Disclaimer:
La storia che segue non è stata scritta a scopo di lucro. Le
ambientazioni e i personaggi principali non mi appartengono e sono
frutto della geniale mente di J. K. Rowling.
Coins
from the past
-
We're gonna make them proud -
Memori degli eventi accaduti durante la recente guerra magica,
ai
professori di Hogwarts le cui classi si trovavano all'esterno
dell'edificio era stato imposto l'obbligo di accompagnare
personalmente gli studenti di età inferiore ai sedici anni
alle
lezioni.
Neville aveva atteso pazientemente gli studenti del primo anno
di
Serpeverde e Corvonero quella mattina, in piedi accanto alla statua,
posta all'ingresso del castello. Per ingannare l'attesa, le dita
erano corse ad accarezzare la moneta d'oro che teneva celata nella
tasca sinistra del mantello. Un lieve sorriso dolce-amaro comparve
sul suo volto, ma così come era apparso, esso scomparve alla
vista
dei suoi studenti, sostituito da un caloroso sorriso di benvenuto.
«Buongiorno a tutti voi!»
Esclamò, una volta giunto l'ultimo
studente dai capelli castano scuro. «Quest'oggi ci occuperemo
di una
pianta piuttosto strana che avrete sicuramente sentito nominare, il
Frullobulbo.»
Svariati studenti annuirono, iniziando a borbottare,
raccontando
ai vicini quando e perché l'avevano sentita nominare.
Neville che
fin dal suo primo giorno a Hogwarts aveva deciso di rivestire il
ruolo di insegnante indulgente, come lui stesso si era definito in
Consiglio, li lasciò fare per una manciata di minuti. Poi,
alzando
la mano, richiamò a sé gli sguardi degli studenti.
«Mi pare di capire che molti di voi ne abbiano
sentito parlare,
il ché non farà altro che aiutarmi nella lezione
che ho preparato
per voi quest'oggi. Ma basta tergiversare, copritevi bene e
seguitemi, ci aspetta una lezione alquanto divertente!»
Concluse con
un sorriso entusiasta, aprendo la fila verso il parco.
Continuò a giocare con il galeone ancora per
qualche metro, prima
di tirar fuori la mano di colpo dalla tasca per aggiustarsi la
sciarpa di Grifondoro che portava avvolta attorno al collo. Nessuno
si accorse della piccola monetina rotolata via dalla tasca, se non un
minuto ragazzino, un po' troppo piccolo e sciupato per la sua
età.
Aveva i capelli biondi e un sorriso timido, quasi spaventato sul
volto. Gli occhi castano chiaro, sempre accesi di curiosità,
seguirono il movimento di quel piccolo bagliore dorato fino al
pavimento. Tobias era in fondo alla fila, perciò dovette
aspettare
parecchio, prima di raggiungere quel bagliore che si rivelò
essere
un galeone, appena afferrato dalle sue dita sottili. La mente di un
ragazzino di quell'età gli avrebbe imposto di intascare
quella
moneta e sorridere per la fortuna avuta, ma lui, con quel suo sguardo
acceso di curiosità, notò un'inconguenza: I
numeri di serie del
galeone non erano numeri a caso, bensì una serie di zero. Lo
trovò
strano, certo che il Galeone Numero Zero fosse custodito nel caveau
più nascosto della Gringott's. Cercò di
accelerare il passo per
raggiungere il professore senza dover necessariamente aprire la
bocca, ma era piccolo e le sue gambe erano troppo corte per stare
dietro al passo veloce del Professor Paciock. Perciò Tobias
raccolse
ogni briciolo di coraggio che Merlino gli aveva donato e
si fece
sentire.
«Professor-Paciock-le-è-caduto-questo!»
Esclamò, tutto d'un
fiato.
Neville, incuriosito da quella voce che era abituato a sentire
poco e appena appena sussurrata, si fermò di botto,
voltandosi verso
il volto paonazzo di Tobias.
«Scusami, Tobias» Esordì,
attendendolo. «Ma non ho capito una
parola di ciò che hai detto.» Aggiunse con
un'espressione
comprensiva, anche se lievemente divertita.
«Le è caduto...»
Ripetè Tobias, porgendogli la moneta. «Ho
pensato che volesse riaverla... è strana.»
Concluse, abbassando lo
sguardo sulla punta dei piedi.
Le sue Converse rosse e verdi diventavano sempre interessanti
quando l'imbarazzo bussava alle porte della sua mente. Neville prese
il galeone e gli poggiò una mano sulla spalla sinistra.
«Grazie mille Tobias.» Gli disse, con il
tono più serio e grato
che gli avevano mai sentito usare. «Non so cosa avrei fatto
se
l'avessi perso.»
Tobias alzò lo sguardo, puntandolo sugli occhi del
professore. Si
aspettava di trovarvi scherno, divertimento, invece vi trovò
solamente calda gratitudine. Arrossì anche questa volta, ma
non era
stato l'imbarazzo a far capolino nella sua mente, ma quel senso di
importanza che segue sempre una buona azione fatta col cuore.
«P-prego...» Rispose Tobias, accennando un
sorriso. Neville
replico allo stesso modo, accarezzandogli appena la testa, prima di
voltarsi e riprendere a camminare.
Tobias, però, aveva visto qualcosa nel profondo
degli occhi del
suo professore, perciò, si mise a correre e
afferrò il bordo del
mantello di Neville, tirandolo appena.
«Perché?» domandò.
