Mentre
cammino a ritroso per tornare a Dallas non riesco a pensare a nulla.
Anche il terreno che calpesto mi sembra di vederlo per la prima
volta. È una sensazione strana, è come se fossi
appena tornata al
mondo.
Pian
piano il sentiero fatto di terra e foglie lascia spazio all'asfalto
grigio e asciutto del centro urbano.
Mi
immergo nelle strade della cittadina con un'inquietante sentore di
nuovo.
Mi
bacchetto leggermente la nuca.
Il
mondo non è cambiato Chris, non è cambiato nulla,
tranne i disastri
che hai seminato in giro. Ripeto a me stessa.
I
miei piedi seguono automaticamente la via che mi porta a casa, la
città è del tutto uguale a com'è sulle
cartine geografiche. Non
c'è segno dell'orda dei non morti, di qualcosa di
sovrannaturale. Mi
arresto solo una volta arrivata davanti al vialetto. Prendo un
profondo respiro, cercando dentro di me la calma per affrontare Sam.
Metto un piede sul primo gradino della veranda, sento l'odore di Sam
misto all'aria fredda.
Mi
soffermo in veranda, sulla sedia in vimini c'è la coperta
che tempo
addietro avevo dato a Nigel, quando era venuto a trovarmi per
chiedermi scusa. Quando avevamo per la prima volta passato la notte
assieme, semplicemente parlando, semplicemente essendoci l'uno per
l'altra.
“Chris,
sei tu?”
la
sento urlare dall'interno.
Sentire
la sua voce, sentire la sua voce in casa mi calma. L'unico pensiero
che mi passa per la mente è che sta bene.
Mia
sorella è viva e sta bene, Baba Jaga ha mantenuto fede alla
sua
promessa.
Guardo
il palmo della mano destra, dove la cicatrice, sigillo del nostro
contratto, disegna una linea nera e profonda per tutta la superficie.
Non
rispondo subito alla sua domanda, aspetto e apro lentamente la porta
d'ingresso.
Eccola.
Davanti
a me, Sam tiene tra le braccia la piccola Michelle che gioca con un
sonaglio.
“va
tutto bene? Hai una faccia...”
istintivamente
mi butto fra le sue braccia, stringendo entrambe forte e ispirando a
pieni polmoni il suo profumo.
“ehi,
va tutto bene?”
chiede
sorpresa, mentre dolcemente mi accarezza i capelli.
“sì,
è solo stata una giornata lunga. Mi sembra di non vedervi da
un'eternità!”
rispondo
ricacciando indietro le lacrime.
Lei
mi bacia lievemente sulla guancia e mi stringe ancora un po'.
“sei
stranamente dolce, sicura di star bene?”
ride.
Quel suono mi riempie l'anima. Ma la benevola sensazione sparisce
presto, quando alle sue spalle un'ombra del tutto nera mi fissa.
Strizzo
gli occhi due volte per mettere a fuoco e capire se ciò che
vedo è
reale, ma quando le riapro non c'è più nulla.
“tutto
bene?”
Annuisco
e con una scusa mi dirigo in camera.
Chiudo
la porta a chiave e mi lascio scivolare per terra.
Inizio
a singhiozzare sommessamente. Devo tenere duro.
“ricordati
che hai un compito da portare a termine”
sussurra
l'inconfondibile voce della Baba Jaga facendomi solo piangere ancora
di più.
Mi
sveglio a notte fonda. Probabilmente mi sono addormentata piangendo.
Decido
di farmi una doccia e poi rimettermi a letto.
Non
riesco più a prendere sonno, domani a scuola
vedrò gli altri.
Scendo
al piano inferiore e mi reco in cucina per prendere un bicchiere
d'acqua.
Uso
la luce interna del frigo per illuminare la stanza, mi avvicino alla
finestra che da sul cortile, scorgo la casa di Paul, completamente
oscura al suo interno. Che ore sono?
Istintivamente
mi volto verso l'orologio appeso al muro alle mie spalle, esattamente
dalla parte opposta del frigo.
Un
brivido di terrore mi percorre la schiena quando vedo in piedi sotto
l'orologio ancora quella sagoma nera che mi fissa. Indietreggio
istintivamente, colpendo con la spalla l'anta del frigo che si
chiude, lasciandomi nel buio totale.
Anche
la sagoma sembra svanire senza luce e io ne approfitto per tornare in
camera non prima di aver controllato che Sam e Michelle siano
tranquille e al sicuro.
Il
mattino arriva abbastanza presto.
Quando
scendo in cucina Sam è indaffarata nel preparare la
colazione. La
visione del cibo mi nausea, così mi limito a prendere solo
una tazza
di caffè.
