Samfuin
Gli
ultimi, rosseggianti bagliori del tiepido sole autunnale si stanno in
quel momento ritirando oltre l’orizzonte scuro del villaggio.
Socchiude gli occhi, inspirando con calma il profumo dolce
dell’aria
circostante. Lentamente, poco per volta, le finestre si illuminano
fiocamente e la notte avanza, portando con sé un venticello
frizzante. In lontananza può già scorgere i primi
chiarori del
fuoco. “Strane usanze umane, dopo tutto” si
sofferma a pensare,
osservando con curiosità i sentieri, un attimo prima
deserti,
tornare ad accogliere nuova vita.
«Notte
strana, sì, ma notte infine»
mormora, abbozzando un ghigno pigro.
Con passi lenti e
cadenzati
varca i confini del villaggio e si addentra nelle vie ricolme di
umani, scivolando agevolmente fra i corpi mortali di passaggio come
un’ombra impalpabile. Non ha desiderio di mostrarsi, non in
quel
momento per lo meno. Ci sarà tempo più tardi,
forse. Ora è il
momento di godersi la tensione dell’attesa, la seduzione
dell’anticipazione, il brivido della caccia. “Oh,
sì. Delizioso”
riflette fra sé, estasiato. Ridacchia divertito, procedendo
senza
fretta e osservando l’evolversi di un rituale che si perpetra
di
anno in anno. Gli sfugge un sorriso compiaciuto, nemmeno se ne rende
conto, e se anche così fosse, perché
preoccuparsi? Non è certo
tenuto a mantenere un contegno serioso; è perfettamente
libero di
agire come meglio crede e, in quel momento, crede di potersi
permettere di bearsi un po’ della follia umana,
perché no?
Molti degli
abitanti di quel
villaggio si sono ormai radunati attorno alla modesta piazza, nel
centro della quale arde un grande falò alimentato dalle
scorte
accumulate durante gli ultimi mesi. Il chiarore dorato dardeggia
bruciante sui volti di uomini e donne, perfino di bambini, che
fissano entusiasti il crepitio sinistro e selvaggio delle fiamme
riflesse nei loro occhi brillanti.
Si gode tutto
questo dal tetto
spiovente di una delle case adiacenti la piazza, mantenendosi in
parte nell’ombra senza mai perdere d’occhio
l’evolversi della
serata, ma gustando ogni momento come un buon vino. Lo scoppiettio
ardente induce i più piccoli a strillare, sgomenti e
soddisfatti
insieme, e le sue labbra si schiudono lasciando che i bagliori
facciano scintillare una chiostra di affilati denti candidi come la
neve appena caduta.
Perdersi una
nottata proficua
e interessante come quella sarebbe stato un orrendo spreco, un vero
crimine per lui. Purtroppo non può essere presente a ogni
singola
cerimonia, ma si cura ugualmente di far visita a un villaggio
differente ogni anno, così da non doversi mai annoiare.
Dalla sua
gola scivola un piccolo sbuffo divertito, riflettendo che la sua
presenza possa ben essere considerata una sorta di onore, per quegli
umani che celebrano gli spiriti con il fuoco; probabilmente un
qualche tipo di ospite d’eccezione e, in fondo,
ciò che loro
offrono a lui non può che essere l’adeguata
contropartita a ciò
che lui porta loro.
Socchiude gli
occhi,
individuando l’apparire fugace di un bagliore argenteo nel
mezzo
del falò. Nessun altro, a parte lui, sembra averlo notato.
Poco dopo
una figura eterea prende il posto del bagliore, spostandosi con
ammirevole grazia fra i ceppi ardenti e poi fra la folla concentrata.
Uno sbuffo stranito
accompagna
lo scuotersi della sua testa. L’apparizione solleva il volto
e
punta i suoi occhi perlescenti direttamente su di lui, senza dar
segno della minima sorpresa per altro. Le sue labbra sottili e
delicate si arricciano in un grazioso sorriso divertito e i suoi
piccoli piedi nudi si muovono agili nella direzione dello spirito
oscuro. I suoi lunghi capelli argentati brillano, alla luce delle
fiamme, più dell’esile spicchio di luna calante
che si muove
lentamente nel cielo notturno.
