oblivion
I. Oblivion
Are you going to age with grace?
Are you going to age
without mistakes?
Or only to wake
and hide your face?
Are you going to leave
a path to track?
Qualche
anno fa, da qualche parte lungo la Grand Line
L'uomo
prese la rampa di
sudicie scale di legno brunito dall'umidità che conduceva al
pianterreno, avvertendo i suoi nervi che si tendevano allo spasimo e
una spiacevole sensazione alla bocca dello stomaco.
In un posto come quello non avrebbe potuto abbassare la guardia neanche
per mezzo secondo, ma doveva andarci lo stesso.
Sistemandosi la parrucca castano rossiccia, che per inciso gli faceva
prudere lo scalpo manco avesse avuto un'infestazione di pidocchi in
corso, e gli occhiali dalle lenti scure, varcò la soglia
della
locanda segreta posta sotto il casinò; un ritrovo lercio di
avanzi di galera, puttane e accattoni.
L'aria era pesante, grassa e calda per via delle candele di sego che su
alcuni tavolini sostituivano le lampade ad olio, e del ristagno di fumo
di sigaretta e di qualcos'altro, ma almeno in quel modo non avrebbe
avvertito troppo la morsa dell'umidità di
quella notte fredda e piovosa (erano quasi tutte
così da quelle parti, ecco perché odiava le isole
d'autunno).
Le pareti, ingiallite dal fumo e dalla sporcizia, erano state
maldestramente rivestite per metà della loro altezza
di
legno di cedro scadente, proprio per occultare l'intonaco scrostato e
le macchie simili a larghe carie nerastre.
Dappertutto si respirava un miscuglio di odori da far rivoltare lo
stomaco: muffa, sudore, birra stantia, tabacco, caffè
bruciato, e
un lezzo pungente che proveniva dalla latrina e a cui
preferì non pensare, si
mescolavano ai profumi dolciastri delle prostitute, al loro belletto in
crema e all'acqua di colonia maschile da quattro soldi.
Avanzò con aria rilassata, quasi svanita, senza posare lo
sguardo direttamente su nessuno, per evitare seccature di qualsiasi
tipo.
Si era informato bene su quella topaia prima di buttarsi a testa bassa
in quella faccenda,
e aveva sentito dire dai soliti beninformati
che là dentro era consuetudine imbattersi in risse piuttosto
violente, rapine e perfino omicidi, mentre gli stupri non erano
assolutamente tollerati dal proprietario e dai suoi dipendenti.
Forse erano maggiori i rischi di beccarsi denunce e ispezioni, oppure
al locandiere seccava dover soccorrere la malcapitata di
turno,
considerò l'uomo tra sé.
In un angolo del bancone, non troppo distante da lui, era in corso una
partita a carte tra energumeni barbuti, bruciati dal sole e dall'aria
non troppo pulita, a cui facevano da contraltare due graziose
baldracche sui diciotto anni o forse venti, una rossa e l'altra con un
caschetto scuro, che stavano incollate ai fianchi degli omoni
lì
presenti, ritrovandosi le loro rudi mani callose lungo il corpo di
continuo, lungo le scollature e sotto le minigonne aderenti, cosa che
suscitava gridolini e risate maliziose da parte delle due.
L'uomo si voltò disgustato.
Non era certo uno di quei bigotti fanatici del governo a cui premeva
particolarmente dichiarare fuorilegge la prostituzione, chi la
praticava e chi ne "beneficiava", ma lo disturbavano i suoni forzati e
striduli delle due ragazzine e il terrore annidato dietro i loro grandi
occhi pesantemente dipinti.
Tuttavia non era lì per fare la parte dell'eroico paladino
della
giustizia per quel manipolo di donnine, perciò si
rassegnò ad occupare un tavolino vuoto e defilato, quasi
troppo
basso per le sue gambe esageratamente lunghe, quindi chiese un rum
liscio al ragazzo dai denti marci che gli si avvicinò a
prendere
il suo ordine.
Mentre aspettava, notò una giovane prostituta bionda che gli
stava di fronte, sull'altro lato dell'enorme salone, e gli sorrideva
sfrontatamente col suo visino a cuore, imbrattato di troppo trucco per
farla apparire più grande dei sedici anni che doveva avere;
la
sua mente la associò a Magda, ripetendosi che
almeno tutta
la rognosa operazione sotto copertura durata più di un mese
e
portata a termine solo quattro giorni prima, aveva portato a qualcosa
di buono.