“dovresti
mangiare qualcosa, ieri sera hai saltato la cena, hai bisogno di
energie”
annuisco
e prendo senza fiatare il pranzo a sacco che lei ha appositamente
preparato. Lo infilo nello zaino e dopo averle scoccato un leggero
bacio sulla guancia esco.
Una
volta sul vialetto guardo in direzione della casa di Paul. Non mi
aspetto di vederlo venirmi incontro per andare a scuola assieme,
così
prendo a camminare.
Vado
direttamente a scuola senza fermarmi da Mike, non ha senso seguire
vecchie abitudini.
Durante
il tragitto scorgo davanti a me Kelly e Sophie che chiacchierano tra
di loro dell'ultimo pettegolezzo delle riviste scandalistiche.
In
un certo senso questa banalità mi tranquillizza. Sembra
davvero come
se io non fossi mai esistita per loro, altrimenti mi avrebbero
già
additata e presa in giro.
Il
cancello si fa pian piano più nitido, così come
sento sempre più
incalzante l'ansia che cresce in me.
In
un flash, lì all'angolo destro del cancello c'è
Mandy che si
sistema gli occhiali con una mano, mentre on l'altra tiene stretta a
se i libri. Mi volto e sulla sinistra, dove ci sono i parcheggi vedo
correre Paul, tenendosi un buffo cappello con una mano, mentre la
sottile sciarpa grigia svolazza sfiorandogli le spalle.
È
il rombo del motore degli autobus a riportarmi alla realtà.
Non c'è
nessuna Mandy lì accanto al cancello, e nessun Paul che
corre verso
il cancello.
Non
più. Con un sospiro caccio via la malinconia.
Qualcuno
mi urta violentemente la spalla facendomi traballare.
“ehi,
sta attenta perdente!”
sono
le dolci e sempre gentili parole di Mark, beh se devo vedere il lato
positivo, almeno questo non è cambiato.
Stavolta
sospiro arresa. Potrei dire che è la giornata dei sospiri.
Senza
indulgiare oltre mi avvio verso i corridoi principali per entrare in
classe.
Man
mano che avanzo inizio a sentirmi a disagio mentre il cuore si fa
martello impazzito. Non voglio vederli. Non voglio incrociarli e
dover far finta di non conoscerli.
Tengo
la testa bassa concentrandomi sul movimento dei miei piedi.
Ancora
una volta quella sensazione di gelo nelle vene, ed eccola lì
in
fondo al corridoio, tra tutti gli studenti che non la vedono. La
sagoma nera che mi perseguita. Mi arresto spaventata. Perché
continua a seguirmi? Che cosa vuole da me? E chi è?
Mi
guardo furtiva attorno, nessuno si è davvero accorto di
nulla.
Ritorno a guardare al capolinea del corridoio e la sagoma è
sparita.
Al
contrario un'altra persona mista fissando sorpresa. E la cosa non mi
piace. Non mi piace per nulla. Nigel mi sta guardando, è
un'espressione strana. Di sorpresa, sì, ma inquietante e
preoccupata.
Distolgo
lo sguardo e cerco la prima via di fuga vicina. Un varco si crea tra
gli studenti e ne approfitto per sfruttarlo.
Il
primo posto che mi viene in mente in cui nascondermi è la
biblioteca. Ci entro in fretta e furia con lo sdegno della
bibliotecaria che mi intima in modo secco e prolungato di fare
silenzio con un sonoro “sssssssh!”
la
ignoro e salgo gli scalini del reparto di demonologia. Mi acquatto
tra gli scaffali cercando di riprendere fiato.
Da
uno dei ripiani con un tonfo cade un libro di pelle nera, aperto su
una pagina specifica.
Mi
avvicino gattonando, guardando prima lo scaffale, poi guardandomi
attorno e senza toccarlo mi soffermo ad osservare le pagine.
Il
titolo in testa alla pagina riporta “Papa Legba”.
Senza volerlo
sfioro ogni lettera di quel nome con le dita. Sotto appare la figura
di un uomo, o credo lo sia, molto vecchio con un ampio cappello di
paglia a tesa larga, con in mano un pipa e nell'altra uno strano
bastone. Sono gli occhi che attirano la mia attenzione. Sono come
quelli della sagoma che mi perseguita. Prendo in mano il libro per
studiarne la copertina: di pelle nera rilegato e intagliato in modo
molto elaborato. Dei tarsi formano la voce principale. LOA LEGBA.
Prendo
il libro infilandolo nello zaino all'udire dei passi.
Faccio
appena in tempo ad alzare lo sguardo, Nigel. |