Nel momento in cui
lei gli si
accosta, lui solleva un sopracciglio e soffia una mezza risata.
«Da
quando te ne vai a spasso
fra i mortali?» le chiede, suo malgrado incuriosito.
Il sorriso di lei
diviene
enigmatico. Accosta una mano diafana, sfiorando distrattamente una
manica scura della veste dell’altro, poi solleva lo sguardo
al
cielo nero.
«È
una bella serata» si
limita a mormorare.
La fissa con
cipiglio critico,
spostando di tanto in tanto gli occhi sulla cerimonia in corso alle
spalle di lei.
«Indubbiamente.
Ma ciò non
ha mai costituito un valido motivo per abbandonare il tuo castello.
Che cos’ha per te di speciale questa serata, rispetto alle
altre?».
Lei si volta
appena,
soffermandosi per qualche lungo istante sullo splendore del
falò.
Muove un polso, creando un cerchio che per un breve momento brilla
argenteo ma che scompare presto nell’oscurità.
«Ci
sarà uno scambio di
anime importante. Era mio dovere essere presente».
«Lavoro,
quindi» borbotta
lui, un pizzico deluso.
«Che
altro?» domanda lei,
divertita.
La scruta
brevemente e di
nuovo scuote la testa, stavolta perplesso.
«Secondo
il mio parere
dovresti svagarti di più, Arianrhod. Non esci mai dal tuo
regno e
quelle rare volte in cui lo fai è unicamente per seguire
personalmente qualche noioso processo di scambio d’anime. A
che
scopo essere immortale se passi l’eternità a
sgobbare?» lamenta
lo spirito oscuro.
Lei sorride. Non ha
mai smesso
in effetti, ma ora è decisamente un sorriso ilare.
«Pitch,
non tutti siamo
perdigiorno come te» lo sbeffeggia.
Lui sgrana gli
occhi e le
lancia uno sguardo urticante.
«Non sono
affatto un
perdigiorno!» protesta con veemenza.
«Certo
che sì. Esci quasi
esclusivamente la notte. In che altro modo dovrei definirti?»
scherza beatamente lei.
Lo scoppiettio del
falò copre
il suo ringhio irritato. Picchietta nervosamente un piede sulla
parete dell’abitazione e incrocia rigidamente le braccia al
petto.
«Creatura
dell’oscurità
sarebbe più che accettabile. O, ancora meglio, Signore
delle tenebre»
annuisce, compiaciuto.
Lei, per tutta
risposta,
soffia una risatina. «Molto divertente, Pitch. Ma temo che
siano
titoli già presi» rimarca con un ghigno perfido.
Al che lo spirito
oscuro si
imbroncia e distoglie lo sguardo, tornando a concentrarsi sul fuoco e
sui volti degli umani raccolti attorno a esso.
«Solo
perché sono l’ultimo
arrivato, ciò non ti dà il diritto di burlarti di
me» soffia
piccato e piuttosto offeso, senza distogliere lo sguardo dalla
cerimonia.
«No,
è vero. Sono stata
scortese, perdonami» ammette con voce lieve.
«Mhf»
soffia, ancora
imbronciato.
Il silenzio cala
tranquillo.
Perfino gli strilli elettrizzati dei bambini si sono acquietati.
Entrambi gli spiriti sono intenti a seguire lo svolgersi
dell’annuale
rito officiato da uno dei druidi dell’isola.
«Che cosa
senti?» mormora
appena Arianrhod rivolta all’altro spirito nonostante stia
ancora
seguendo le parole del celebrante.
Un soffice fremito
scuote la
scura figura di Pitch. Chiude gli occhi e può quasi
avvertirla sulla
sua pelle.
«Angoscia
ed eccitazione.
Paura e speranza. Impregna l’aria e mozza il respiro.
