Safe and Sound

di Yuki Delleran
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Disclaimer: Voltron e tutti i suoi personaggi appartengono a Dreamworks & Netflix.
Note: Post-canon
La canzone citata è Tan fácil dei CNCO
Beta: Leryu
Word count:
4326

Quando Keith aprì gli occhi, si rese conto di trovarsi in una stanza quasi completamente buia. Solamente in alto, in prossimità del soffitto, brillavano alcune pallide luci violacee.
Doveva aver perso i sensi, perché non ricordava come vi fosse arrivato, ma sapeva di non essere solo.
Spostò freneticamente lo sguardo in cerca del compagno che era con lui quando si erano infiltrati nella base Galra e, quando lo trovò, si sentì gelare.
Lance era riverso al suolo a pochi metri a lui, raggomitolato su sé stesso. Tremava e, alla debole luce delle lampade, gli fu subito chiaro che quella in cui si trovava era una pozza di sangue.
Stringeva le mani su un fianco; da quella minima distanza Keith poteva distinguere gli occhi dolorosamente chiusi. Il pettorale bianco dell'armatura era  crepato e imbrattato di rosso.
Keith lo raggiunse in un balzo, terrorizzato da quello che vedeva. Non sapeva se fosse il caso di muoverlo, non sapeva come aiutarlo, ma non poteva restare lì con le mani in mano mentre un suo compagno soffriva.
« Lance... Coraggio! » si ritrovò a mormorare con voce spezzata, avvolgendolo tra le braccia. « Gli altri arriveranno presto, vedrai. Ci tireranno fuori di qui. Devi solo resistere. »
Non sapeva nemmeno se l'altro potesse sentirlo, se capisse quello che stava dicendo.
Parlava per lui, ma anche per sé stesso, per farsi coraggio e non cedere al panico.
Gli altri sarebbero arrivati, dovevano arrivare, non li avrebbero mai abbandonati nelle mani dei Galra.
Shiro non li avrebbe mai lasciati al loro destino.
« Keith... »
La voce di Lance gli giunse debole come un soffio, attraverso strati di dolore.
« Va tutto bene, va tutto bene! » si affrettò ad assicurargli. « Saranno qui a momenti! Tieni duro! »
Lance stirò le labbra in un sorriso sofferente.
« Non sei mai stato bravo a raccontare balle, non iniziare adesso. » disse.
Quelle parole fecero sentire male Keith.
« No, io non... »
« Keith... »
Lance sollevò una mano e il compagno gliela strinse immediatamente, incurante del sangue che la bagnava.
« Non è la prima volta che mi stringi così, eh... Pensavi che non me lo ricordassi? Siamo stati una buona squadra anche questa volta, ne abbiamo mandati all'inferno un bel po' prima che ci beccassero.»
Keith non sapeva cosa dire, gli bruciavano gli occhi e la visuale si faceva sempre più indistinta.
Sì, erano una buona squadra e dovevano continuare ad esserlo. Non poteva permettere che...
« Non starai mica piangendo, Kitty-boy? Tu sei l'eroe, qui, ricordatelo. »
Un tremito più violento scosse Lance e alcune gocce di sangue macchiarono anche le sue labbra.
« Avrei voluto rivedere il mare... » lo sentì mormorare mentre la presa delle sue dita si faceva sempre più debole e le ciglia scure si abbassavano lentamente.
« Lance, no! No no no! Che stai dicendo? Lo rivedrai! Lo rivedrai, ci andremo insieme! Lance! Lance! »

« LANCE! »
Keith si svegliò di soprassalto, madido di sudore.
Il lenzuolo si era aggrovigliato malamente attorno alle sue gambe e il suo petto si sollevava e si abbassava al ritmo del respiro impazzito. Subito lo sguardo corse alle proprie mani, aspettandosi di trovarle imbrattate di rosso, ma niente le sporcava in quel momento.
Gli ci vollero diversi minuti per riuscire a ragionare abbastanza lucidamente da capire che si era trattato di un sogno.
