Pur essendo cominciato
da poco, si vociferava già che quello sarebbe stato
l'inverno più freddo degli ultimi trent'anni: il giorno di
Natale si era presentato con temperature ben al di sotto dello zero, e
nelle settantadue ore precedenti la neve era caduta copiosa su buona
parte dell'Abruzzo.
Il
paesino di Santo Stefano era rivestito da un metro di quella spessa
coltre bianca e agli abitanti erano occorse parecchie ore pala alla
mano per liberare le strade e le porte delle case ma, a giudicare dalle
nuvole perlacee che coprivano il cielo, tutti sapevano che presto
avrebbero dovuto ricominciare daccapo: quella in montagna non era una
vita adatta a chiunque, e spesso bastava molto meno per scoraggiare le
persone a recarsi in quei luoghi durante i mesi invernali.
A Camilla, nata e cresciuta in quel paese, la neve
non faceva paura: anzi, da quando aveva superato il concorso per
entrare nell'Arma dei Carabinieri ed era stata costretta a lasciare
Santo Stefano, aveva avuto spesso nostalgia del silenzio, della
solitudine tanto facile da trovare in quelle stradine, del cielo
notturno così limpido da lasciar vedere un numero
incalcolabile di stelle. Per questo tornare a casa per quei pochi
giorni ed essere subito costretta a spalare la neve non l'aveva
infastidita neanche un po': si era messa al lavoro di buona lena, da
sola, sorridendo del proprio respiro che si levava nell'aria fredda in
nuvolette di condensa e le ricordava quanto avesse sempre amato
l'inverno, e quell'esercizio all'apparenza tedioso l'aveva fatta
sentire come se l'ultimo anno non fosse trascorso.
La festa di Natale in casa Vetri era sempre stato
un affare piuttosto caotico, e quell'anno non faceva eccezione:
un'altra cosa piacevolmente familiare per Camilla, che pur essendosi
abituata abbastanza in fretta alla vita perlopiù solitaria
in caserma, spesso sentiva la nostalgia delle cene improvvisate con zii
e cugini.
La ragazza lasciò vagare lo sguardo
sulla lunga tavolata. Gianni e Ida, i suoi genitori, continuavano a
portare in tavola vini, liquori e dolci nonostante fossero tutti pieni
da scoppiare; il padre di Gianni, Angelo, e suo cugino Desiderato erano
intenti a discutere con Adolfo e Carlo, rispettivamente figlio e nipote
del secondo, mentre la moglie di Adolfo, Daniela, chiacchierava con
Ilaria, una lontana cugina di Ida, suo marito Ernesto e le mogli dei
due uomini più anziani, Ludovica e Carola. L'intreccio di
voci riempiva la stanza tanto che era difficile cogliere più
di qualche brandello di conversazione; approfittando di quel momento di
quiete, Camilla prese il cellulare che aveva tenuto accanto a
sé per tutta la sera, lo sbloccò e
lanciò una rapida occhiata allo schermo. A sua madre, quel
gesto non sfuggì.
«Milla, non è che per caso
aspetti un messaggio?» chiese maliziosa Ida.
Sua figlia mimò una risata con aria
sarcastica, ma prima che potesse fare altro sua cugina Teresa
– l'unica figlia di Ilaria ed Ernesto – le diede
una gomitata proprio sulle costole.
«C'è qualcosa che devi dirmi,
Milla?» le domandò Teresa con espressione
esageratamente innocente.
«Se rispondo di no, mi dai un'altra
gomitata?» grugnì sua cugina, massaggiandosi il
punto colpito.
«Sì» disse risoluta
l'altra. «Allora? Perché continui a controllare il
cellulare?» aggiunse sottovoce, guardandola fisso.
«Va bene, va bene,
parlerò» bofonchiò Camilla.
«Ti ricordi che a luglio, dopo il giuramento, ho avuto una
settimana di licenza prima di prendere servizio a Milano e che sono
andata per qualche giorno a Palermo, insieme a un paio di altre ragazze
con cui ho frequentato l'accademia?»
«Me lo ricordo»
confermò Teresa.