Una parola soltanto, ma quel tono e quello sguardo,
riportarono
nella mente di Neville, il ricordo di un altro ragazzino dai capelli
castano chiaro, sempre nascosto allo sguardo altrui da una gigantesca
macchina fotografica babbana. Il ricordo di Colin, così come
quello
di molti altri era ancora vivo nella mente del giovane professore di
Erbologia.
Neville alzò lo sguardo sul resto della classe.
Ognuno di quei
volti nascondeva il ricordo di genitori, nonni, zii o famigliari
morti o feriti durante l'ultima grande guerra. Il professore
sorpirò,
serrando le palpebre per qualche istante, poi, con un lieve sorriso
sul volto, si rivolse alla classe:
«Chi di voi ha sentito parlare dell'Esercito di
Silente?»
Non una sola mano rimase abbassata. Neville non seppe dire se
la
cosa fosse dovuta ai nuovi programmi di Storia delle Magia, alla
curiosità dei suoi studenti o al fatto che bene o male quasi
tutte
le famiglie magiche della Gran Bretagna e non solo, si erano trovate
invischiate in quella crudele battaglia. La cosa, in ogni caso, rese
il suo sorriso appena più aperto.
«Qualcosa mi dice che siete più
interessati alla storia di
questo galeone, piuttosto che alle proprietà del
Frullobulbo, dico
bene?» Domandò abbassando lo sguardo sul piccolo
Tobias ancora
appeso al suo mantello.
Annuirono tutti, biascicando un sì colmo di
timidezza.
«D'accordo... in tal caso vi racconterò
la storia di questo
Galeone e di un gruppo di ragazzi coraggiosi, poco più
grandi di
voi» Disse, scompigliando i capelli di Tobias con affetto.
«Seguitemi...»
***
Neville li condusse nel giardino che circondava la
proprietà di
Hagrid. Il Custode a quell'ora era impegnato a lezione dall'altra
parte del parco e quello era il luogo più riparato e
tranquillo al
quale aveva pensato non potendo utilizzare le serre in quanto
stracolme di distrazioni e probabili pericoli.
Il Professore creò un fuoco con la bacchetta, una
di quelle
fiamme azzurre innocue e la posizionò esattamente nel mezzo
del
cerchio che i suoi studenti avevano creato sedendosi sulle
gigantesche zucche del custode.
Rigirandosi il galeone tra le dita, Neville iniziò:
«Il mondo non è sempre stato come lo
conosciamo oggi. C'è stato
un tempo nel quale un mago oscuro potentissimo incuteva così
tanto
timore che nessun individuo sulla faccia della terra, o quasi, osava
pronunciare il suo nome.»
«Sta parlando della seconda guerra, professor
Paciock.» domandò
un ragazzino sulla sinistra, avvolto da un mantello di Serpeverde.
«Sì, Theodore. Sto parlando proprio di
quel periodo. Ebbene, il
nome di Lord Voldemort, come tutti sapete, distribuiva buone dosi di
terrore quotidiano a ogni abitante del nostro mondo.» Gli
sguardi
incuriositi si smarrirono un attimo. Conoscevano la storia,
conoscevano il nome, ma per quanto si potesse studiare sui libri,
l'atmosfera di quel periodo era sempre difficile da riprodurre.
Provò
così a farlo lui, che quel periodo l'aveva vissuto sulla
propria
pelle.
«Immaginate un mondo nel quale non potete fidarvi di
nessuno,
nemmeno del vostro migliore amico. Un mondo nel quale chiunque, dai
vostri genitori ai vostri peggiori nemici, potrebbe trovarsi sotto
l'influsso di potenti incantesimi. Un mondo nel quale ognuno di voi,
anche chi apparentemente non dà idea di esserlo, possa
essere un
collaboratore di Lord Voldemort. All'epoca eravamo tutti
così
spaventati da non riuscire nemmeno a nominare il suo nome.
Colui Che Non Deve Essere Nominato, così veniva chiamato,
era
riuscito a instillare il dubbio nelle nostre menti.
Potenti
maghi continuavano a scomparire, altri venivano trovati morti, eppure
il Ministero della Magia e l'allora Ministro, Cornelius Caramell, non
voleva credere nel suo ritorno.»
«Ma com'è possibile?»
Domandò incredulo un ragazzino di
Corvonero dagli occhi scuri.
«Nigel, le persone sopravvissute a una guerra
tendono, come dire,
a cullare sé stesse in un falso senso di sicurezza una volta
sventata la minaccia caratterizzata dal cattivo di turno. Voldemort,
prima della fatidica notte nella quale perse il suo potere, aveva
terrorizzato il mondo intero. Nessuno, e quando dico nessuno lo
intendo veramente, poteva dirsi al sicuro. Maghi potentissimi
cadevano sotto il peso delle sue maledizioni e altrettanti perdevano
la ragione a causa delle torture inflitte loro dai suoi seguaci. Il
mondo era un luogo oscuro e fidatevi quando vi dico che talvolta
risulta facile nascondere l'evidenza dietro un'illusione pur di non
ritrovarsi a provare le stesse sensazioni.» Cercò
di spiegarlo con
un tono serio, non con l'intenzione di terrorizzare i suoi studenti,
bensì, con l'intento di far loro capire quanto oscuro e
pericoloso
fosse stato il periodo passato.
«Ma torniamo ai giorni che precedettero la seconda
guerra. In
tutto questo, un luogo soltanto restava al sicuro, protetto da
potenti magie, dalle speranze e dalla forza di centinaia di giovani
maghi. Qualcuno vuole provare a indovinare di che luogo sto
parlando?» Domandà stemperando il clima teso e
grave che aveva
creato il discorso precedente.
«Hogwarts!» Rispose una ragazzina dai
capelli dorati, alzando la
mano.