La biondina non ancora maggiorenne, proveniente dal mare meridionale, a
quell'ora doveva già essere stata imbarcata sul mercantile
che,
scortato da due galeoni della marina, avrebbe fatto ritorno al suo
minuscolo e poverissimo arcipelago natale, circondato da caldi mari
verdi e cristallini.
La temuta banda di trafficanti di armi e schiavi, in combutta
con
due ciurme di pirati e alcuni funzionari locali corrotti, che la faceva
da padrone in quell'insulso tratto di mare compreso tra tre isole quasi
confinanti, era stata finalmente e completamente sgominata, e in quel
modo l'uomo e i suoi colleghi avevano potuto liberare sia i disgraziati
che nel giro dei giorni successivi sarebbero finiti nel giro di schiavi
delle isole Sabaody, sia le ragazze tenute prigioniere, picchiate e
costrette a svendersi per soddisfare i loro carcerieri, che abusavano
di loro in tutti i modi possibili.
Magda era stata salvata dopo ben quattro anni dalla sua rocambolesca
fuga dalla miseria e dall'interminabile lavoro per sfamare i suoi
cinque fratellini minori, e se non altro non si era dovuta portare
dietro nessun piccolo bastardo, sorte spettata invece a quasi tutte le
sue compagne di sventura.
Gli sarebbe mancata quella coraggiosa ragazzina, così decisa
ad
andarsene di lì e tornare dalla sua famiglia nonostante
tutto,
che aveva subito accettato di collaborare con lui e gli altri marines
come spia.
Una personcina gentile, onesta, che si era mantenuta pulita
nonostante tutto, e l'uomo si augurò che chi si era preso
l'impegno di aiutare lei e i suoi consanguinei non la deludesse, e che
la vita non la punisse più a quel modo.
Alcuni
suoi colleghi avevano anche goduto delle "arti" da lei apprese e
affinate negli ultimi anni, e per quanto l'avesse trovata deliziosa, e
non gli fosse affatto dispiaciuta la prospettiva di vedere i suoi
limpidi occhi verdi resi scuri dal piacere, o il suo nasino a patata
arricciarsi durante i gemiti, aveva preferito rinunciare.
Voleva che lei lo rammentasse come il suo generoso benefattore, non
l'ennesimo idiota che si era approfittato di lei, in un modo o
nell'altro.
Tracannò d'un fiato il rum, che gli bruciò dentro
come lingue di fuoco liquido, e ne ordinò un altro.
Il giovane cameriere dai capelli biondo paglia aveva lo sguardo acquoso
ma insistente, e per un attimo l'uomo sentì un brivido
gelido (lui?) scivolargli
lungo la schiena, al pensiero che chi aveva diretto i traffici illeciti
fino a pochi giorni prima fosse stato messo al corrente della sua
presenza e avesse messo dei tagliagole sulle sue tracce, ma poi si
disse che no, non poteva seriamente averlo riconosciuto.
Non con quel pastrano troppo lurido per definirne il colore, le vesti
lise, la barba e i capelli posticci e l'aria derelitta da morto di
fame, che lo rendevano lontanissimo dalla sua solitamente impeccabile
immagine da Ammiraglio del QG della Marina.
Finalmente l'oggetto del suo maggior interesse si palesò
sotto i
suoi occhi, quasi all'improvviso; dalle stesse scale percorse dall'uomo
qualche minuto prima, era scesa una donna alta, con lisci capelli
corvini e un lungo cappotto bianco che risaltava come un faro in mezzo
alla penombra fumosa del salone, così come il fedora in
tinta.
La nuova arrivata avanzò lenta e assorta, impenetrabile sui
suoi tacchi che percuotevano leggeri il pavimento di pietra.
Sembrava avvolta da una
bolla di
superbo distacco, e ignorò i fischi e le proposte indecenti
di
un paio di imbecilli appostati in fondo al locale. Si sedette quindi al
bancone, rivolgendo le spalle a chiunque, e ordinò in poco
più di un sussurro.
L'uomo si
portò il suo
bicchiere alle labbra, studiando indolente i movimenti della nuova
arrivata, che aspettava pacata con una mano affusolata a reggerle il
viso.
Quando lo stesso
cameriere che aveva
servito lui le mise davanti una bottiglia di vino rosso scuro e un
elegante calice, la mora si versò una quantità
appena
sufficiente a coprire il fondo del largo bicchiere.
