che cosa pensava di fare?», quasi urlò la sconosciuta quando le fu a pochi passi, «poteva cadere!»
«E a te che importa?», rispose acida Amaya rimettendosi in piedi, ignorando volutamente la mano tesa della ragazza. «Da quando uno deve dare spiegazioni di quello che fa? E perché hai gridato così forte, eh?»
«Ho urlato perché temevo di vederla precipitare. Sembrava bisognosa di aiuto.»
«Beh, non è così!»
Non ho mai avuto aiuti da nessuno, io.
L’altra indietreggiò di un passo, colpita e resa cauta da quel tono tagliente. In quello stesso istante i suoni della distruzione si fecero più vicini.
«
Evacuazione d’emergenza: il livello di calamità è salito da Tigre a Demone. I residenti sono invitati ad abbandonare la città.
Ripeto: i residenti sono invitati ad abbandonare la città.
»
«I mostri…», sussurrò la giovane, e a quelle parole Amaya stirò la bocca in una smorfia. «Che cosa credevi, che ci lasciassero tutto il tempo di scappare? Inizia a correre, che con quelle gambe corte che ti ritrovi figuriamoci quanto andrai veloce.»

Nonostante si fosse già voltata, la donna comprese che l’altra fosse arrossita, e quasi si morse la lingua. È colpa sua; se mi avesse lasciato in pace…
«Ha ragione: avrei dovuto essere già lontana da qui. Ma anche lei dovrebbe scappare, prima che la raggiungano.»
La donna rimase stupita più dalla calma della risposta che dalle parole. Respirò forte, prima di rivolgere l’attenzione al torrente sotto di lei. «Metti in salvo le tue di chiappe, so badare a me stessa.»
Io, ormai, non posso mutare più la mia sorte.
Il mondo sta attendendo di vedermi cadere.

Forse fu lei stessa a evocarlo; ma in quel momento il ponte iniziò a tremare, scosso da forze sempre più intense. Tutto intorno esplosero scricchiolii di alberi abbattuti e strutture collassate, urla, gridi inumani così raccapriccianti da ghiacciarle il sangue nelle vene; ma in tutto questo, una mano afferrò la sua e la strinse con forza, impedendole di cadere di nuovo.
«Corri con me.»
Amaya fissò per alcuni attimi il volto della ragazza, e non riuscì a rispondere perché quest’ultima la stava già trascinando via, verso una possibile via di salvezza.
Tuttavia, un buio profondo e inarrestabile circondò entrambe nel tempo di un pensiero; e lei riuscì a fissare solamente il mondo rovesciarsi, prima di essere completamente divorata da quell’oscurità.
È questo morire, vero? Non c’è sofferenza, non c’è più nulla. Posso piangere, ora?



Lenta, dolce come un bacio, la luce iniziò a penetrare sotto le palpebre della donna, illuminandole le lunghe ciglia e rapendola a poco a poco dal rifugio d’oblio in cui era stata adagiata. «Ancora un istante. Voglio quella pace, sono così stanca…», balbettò, per poi spalancare gli occhi di colpo. Sbatté le palpebre un paio di volte, prima di riconoscere che era ancora sul ponte, quindi balzò a sedere; a quel punto, un forte dolore alla parte posteriore del capo le diede un capogiro, facendola ricadere di lato. «Maledizione… che male, che male!», mugugnò diminuendo il ritmo dei respiri, per calmarsi. Era ridisceso un silenzio pesante sull’ambiente: e così come quando l’aria si gonfiava di grida, non era un buon segno.
Uno, due, tre.
Con uno sforzo, si voltò sulla pancia e si appoggiò sui gomiti. Il dolore alla testa si fece ancora più intenso, ma prima di lasciarsi scivolare nuovamente contro il suolo riuscì a lanciare una lunga occhiata intorno. La città è invasa dal fumo, e anche il parco è devastato, come se fosse giunto un terremoto.
Quanto tempo sono rimasta incosciente? E gli Esseri sono già stati uccisi, o…?

«Devo farcela. Devo… alzarmi…», sussurrò per non darsi il tempo di pensare alla peggiore fra le risposte, quindi si girò. A qualche distanza la sconosciuta giaceva a terra come lei, immobile; ma una serie di mugolii di dolore l’abbandonava.
Almeno è viva
. «Te l’avevo detto che non saresti andata veloce», sospirò, per poi trascinarsi verso la sua figura. «Lasciatemi stare, vi prego…», la sentì soffiare da sotto le braccia strette sul volto, appena le fu vicino.
«Sono la donna di prima, non ti spaventare. Che cosa ti fa male?»
«Il polso destro… ci sono caduta sopra.»
«Muovilo. Lentamente.»