Un sogno, sì, ma che rispecchiava la realtà di quello che avevano vissuto. Sarebbe potuta finire così se Red e Blue, percepito il pericolo in cui si trovavano i loro paladini, non avessero fatto a pezzi la base nemica; se Shiro non fosse arrivato in tempo per soccorrerli.
Keith chiuse le mani a pugno per tentare di placare i brividi: sarebbe bastato un piccolo ritardo e ora nessuno dei due sarebbe stato lì...
Incapace di riprendere sonno, si alzò con un sospiro e mosse alcuni passi nel corridoio.
La porta della stanza di fronte alla sua era aperta e non dovette nemmeno affacciarsi per scorgerne l'interno. Lance dormiva pacificamente, il lenzuolo scalciato via in fondo al letto e la maglietta leggera mezza sollevata a mostrare l'addome scoperto.
Keith fece un passo in avanti, esitante, ma il ricordo della ferita che si trovava in quello stesso punto lo bloccò sul posto facendolo irrigidire.
Scosse la testa e si allontanò nel corridoio.

Lance chiuse la porta del bagno e si avviò verso la cucina: già era fastidioso svegliarsi di notte, con quel caldo ci voleva almeno un bicchiere d'acqua. Mentre se lo versava, il suo sguardo indugiò sull'ampia portafinestra che dava sulla veranda e fu in quel momento che lo vide: Keith era seduto all'esterno, i gomiti sulle ginocchia, l'espressione persa rivolta verso il cielo notturno.
« Che stai facendo? » chiese a voce bassa, raggiungendolo.
L'altro ragazzo sussultò, voltandosi di scatto. Alla debole luce del lampione del giardino i suoi occhi avevano una netta sfumatura dorata. Spostando lo sguardo, Lance notò anche le chiazze sulle sue mani.
« Niente. Pensavo... Non arrivarmi alle spalle in quel modo, non so come potrei reagire. »
Il suo tono era teso e Lance ignorò volutamente la seconda parte della frase.
« Pensavi alle tre di notte? »
In un gesto istintivo lo vide incrociare le braccia, per nascondere le mani nella stoffa della maglia leggera.
« Fammi indovinare, ti è rimasta la cena sullo stomaco! » esclamò in tono scherzoso. « Lo so, la cucina della nonna non è la più leggera del mondo, ma devi ammettere che è una bomba! »
Vedere Keith così angosciato e, per la prima volta da quando aveva messo piede a casa sua, alle prese con una delle sue crisi arrivate da chissà dove, gli provocava un nodo allo stomaco. Sdrammatizzare era il suo modo per tentare di farlo sentire meglio.
« Amico, però adesso dovresti tornare a letto, lo sai che per avere una bella pelle bisogna dormire come si deve. O vuoi farti una corsa sotto la luna, da bravo gattino mannaro? »
Lo stratagemma però sembrava non funzionare così bene, Keith era ancora raggomitolato su sé stesso.  
« Ho... fatto un sogno, ok? Un sogno di quando ci avevano catturato. Non credo di riuscire a dormire, per stanotte. Non ci badare, torna a letto. »
« E lasciarti qui in questo stato? Ma per chi mi hai preso? »
Così dicendo si sedette accanto a lui, sulla veranda, fingendo di non vedere il piccolo scatto di Keith per allontanarsi. Doveva essere davvero turbato se temeva addirittura la sua vicinanza e forse era anche colpa sua.
Avrebbe dovuto rassicurarlo di più, quel pomeriggio, quando aveva capito che qualcosa non andava. Aveva sperato che farlo divertire fosse la chiave per tenere la mente impegnata, lontana da pensieri scomodi, ma era stata un'idea superficiale. Keith non era una persona così frivola da accantonare una preoccupazione con una nuotata, se anche poteva essere d'aiuto.
Lance allungò una mano per sfiorargli il braccio, piano, per non metterlo in allarme.
« É acqua passata. » mormorò. « Tutto quello che è successo, è passato. Stiamo tutti bene, non c'è motivo di angosciarsi per quello che avrebbe potuto essere. »
Keith lo sbirciò di sottecchi, ma non si mosse.