Non perse tempo a
rimescolarlo o
darsi arie da raffinata intenditrice; lo bevve con calma, sempre
rivolta alla parete di fronte a lei.
Con un movimento
fluido, fece
scivolare fuori da un taschino interno del cappotto una piccola foto, e
la posizionò accanto al calice.
Nessuno la guardava, si
assicurò la donna guardandosi brevemente attorno, e poi la
foto
era talmente ridotta nelle dimensioni che su quella superficie lignea
inondata dalla luce delle vicine lampade ad olio sarebbe stato
difficile vederla da lontano; inoltre era in parte nascosta dalle sue
braccia ai due lati.
Eppure l'uomo, per
quanto fosse
riuscito a cogliere solo un lampo dell'immagine, era quasi certo di
aver riconosciuto un volto femminile, giovane e incorniciato da una
chioma folta e candida come fiori di cotone.
Che fosse...? Vide la
mora sollevare ancora il calice e bisbigliare un "auguri", prima di
svuotarlo.
Non resistette
più.
Si alzò in
piedi, raggiunse
il bancone fingendo di attendere il ritorno dell'inserviente dall'aria
ottusa, e intanto si concesse di mormorare alla donna:
- E così
stamattina hai ammazzato quell'agente governativo per
festeggiare degnamente tua madre, Nico Robin?-
L'altra non si
scompose, né cambiò la sua posizione.
Si limitò a
posare la bottiglia dopo aver nuovamente riempito il calice.
La sua espressione si
era mantenuta
mite come quell'umida notte di pioggia leggera, ma i suoi occhi chiari
erano ora freddi, duri e taglienti come la lama di un pugnale.
- Veramente no- rispose
infine, con
un lieve sorriso impertinente ad incresparle le labbra -l'ho fatto solo
perché me l'hanno ordinato. Non ne avevo neppure voglia.-
L'uomo
aggrottò appena la
fronte: il candore di quell'ammissione e il sarcasmo di cui era venata
gli stavano facendo risalire l'alcol verso la gola, insieme alla bile.
- Raccontalo a sua
moglie e a sua
figlia, che per la cronaca ha solo otto anni.- insistette, con la voce
gelida che tradiva una punta di disgusto.
La donna
sogghignò, si sporse
con il busto verso di lui ruotando su sé stessa, e
sillabò con fare quasi provocante.
- E allora? Cosa vuoi
che me ne
freghi? Se sei qui per arrestarmi, fallo. E se vuoi ammazzarmi, fallo
lo stesso, o almeno- ammiccò -provaci. O hai bevuto al punto
che
ti credi la voce della mia coscienza, Aokiji?- lo sfidò, con
un
sorriso sfrontato.
Il marine
notò la scintilla
divertita nei suoi occhi azzurri, lo stesso azzurro tenue e luminoso
della primavera, quando il cielo conserva ancora un'ombra fredda
dell'inverno. Non riusciva a capire cosa gli desse più
fastidio:
Nico Robin che giocava alla perfetta serial killer, feroce e spietata,
o il fatto che lui se ne preoccupasse.
Che diavolo aveva
creduto fino a
quel momento? Che a quell'età e con le sue
capacità,
ancora si lasciasse schiavizzare dal Crocodile di turno? No, lei era così. Un demonio, ecco che trovava
il fondo di verità nelle voci su di lei.
- Quelle come te non
hanno nessuna coscienza.- commentò lui asciutto.
- Può darsi-
concesse lei, senza più guardarlo in viso, con la stessa
aria sorniona di prima.
- Allora? Cos'era
questa? Una
vendetta trasversale? Su una bambina che aveva la tua stessa
età
quando hanno ammazzato tua madre, Clover e tutti gli abitanti della tua
isola...-
- Oh, per niente. Non
m'importava
niente di quella mocciosa o di sua madre, sai. E comunque il governo
non le farà mai mancare nulla, compresa un'istruzione di
alto
livello e un lavoro prestigioso, quindi su quello puoi anche mettermi
il cuore in pace. Non ti facevo così sentimentale. Si
direbbe
quasi che tu abbia avuto un qualche trauma infantile, grande
ammiraglio...-
Aokiji
sospirò innervosito.
Non era la piega che aveva previsto per quella conversazione, e
l'aperta derisione della ricercata al suo fianco iniziava a seccarlo
sul serio.