È…
stordente, ma è l’unica cosa che mi fa sentire
vivo» ammette,
rabbrividendo ancora.
«È
bello?» si accerta.
L’adocchia
un solo momento,
tornando in fretta sulla piccola folla assiepata in piazza.
«Sì»
soffia, un po’
perso, «lo è».
La falce di luna
è da poco
tramontata e le fiamme si stanno ormai esaurendo. Ogni famiglia ha
ora con sé una piccola fiaccola con un poco di quel nuovo
fuoco che
riscalderà le loro case per l’ormai prossimo
inverno.
«Un
pochino ti invidio, in
effetti» esordisce Arianrhod rompendo il protrarsi del
silenzio.
Lui distoglie a
fatica lo
sguardo dalle fiamme morenti e la guarda interdetto.
«Perché
mai? Mi sembrava
d’aver inteso ch’io fossi poco più di un
fastidioso moscerino
per te e gli altri» sibila seccato.
«Non lo
sei» replica,
appoggiandosi contro la sua spalla e facendo ondeggiare i piedi nel
vuoto sotto il tetto sul quale sono seduti. «Invece credo tu
sia uno
spirito molto particolare. Tu non ti limiti ad avvertire le emozioni
altrui, le provi anche».
«E con
questo?» borbotta,
arricciando il naso un po’ infastidito.
«Non sono
molti quelli di noi
che possono farlo» cerca di spiegare, pacata.
«Provare emozioni,
sentimenti umani, intendo» specifica.
Lui scuote la
testa, incerto,
fissando le proprie mani con la fronte aggrottata.
«Non
è poi nulla di
eclatante, te l’assicuro. Potendo, ne farei felicemente a
meno».
«No»
sibila seccamente lei,
facendolo sussultare per la sorpresa e lo sconcerto (per non parlare
del tono, non comune nella voce solitamente dolce ed eterea di lei).
«Come?»
chiede incerto.
Lo sguardo di lei,
poco prima
metallico, torna a essere sereno.
«Non ne
farai a meno. È
quello che sei e non puoi cambiarlo, non senza cambiare te
stesso»
ragiona tranquilla.
Pitch sbuffa una
risata
incredula e solleva lo sguardo al cielo d’inchiostro.
«Scommetto
che vi divertite
pazzamente a uscirvene con certe frasi così disgustosamente
filosofeggianti» bercia stizzito.
«Non sai
quanto» ridacchia
Arianrhod.
«Allora,
dove sono queste
anime tanto speciali da costringere la Signora
della morte ad
abbandonare il suo castello?».
Lo osserva con
curiosità,
soffermandosi sui suoi occhi concentrati ancora sulla piazza che va
svuotandosi.
«È
ancora presto. Saranno
qui prima dell’alba» annuncia serena.
«Mentre aspettiamo, che ne
dici di accompagnarmi a fare una passeggiata?» propone
allegra.
Distolto ancora una
volta lo
sguardo dagli umani, Pitch lo volge lentamente su di lei e solleva un
sopracciglio, scettico.
«Ma che
romanticismo» soffia
sarcastico. «Una passeggiata sotto le stelle».
Lei gli sorride,
sorniona, e
gli dà una leggera spinta con la spalla.
«Avanti.
Cos’hai da fare
qui, in fondo? La cerimonia è conclusa, ormai».
Pitch sbuffa ma,
seppur
recalcitrante, annuisce.
«Mai,
mai, mai contrariare
uno spirito dimensionale» scherza con una sfrontata vena
critica. «O
si corre il rischio di ritrovarsi ingabbiati in qualche mondo
alternativo e senza uscite di sicurezza».
«Oh,
polemico!» lo
rimprovera bonariamente Arianrhod. «Non lo farei. Al massimo
potrei
pensare di chiuderti in una gabbietta e conservarti sul comodino
della mia camera da letto» ridacchia, facendo strabuzzare gli
occhi
del suo accompagnatore che, inquietato, rabbrividisce
involontariamente.