« É stato solo uno sciocco sogno. » continuò Lance. « Quando si hanno troppe cose per la testa, il subconscio gioca brutti scherzi. Non significa che succederà di nuovo, non significa nulla. »
Lasciò scivolare le dita lungo il suo braccio, alla ricerca della mano che Keith aveva tentato di nascondere, e gliela strinse.
« Dai, torniamo a dormire. » disse in tono conciliante, accennando in direzione della portafinestra.
Si alzò e Keith si alzò con lui, senza sottrarsi alla stretta. Lance non avrebbe saputo dire se fosse colpa della semi oscurità, della luce fredda della luna o della sfumatura aliena dei suoi occhi, ma aveva un'aria smarrita che solo una volta aveva visto sul suo volto: quando aveva rivelato la natura del problema agli altri.
Lance gli sorrise, incoraggiante, stringendo un po' di più la sua mano. Forse non avrebbe risolto la situazione, ma era certo che un po' di calore umano non gli avrebbe fatto male.
Mentre lo guidava nel corridoio, Keith non accennò nemmeno per un attimo ad allontanarsi da lui e questo facilitò la sua decisione quando si trovò di fronte alle due stanze: con passo deciso, varcò la soglia della propria e lo portò con sé.
Keith esitò solo quando si sedettero entrambi sul letto.
« Ehi... » sussurrò Lance pacatamente, chinandosi appena per poterlo guardare. « Non starai pensando che potresti aggredirmi nel sonno, vero? Ti prometto che nemmeno io lo farò. »
Rise leggermente e vide Keith distogliere lo sguardo, imbarazzato. Per lo meno non aveva più quell'espressione disperata.
« Non credo che sia una buona idea... » obiettò, ma Lance si stese ugualmente e picchiettò con la mano libera sul materasso accanto a sé.
« Io invece penso che ti farebbe sentire meglio e ti aiuterebbe a rilassarti. Dai, vieni qui. »
Keith tentennò ancora per alcuni istanti, poi, finalmente, si risolse a sdraiarsi al suo fianco, badando però di non essere troppo vicino.
Lance sospirò.
« Keith, non ti mangio, e sono ragionevolmente certo che nemmeno tu mangerai me. Stai tranquillo.»
Gli circondò le spalle con il braccio libero e, sempre con gesti misurati, guidò la sua mano, che ancora stringeva, appena sotto l'orlo della propria maglia. Lì, a contatto con la pelle calda, lasciò che si posasse proprio sopra la sua cicatrice.
« Visto? Quella ferita non c'è più. » sussurrò. « Siamo sani e salvi tutti e due, puoi stare tranquillo. »
Gradualmente, sentì Keith rilasciare ogni tensione, sospirare e appoggiare finalmente la testa sulla sua spalla.
Fino a quel momento aveva agito solo pensando a farlo stare meglio, senza secondi fini o idee maliziose, ma a vederlo così indifeso tra le sue braccia, quando si era aspettato una brutta reazione da un momento all'altro, si sentì travolgere dalla tenerezza. Sentirlo mormorare un « Sì... » a fior di labbra, mentre chiudeva gli occhi, gli chiarì finalmente la natura del sentimento che si scatenava ogni volta che lo guardava per un secondo di troppo.
Ci era cascato con tutte le scarpe.

***

« Mammaaaaaaa!!! »
La vocina acuta rimbombò nelle orecchie di Keith che, come prima reazione, si raggomitolò su sé stesso e affondò la testa nel cuscino. Perché qualcuno stava strillando all'alba?
« Ecco perché Keith non era nel suo letto! »  proseguì quella in tono entusiasta.
Un movimento improvviso accanto a lui, portò Keith a spalancare gli occhi, suo malgrado, improvvisamente consapevole di quello che era stato detto. Nello stesso istante realizzò due cose:  quello dove aveva affondato il naso non era un cuscino bensì il petto di Lance e un paio di occhioni scuri incorniciati da due trecce castane li stavano fissando dall'alto verso il basso.