«Esatto, Anna.» Esclamò
Neville, accennando un applauso.
«Hogwarts, nonostante all'esterno incombesse la minaccia
più
terribile del nostro tempo, restava l'unico luogo sicuro nel quale
rifugiarsi.»
«Ma questo cosa c'entra con il finto
galeone?» Un ragazzino
dall'aria vispa e curiosa lo interruppe senza nemmeno prendersi la
briga di alzare la mano.
Con un sorriso, Neville alzò appena le mani, quasi
in cenno di
resa.
«Dammi il tempo di arrivarci George.» Gli
rispose, facendogli
capire che avrebbe chiarito i suoi dubbi, ma solamente a tempo
debito.
«Come vi stavo dicendo, Hogwarts restava l'unico
luogo veramente
sicuro in tutto il Regno Unito. Ed è all'alba del mio quinto
anno
che inizia la storia di questo finto Galeone.»
Continuò, alzando il
Galeone di fronte a sé e rigirandoselo tra le dita.
«Tornando agli
inizi dell'ultima guerra: Voldemort, come ben sapete, aveva trovato
il modo di tornare in vita alla fine del mio quarto anno a Hogwarts
e, nonostante il Professor Silente cercasse di convincere ogni anima
pia di questo fatto piuttosto ovvio, l'allora Ministro non volle
crederci e fece di tutto per screditarlo. Sia lui, sia Harry Potter
vennero additati e screditati dalle istituzioni e da quasi tutti i
maghi e le streghe della regione. Tutti cercavano di negare
l'evidenza, nascondendosi dietro le pagine della Gazzetta del
Profeta. Uno studente, Cedric Diggory, era morto l'anno precedente e
il mondo che circondava il castello di Hogwarts continuava a ripetere
che si era trattato esclusivamente di un brutto incidente. Erano
pochi quelli di noi che come il Professor Silente credevano alle
parole di Harry.»
Neville prese una piccola pausa, lanciando un'occhiata al
galeone
dorato.
«Lord Voldemort era tornato. E noi, che avevamo
avuto la fortuna
di nascere dopo la sua caduta, potevamo solamente immaginare cosa
significasse combatterlo e sopravvivergli.»
I ragazzini, o forse era meglio chiamarli ancora bambini, si
guardarono attorno, cercando nello sguardo dei loro compagni le
sensazioni di cui stava parlando il Professore. Anche loro, come gli
studenti di Hogwarts dell'epoca, potevano solamente immaginare cosa
significasse vivere in quell'epoca così oscura.
«Dovete sapere che in quel periodo, qualora il
Preside reggente
non avesse proposto entro l'inizio dell'anno un nuovo professore al
quale assegnare le cattedra vacanti, il Ministro stesso avrebbe
dovuto occuparsi di trovarne uno. Fu così che continuando la
sua
opera di screditamento, il Ministro Caramell costrinse Il Professor
Silente ad assumere una nuova professoressa di Difesa Contro le Arti
Oscure: Dolores Umbridge. Magari potrete chiedere al vostro
Professore di Storia della Magia perché ad Hogwarts, durante
quel
periodo, i professori di Difesa Contro le Arti Oscure non sono mai
durati più di un anno. Mi piacerebbe potervi raccontare
anche
quello, ma se decidessi di farlo, dovrei rubare un paio di ore ai
Professori che verranno dopo di me quest'oggi... e non mi sembra il
caso» Concluse con un sorriso divertito in risposta agli
sguardi
speranzosi di alcuni studenti.
«Mi dispiace Tessa, ma dovrai proprio seguire anche
oggi la
lezione di Volo.» Aggiunse, rivolgendosi alla ragazzina di
Corvonero
che aveva borbottato un uffa
tra i denti.
«Ma tornando al Galeone... Tutti noi ci aspettavamo
di veder
arrivare una professoressa in grado di insegnarci a difendere noi
stessi e i nostri compagni dalle Arti Oscure. Ci aspettavamo una
Professoressa capace di spiegarci cosa significasse ritrovarsi a un
istante soltanto dalla morte. Speravamo che lei potesse darci le basi
sulle quali costruire il nostro futuro, ma la Professoressa Umbridge
non fece niente di tutto questo. Ci teneva in classe, seduti a
rileggere fino allo sfinimento degli infiniti capitoli su come
combattere i maghi oscuri, senza mai darci la possibilità di
mettere
in pratica tali incantesimi.»
«Ma non ha senso!» Lo interruppe una
ragazzina indignata con gli
occhiali squadrati stretti tra le dita. « A cosa serve sapere
come
eseguire un incantesimo senza aver mai avuto l'occasione di
provarlo?» Concluse, calcando gli occhiali sul naso.
«Era ciò che ci stavamo chiedendo tutti,
Eileanoir. Lord
Voldemort era tornato e noi non stavamo imparando un
accidente.»
Spiegò Neville, lasciandosi sfuggire un po'
dell'indignazione che
aveva provato quell'anno. «Eravamo giovani e impreparati e
sapevamo
che qualora avessimo incontrato lui o uno dei suoi seguaci saremmo
morti senza riuscire nemmeno a battere ciglio. All'epoca, vi
confesso, me la feci addosso dalla paura. Continuavo a domandarmi
quale botta potesse aver preso il Cappello Parlante prima di decidere
di smistarmi tra i Grifondoro.» Spiegò, passandosi
una mano tra i
capelli, senza celare l'imbarazzo che quella considerazione
risvegliava nella sua memoria.
I suoi studenti scoppiarono a ridere, guardandosi tra loro.