Poteva sempre
congelarle il sangue
ancora caldo che scorreva nelle vene e alimentava gli organi,
ricoprendo ogni centimetro di pelle di minuti cristalli scintillanti,
strappandole il fiato direttamente dal petto, accecandola, e rendendola
la splendida regina di ghiaccio che tanto voleva essere.
- Chissà
come sarebbe fiera
di te Nico Olvia, vedendo che razza di delinquente sei diventata, e con
che gente te la fai. Si dice che tu sia anche la puttana di Crocodile,
è vero?-
Gli occhi rabbiosi
della donna lo trapassarono da parte a parte, ma non rispose.
" Finalmente una
reazione da essere
umano. Stai attenta, donnina, non sei l'unica che sa giocare a questo
gioco" pensò lui soddisfatto.
Un angolo della bocca
di Nico Robin si sollevò.
- Certo che voi cani
ammaestrati della marina amate parecchio i pettegolezzi.-
- Non hai risposto alla
domanda. Cosa penserebbe tua madre vedendoti?-
- Non lo so.
Perché credi che
m'interessi? Per questa? E' solo una vecchia foto.- asserì
lei,
e per dimostrarlo, la avvicinò ad una lampada vicina al suo
braccio, facendola bruciare sotto il suo sguardo impassibile.
- Bruciare quel pezzo
di carta non
è sufficiente, Nico Robin. Se te la portavi dietro, vuol
dire
che sei rimasta esattamente la stessa marmocchia di diciotto
anni
fa, debole, patetica e mammona. Non importa quanta gente ammazzi o da
chi ti fai sbattere per ottenere protezione e potere.-
Stavolta il suo viso
rimase
imperscrutabile, liscio come una lastra di marmo, ma l'odio della
fuorilegge era comunque intuibile dalla mano stretta sul bordo
del
bancone, così forte che tremava.
- Pensi di sapere tutto
di me, vero?- lo interrogò con un sibilo.
- So quanto basta. So
chi sei e cosa
fai, e posso solo immaginare quello che farai in futuro se non ti
ammazzo qui stanotte. Pensavi davvero di potermi sfuggire per sempre?-
La mora non rispose.
- No.- disse infine,
nuovamente con un ghigno ironico.
- No che cosa?-
sbatté le palpebre lui.
- Non credevo di poter
scappare per sempre, ho sempre saputo di avere i giorni contati.-
- Tanto vale che ti
rassegni a crepare qui, allora.-
- Le due cose non sono
collegate tra loro.- sottolineò la donna sarcastica.
- Oh davvero? Quindi
anche un demonio come te ha paura di morire?-
- Non si tratta di questo. Forse non ci tengo a morire qui e per mano
tua, certo, ma ho delle cose da fare, e vorrei portarle a termine prima
che arrivi la mia ora.-
- Che idiozie...- mormorò Aokiji - rincorri ancora gli
stupidi
sogni degli studiosi di Ohara? Non troverai mai tutti i Poignee Griffe,
ce ne sono troppi e tu hai tutta la marina e i peggiori tagliagole del
governo a darti la caccia, come cani da punta. O credi che essere
passata dalla parte di uno shichibukai possa fermare certa gente dal
proposito di farti la pelle?-
- Non mi aspetto che tu capisca.- chiuse gli occhi lei.
- E comunque Crocodile prima o poi ti tradirà, non illuderti
di
significare qualcosa per lui. E' un pirata, non un benefattore.-
- In ogni caso non ti riguarda.- tagliò corto lei, che ne
iniziava ad averne abbastanza di quell'ostinato bastardo. Possibile che
dopo quasi vent'anni continuasse ancora a starle col fiato sul collo?
Se non fosse stato per il suo stupido potere, l'avrebbe già
ammazzato da una vita e gettato in mare con un peso al collo, quindi si
sarebbe perfino dimenticata la sua faccia.
- Come dici tu, la scelta dei tuoi alleati è solo tua, ma mi
stupisce che una donna intelligente e pragmatica come te, mettiamola
così, si perda dietro assurdi sogni infantili. Posso capire
quel
vecchio pazzo di Clover, che a furia di stare rinchiuso con i suoi
allievi, nella sua biblioteca a studiare, si era rincitrullito, e
quell'ingenua di tua madre...ma tu? Non conosci abbastanza le cose del
mondo da capire che non ce la farai mai? O che in ogni caso non te la
lasceranno mai diffondere quella
storia?-
- E allora? Credi che mi fermerò per questo? Solo
perché potrei morire provandoci?- replicò lei,
stizzita.