Keith balzò a sedere di scatto, rendendosi conto, non senza una buona dose di panico, di avere ancora un braccio di Lance attorno alla vita. Lance che, trovandosi la sorellina ad un palmo dal naso, si era allontanato di scatto a sua volta, con uno strillo.
« Flor! Chi ti ha dato il permesso di entrare in camera mia?! »
« La porta era aperta e mamà mi ha mandata a vedere perché tu e Keith facevate tardi a colazione. » ripose la bambina,  imperturbabile.
I due si scambiarono un'occhiata e Keith sentì le guance andare a fuoco sotto lo sguardo cristallino di Lance.
Il pensiero di quanto accaduto durante la notte gli fece annodare lo stomaco per l'imbarazzo e il disagio, ma fu Lance a distogliere gli occhi per primo.
« Ehm... Buongiorno. » lo sentì dire.
« Buongiorno, sì. » balbettò in risposta.
Flor zampettò via allegramente per avvertire la madre di averli svegliati, mentre entrambi si alzavano.
Appena messi i piedi a terra, Keith scappò nella sua stanza e si chiuse la porta alle spalle con un sospiro.
Sentiva il cuore battere all'impazzata, forse per il brusco risveglio, forse per la consapevolezza di quanto avvenuto durante la notte.
Quel pensiero gli riportò alla mente anche le cause che lo avevano portato a dormire con Lance – “dormire con Lance”, la sola idea gli sembrava fantascienza – e lo indusse a controllare lo stato delle proprie mani. Fortunatamente non vi era più traccia delle chiazze viola e tutto sembrava tornato alla normalità.
Addirittura, realizzò non senza un certo stupore, poteva dire di aver dormito bene. Era da tanto che non si sentiva così riposato e, imbarazzo a parte, rilassato.
Quando si presentò in cucina, tutti erano già riuniti attorno al tavolo della colazione, Lance compreso. Era immerso in una conversazione in spagnolo con Luis, ma quando lo vide entrare passò subito all'inglese.
Quello che gli giunse erano semplici chiacchiere sulla scuola e sulle lezioni di quel giorno, ma Keith percepì chiaramente l'occhiataccia che Luis gli lanciò. In qualche modo, lo sguardo del ragazzino riusciva sempre a farlo sentire in difetto e fuori posto: era chiaro che la sua presenza lo infastidisse e non faceva nulla per nasconderlo.
Mentre Keith si sedeva, salutando tutti con un sorriso, Luis lo ignorò palesemente rivolgendo a Lance una domanda, sempre in spagnolo.
Quest'ultimo titubò, lanciando a Keith un'occhiata dubbiosa, ma fu Michelle a mettere fine a quella scena insensata.
« Lance ha un ospite ed è più normale che si occupi di lui. » disse in tono fermo. « Smettila di comportarti come un bambino egoista e vai a scuola, avrete tutto il tempo di parlare più tardi. »
Luis le lanciò un'occhiata infuocata e si alzò strisciando rumorosamente la sedia sul pavimento, nonostante il richiamo della madre. Afferrò lo zaino accanto alla porta e uscì con un rabbioso: « Me vaya! »
Nella stanza scese un silenzio imbarazzato che finì per far sentire Keith in colpa per quella situazione. Dopotutto era a  causa sua se Luis finiva sempre per discutere con i famigliari ed era più che chiaro quanto la sua presenza non gli fosse gradita.
« Mi dispiace... » iniziò, ma venne interrotto da Estella.
« No, dispiace a noi. Luis si sta comportando male nei tuoi confronti e non ha nessuna giustificazione. »
« É sempre stato attaccatissimo a Lancey, » intervenne Michelle. « ed era entusiasta del suo ritorno, ma ultimamente sta attraversando un periodo strano. É sempre nervoso, litiga con tutti... »
« E io, che sono un estraneo, gli sto portando via il suo fratello preferito, è ovvio che ce l'abbia con me. » terminò Keith.
Quelle parole provocarono in Lance una reazione brusca.