Tutti
sapevano le gesta che il loro professore aveva compiuto durante la
guerra. Sapevano della Spada di Grifondoro, dell'ultimo Horcrux, di
tutte le volte nelle quali aveva rischiato la vita per difendere i
suoi compagni. Neville Paciock ai loro occhi era l'esatta
rappresenzazione dell'essere Grifondoro, a causa di ciò non
erano
riusciti a trattenere le risate, sentendolo così insicuro
riguardo
la sua appartenenza a quella Casa.
«Credetemi quando vi dico che in me non vi era
nemmeno un
briciolo di ciò che caratterizza i Grifondoro, all'epoca.
Non una
singola virgola. Ma, fortunatamente, Merlino ha fatto sì che
nel
nostro stesso anno, una brillante strega di nome Hermione Granger
avesse un'idea geniale: Se la scuola non ci dava la
possibilità di
imparare a difenderci, allora lo avremmo fatto da soli.»
Lasciò loro qualche istante per digerire tale
informazione, fin
quando, un ragazzino diligente e ligio alle regole non alzò
la mano
in attesa che il Professore lo facesse parlare. Neville gli fece un
lieve cenno e lui prese la parola.
«Ma non era contro il regolamento
scolastico?» Domandò com'era
prevedibile facesse.
«Oh, sì che lo era, James. Ma lasciate
che vi dica una cosa. Le
regole servono a far sì che le persone possano vivere in
comunione
tra loro. Ci aiutano a seguire la strada giusta. Servono
affinché
possiamo apprendere cosa è giusto e cosa non è
giusto fare, per
questo vi si chiede di rispettarle. E nella maggior parte dei casi
è
giusto così, ma ci sono situazioni, come quella della quale
vi sto
parlando, nel quale le regole sono così stupide e immotivate
che
infrangerle è l'unica soluzione. Con questo non sto cercando
di
dirvi che è giusto infrangere le regole, ma ci sono delle
situazioni
nelle quali, dopo un'attenta analisi -mettere le caccabombe sotto la
cattedra di un insegnate che vi sta antipatico non rientra in
queste-, infrangere le regole è l'unica via d'uscita per non
rischiarci le penne e per far si che nemmeno altri rischino di pagare
un prezzo così alto.»
Era un discorso complicato e Neville ne era consapevole. Era
impensabile che dei ragazzini di undici anni potessero comprendere a
fondo le leggi della morale, ma sperava con le sue parole di arrivare
al cuore di chi, come loro all'epoca, avrebbe saputo cogliere il
senso più profondo di quella considerazione, qualora ce ne
fosse mai
stato bisogno. Era certo che tra loro ci fossero un Harry, un Ron,
una Hermione, pronti a mettere in gioco tutto pur di proteggere
ciò
che di più caro avevano al mondo senza aspettarsi nulla in
cambio.
«Ma torniamo al nostro racconto. Quando Hermione
Granger venne da
me, un mattino degli ultimi di Settembre, spiegandomi che avrebbe
desiderato creare un gruppo di studio di Difesa Contro le Arti
Oscure, accettai di farne parte senza pensarci due volte. Gli
incantesimi pratici non erano il mio forte, allora, e quello mi
sembrò l'unico modo per apprendere ciò che la
scuola non mi stava
insegnando. Non sapevo ancora di cosa si sarebbe trattato, ma l'idea
di appartenere a qualcosa che ci avrebbe permesso di difenderci in un
prossimo futuro, mi dava coraggio. In un certo senso ognuno di noi
non era più solo. Hermione ci diede appuntamento il primo
fine
settimana di Ottobre alla Testa Di Porco; un pub di Hogsmeade, per
chi non lo sapesse. Non avevo idea di quante persone avessero
aderito. A scuola cercavamo di parlarne il meno possibile,
perché
più i giorni passavano, più la Umbridge imponeva
nuove regole, una
più stupida dell'altra, per evitare che qualcuno decidesse
di fare
qualunque cosa andasse contro la sua idea di perfezione per quanto
riguardava l'ambiente scolastico. Così, quando quel giorno
raggiunsi
l'ingresso del Pub e trovai una trentina di persone ad attendermi,
rimasi a bocca aperta.»
«Solo trenta?» Il ragazzino dagli occhi
scuri riprese la parola,
interrompendo ancora il Professore.
Neville annuì e continuò:
«Sì, più o meno quanti siamo noi
oggi, Nigel. Eravamo pochi e tanti al tempo stesso. Come ho
già
detto, pochi di noi credevano realmente al ritorno di Lord Voldemort
e tra noi erano ancora di meno quelli disposti a infrangere le regole
imposte dalla Umbridge, rischiando l'espulsione. Difatti, anche
alcuni degli studenti che si erano presentati all'incontro quel
giorno non credevano che Voldemort fosse tornato sul serio.»
«Ma allora erano stupidi!» Un piccolo Serpeverde
dall'aria
buona, ma saccente, incrociò le braccia, interrompendo
Neville con
l'aria di uno che la sapeva lunga.
Neville scosse appena la testa, alzandosi in piedi dalla
gigantesca zucca sulla quale si era seduto. Lanciò il
galeone in
aria facendolo atterrare nuovamente sul palmo della mano, mentre
camminava avanti e indietro di fronte ai suoi studenti.
