Letters To A Stranger

di Alison92
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Non era difficile prevedere il vento gelido di quella notte, ma il cielo all’inizio sgombro, divenne carico di nubi grigiastre. La pioggia scivolava quasi stanca, le gocce sulle ciocche di Susan cadevano ritmicamente e i suoi vestiti erano ormai impregnati dall’odore del temporale. Non avevano fatto molta strada, a quell’ora le luci sembravano più flebili e tutte le saracinesche erano abbassate. Solo una farmacia era ancora aperta, ma oltre a un signore dall’aria stanca, non c’era nessuno. Sembrava una città fantasma. Un paio di fanali illuminarono la notte e Susan dovette socchiudere gli occhi.
-Non c’è molto da vedere.
-So che c’è un parco nelle vicinanze. Niente di che, ma è pur sempre qualcosa.
Susan si era infine lasciata convincere da Felix, nonostante non avesse molta voglia di girare la città. Nessuno dei due si curava molto della pioggia, Felix non si protesse la testa dall’acqua neanche utilizzando il cappuccio della sua giacca. Il piccolo parco, come il resto di quella sconosciuta città, era deserto. Susan temeva di trovarlo occupato da gente di malaffare, ma chiunque era stato scoraggiato dal cattivo tempo. La pioggia scorreva sugli scivoli come fiumi in piena, il terreno era saturo di acqua e dalle foglie degli alberi cadevano pesanti gocce. Oltre al tintinnio prepotente dell’acqua, non si univa nessun’altro rumore. Susan si diresse verso le altalene, seguita da Felix, e si accomodò sul sedile fradicio. Strinse le dita alle catene e lasciò che le sue scarpe s’infradiciassero sulla pozza di acqua e terriccio sotto di lei.
-Quando ero piccola ne avevo il terrore.- Disse voltandosi verso Felix, seduto sull’altalena accanto alla sua.
-Vedevo i bambini volteggiare e arrivare a sfiorare con le punte dei piedi i rami degli alberi che circondavano il parco. Sembrava che potessero alzarsi in volo, oppure rovinare per terra e rompersi qualche ossa. Sentivo il cuore battere più del dovuto quando mi dondolavo anche io, non ero in grado di entrare in armonia con il movimento dell’altalena e temevo di cadere. Alla fine, decisi di non salire mai più su uno di questi giochi infernali, non volevo finire all’ospedale con un braccio rotto, o una costola fratturata. Infine, un giorno, superai la mia paura. Ero insieme a una bambina poco più grande di me, una delle classiche ragazzine che riuscivano a catalizzare l’attenzione sulle sue trecce bionde, le numerose catenine al collo e i racconti di cose considerate da noi proibite. Pur di non apparire incapace e spaventata, salii su quell’altalena e concentrai i miei pensieri sulla spinta corretta che dovevo darmi con i piedi, per cercare di non perdere l’equilibrio o lasciare la presa sulle catene. Mi lasciai andare e anche i miei piedi sfiorarono i rami alti dell’albero difronte all’altalena. Adesso non comprendo neanche come io abbia potuto avere paura di questo.
Felix ascoltò in silenzio, rimanendo con gli occhi fissi su Susan. 
-Sembra così facile abbattere le proprie paure. Io, nonostante tutti gli anni che sono passati, ho ancora timore di guardare “Lo Squalo” da solo.  
Susan scoppiò a ridere e strinse le mani alle catene dell’altalena, pronta per lasciarsi dondolare.
-Non so Harvey, magari è davvero facile. Stasera mi hai fatto affrontare una delle mie paure più recenti ed è stato più facile di quanto credessi.
-Non hai lasciato la città da quando ti sei trasferita?
Scosse la testa, aveva raccontato a Felix di suo padre, dell’incidente e del suo cambio di residenza. Non avrebbe mai più cambiato città, era nata lì e ci sarebbe rimasta finché avrebbe potuto.
-Sei stata tu, io non ho fatto nulla Susie. Anche senza di me, saresti stata in grado di uscire dalla città, perché potresti fare qualsiasi cosa se solo lo volessi.
-Io non direi.
Se Susan fosse stata in grado di fare ciò che le aveva detto Felix, avrebbe già deciso di cercare Leo, di ricostruire il suo passato dal principio e continuare a vivere. Riuscire a rimettere al loro posto i pezzi di quel capitolo sarebbe significato per lei andare avanti, segnare un taglio definitivo con il passato. Cosa la bloccava dall’andare a cercare quel ragazzino? Aveva forse paura di sapere chi fosse diventato, com’era cresciuto? Nella sua testa era perfetto, se solo lo avesse rincontrato l’immagine di lui si sarebbe frantumata.
-Prima o poi te ne renderai conto tu stessa.
Smise di piovere. Le grosse nubi coprivano ancora il cielo e il freddo si era insidiato fin dentro le ossa di Susan. I vestiti e i capelli bagnati non aiutavano, si sarebbe svegliata l’indomani intorpidita e raffreddata.
-Andiamo?
-Andiamo.