« Vuoi smetterla con questa storia?! » esclamò battendo una mano sul tavolo. « Non sei un estraneo, sei il mio... »
Tentennò solo un istante, prima di aggiungere in fretta e furia: « Un mio compagno! Insopportabile, ma pur sempre un compagno. »
Incrociò le braccia sul petto e pretese che quella fosse la sua ultima parola.
Tutti sorrisero di quell'ostentazione burbera e Michelle batté una mano sulla spalla di Keith come a rassicurarlo che la sua era una preoccupazione sciocca.
Mentre ormai stavano sparecchiando e ognuno si apprestava ad avviarsi alle proprie occupazioni della giornata, Keith notò con la coda dell'occhio Francisco che circondava con un braccio le spalle di Lance.
« A proposito di legami tra fratelli, » lo sentì dire. « che ne pensi di andare a bere qualcosa stasera? É un bel pezzo che non lo facciamo. »
Keith sentì chiaramente addosso lo sguardo dell'amico e un'obiezione aleggiare nell'aria.
« Ma Keith non... »
« Oh, non c'è problema, io posso... » iniziò.
Non aveva la minima intenzione di costringere Lance a passare del tempo con lui, a maggior ragione ora che si sentiva ancora imbarazzato dalla sua vicinanza.
« Puedo hacer compañía! » intervenne nonna McClain, con entusiasmo, e quell'esclamazione mise tutti d'accordo.
Se la nonna aveva voglia di passare del tempo con l'ospite, nessuno, men che meno Keith, si sarebbe azzardato ad obiettare.

Lance non ricordava quanto tempo fosse passato dall'ultima volta che aveva fatto un'uscita “tra uomini” con suo fratello, tra la guerra nello spazio e tutto il resto diventava difficile calcolare i tempi, ma era abbastanza certo che fosse successo prima che partisse per la Garrison.
Quella volta Francisco gli aveva fatto Il Discorso, chiaramente imboccato dai genitori, ed era il ricordo più imbarazzante che Lance avesse di tutta la propria vita. Si rendeva conto che, per un ragazzino di quell'età, una messa in chiaro dei comportamenti che fosse bene tenere nei confronti delle ragazze (e dei ragazzi) fosse quanto meno necessaria, ma restava il fatto che avesse raggiunto dei picchi di disagio difficilmente replicabili.
Le premesse per quella sera erano pericolosamente simili, ma Lance non riusciva ad immaginare cosa avesse potuto condurre ad un bis del Discorso. Si era comportato bene, non aveva messo nei guai sé stesso o qualcun altro e aveva addirittura salvato l'universo, cosa potevano volere di più?
D'accordo, quella mattina Flor lo aveva trovato a letto con Keith, ma, per quanto quell'affermazione suonasse ambigua, non significava nulla – perdeva un pezzo di cuore ogni volta che ci ripensava, ma non significava veramente nulla.
Aveva solo voluto essere d'aiuto ad un compagno in difficoltà, senza nessuna pretesa o malizia dietro. Inoltre, il fatto che Francisco mostrasse uno sguardo serio mentre versava le rispettive birre non era d'aiuto. Lance stava per iniziare a mordersi un'unghia dall'ansia.
Tuttavia, l'argomento con cui il fratello esordì riuscì a stupirlo.
« Sono preoccupato per Luis. » disse. « Lo siamo tutti, in realtà. Probabilmente non era necessario portarti fuori per dirtelo, ma volevo scambiare due chiacchiere in privato. Ultimamente le cose non vanno affatto bene. »
Lance annuì, mentre sorseggiava la propria birra, incoraggiando Francisco a continuare.
I problemi di Luis non si limitavano solo all'ambito domestico, ma anche a quello scolastico. Poco tempo prima, era stato sospeso per un paio di giorni a causa di una rissa scatenata in classe. Gli insegnanti sostenevano che avesse iniziato a frequentare gente poco raccomandabile. Avevano esitato a parlarne con Lance finora perché... beh, rientrare da una guerra nello spazio non era esattamente una passeggiata e non volevano aggravare la situazione. Inoltre c'era Keith, di cui non sapevano molto, ma era abbastanza chiaro che non fosse lì per una semplice villeggiatura.