«Alex, e tutti voi, rifletteteci un
momento.» Iniziò,
continuando a camminare di fronte a loro. «Nessuno fino ad
allora lo
aveva visto. I soli ad averlo incontrato erano i suoi seguaci, Harry
Potter e Cedric Diggory. Uno di essi non era sopravvissuto per
raccontarlo; i suoi seguaci, mai e poi mai avrebbero rivelato il suo
ritorno se non sotto preciso ordine, perciò, l'unico rimasto
a
portare testimonianza di ciò che era accaduto, era un
ragazzino di
quattordici anni spaventato, appena uscito dalla temibile terza prova
del Torneo Tremaghi. Il mondo magico aveva trovato più
semplice
credere che Harry avesse ucciso Diggory o che non avesse fatto in
tempo a salvarlo e avesse nascosto i suoi errori professando il
ritorno di un mago oscuro scomparso tredici anni prima.»
Percorse i volti dei suoi studenti con lo sguardo e trovandovi
solamente confusione, continuò: «Provate a
mettervi nei loro panni.
Se Bonnie si alzasse in questo momento e vi dicesse di aver
incontrato Bellatrix Lestrange e di esserle sfuggita, senza alcuna
prova da farvi vedere se non raccontandovi a voce la vicenda, le
credereste?» Domandò, guardandoli negli occhi uno
per uno.
Gli studenti abbassarono lo sguardo, Alex compreso, scuotendo
la
testa. Neville sorrise, continuando a parlare.
«Avrebbero dovuto credere, certo, sarebbe stato
tutto molto più
facile ma il loro modo di fare è più che
comprensibile, non
credete? In ogni caso, quel giorno, con un boccale di Burrobirra
bollente tra le mani rimanemmo ad ascoltare le parole di Hermione.
Dentro di me cresceva un entusiasmo che mai avrei pensato di provare.
Stavamo facendo qualcosa. Stavamo ponendo le basi per combattere il
mago oscuro più potente del nostro tempo. Eravamo dei
ragazzini,
alcuni di noi avevano ancora tredici anni, ma stavamo facendo
qualcosa che nessun adulto all'epoca avrebbe mai pensato di fare, se
escludiamo, ovviamente Albus Silente e l'Ordine della Fenice. Eravamo
dei bambini, quasi, ma ci eravamo messi in testa di sfidare il mago
oscuro più potente di tutti i tempi.» Il lieve
orgoglio celato nel
tono di Neville fece sorridere entusiasti i suoi studenti.
«Harry, nonostante all'inizio fosse restio a
insegnarci qualcosa,
sapete... non credeva molto nelle sue capacità, all'epoca;
acconsentì a diventare il nostro insegnate. Decidemmo quel
giorno
che ci saremmo incontrati almeno una volta alla settimana, tenendo
conto degli impegni scolastici di ognuno. Non avevamo ancora un luogo
dove incontrarci, ma avevamo uno scopo. E quando segnammo i nostri
nomi su una pergamena, per confermare la nostra partecipazione,
alzammo lo sguardo osservandoci in modo diverso per la prima volta.
Ognuno di noi custodiva un grande segreto. Ognuno di noi stava
contribuendo a combattere una battaglia che vista dai nostri occhi
sembrava impossibile da vincere. Quel giorno, così come il
giorno
del mio smistamento mi sentii parte di qualcosa di grande.»
Spiegò.
Lo sguardo di Neville brillò per l'emozione, mentre
con gli occhi
scrutava i volti dei suoi studenti. Ricambiò le occhiate di
ognuno
di loro, sperando che potessero capire con quello sguardo soltanto
quanto quel senso di appartenenza fosse stato importante per lui e
per gli altri.
«Sapevamo di non essere più soli a
combattere una battaglia più
grande di noi. Purtroppo restava un ultimo scoglio da superare. La
Professoressa Umbridge aveva vietato qualunque forma di aggregazione.
Squadre, gruppi di studio, di gioco, qualunque unione di più
di due
studenti era formalmente proibita dalle nuove regole di Hogwarts. Il
che significava che per mettere in pratica il nostro ideale sarebbe
stato necessario trovare un luogo nascosto tempo stesso grande
abbastanza per ospitarci tutti. In quello stesso periodo la
Professoressa Umbridge aveva istituito la sua personale agenzia
segreta, se così vogliamo chiamarla: un gruppo di studenti
ligi alle
sue regole che avevano il compito di sottrarre punti e riportare a
lei ogni infrazione. Si facevano chiamare la Squadra di Inquisizione.
Potete immaginare quanto fosse difficile riuscire a incontrarci per
decidere un luogo dove iniziare la nostra personale battaglia.
Passarono giorni prima che questa situazione si sbloccasse. Ci
incrociavamo a due a due per i corridoi, a lezione. Ci scambiavamo
bigliettini nelle lezioni che sapevamo essere sicure. La
Professoressa Mc Grannitt, per fare un esempio, non ci avrebbe mai
denunciati alla Umbridge, se l'avesse saputo. Avremmo potuto chiedere
aiuto a lei, pensandoci, ma non volevamo mettere in mezzo nessun
altro. Rischiavamo già tanto così.
Arrivò una meravigliosa
creatura a servirci la soluzione su un piatto d'argento. Dobby, il
meraviglioso Elfo Domestico raccontò ad Harry di una strana
stanza,
situata nell'ala più remota del castello, che era in grado
di
apparire e scomparire e di fornire al suo evocatore tutto
ciò di cui
aveva bisogno.»
«La stanza delle Necessità!» Lo
interruppe una bimba dai
riccioli biondo cenere.
«Esattamente Grace!» Si
complimentò Neville. «Dobby spiegò a
Harry come evocare la Stanza delle Necessità e senza nemeno
saperlo
ci fornì il luogo perfetto nel quale organizzare i nostri
inconti.