«Sei
abbastanza spaventosa,
lasciatelo dire» borbotta offeso, con una sfumatura
grigiastra e
malaticcia sul volto.
«Sì?
Beh, grazie. Detto da
te dev’essere un vero complimento» lo prende
amichevolmente in
giro.
Di tanto in tanto
Pitch sposta
lo sguardo sull’esile figura eterea e a tratti evanescente
che lo
affianca sul cammino e si chiede quale possa essere il reale motivo
della sua presenza lì quella notte. Se avesse semplicemente
dovuto
occuparsi di quelle anime sarebbe comparsa qualche istante prima del
trapasso per scomparire nuovamente qualche istante dopo. È
già
accaduto in passato, dopo tutto. Invece si trova a passeggiare
tranquillamente nella notte buia, apparentemente ignara dei crucci di
lui e perfettamente a suo agio in un mondo che non le appartiene.
«Perché?»
mormora confuso.
Lei si volta al
suono della
sua voce e lo osserva incuriosita.
«Come hai
detto?» domanda
gentile.
Scuote la testa,
soffermandosi
sui suoi capelli argentei che a tratti sembrano fluttuare, quasi
fossero più leggeri dell’aria stessa.
«Mi
chiedevo solo perché sei
qui, realmente?».
Lei sorride di un
sorriso un
poco triste e reclina appena il capo di lato.
«C’è qualche motivo
preciso per cui non potrei godermi una serata di pace, di tanto in
tanto?».
Pitch soffia una
ristata
soffocata e un po’ vuota. «Pace, dici? Sono certo
che tu abbia
notato che per la tua seratina di pace, amore e armonia con
l’universo hai scelto giusto la notte in cui gli umani
celebrano
gli spiriti, mortali e immortali».
«L’ho
notato, in effetti»
annuisce, senza preoccuparsi di nascondere un sorrisetto birbante.
«E…?»
insiste lui.
«E nulla.
Ne avevo voglia,
tutto qui».
«Tutto
qui» ripete lui in un
mormorio pensieroso.
«La mia
presenza ti
infastidisce, Pitch? Forse ho rovinato il tuo momento di
svago?».
Il ghigno che si
apre sul
volto dello spirito oscuro è tutt’altro che
piacevole.
«Se
così fosse?» sibila.
«Ma no» sbuffa, allargando appena le braccia.
«Ogni tanto mi piace
condividere» ammette con leggerezza. «Tuttavia devi
concedermi che
è piuttosto strana la tua presenza qui, in una notte come
questa,
per di più con la luna calante» si incaponisce.
«Forse»
concede con un
piccolo sospiro. «Desideri che ti lasci solo?» si
accerta.
Le fa un cenno di
diniego e
avanza di qualche passo, invitandola silenziosamente a riprendere la
passeggiata.
«Come ti
trovi qui nel mondo
degli umani?» riprende d’un tratto la parola lei.
Lui si prende
qualche minuto
per riflettere, mentre inspira l’aria della notte e si perde
a
scrutare le stelle lontane.
«Non poi
così male come
temevo, in effetti. A volte mi mancano gli spazi infiniti oltre
questo pianeta, ma devo ammettere che le creature che lo popolano
concorrono a tenere vivo il mio interesse e a non permettermi di
annoiarmi con facilità».
«Ti
capita mai di sentirti
solo?» mormora esitante.
Pitch abbassa
rapidamente lo
sguardo e lo incrocia con quello di Arianrhod, non del tutto sicuro
di ciò che ha appena sentito.
«Parli
sul serio?» si
accerta.
«Sì».
Arriccia il naso e
socchiude
gli occhi affilando lo sguardo. «Ho scelta, forse? Pensi che
cambierebbe qualcosa se lo ammettessi?» ringhia, fermando i
suoi
passi. «La risposta è no, a entrambe le
domande».
«Pitch…»
tenta, incerta.
«Che cosa
vuoi?» sibila.
«Nulla,
era solo…».