- Tu forse abbandoneresti la Marina, solo perché il prossimo
incarico potrebbe esserti fatale? Perché tanto l'era della
pirateria non sembra voler finire e non ce la farete mai ad arrestarli
tutti o anticipare le loro razzie? Vuoi davvero dirmi questo?-
- Io lo faccio perché devo,
donna. Non paragonarmi a te.- disse lui, mentre la temperatura del
salone iniziava a calare.
- E vale anche per me. Potrò anche morire dopo, non
m'interessa molto.- il suo sguardo, limpido e sereno, sosteneva senza
esitazioni quello scuro e minaccioso dell'altro.
- Tutte sciocchezze.- ma le sue parole suonarono deboli e inadeguate
anche alle sue orecchie. C'era coraggio in quella donna, doveva
ammetterlo, una donna sola che temeva il mondo e detestava
sé
stessa, ma comunque continuava ad annaspare per restare viva, e che pur
essendo diventata ormai miserabile e al di là di ogni
redenzione, voleva portare a termine il lavoro di una vita di sua
madre, del suo mentore e dei suoi amici.
I soli che avesse mai avuto.
Eppure a lui tutto quello non doveva importare. Non doveva provare pena
per lei, o non avrebbe adempiuto ai suoi doveri. Non doveva lasciarsi
vincere dalla sua gentilezza, doveva solo arrestare una criminale, la
peggior criminale, e consegnarla al boia.
Fine della storia.
Perché per gli altri era sempre così facile, dannazione?
Non poteva anche lui masticare trai denti la sua etica e sputarla via,
almeno per una volta?
Sì, l'aveva risparmiata per Sauro a Ohara, ma allora era
solo una bambina, un'innocente, adesso non lo era più.
- Non posso dimenticare ciò che sei, Nico Robin, o da dove
provieni.- confessò infine, sospirando amaramente.
- Lo so, se potessi lo dimenticherei anche io.- sogghignò
lei,
calma. Non c'era paura in lei, e neanche odio o rabbia. Forse non c'era
più niente in lei, a ben vedere, però...gli
tornò
in mente un ricordo, un'immagine sbiadita dalla memoria, urla, fuoco,
bombardamenti, la terra che tremava, il mare che s'ingrossava,
disturbato nella sua quiete.
Una barchetta che lui aveva lasciato scappare.
Allora come adesso, si era sentito combattuto, ma anche impotente.
Quella bambina sarebbe vissuta in mezzo alla sporcizia, e poi sarebbe
morta. Non c'erano speranze per lei.
Era sopravvissuta, ma adesso...la morsa stava per chiudersi su di lei.
- La tua fortuna sta per esaurirsi. Un giorno commetterai uno sbaglio,
farai un passo falso, ti fiderai delle persone sbagliate. E
sarà
la tua fine.-
- -Un giorno?- celiò lei - Non è questo?-
- Taci, donna. Ti concedo cinque minuti, forse dieci. Sparisci dalla
mia vista, e dall'isola. Se ti troverò quando
uscirò da
qui...sarai morta.-
Nico Robin soppesò in silenzio quelle parole, lo
fissò a
lungo, quindi si alzò e andò via, silenziosa come
la
brezza della sera, con quel suo stupido cappotto bianco che attirava
troppo l'attenzione.
" Tre anni di lavoro andati in fumo. Ci farò una gran
figuraccia, e quel bastardo di Sakazuki...no, meglio non pensarci. E mi
tocca pure pagarle il conto, tsk." pensò Aokiji seccato.
Eppure sulle sue labbra adesso aleggiava un mezzo sorriso.
Non vedeva l'ora di uscire da quella topaia puzzolente e sentire di
nuovo il profumo del mare, e passeggiare lungo la spiaggia scura e
deserta.
La pioggia era finita, e per fortuna il molo era vicino.
Angolo dell'autrice:
Raccolta senza pretese di missing moments su vari personaggi, con varie
ambientazioni cronologiche.
Il tema portante, come suggerisce il titolo, sarà quello che
accomuna tutti i pirati e marines, ovvero la presenza costante del mare
nelle loro vite; a volte questa presenza apparirà
fisicamente, a volte invece si manifesterà solo nei pensieri
o nei ricordi dei personaggi.
E niente, torno ad eclissarmi.
Un sentito ringraziamento a chiunque legga dall'autrice, e naturalmente
le recensioni a questa scemenza, anche critiche, sono sempre ben
accette.
Bye
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