Sul volto di Camilla si dipinse un piccolo
sorriso. «Be', la prima sera eravamo in un locale a
festeggiare. Avevamo bevuto già qualche birra, quel posto
era pieno zeppo e non riuscivamo a farci sentire da nessun cameriere,
così sono andata al bancone per ordinare un altro giro; ho
dovuto sgomitare un po' per arrivarci e farmi vedere dal barista... e
lì ho conosciuto Renato».
Le sopracciglia di Teresa scattarono verso l'alto.
«E com'è? Bello? Chi ha attaccato bottone, tu o
lui?»
Camilla scoppiò a ridere.
«Non penso che ti piacerebbe! È un bell'uomo, eh:
alto, con un gran fisico e un viso bellissimo, ma...» si
guardò intorno circospetta per assicurarsi che suo padre non
la stesse ascoltando, «ha più di
quarant'anni».
Teresa, che stava bevendo un sorso di vino, si
strozzò. «Accidenti, Milla! Ma come,
più di quarant'anni?» sussurrò a tutta
velocità. «Te lo ricordi che tu ne hai solo
ventidue? Potrebbe essere tuo padre!»
Sua cugina si strinse nelle spalle.
«Credi che non ci abbiamo pensato?»
replicò. «Sappiamo dal primo giorno che potrebbe
essere un problema, fidati, lo sappiamo. Non che sia l'unico»
aggiunse con una smorfia. «In realtà non pensavamo
neanche che ci sarebbe stato chissà cosa: ci siamo
frequentati in quei pochi giorni che ho passato a Palermo, e pensavo
davvero che una volta partita la cosa sarebbe finita
lì...»
«Ma?» la incalzò
Teresa.
«Ma abbiamo continuato a sentirci anche
quando ho preso servizio a Milano» rispose piano Camilla.
«Senza quasi rendermene conto le sue chiamate, e i messaggi,
sono diventati una costante nelle mie giornate – una bella costante; e
poi è stato quasi... naturale, organizzarci per prendere i
giorni di licenza insieme, così abbiamo iniziato a vederci
una volta a Milano e una volta a Palermo, e anche se è
complicato, e faticoso, perché del pochissimo tempo insieme
che riusciamo a ritagliarci una buona parte lo spendiamo in viaggio,
tutto quello che riesco a pensare è che per lui ne vale la
pena».
Teresa la fissò con gli occhi sgranati
per alcuni lunghi momenti.
«Milla, ti sei innamorata!»
bisbigliò incredula.
L'altra la guardò, torcendosi le dita.
«Sarebbe così grave?» chiese, incerta.
«No, certo che no!». Teresa le
prese la mano e la strinse. «È una cosa bella,
Camilla» disse in tono incoraggiante. «Certo
però, tu a Milano e lui a Palermo... dire che è
complicato è poco! Non c'è un modo per farvi
stare più vicini? Che lavoro fa? Magari lui può
chiedere il trasferimento».
Camilla sorrise debolmente. «Potrebbe,
ma non credo che lo farà né io glielo voglio
chiedere». Prese un respiro profondo. «È
un poliziotto: è nella DIA, distaccato al centro
operativo di Palermo».
Teresa si schiaffò una mano sulla
fronte. «Frequenti un poliziotto quarantenne, dell'antimafia,
distaccato a Palermo? Eh ma cazzo, Milla, te lo sei andato a cercare
con la lente d'ingrandimento!»
Suo malgrado, Camilla ridacchiò.
«Lo so: neanche se l'avessi cercato davvero sarei riuscita a
trovare un uomo con cui sia più difficile stare.
Però te l'ho detto...» sorrise di nuovo, in un
modo tanto genuino che Teresa, a vederla, si sentì
ammorbidire. «Per Renato ne vale la pena».
Sua cugina puntò i gomiti sul tavolo e
appoggiò il mento ai palmi delle mani. «Deve
essere speciale, per farti pensare questo»
commentò.
Camilla rise e nascose le mani nelle maniche del
maglione. «Sì, lo è, anche se io
preferisco dire che è matto. È uno di quegli
uomini che sembrano tutti d'un pezzo... sai, quelli sempre calmi,
controllati, a cui non riesci a far perdere la pazienza neanche se ti
ci metti d'impegno, ma che quando poi si arrabbiano, esplodono come una
bomba?». Teresa annuì. «Be', Renato
è così. Lo vedi serio serio, che ti fissa con
quegli occhi castani come se tu fossi sotto esame e poi butta
lì una battutaccia tagliente, e sul momento non sai mai se ti sta
prendendo in giro oppure no. E puntualmente la prima opzione
è quella giusta, solo che lo capisci soltanto nel momento in
cui scoppia a ridere; e ride molto più di quanto potrebbe
pensare chi non lo conosce bene».