«Curiosità?»
la interrompe
bruscamente. «Te la puoi tenere. Puoi prendere la tua futile
filosofia e tutti i tuoi bei propositi e
ficcarteli…».
«Pitch!»
sbotta Arianrhod,
ottenendo uno sbuffo decisamente irritato in risposta. Sospira,
passandosi nervosamente le dita fra i capelli in un gesto frustrato.
«Che sciocchezza. Non intendevo offenderti. Era
solo… solo un
innocente scambio di opinioni» prova.
«Innocente,
come no» bercia stizzito, riprendendo a camminare, o forse,
dato il
passo sostenuto, sarebbe più corretto dire marciare
attraverso i declivi erbosi che circondano il villaggio.
Per stargli dietro
lei è
costretta a spiccare una breve corsa che la fa somigliare a una
farfalla, dato che quasi i suoi piedi non toccano il terreno.
«Avanti,
non ti arrabbiare»
lo blandisce, pacata. «Le rughe non donano per nulla al tuo
viso»
scherza, strappandogli uno sbuffo suo malgrado divertito.
«Evita di
insistere
sull’argomento, se desideri che non me la prenda»
l’ammonisce,
più tranquillo, osservandola annuire.
Improvvisamente,
nel bel mezzo
di un lungo momento di tranquillo silenzio, Arianrhod ridacchia,
palesemente divertita da qualche particolare che evidentemente sfugge
al suo accompagnatore, al momento. “Sembra una bambina
felice” si
ritrova a pensare lo spirito oscuro.
«Che
succede?» si informa
incuriosito.
«Oh,
nulla di importante, in
verità. È solo che, in effetti, un paio di
conoscenti me ne avevano
parlato precedentemente, ma non sapevo se crederci o meno. Devo
invece ammettere che avevano ragione».
Pitch aggrotta la
fronte,
perplesso, e scuote piano la testa senza riuscire a dare un senso al
discorso di lei.
«Di cosa
stai parlando? Non
ti seguo» riconosce.
Arianrhod lo
occhieggia con
malizia e ghigna divertita, prima di saltellare, agile e leggera, un
poco più distante.
«Del tuo
pessimo carattere.
Prendi fuoco come paglia secca sotto il sole
d’agosto» soffia,
allargando il ghigno.
Gli occhi di Pitch
si
sgranano, attoniti. Inspira bruscamente una boccata d’aria e
ringhia. Ma lei si è già allontanata con pochi
balzi e una rapidità
sconcertante e a lui non rimane che pestare stizzosamente un piede a
terra e sbuffare sonoramente il proprio disgusto.
«Me la
paghi» minaccia
risentito. «Vedrai se non è
così».
«Non vedo
l’ora» bisbiglia
al suo orecchio, prima di sparire nell’aria fresca,
lasciandolo
nuovamente solo.
Sospira e, suo
malgrado,
stiracchia un piccolo sorriso poco convinto.
Riprende a
camminare
lentamente, senza avere ben in mente dove andare. Il mare, vicino,
porta fino a lui l’aria salmastra che ha l’effetto
di placare un
po’ la sua agitazione. Ancora una volta solleva lo sguardo
sulla
volta celeste e osserva le stelle. Così lontane, troppo
oltre la sua
portata, ormai irraggiungibili.
Chiude gli occhi,
scivola fra
le ombre e un momento dopo è nuovamente a ridosso della
piazza. Del
falò non rimangono che pochi tizzoni ardenti, ma al loro
fianco c’è
ancora qualcuno: un essere umano dai capelli grigi e dalla lunga
tunica verde scuro; uno di quei sacerdoti che officiano le cerimonie
per il popolo. Sembra incantato a osservare le braci morenti. Pitch
reclina il capo, incuriosito, e si fa più vicino,
così da poterlo
osservare con più agio. Quando il bordo della sua veste
d’ombra
entra nel raggio del fioco bagliore ancora presente, lo sguardo
dell’uomo si solleva lentamente e si ferma su di lui,
fissandolo
diritto negli occhi senza apparente sorpresa.