La sera del giorno dopo fissammo il nostro primo incontro. Ci
toccò
fare un passaparola per non rischiare di incrociarci in troppi in
mezzo ai corridoi. La stanza era una stanza speciale e leggendo
nell'anima di Harry che l'aveva evocata sapeva benissimo chi fare
entrare e chi no. Ci bastava solamente desiderare di essere
lì ed
ecco che le porte verso il cammino della nostra battaglia di aprivano
di fronte a noi. Quel giorno decidemmo che Harry sarebbe stato il
nostro capo, oltre che nostro insegnante e scegliemmo per noi un
nome. Un nome che potesse darci il senso di ciò che stavamo
facendo.
Un po' come i nomi che portate appuntati sul petto, mediante gli
stemmi delle vostre Case. Decidemmo di chiamarci Esercito di Silente,
per schierarci apertamente contro quelle zucche vuote che
continuavano a dire che Voldemort non era tornato, scegliemmo di
limitarci a chiamarlo E.S. in pubblico, per non mettere nei guai il
nostro preside. E quando appendemmo il foglio con i nostri nomi al
muro della stanza ci convincemmo che la parte più difficile
era
superata. Iniziammo quella sera stessa, partendo dalle basi.
L'Incantesimo di Disarmo fu il primo.»
Alex si esibì in una mezza risatina:
«L'Expelliarmus contro i
Mangiamorte, maddai!»
Neville sorrise, ricordando le parole di un certo Smith.
«Se ben ricordi è ciò che ha
salvato Harry Potter un sacco di
volte, durante gli scontri diretti contro Voldemort... può
sembrare
sciocco, ma l'Expelliarmus è fondamentale in ogni duello,
indipendentemente dal livello del mago che si ha di fronte.
Ovviamente non è l'unica cosa che serve.» Concluse
con un sorriso
delicato.
«Quel giorno ci fermarmmo all'Incantesimo di
Disarmo, ma nelle
settimane che seguirono andammo avanti, nonostante non riuscissimo a
vederci regolarmente. Ognuno di noi portava dentro di sé un
qualcosa
di magico. Era un po' come l'atmosfera calda che precede il Natale.
Una sensazione di felicità surreale. Sapevamo di star
combattendo
una battaglia importante anche se in gran segreto e per me era quanto
di più bello potessi aspettarmi. Era come se tutto
ciò che di
brutto mi circondava non potesse scalfire l'importanza che
rivestivano quegli incontri. Migliorai a vista d'occhio negli
incantesimi pratici. Harry era un insegnante comprensivo e chiaro.
Sapeva esattamente cosa dire per tirare fuori il meglio di noi, o
forse era soltanto l'atmosfera che ci accoglieva in quella stanza,
non so dirlo con precisione, ma in due incontri soltanto, almeno per
quanto mi riguarda, avevo battuto ogni mio record personale in fatto
di incantesimi.» Concluse con una risatina e i suoi studenti
lo
seguirono a ruota.
«Fu allora che Hermione saltò fuori con
una delle sue solite
idee brillanti.» Spiegò, mostrando il galeone ai
suoi studenti.
«Creò un galeone finto per ognuno di noi,
celandovi all'interno un
potente incantesimo. L'Incanto Proteus.»
«Ma è roba da ultimo anno!»
Esclamò Tessa, spalancando occhi e
bocca.
«Esattamente, ma Hermione come ben sapete era una
strega
brillante. Così creò queste piccole meraviglie,
collegate le une
alle altre. Quando Harry decideva l'orario e il giorno del nostro
prossimo incontro, non doveva far altro che cambiare con la magia il
numero di serie del suo galeone e istantaneamente ognuno dei nostri
avrebbe cambiato numeri, riscaldandosi appena per testimoniare il
cambiamento»
«Un po' come il Marchio Nero...»
Mormorò confuso Tobias,
tormentandosi le maniche del mantello.
Neville annuì.
«Se ci pensate era un modo molto più
umano del loro e al tempo
stesso un promemoria di ciò che stavamo combattendo. Le
riunioni nel
periodo che precedette il Natale furono scarse, ma sempre
più
intense. Ogni giorno imparavamo qualcosa di nuovo e cresceva in noi
la speranza che forse potessimo fare qualcosa per proteggere noi, i
nostri amici e le nostre famiglie dall'oscuro mago del quale nessuno
parlava. Con la promessa di iniziare con incantesimi sempre
più
difficili Harry ci lasciò, chiedendo a chi fosse rimasto a
Hogwarts
di esercitarsi il più possibile durante le
vacanze.»
Gli studenti del primo anno ormai lo ascoltavano rapito, quasi
stesse raccontando una storia qualunque. Conoscevano ciò che
era
accaduto durante la guerra, ma non avevano idea di ciò che
fosse
successo prima. Tutti questi particolari li incuriosivano a tal punto
che alcuni di loro avevano iniziato a prendere appunti.
«Appena tornati dalle vacanze di Natale, successe
qualcosa che
nessuno di noi si sarebbe mai aspettato. Dieci dei più
pericolosi
Mangiamorte seguaci di Voldemort erano evasi dalla prigione di
massima sicurezza di Azkaban. L'atmosfera nel mondo magico
cambià
dopo quel fatto. Le persone iniziarono a domandarsi se davvero
ciò
che diceva il Ministero potesse essere o meno attendibile. Tutti si
domandavano come avessero fatto dieci persone in isolamento, per
quanto brave, a fuggire da una prigione come quella di Azkaban. Molti
iniziarono a riconoscere come veritiere le parole di Harry e fu in
questo clima che ci ritrovammo dopo le vacanze. L'incontro che ne
seguì fu uno dei più seri ai quali ho mai
partecipato. Ognuno di
noi era animato dalla rabbia e dalla determinazione, oltre che dal
timore che qualcosa potesse succedere a breve. Forse quel mondo
oscuro del quale avevamo solamente sentito parlare stava tornando
davvero.»