«Non mi hai ancora detto chi ha
attaccato bottone, quella sera» le fece notare Teresa.
«Oh, è stato lui»
rispose l'altra. «Gli ho dato una gomitata dritto sul fianco
per prendere il suo posto davanti al bancone, e quando mi sono girata a
guardarlo, l'ho trovato che mi fissava tutto contrariato, con le
braccia incrociate sul petto» ricordò.
«È rimasto a guardarmi così tipo per...
non lo so, forse dieci secondi, e poi mi ha detto: “Dovrei arrestarti per
aggressione a pubblico ufficiale!”. Non puoi
capire, mi è preso un colpo, non sapevo che dire, e quando
ho iniziato a boccheggiare, il disgraziato ha aggiunto: “Però, se mi offri una
birra, mi lascio corrompere!”».
Teresa scoppiò a ridere; rise tanto da
avere le lacrime agli occhi, incurante dei pestoni con cui la stava
bersagliando sua cugina.
«E poi ti ha chiesto di
uscire» disse Teresa quando ebbe ripreso fiato.
«Macché: prima si
è fatto offrire quella birra!» replicò
Camilla, e stavolta risero entrambe.
«È stato carino»
commentò la più grande un paio di minuti dopo.
Camilla annuì.
«Sì, è vero. Alla fine quella sera
siamo rimasti al bancone per un'ora, a chiacchierare, e ho riso
talmente tanto che mi facevano male gli addominali!». Sorrise
tra sé. «La sera seguente siamo stati in giro per
il centro, e anche se suona stupido o scontato, quella sera
lì ho scoperto quanto sia dolce, sotto quell'apparenza un
po' di ghiaccio che ha».
«Stai descrivendo l'uomo perfetto,
Milla» disse Teresa.
«Renato perfetto?».
Camilla si lasciò sfuggire una strana risata, simile a un
grugnito. «Guarda, Resa, Renato è pieno di
difetti: a parte che credo sia sempre stato un po' un lupo solitario,
perché qualche volta ancora lo vedo quanto faccia fatica a
condividere i suoi spazi, ha tutta una serie di manie inimmaginabili.
Non può vedere più di uno sportello o un cassetto
aperto alla volta ed è ordinato in maniera maniacale
– roba che se trova una sedia fuori posto di due centimetri,
corre a sistemarla come dice lui; spesso è capace di stare
in silenzio anche per due ore di fila, e i primi tempi, per sapere cosa
pensasse, gli ho dovuto cavare le parole di bocca praticamente con le
pinze; e guai se gli parli appena sveglio, in quel caso può
avercela con te tutta la giornata... insomma, non te li posso elencare
tutti, ma hai capito cosa voglio dire».
«Ho capito, ho capito» disse
l'altra mentre un sorriso sornione si allargava sul suo volto.
«Ho capito che anche con tutti i suoi difetti, sei pazza di
lui».
Camilla le fece la linguaccia. «Molto
spiritosa».
«Sì, lo so, sono divertente
da morire» la liquidò Teresa. Il cellulare di
Camilla vibrò discreto sul tavolo e negli occhi dell'altra
si accese una scintilla di curiosità.
«È lui?»
Camilla sbloccò il cellulare e
aprì WhatsApp. «Sì, è
lui». Scosse la testa. «Alle undici della sera di
Natale non ha niente di meglio da fare che mandarmi un
video...»
«Smettila di brontolare e apri quel
video» la spronò Teresa.
Sua cugina obbedì: cliccò
sul link, ed entrambe brontolarono contro l'annuncio pubblicitario di
Youtube.
«Che cos'è? Sembra il pezzo
di un film» bisbigliò Teresa.
«Zitta, fammi sentire» la
rimbrottò Camilla, alzando il volume.