«Sei uno
spirito?» chiede
pacato.
«Così
dicono» commenta
Pitch, senza particolari inflessioni nella voce.
L’uomo
rimane in silenzio
per qualche tempo, come intento a studiare l’apparizione e a
trarne
le dovute conclusioni.
«Non sei
qui per farci del
male».
Non è
una domanda, la sua.
Pitch aggrotta un sopracciglio, incerto.
«La
vostra vita non rientra
nei miei interessi. Sono qui per le vostre emozioni».
Non sa
perché gli sta
parlando. Forse perché non sono molti gli esseri umani che
possono
vederlo. A volte gli altri spiriti si rivelano un po’ troppo
pieni
di sé, tanto che trova difficoltoso tenere a bada quello che
Arianrhod ha poco diplomaticamente definito un pessimo
carattere.
«Emozioni…»
mormora
l’uomo, pensieroso. «La cerimonia. È per
questo che sei qui. Le
persone sono eccitate e spaventate, e tu… puoi
sentirlo».
Un angolo delle
labbra di
Pitch si solleva appena, mostrando un po’ del suo
compiacimento.
“Un mortale piuttosto intelligente e percettivo:
interessante”.
«È
così» conferma.
L’uomo lo
soqquadra,
incuriosito, ma senza mai muoversi dalla posizione in cui si trova.
«E
l’altra creatura, quella
bianca comparsa dal fuoco?».
Pitch socchiude di
poco le
labbra e sgrana impercettibilmente gli occhi, suo malgrado intrigato.
Annuisce, a mostrare di aver compreso a chi si stia riferendo.
«Era qui
per il medesimo
motivo?» conclude l’uomo.
Lo spirito scuote
lentamente
il capo e si mordicchia discretamente un labbro, indeciso.
L’uomo
sembra tuttavia
comprendere la sua reticenza e gli indirizza un discreto cenno di
accettazione con il capo. Non è necessario che gli parli
dell’altra
creatura, se non lo crede prudente.
Piano, Pitch
arretra, uscendo
dal vago chiarore e tornando nelle tenebre, ancora seguito dallo
sguardo brillante del mortale. Volta le spalle e svanisce nel nulla,
lasciando l’uomo solo ai suoi pensieri.
Fine
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L’Angolino
Buio e Polveroso dell’Uomo Nero (e dell’autrice a
cui piace
maltrattarlo)
Rieccomi:
un incubo, altro che Uomo Nero! X°D
Vorrei
qui fornire una piccola spiegazione, soprattutto di quell’AU
messo
lì fra le note. Ho preso in considerazione i libri, ho preso
in
considerazione il film… e lì ho gettati entrambi
dalla finestra
(metaforicamente… o dovrei poi ricomprarmeli).
Il
racconto è ambientato in un’epoca non esattamente
definita, ma
circa duemila anni fa (anno più, anno meno), della Terra.
Pitch è
effettivamente finito sul nostro pianeta dopo essere precipitato con
il suo galeone, armi e bagagli (soprattutto armi, veramente), e una
certa quantità di rabbia non particolarmente assopita.
Tant’è che
non ha affatto avuto necessità di un raggio di Luna troppo
zelante
per risvegliarsi. L’ha fatto di sua iniziativa una manciata
di anni
dopo il disastroso atterraggio. Questo è
l’antefatto.
Manny
(alias, l’Uomo nella Luna), non è pertanto stato
informato del
risveglio di Pitch, e non s’è preso la briga di
radunare forze
alleate per arginare il problema. Il lato positivo è che,
come viene
vagamente fatto intendere nei libri, Pitch non è
più la creatura
distruttiva e inarrestabile nota con il nome di Nightmare King. Non
che sia divenuto un agnellino, questo no di certo, ma nel processo di
caduta, sonno e successivo risveglio con tanto mal di testa post
dormita, diciamo che ha smarrito per strada un po’ della sua
famigerata furia devastatrice e anche dei suoi alleati (nella
fattispecie i Dream Pirates).