Si prese qualche istante per raccogliere i ricordi e cercare
di
esporli al meglio, mentre osservava i suoi studenti scambiarsi
commenti e considerazioni. Alcuni di loro sembravano elettrizzati
all'idea, altri spaventati, altri determinati. Era un po' come
trovarsi di fronte la sua versione adolescente accompagnata dai suoi
vecchi compagni di scuola.
Sospirò prima di riprendere il discorso.
«Suppongo che la maggior parte di voi sappia
ciò che successe ai
miei genitori durante il primo regno del terrore di Voldemort,
perciò
potete ben capire quanto l'evasione delle persone che l'avevano
causato mi avesse scosso. Iniziai a lavorare sodo, molto più
di
quanto non avessi fatto fino ad allora. Miglioravamo a vista
d'occhio, non più guidati dal timore, bensì dalla
voglia di fare
effettivamente qualcosa per evitare che la storia si ripetesse. Ma,
mentre noi facevamo di tutto per combattere, la Professoressa
Umbridge faceva di tutto per impedirci di impugnare le
bacchette.»
«Ancora non se n'era fatta una ragione?!»
Domandò sconvolta
Eileanoir, con uno sguardo incredulo.
«In tutta franchezza Eileanoir, non si sarebbe
accorta di un
drago nemmeno se le avesse starnutito sotto il naso.»
Replicò
Neville con leggerezza, scatenando le risate divertite dei suoi
studenti.
«La Professoressa Umbridge impose alla Squadra
d'Inquisizione di
tenerci d'occhio. Organizzarono dei turni di ronda per seguire ognuno
di noi. All'epoca non ne eravamo a conoscenza, ma, per farla breve,
mostrammo loro l'ingresso della nostra sala riunioni. Servì
loro
molto tempo per comprendere come funzionasse, però.
Riuscimmo ad
arrivare all'Incanto Patronus prima del nostro ultimo
incontro.»
Fece una pausa per godersi i volti incuriositi dei suoi
studenti.
Sapeva che avrebbero gradito la sua storia, ma avendo avuto
così
poche occasioni di raccontarla a qualcuno che non facesse parte della
sua famiglia, che l'idea di trasmetter loro un capitolo così
pieno
di speranza della sua vita lo emozionò nel profondo.
«Un pomeriggio, la porta della Stanza delle
Necessità si
spalancò di colpo, rivelando la figura di Dobby, colui che
ci aveva
spiegato come raggiungerla. Dobby, tra un tremito e l'altro ci impose
di fuggire, la Professoressa Umbridge stava arrivando, eravamo nei
guai. Molti di noi riuscirono a fuggire, ma nessuno si curò
di
portare via la pergamena incantata sulla quale avevamo firmato la
nostra partecipazione. Venimmo puniti tutti per aver fatto parte di
quel gruppo di difesa segreto, ma sapete tutti cos'è
successo alla
fine di quell'anno e dell'anno seguente. E fu solamente grazie a
Harry e ai nostri incontri segreti che riuscimmo a portare a casa la
pelle per l'estate.»
Neville tornò a sedersi sulla sua gigantesca zucca,
rigirandosi
il galeone tra le dita.
«Ma fu due anni dopo che la nostra esperienza ci
tornò veramente
utile. I Mangiamorte, come ben sapete, avevano preso possesso di
Hogwarts e noi avevamo bisogno di un modo per continuare a
combatterli, anche se esporsi significava rischiare la vita, anche se
ad ogni azione molto spesso corrispondeva una reazione tutt'altro che
positiva. Utilizzammo i galeoni per tenerci in contatto. Io, Ginny e
Luna organizzammo una resistenza interna alle mura di Hogwarts.
Iniziammo a depistare i Mangiamorte, a tenere alto il nome di Silente
e di tutto ciò che per noi lui significava. Silente ci aveva
lasciati, ma i suoi insegnamenti e quelli di Harry ardevano dentro di
noi come fiamme vive. Eravamo giovani e parecchio stupidi, ma
riuscimmo a dare filo da torcere a coloro i quali speravano di
insegnarci ad amare le Arti Oscure.»
Neville tornò ad alzarsi e riprese a camminare
avanti e indietro
di fronte ai ragazzi.
«Ginny durante l'estate aveva sentito che il
Professor Silente
aveva lasciato in eredità la Spada di Grifondoro a Harry,
così,
quando scoprimmo che il Preside Piton la teneva custodita nel suo
ufficio, cercammo di rubarla. Fu un fiasco totale.» Ammise
con un
tono imbarazzato e una mezza risatina.
«Non sapevamo il perché, lo scoprimmo
molto tempo più tardi, ma
sapevamo che se Silente aveva deciso di lasciarla ad Harry doveva
avere un motivo ben preciso per farlo. Il nostro vecchio Preside non
era un uomo comune, né semplice da decifrare,
perciò, ancora una
volta avevamo deciso di fidarci di lui. Finimmo per essere puniti
più
duramente del solito e fu così che arrivò il
Natale. Alcuni di noi
tornarono a casa, Luna tra tutti non vedeva l'ora di riabbracciare
suo padre, ma venne rapita durante il viaggio per Londra.»
«Ma nessuno fece nulla? Gli Auror?»
Domandò Grace, stringendo
tra le dita i lembi del mantello.