«Ti
amo quando hai freddo e fuori ci sono trenta gradi»
disse Billy Crystal nel video. «Amo la ruga che ti viene qui
quando mi guardi come se fossi pazzo. Mi piace che dopo una giornata
passata con te, sento ancora il tuo profumo sui miei golf, e sono
felice che tu sia l'ultima persona con cui chiacchiero prima di
addormentarmi la sera. E non è perché mi sento
solo, e non è perché è la notte di
Capodanno. Sono venuto stasera perché quando ti accorgi che
vuoi passare il resto della vita con qualcuno, vuoi che il resto della
vita cominci il più presto possibile».
Il video finì e Teresa diede una
spintarella a Camilla, immobile accanto a lei con un sorriso ebete
stampato in faccia.
«Teeenero»
ridacchiò. Vide il sorriso sparire dal viso di sua cugina,
gli occhi sgranati fissi sullo schermo del cellulare. «Che
c'è?»
«Mi ha mandato un altro messaggio,
mentre guardavamo il video» rispose Camilla.
«E allora? Che ti ha scritto di tanto
strano per farti fare questa faccia?»
Camilla si schiarì la voce.
«“Avevi
ragione: la neve non è poi così male”»
lesse.
Teresa la scrutò perplessa per alcuni
istanti; poi sgranò gli occhi in una perfetta imitazione di
Camilla.
«No!»
bisbigliò. «Credi che sia...?»
Le due ragazze scattarono in piedi e corsero alla
finestra: proprio lì fuori, ferma in mezzo alla strada,
c'era un'alta figura avvolta in un cappotto pesante, il volto nascosto
dal cappello e dalla sciarpa.
«Muoviti, vai». Teresa
spronò Camilla sottovoce; la spinse verso la porta della
sala da pranzo, e l'altra si scaraventò in corridoio.
«Milla? Dove vai?»
chiamò Gianni.
«Niente, zio, torna subito» lo
distrasse Teresa, andando a sedere accanto a lui.
«Perché non ti fai battere a briscola?»
Gianni s'impettì. «Non
t'illudere, Resa: non mi batterai mai».
«Vediamo» lo sfidò
lei.
Camilla si affacciò e le
scoccò uno sguardo grato, poi scattò verso
l'attaccapanni, s'infilò rapida la giacca da neve e
aprì la porta d'ingresso, stando attenta a non fare rumore:
se l'accostò alle spalle e corse verso l'uomo ancora
immobile, mentre i primi fiocchi di neve ricominciavano a cadere.
«Renato?» disse piano, incerta.
Lui abbassò la sciarpa con cui si era
coperto naso e bocca e le sorrise.
«Ciao, Milla»
salutò allegro.
Camilla lo fissò senza neanche battere
le palpebre, quasi temesse che l'uomo potesse sparire da un momento
all'altro.
«Che – che ci fai qui?»
farfugliò la ragazza.
Renato alzò una mano inguantata e fece
dondolare una busta colorata, di carta rigida, che Camilla non aveva
notato. «Sono venuto a portarti il tuo regalo di
Natale».
«Sei venuto fin qui da Palermo solo per
portarmi un regalo?» ripeté Camilla, per nulla
convinta.
Lui si strinse nelle spalle.
«Perché no?»
«Perché è
folle?» ribatté sarcastica Camilla.
Renato le tese il regalo.
«Aprilo».
Lei prese la busta e l'aprì. Ne
scrutò il contenuto per un lungo istante, poi
tirò fuori con estrema cautela un mug: era celeste, con
impresso il logo della Polizia di Stato ormai un po' sbiadito.
«Renato» esordì
lentamente Camilla, «perché ho in mano la tua
tazza?».
«Perché l'avevo messa nella
busta?» replicò divertito l'uomo.
Camilla gli lanciò un'occhiataccia.
«Bene: riformulo» disse secca. «Renato,
perché ho in mano la tua
tazza, quella a cui non fai avvicinare nessuno?»
«Perché ho deciso di darla a
te?» insisté Renato.
La ragazza chiuse gli occhi; prese un respiro
profondo mentre la neve continuava a cadere, lieve e silenziosa,
ricoprendo il selciato e le loro teste. «Guarda che me lo
ricordo come hai reagito l'unica volta che l'ho toccata – a
casa tua, dopo la colazione. Mi ricordo che sei diventato pallido come
un morto in qualcosa come un secondo netto, neanche avessi toccato una
reliquia sacra, quindi scusa se non capisco come mai all'improvviso
l'hai infilata in una busta e me l'hai portata». Il suo
sguardo si addolcì. «Non lo dico per criticarti:
capisco che ci tieni tanto perché te l'ha regalata tua madre
quando sei diventato un poliziotto e che per parecchio tempo lei
è stata l'unica a sostenerti in questa scelta, me l'hai
spiegato... ma questo cambiamento proprio non lo capisco»
aggiunse in tono di scuse.