Guardò con attenzione la ragazza sciogliere la posizione e fare come le era stato detto; un urlo soffocato elettrizzò l’aria. «Maledizione.»
«Calmati. Lo muovi bene, quindi non è rotto… certo hai preso un brutto colpo, e per qualche giorno rimarrà gonfio, ma considerati fortunata.»
Aspetta, e quelle?
«La città… cos’è accaduto?»

Amaya non sentì immediatamente la domanda, perché il suo sguardo era concentrato sulle mani della sconosciuta. Cicatrici da ustione. Appena qualche piega sulla superficie, ma ben visibile… questo non è il risultato di una semplice scottatura. Voltò il capo e guardò la giovane fissare i lampi rossastri delle fiamme che si alternavano con gli alberi, mentre le colonne nere che si levavano tutt’intorno a loro divenivano sempre più numerose; quindi si voltò dalla parte opposta e si mise in piedi, barcollando per qualche istante prima di trovare il suo equilibrio. «Spero che tu riesca a camminare, perché dobbiamo andarcene da qui in fretta.»
«
Gli abitanti…»
«Non ci pensare. Ora dobbiamo stare attente a evitare il fuoco.»
«
Oh, credimi… non è delle fiamme che ti devi preoccupare.»
Amaya rimase immobile; anche il turbinio dei suoi innumerevoli pensieri si dissolse, mentre brividi gelidi presero a scivolare lungo la sua schiena e le gambe iniziarono a cedere. Non si voltò neppure, ma lasciò che fosse l’altra a venire da lei. «Che cosa sei? E cosa vuoi?» mormorò appena la sentì a qualche passo dal collo, senza nascondere il suo terrore.
«Tutto ciò che ti appartiene; semplicemente tutto.»
Una presa d’acciaio le afferrò entrambe le braccia costringendola ad alzare il viso; e fu impossibile non tremare davanti agli occhi purpurei come sangue, privi di pupilla, che la dominavano con compiacimento e scherno.
«Perché hai così paura? Finirà prima di quanto tu creda.»
La donna deglutì, il respiro che veniva a mancare mano a mano che le unghie dell’Essere Misterioso penetravano nel collo. «Quindi tu non sei mai stata umana…»
«Umana? Forse quella di cui ho preso le sembianze, di certo non io.
Pensa, non ha opposto resistenza nemmeno quando le ho infilato i denti nella carne… doveva essere proprio debole.»
«Maledetta.»
«Hai detto qualcosa?»

Probabilmente si era assopita anche la sua razionalità; perché quando il mostro abbassò il volto sul suo, fu così lesta a morderle il labbro inferiore, fino a spezzarglielo, da sorprendere pure sé stessa.
Per lo stupore l’Essere perse la presa sulle sue braccia, e lei agì di conseguenza; il pugno che sferrò non era molto forte, ma andò comunque a segno sul naso dell’altro.

«Uh… quanta rabbia!», ghignò questi, lasciandola e indietreggiando di qualche passo; di certo non per paura, ma per metterla alla prova. La sicurezza di averla completamente nelle proprie mani era impressa nei tratti stravolti dall’euforia, non c’era spazio per i dubbi. «Che cosa succede? Ti dispiace per la mocciosa?»
Già, rabbia. Da quanto tempo non la sentivo pulsare nelle vene e infiammare il respiro? Mi fa sentire così viva e pronta a tutto. «Forse… oppure, semplicemente, mi disgusta troppo morire a causa tua», mormorò Amaya. Il sangue colava dai graffi solleticandole la pelle e macchiandole gli abiti, il pulsare al capo era diventato quasi insopportabile; eppure le sue orecchie continuavano a fischiare del ritmo che l’adrenalina le dettava, le mani prudevano mentre tutte le sensazioni tacitate da lungo tempo battevano contro le dita per sfogarsi.
L’avversario sorrise nel vedere la sua espressione concentrata, mettendo in mostra una chiostra di denti acuminati e sporchi di vermiglio. «Combattiamo! Forza, mostrami cosa sai fare», sibilò, piegandosi sulle gambe e preparandosi a scattare.

Sii forte.
«Con piacere.»





NOTE


[1] Il Nature Park è mostrato nell’episodio speciale intitolato “Sense”, presente nel volume 10 del manga.





Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3716697