Nessuno avrebbe detto una parola se la gelosia di Luis e, di conseguenza, i suoi brutti modi verso l'ospite, non fossero diventati ormai impossibili da ignorare.
« Quindi, ci stavamo semplicemente chiedendo se non potessi parlarci. » concluse Francisco mentre alzava un braccio per chiamare di nuovo il cameriere e farsi portare un paio di cocktail. « A te ha sempre dato retta e adesso sei anche una specie di eroe, quindi potrebbe funzionare. »
« Senza “specie”. » precisò Lance terminando la propria birra e attaccando il mojito, di cui bevve un sorso prima di tornare serio. « Proverò a parlare con lui e spero che mi dica quale sia il problema. Anche perché, ti assicuro, non è davvero il caso che Keith inizi ad andare in paranoia anche per questo. »
Rigirò la cannuccia facendo tintinnare il ghiaccio nel bicchiere e non notò lo sguardo di Francisco farsi più attento, un mezzo sorriso ad aleggiare sulle sue labbra.
« Ti sta a cuore, vero? »
« Beh, certo, è mio fratello! »
« Intendevo Keith. »
Lo sguardo di Lance si alzò di scatto, per poi saettare di lato. La mano si sollevò per portare il bicchiere alle labbra. Solo dopo un lungo sorso riuscì ad organizzare una risposta sensata.
« É nei guai, Cisco, ed è uno zuccone che non sa stare al mondo. Non posso materialmente lavarmene le mani. E, prima che tu me lo chieda, perché so che mamà vuole saperlo, no, non è nei guai con la legge. É un problema personale che non posso spiegare nel dettaglio, ma che gli mette addosso un sacco di pressione. Stiamo cercando di venirne a capo, ma per il momento vorrei solo che fosse sereno. »
Francisco sorrise.
« Ti sta a cuore un sacco. »
Lance sbuffò e buttò giù un altro paio di sorsi, iniziando a sentire la testa leggera.
« Stupidaggini. É un tipo tremendo, che fa un sacco di cose assurde, come buttarsi in battaglia da solo, volare alla cieca tra gli asteroidi, scappare nello spazio per timore di essere una sorta di esca! Senza contare il suo carattere arrogante e il suo taglio di capelli orrendo! »
« A me non sembra così arrogante. » obiettò Francisco, alzando il braccio per chiamare il cameriere la terza volta.
Pochi minuti dopo, altri due bicchieri di mojito erano di fronte a loro. Francisco mescolò il proprio, masticando la foglia di menta che lo decorava e allungando l'altro verso il fratello.
Lance si attaccò alla cannuccia, lasciando che il proprio corpo ondeggiasse al ritmo della musica.
Quel pub era molto più tranquillo dell'“Isla”, ma non per questo silenzioso. L'ampio spazio all'aperto dove si trovavano i tavolini era circondato dagli amplificatori e immerso nella musica, in modo che gli avventori non rischiassero di annoiarsi nemmeno per un istante. Quell'atmosfera scanzonata e le melodie latine che tanto amava permettevano a Lance di rilassarsi e alla sua mente di indugiare su particolari che non si era mai permesso di esprimere ad alta voce.
« Lo è, lo è. » continuò, confermando la propria opinione precedente. « Può permetterselo perché è un combattente grandioso e un pilota strafigo. Dovresti vederlo alla guida di Red, sa fare cose spettacolari! »
Al terzo cocktail, la mente di Lance galleggiava in una bizzarra euforia e non si preoccupava minimamente del fatto che Francisco non avesse idea di chi o cosa fosse Red. Bastava che capisse quanto fosse eccezionale Keith.
Appoggiò un gomito sul tavolo e la guancia sulla mano aperta, dondolandosi pigramente, lo sguardo vagamente perso oltre le spalle del fratello.
« Ha due occhi... »
« Sarebbe un problema se ne avesse tre! »
La replica divertita di Francisco lo raggiunse a malapena.
« … Incredibili! Li hai visti, Cisco? Sono bellissimi. Color del cielo stellato. Mi ci perderei. Ha la pelle così bianca e delicata. Fatta per essere accarezzata. E poi... »
Si fissò entrambe le mani e mimò il gesto di stringere qualcosa tra le dita.
