cancer

di schizophonia
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"Luke, un'ultimo boccone ti prego" mia mamma ed i suoi occhi lucidi - d'un colore troppo simile al mio - mi implorano. Il mio corpo non lo regge, è difficile da comprendere per lei, e non mi aspetto che lo faccia. Avrei riversato il mio stesso sangue misto al cibo qualche attimo dopo, proprio dentro ad un cesso - se avrò la fortuna di arrivarci; ma io schiudo le labbra per far entrare il cibo dentro la mia cavità, e lei sorride radiosa, non son capace di negarglielo questo sorriso. Così porto la forchetta alla bocca, ingerendo delle disgustose verdure al vapore, che hanno ormai preso l'odore del disinfettante; tutto qui odora di disinfettante. Ah, e anche di morte, ma quello è secondario. Le gioie della gioventù. "Sono orgogliosa di te" mi lascia un bacio soffice sulla fronte e passa una mano sulla mia testa, come fosse una carezza - era solita lasciar che la mano le scivolasse tra i miei capelli biondi, e poi, cominciasse a far passare le dita su ogni ciocca - ma adesso ritira la mano con movimenti turbati. Diceva chele ricordavano il grano, adesso è più una distesa arida. Io tutto sommato, non mi son ancora accettato; ma il mio aspetto è comunque ormai secondario, ne vale la mia vita da quelle chemioterapie. "incredibile, Jack si sposa la prossima settimana, riesci a crederci? Sembrava fosse solo ieri che gli insegnavo a camminare" cambia discorso lei. "Già lo vedo a fare la stessa cosa con i suoi marmocchi" le sorrido di rimando; in realtà no, non voglio neanche immaginarlo; Jack sarebbe in grado di mettere un bambino in frullatore scambiandolo per una banana, ma di ansia mia mamma ne ha già fin troppa, così taccio. "E tu Lukey?" mi guarda con un po' di malizia, "ce l'hai qualche donzella dinanzi la tua corte?" Eh? "Mamma, veramente n-" posa un dito sulle mie labbra facendomi zittire "sh, sh, quella biondina, vi ho visti!" Quella biondina? "Ma di cosa par-" e di nuovo il suo indice mi ammutolisce. "Com'è che si chiama? Ashley?" e due più due fa quattro. "Ashton mamma, Ashton, è un ragazzo". Lei sussulta, "oh, è un-" "già" Un attimo di silenzio, lei sospira, "siamo ottimi amici" le sorrido. La sua felicità ha un prezzo, le menzogne, possono pagarlo. I tratti del suo viso si rilassano notevolmente, questo mi basta. "Hai intenzione di sposarti un giorno? Sei già così maturo e brillante, saresti un padre e un marito perfetto" i miei occhi si fan vispi, il mio volto cupo. "Mamma, potrei non arrivare ai miei ventuno anni..." Sussurro con voce flebile. Mi sento spezzato, lacerato, graffiato, ma soprattutto, mi sento privo d'ogni speranza. Di cosa dovrei vivere? Non di malattia, non di certo. "Non lo pensare neanche, tu guarirai! Okay? Affronteremo questo insieme, te lo prometto." I suoi occhi si fanno lucidi, ci prova a nascondere la verità, ma la vede incisa nel mio corpo, non sostiene neanche lo sguardo. "Non fare promesse che non puoi mantenere" Non mi guarda nemmeno, mi posa una bacio sulla fronte e scappa via, scappa da me e dalla mia malattia, perché le fa paura. E fa una fottuta paura anche a me. Appoggio la testa sullo scomodo cuscino ospedaliero; Dio, è tanto chiedere un cuscino che non somigli ad una lastra di ghiaccio? Non voglio proprio morire su un cuscino scomodo. "È permesso?" Alzo di scatto la testa puntando gli occhi all'entrata. La sua voce è insicura, traballa di titubanza — con quelle labbra ciliegia che si ritrova, non è difficile catturare l'attenzione: alto, magro ma non troppo, guance soffici, occhi trasparenti e capelli.. Blu. "Assolutamente" rispondo di conseguenza, il suo volto è incredibilmente poco familiare, mai visto in vita mia. "Dovrò stare in questa stanza e pensavo non ci fosse nessuno, mi spiace disturbarti" sorride appena. Il mio cuore quasi si spezza. Vorrei non fosse così. "Sei così bello, è un peccato"




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