I
Guardiani non ci sono, e non ci sono perché nessuno li ha
allertati.
E.
Aster Bunnymund esiste, ma è in giro per le galassie a
collezionare
reperti di uova rare e sconosciute, a ideare nuove ed entusiasmanti
ricette per le praline e a ritoccare i pianeti imperfetti, quindi se
ne frega altamente dei bambini su un pianeta azzurro e distante anni
luce dai suoi progetti a medio termine.
Sanderson
Mansnoozie invece sonnecchia pacifico sulla sua tranquilla isoletta
di sabbia in mezzo al mare completa di sirene sexy e provocanti, e di
notte porta seco bei sogni, come da manuale. Lui e Pitch si
infastidiscono a vicenda, si fanno i dispetti, gli sgambetti, le
linguacce, ma questo è tutto.
Nighlight
ha perso la memoria durante l’ultimo scontro con Pitch e vaga
distrattamente per il pianeta. Al momento è
l’unico spirito
interessato al benessere dei bambini. Un giorno finirà con
l’incontrare il mago Ombric e, se avrà abbastanza
pazienza,
assisterà al ritrovamento di Katherine.
Nicholas
St. North non è ancora nato. Ci saranno sicuramente altre
buone
occasioni per festeggiare. Gli uomini le hanno sempre trovate con una
certa facilità, dopo tutto.
Nemmeno
Toothiana e Jack Frost sono ancora nati. In compenso il mondo
è
comunque pieno zeppo di spiriti più o meno benevoli
(più meno che
più).
Manny,
ovviamente, è sulla Luna e osserva pigramente
l’andazzo sul
pianeta attorno al quale orbita. Siccome mi è sempre stato
largamente sulle scatole, ho deciso che deve farsi una valanga di
fatti suoi, quindi di lui parlano solo i Lunar Lamas in termini da
druido illuminato; e il mago Ombric Shalazar non ha mai avuto nulla
da spartire con lui. Così deve accontentarsi di giocare a
poker con
i robot e i topolini (le falene non hanno le dita e la vedo dura
reggere le carte da gioco).
Emily
Jane, dopo un breve tirocinio, ha finalmente coronato il suo grande
sogno di divenire Madre Natura e adesso si diletta a infastidire
piante e animali selvatici, la maggior parte dei quali non la possono
proprio vedere, ma sono comunque costretti a sopportare in silenzio i
suoi soliloqui ispirati e ferocemente melodrammatici
sull’ingiustizia
dell’esistenza. Gli scoiattoli la detestano calorosamente e
non
perdono occasione per farla inciampare ogni volta che capita loro a
tiro; stessa cosa per i lemuri e i cebi cappuccini.
Ogni
tanto Pitch incontra qualche spirito interessante. Se è una
bella
donna la invita a prendere un drink, a fare quattro passi, ad
accompagnarlo a qualche rave più o meno satanico…
insomma, se la
spassano piacevolmente. Quando è particolarmente in vena,
invita una
di loro a scendere nella sua taverna super-accessoriata e con
riscaldamento autonomo a pavimento (perché soffre il freddo
e
l’umidità è una vera piaga per le sue
povere ossa). Si diletta
inoltre a scambiare utili opinioni professionali sugli esseri umani,
sulle loro bizzarre superstizioni, sul loro esilarante masochismo e
sui loro interessanti punti deboli. La vita è bella, il
potere è
dolce e la notte è appena cominciata, dopo tutto.
Questa
che (con spirito di abnegazione, immagino) avete letto è
solo una
piccola cosa.
Non ho neppure un’idea chiara su come sia spuntata fuori, e
nemmeno
se scriverò altro di collegato. Diciamo che è una
delle tante
versioni di Pitch che ho in testa e che ha deciso di prendere una
boccata d’aria, prima di ritornare a rintanarsi nei meandri
oscuri
del mio cervello impolverato, ecco.
Questo
è quanto. Alla prossima ^-^
Roiben
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