« Lance... »
« Che c'è? É un dato di fatto che Keith abbia un fondoschiena da urlo, non l'ho deciso io! »
Lo sbuffo di una risata lo sfiorò appena, senza davvero interrompere il flusso dei suoi pensieri.
« All'inizio non andavamo affatto d'accordo, sai? Però poi abbiamo legato, mi ha tenuto tra le braccia... »
Dondolò la testa e rise.
« Anche se poi mi ha lasciato ammanettato! »
A quelle parole seguì un minuto di silenzio imbarazzato, poi Francisco gli sfilò dalle mani il bicchiere con cui stava ancora giocherellando.
« Questo non ero certo di volerlo sapere. » commentò. « Ok, basta bere, o dovrò portarti a casa in spalla. »
La serata terminò, ovviamente, con Lance sulle spalle del fratello, che fortunatamente era abbastanza robusto per reggerlo mentre si agitava cantando a squarciagola: « Porque tú me miras y yo, siento lo mismo que tú, Cuando te miro siento que me estoy enamorando.»
« Ormai credo che l'abbia capito tutta Varadero... »
A Lance non importava cosa tutta Varadero avesse capito, chi intendeva lui non aveva capito un bel niente e questo era davvero seccante. Per di più continuava a fare l'emo paranoico che voleva tornare nello spazio, senza nemmeno immaginare come si sentisse chi gli stava vicino.
« É uno stupido! » esclamò ad un tratto, seguendo il filo dei suoi pensieri. « É uno scemo che ha disperatamente bisogno che qualcuno gli voglia bene, ma non accetta che succeda! »
« E tu gliene vuoi, vero? » chiese Francisco, rafforzando la presa sulle gambe che il fratello gli aveva avvolto attorno alla vita, nella speranza che non decidesse di suicidarsi saltando a terra proprio in quel momento.
« Certo che gliene voglio! Idiota! Scemo che non è altro! »
« Va bene, va bene, ma non strillare. Ai vicini non importa. »
Lance non aveva idea di che ora della notte fosse, ma quando Francisco lo mise a terra, si ritrovò sulla veranda di casa, con Keith che lo sorreggeva perché non crollasse.
Keith? Cosa ci faceva lì?
« Ehi! » esclamò, mentre l'ultima canzone che aveva sentito al pub tornava a risuonargli in testa come poco prima.
« Abbiamo bevuto un po'. » sentì dire da Francisco. « Va tutto bene? Cosa ci facevi qui fuori? »
« La nonna si è coricata presto e avevo voglia di prendere un po' d'aria. » fu la risposta elusiva.
Lance, nel frattempo, aveva ripreso a canticchiare giulivo lo stesso motivetto con cui aveva intrattenuto il vicinato lungo la strada.
Keith lo stava guardando stranito e non riusciva a capire per quale stupido motivo sembrasse così bello nonostante fosse in pigiama, spettinato, e il giardino fosse anche semibuio.
Stupido Keith, non era possibile!
« De ti me estoy enamorando, no se que está pasando. Creo que son tus ojos que me está hechizando. Me tienes loco babe, y me tienes a tus pies »
« Lance, smettila, sveglierai i vicini. »
Francisco lo scosse leggermente, ma a Lance non poteva importare di meno dei vicini in quel momento.
« Y contigo, solo quiero estar contigo. Quiero detener el tiempo cuando tú me mira yo te miro »
Francisco finì per afferrarlo per i fianchi e caricarselo in spalla come un sacco di patate.
« Falla finita, tanto Keith non capisce una parola, l'hai detto tu. Keith, scusalo, è un ubriaco molesto, e scusa anche me. Non avrei dovuto permettere che si riducesse così. Ora lo porto a letto. »
« Non c'è problema. » sentì rispondere Keith.
Lance però avrebbe potuto giurare, pur dal suo punto di vista ribaltato, di aver visto le guance dell'amico colorarsi di rosa.


Yuki - Fairy Circles





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