Renato fece un passo verso Camilla e si
fermò vicinissimo a lei.
«Io, Renato Baldelli, dichiaro qui e ora
– con il naso e i piedi gelati – che da stasera la
mia amatissima tazza della colazione è affidata a te: voglio
impallidire ogni giorno della mia vita al pensiero che possa scivolarti
dalle mani e rompersi, per poi ricredermi ogni volta. E la stessa cosa
faccio con il mio cuore» disse solenne. Le sfilò
l'oggetto dalle mani e lo ripose nella busta, poi le spazzò
via con delicatezza la neve dai capelli. Sorrise di fronte
all'espressione folgorata di Camilla. «Lo so che è
folle, che è difficile, che è presto –
ma ho capito una cosa: io la mia vita voglio passarla con te. E dato
che non potevo presentarmi qui con un anello e una proposta di
matrimonio – perché sono sicuro che mi avresti
detto di no, visto che ci conosciamo solo da qualche mese –
ho portato la tazza. Non per lasciartela, ma perché tu possa
portarla a casa – la nostra
casa».
Camilla si coprì la bocca con una mano
tremante, gli occhi pieni di lacrime; poi colmò il poco
spazio che la separava dall'uomo e lo abbracciò con tutta la
forza che aveva, piangendo silenziosamente con il volto nascosto contro
il suo petto.
«Tu sei matto»
mugugnò nel piumino di Renato. Le lacrime sulle sue guance
si asciugarono a contatto con l'aria fredda mentre la prima risata le
sfuggiva dalle labbra. «Sei completamente matto!»
«Sì, da quando ci siamo
conosciuti me l'hai fatto notare giusto due o trecento volte»
rispose lui con un sorriso, strofinandole le mani sulla schiena. Quasi
subito, però, tornò serio. «Lo so che
ti sto chiedendo molto, Camilla, ma... posso considerare questa tua
reazione come un sì? Saresti disposta a farti trasferire a
Palermo e venire a vivere con me? Voglio dire» aggiunse in
fretta, «so che potrei trasferirmi io a Milano
ma...».
«... non vuoi farlo» concluse
Camilla per lui, staccandosi per guardarlo in volto. «Va
bene, ha senso: tu sei lì da più di dieci anni,
ci hai costruito la maggior parte della tua carriera, hai anche
comprato una casa... per me non fa differenza, davvero: sono a Milano
da troppo poco tempo per sentirmi legata a quel posto, e tra qualche
mese o magari un anno mi trasferirebbero di nuovo, quindi alla fine me
ne sarei andata comunque». Lo guardò, un po'
preoccupata. «Pensi che ci sia qualche possibilità
che mi trasferiscano proprio a Palermo?»
«In un modo o nell'altro ci riusciremo.
Posso provare a parlare con i miei superiori... spiegare loro la
situazione e chiedere di darci una mano» rispose Renato.
«Se tu lo vuoi».
Camilla annuì. «Certo. Certo
che voglio».
Renato sorrise di nuovo e si chinò a
baciarla: Camilla gli afferrò il volto con le mani gelide e
lo attirò verso di sé, impaziente di sentire la
sua bocca sulla propria. I due rimasero allacciati l'uno all'altra a
lungo, incuranti della neve che cadeva sempre più fitta;
solo quando la campana della chiesa suonò la mezzanotte
sciolsero quell'abbraccio.
La voce di Camilla ruppe il silenzio.
«A questo punto, credo proprio che
dovrò dire a mio padre di te».
Ridacchiò. «Gli verrà un
colpo!»
«Come sei drammatica»
replicò placido Renato. «Io penso che si
limiterà a odiarmi».
«Quello è
garantito» scherzò lei. Offrì la mano
all'uomo. «Ripensamenti?»
Renato afferrò la mano tesa.
«Neanche uno».
Insieme, Camilla e Renato raggiunsero il portone
di casa Vetri e varcarono la soglia, le dita intrecciate in una stretta
quasi indissolubile.
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