Il ritorno non fu piacevole come l’andata. Susan aveva freddo e la pelle delle sue mani era arrossata e gelata. Felix la strinse a sé, nel tentativo di riscaldarla durante il viaggio che li avrebbe riportati entrambi in città.
-Ne è valsa la pena comunque.- Le disse un’ora e mezza dopo. Susan si era raggomitolata sul sedile anteriore della macchina di Felix, che le aveva ceduto la sua giacca. Al contrario di lei, il ragazzo non appariva per niente infastidito dal freddo della notte e dall’acqua che gli infradiciava ancora i vestiti e i capelli biondi.
-Rachel e Thomas non saranno per niente felici quando li chiamerò per dirgli che sono a letto con la febbre.
-Però ne è valsa la pena.
Susan voltò la testa affinché potesse guardare meglio Felix. Con il viso illuminato dalla fievole luce stradale, i capelli gocciolanti e gli occhi scuri fissi sulla strada, appariva come un angelo in quella notte troppo fredda per lei.
-Si, hai ragione.
-Sembri stanca.
-Lo sono.
Felix voltò la testa, osservando Susan rannicchiata dentro la sua giacca, in un disperato tentativo di tenersi al caldo.
-Sembri una bambina.- Le disse, ridendo e rivolgendo il suo sguardo alla strada. Per qualche secondo, Susan tornò bambina seduta sul sedile della macchina di Felix, con le luci della strada che illuminavano la notte di fine novembre e il lieve odore piacevole che emanava la giacca del ragazzo. Se solo avesse potuto tornare piccola, se solo le fosse stato concesso di rivivere tutto dall’inizio.
-Eccoci.
Erano sotto casa di Susan. Lei non avrebbe voluto scendere e separarsi da Felix, restare con lui era tutto ciò che voleva in quel momento.
-Sono le quattro di mattina.
-Eppure, non è ancora sorto il sole. Avanti Susan, sono certo che il tuo letto è più comodo della mia macchina.
-Lo credo anche io.
Susan si tolse di dosso la giacca del ragazzo e il freddo torno ad accapponarle la pelle. Felix si sporse e le pose un bacio sulla fronte ancora umida, poi le sorrise.
-Grazie per avermi accompagnato, sono stato felice questa sera.
Anche Susan era felice quella sera, lo sarebbe sempre stata in qualsiasi sera trascorsa con Felix.
La mattina seguente, con sua meraviglia, Susan non sentiva gli effetti della pioggia della sera precedente. Le ore antimeridiane trascorsero veloci e arrivò già l’ora di mangiare ciò che era rimasto nella sua cucina. Una donna dai capelli corvini e abbondante lucidalabbra rosa stava annunciando con voce sicura e chiara le notizie di quel giorno, quando il telefono di Susan squillò, facendola balzare per la sorpresa. Era Vera. Vera? Possibile che si fosse ricordata di avere ancora un’amica dall’altra parte del mondo?
-Pronto? Susan?
-Vera, sono io.
-Grazie al Cielo, è da ieri sera che ti chiamo.
-Cos’è successo?
Risentire la voce di Vera dopo mesi era un improvviso ritorno al passato, non gradito e giunto nel momento meno opportuno.
-Susan, mi dispiace di doverti chiamare per dirti questo, ma qualcuno deve pur riferirtelo.
-Riferirmi cosa?
-Brandon Ruby è morto ieri, sapevi anche tu che aveva un tumore.
Le ci vollero dei secondi prima di assimilare la notizia che le aveva dato Vera. Brandon era un loro compagno di scuola, amico di vecchia data di entrambe, che negli ultimi tempi aveva cambiato città e abitudini. Susan era venuta a conoscenza del tumore ai polmoni del ragazzo, ma non aveva mai saputo quanto gravi erano le sue condizioni.
-Verrò in città oggi stesso con Drew, i funerali saranno domani e dobbiamo esserci.
-Certo, noi dobbiamo…
Susan trattenne le lacrime e sperò che non fosse reale quello che le aveva detto la sua amica.
-Susan, sai bene quanto mi dispiace, quanto dispiace a tutti. Sono in aeroporto, ti richiamo appena atterriamo in città, va bene?
-Si, a dopo.
Il primo pensiero di Susan furono i vestiti. “A Brandon non piace il nero, devo mettere qualcosa di scuro? No, a Brandon non piaceva il nero, non piaceva”. Susan rimase per qualche ora senza far nulla se non pensare al suo vecchio amico di scuola, non rendendosi conto di quanto la notizia l’avesse stravolta. La morte non si addiceva a Brandon, il ragazzo solare dalla chioma castana e pieno di vita e progetti per il futuro. Se avesse potuto, Susan avrebbe preferito morire lei per far vivere Brandon, che avrebbe fatto più di quello che lei avrebbe mai potuto immaginare. Il mondo continuò ad andare avanti, anche se il tempo per Susan si era arrestato. Come poteva mai il mondo continuare a girare, quando lei non riusciva neanche a sentir più la terra sotto i piedi? Susan si accasciò sul pavimento della sua stanza, stringendo l’abito nero che avrebbe indossato il giorno seguente, poi scoppiò a piangere. 




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