Lullaby
for an Otaku
Una
qualsiasi libreria di Milano centro.
tre
ragazzine chiacchierano allegramente. Le guardo a distanza di
sicurezza, deglutendo malamente il fastidio, mentre attraversi gli
spazi sfogliando distrattamente un manuale.
La
ragione ancora una volta prevale, ricordando che non fanno niente di
male.
Non
importa se sono davanti allo scaffale 'sacro', quello dei manga.
Quello che ora, da 'rispettabile membro della società' e non
più un
fancazzista anonimo e studente perditempo, ti fai mille problemi ad
avvicinare. Stanno invadendo quello che consideri il tuo regno e, pur
non sapendo né chi sono, né il loro carattere, ti
pare sempre che
non la facciano mai con il rispetto necessario. Quello che useresti
tu, per esempio.
Non
importa se le loro vocine stridule ti danno un aprioristico e del
tutto ingiustificato senso di fastidio.
E
non importa nemmeno se loro ti ricordano il dolce ed il salato
dell'adolescenza, che ormai tu, ingranaggio oramai perfettamente
oliato e inserito nei meccanismi della società, ti sei
lasciato alle
spalle. Non è colpevole di niente, la data sulla carta di
identità,
ti ripeti.
Tuo
malgrado, ti avvicini, circospetto, per sentire cosa dicono. Ormai
non speri più, come un tempo, di trovare una miracolosa
comunanza di
interessi in un perfetto sconosciuto. Se essere l'anima dannata e che
'nessuno capisce' era, quando avevi gli anni di quelle ragazzine, una
patetica finzione scenica, che celava un romantico (e ingenuo)
desiderio di comprensione, ora si è tramutata in una
prosaica, arida
affermazione.
Ti
sei arreso, ti sei adeguato al fatto che se vuoi intrattenere
relazioni stabili devi essere 'normale'. Ormai hai raggiunto persino
lo stadio terminale, quello in cui, in fondo, pensi sia
normale
essere normali. Ogni
oncia di
ribellismo alla società si è prosciugato, peggio
del lago di Aral,
lasciando spazio alla indifferente rassegnazione.
Hai
persino cancellato il pensiero che se il diciottenne te guardasse
ciò
che sei diventato, probabilmente avrebbe un brivido di schifo.
Anche
perché sotto sotto sai che il diciottenne te, dopo aver
visto le
tette della ragazza che ti scopi ora, ti concederebbe la vittoria per
K. O. tecnico. Ecchissenefrega se lei non sa una ceppa di manga e,
anzi,
pensa siano un po' roba da sfigati.
Le
ragazzine sfogliano senza alcun rispetto un manga dietro l'altro,
senza degnare di uno sguardo nemmeno uno di quei capolavori che in
passato ti avevano fatto sobbalzare il cuore e soffermandosi invece su
quelle che reputi pile di merda e cellulosa.
Quando
senti un Che schifo i disegni di questo manga, mentre
posano un volumetto di GTO, il tuo sopracciglio sinistro ha un
leggero fremito involontario.
Lascia
perdere, ti dici.
Non
prendertela, ti ripeti.
Ed
ecco la sua degna compare che le risponde: L'hanno
scritto
prima che diventassi una Otaku.
Eccola
lì, la parola magica che ti trafigge definitivamente il
petto. Otaku?
Tu,
ragazzina, non sai nemmeno da che parte si inizia, a scriverla, sta
parola. Figuriamoci esserlo. D'istinto le vorresti dire
questo.
Otaku.
おたく/オ
タク.
Cinque lettere; sei grafemi, in lingua giappa.
Cinque
lettere che stabiliscono la linea di demarcazione tra un individuo
accettato dalla società e un reietto.
Cinque
lettere che ti pongono automaticamente ai margini, a cercare
consolazione per la tua dannata incapacità di relazionarti
con il
mondo in storie che ti permettono di evadere nelle due dimensioni.
Cinque
lettere che indicano quanto in realtà soffri in una cella di
isolamento, oltre la quale la gente vera, quella 'normale', ti guarda
con scherno e sufficienza.
Cinque
lettere per sperare che la tua sensibilità e fantasia
abbiano un
senso e non siano solo tratti genetici che la selezione naturale sta
iniziando a pensare siano piuttosto inutili e dannosi, per il genere
umano contemporaneo.
QUESTO
vuol dire, otaku. E sì, ancora adesso, proprio nella patria
che ha
dato origine a questa parola vuol dire questo. Non è
mainstream, non
è figo, non fa tendenza... No, pischelletta, mi spiace, ma
non hai
capito un tubo.
Stai
quasi per dirlo, sento già che la bocca si apre per cacciare
un
sospiro incazzoso... Poi ti fermi e realizzi: sono io a non aver
capito un tubo.
Sei
tu quello fuori dal mondo. Gli anime e manga che leggevi, che
adoravi, di cui odoravi persino le pagine... Tutta quella subcultura
di cui facevi (o almeno così pensavi ) parte, non esiste
più. E'
cambiata, si è voluta. Sei tu che ti sei fermato,
che sei rimasto al
palo.
Il
mondo dei tuoi ricordi non esiste più se non, appunto, nei
tuoi
ricordi. I manga che si leggono adesso, le trame che vanno di moda
adesso... Non ti appartengono più.
In
due parole, sei tu quello vecchio.
Leggere
manga, guardare anime, scrivere fanfiction... Per chi, per cosa? Per
ostinarsi a stringere tra le mani cenere e polvere di un mondo che
fu? Rianimare un cadavere di tre giorni, che ormai manda un puzzo
nauseabondo? Non lo so.
Forse
sarebbe meglio salutare per sempre, con uno sguardo amorevolmente
nostalgico quello scaffale, e dire una preghierina per quelle tre
ragazzine, per poi dire addio per sempre a quell'angolo di libreria.
Forse
stanotte sognerai Rem Saverem e Shinji Ikari, e Cloud di FFVII, e
Spike Spiegel e tanti altri, che ti hanno accompagnato. Ti canteranno
una ninnananna per farti addormentare e...
E
poi ti sveglierai, indosserai camicia, giacca e cravatta e, nel buio
di un nebbioso mattino, ti avvierai verso l'ufficio.
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