«Non vi era più l'ombra di un Auror che
non fosse un Mangiamorte
o quasi, giunti a questo punto. Voldemort aveva preso possesso del
Ministero, oltre che del resto della Gran Bretagna. Ma tornando alla
nostra storia: Al ritorno io e Ginny continuammo la missione che ci
eravamo preposti. Continuammo a dar loro rogne ogni santo giorno.
Usavamo i Galeoni per non farci beccare, non potevamo incrociarci nei
corridoi, Hogwarts era diventata peggio di una di quelle scuole
militari babbane. Arrivato il periodo di Pasqua, però, Ginny
fu
costretta a rimanere a casa. Rimasi io e pochi altri con me. Giorno
dopo giorno, però le punizioni diventavano sempre
più crudeli e un
paio di settimane prima della fine della scuola, decisero che le
torture non erano abbastanza...»
Neville lasciò la frase a metà,
lasciando scivolare il Galeone
nella tasca del mantello.
«È stato allora che ho deciso di
rispolverare il vecchio trucco
della Stanza delle Necessità. Mi sono nascosto
lì, per continuare a
giudare la nostra piccola rivoluzione senza lasciarci effettivamente
le penne. Vedete, la Stanza delle Necessità è una
stanza veramente
epica!» Esclamò lasciandosi cadere nuovamente
sulla sua zucca
gigante.
«Esaudisce ogni vostro desiderio, ovviamente tenendo
conto delle
leggi che regolano la magia, ragazzi. Ma per questo vi consiglio di
chiedere un approfondimento alla professoressa di Trasfigurazione. Mi
bastò desiderare una stanza sicura dove nessun sostenitore
dei
Carrow potesse entrare per ottenere un nascondiglio sicuro. Mi
bastò
pensare al cibo per creare un passaggio segreto per la Testa di
Porco. Poco a poco anche altri membri dell'Esercito di Silente mi
iniziarono a trasferirsi all'interno della stanza. Sapete tutti come
andò a finire. Harry ci raggiunse e da lì ebbe
inizio la Battaglia
di Hogwarts.»
I ragazzi e le ragazze si guardarono attorno, cercando gli uni
gli
sguardi degli altri. Erano emozionati, quasi entusiasti. Sembravano
aver capito l'importanza di quella piccola monetina. Tutto era nato
da lì, senza di essa non avrebbero saputo come incontrarsi,
non
avrebbero mai imparato a difendersi e probabilmente non sarebbero mai
riusciti a sconfiggere Lord Voldemort.
«È iniziato tutto da qui.»
Continuò Neville. «Da questo
piccolissimo Galeone falso. Da una manciata di incantesimi e dalle
speranze di un gruppo di trenta ragazzi. Silente diceva sempre che la
difesa più grande di Hogwarts non sono le mura o i suoi
potentissimi
incantesimi protettivi, bensì tutti gli studenti e gli
insegnanti
che la abitano. Voi, diceva sempre, siete la più grande
difesa di
Hogwarts.» Disse loro, cercando i loro sguardi emozionati.
«Non dimenticatelo mai, ragazzi, mai.»
Concluse con un gran
sorriso. Poi, voltandosi verso Tobias domandò:
«Pensi che abbia
risposto a dovere alla tua domanda?»
Tobias sorrise emozionato, con un calore e una sicurezza che
non
aveva mai mostrato prima di allora.
«Sì, Professor Paciock.»
Rispose senza esitazione. «Grazie
mille!»
Neville ricambiò con un gran sorriso, poi, data
un'occhiata al
grande orologio di Hogwarts li condusse nuovamente verso il campo di
Volo, aveva rubato cinque minuti all'insegnante di volo, con la quale
andò a scusarsi personalmente.
Tornando verso le serre, Neville tornò a stringere
tra le dita il
suo Galeone. Era da tempo che non vedeva il numero di serie mutare,
era successo il giorno del decimo anniversario dell'ultima Battaglia
di Hogwarts e sapeva che sarebbe passato molto tempo prima di vederle
mutare ancora, ma l'idea di averlo sempre lì con lui, lo
aiutava a
tenere accanto a sé il ricordo di coloro che se n'erano
andati. Il
ricordo di quella volta nella quale aveva deciso di prendere tutto il
coraggio che aveva tra le mani e di meritarsi una volta per tutto la
Casa nella quale era stato smistato.
Non era nato Grifondoro, Neville, ma quella moneta aveva
contribuito a farlo divenire tale.
NDA:
Questa storia è nata un pomeriggio di Ottobre del 2015.
Inutile dirvi quanto sia stato un parto darla alla luce. Inizialmente
avevo pensato di dare una forma diversa al suo contenuto, di far
raccontare a Neville i fatti accaduti sotto forma di ricordo al primo
memoriale della Battaglia di Hogwarts, ma mi è sembrato
troppo presto e troppo inutile. Ho pensato fosse più furbo
far sì che raccontasse a un gruppo di giovani menti quello
che l'E.S. ha significato per lui e i suoi compagni. Un po' come se
volesse lasciare loro il ricordo di ciò che per lui ha
significato così tanto.
Ho scritto questa storia a più riprese, non riuscendo mai a
trovare il giusto ritmo narrativo. Spero di aver fatto un lavoro
decente, ultimandola in un solo fiato.
Spero sia di vostro gradimento e vi invito a rendermi partecipe dei
vostri pensieri in merito, che essi siano positivi così come
negativi. Spero un giorno di poter scrivere qualcosa di mio, di
originale, e ho bisogno di tutto l'aiuto possibile per continuare a
crescere da questo punto di vista.
Un abbraccio, Siria.
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