You Can Never Plan The Future By The Past

di Myra11
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Capitolo 2
 

If I never had you. I know that I...I still would have mourned you.
 
 
«Devi mangiare qualcosa, Jace.»
«L’ho già fatto.»
«Quando?»
«Mentre eri impegnata a finire il disegno.» Jace spostò lo sguardo dal soffitto alla sua ragazza.
Clary era accigliata, e questo stranamente lo fece sorridere. Era tutta la sera che si prendeva cura di lui, e nonostante tutto era un bel momento, solo per loro due.
«Ah-a. Certo. Hai mangiato in camera tua, vero?»
Jace ridacchiò e le fece cenno di avvicinarsi. La ragazza obbedì, e lui l’attirò subito sul letto, avvolgendosi intorno a lei.
«E questo cos’è?» Rise Clary, accoccolandosi sul suo petto e godendosi il calore del suo corpo.
Con gli avvenimenti degli ultimi mesi non avevano passato molto tempo insieme, e quei brevi momenti in cui erano presenti solo loro due erano preziosi per entrambi.
«Lasciami stare così per un po’, ti prego.» C’era una tale dolcezza nella voce di Jace che Clary non poté fare altro che annuire in silenzio, accarezzandogli lentamente la schiena.
Chiuse gli occhi continuando il movimento, il cuore del biondo che batteva forte contro il suo orecchio. Capiva il dolore di Alec, quella cupa tristezza sempre presente nel suo sguardo, perché era la stessa che aveva provato lei quando pensava che Jace fosse suo fratello.
L’ineluttabilità di non poterlo più abbracciare, toccare o baciare.
Sospirò lievemente e rafforzò la stretta su Jace, rilassandosi lentamente.
La sua voce che le sussurrava di amarla fu l’ultima cosa che sentì prima di addormentarsi.
 
Magnus chiuse il rubinetto e si asciugò le mani.
Il marmo del lavandino era macchiato di sangue e veleno, e lui sbuffò pensando di dover cambiare nuovamente tutta la sala per ripulire quel casino.
Chiuse la porta e tornò nel salotto: inevitabilmente i suoi occhi caddero sul suo ospite indesiderato.
Alexander era svenuto di nuovo durante la guarigione e lui era grato per quello, perché ciò che avrebbe dovuto fare dopo non sarebbe stato facile se fosse stato sveglio.
Un miagolio infastidito attirò la sua attenzione. «Zitto, Presidente. Lui mi fa guadagnare soldi, tu me li fai spendere.»
Il gatto miagolò di nuovo e scivolò in camera, probabilmente per andare a farsi le unghie sui cuscini. Lo stregone sospirò seccato e s’inginocchiò accanto al divano.
La ferita sul petto del Nephilim aveva smesso di sanguinare, ma era così vicina al cuore che non avrebbe potuto rischiare con la magia. Era in piedi da quasi ventiquattro ore e aveva consumato ogni briciolo di magia per curare i danni provocati dal veleno del demone.
Abbassò lo sguardo sull’ago che teneva tra le mani e si accigliò. Gli sembrava di aver già curato quel ragazzo, ma non era possibile. L’aveva visto per la prima volta sei mesi prima, ne era certo.
Infilato il filo nella cruna, si sporse verso il ragazzo. La sera prima gliel’avevano portato pallido come uno straccio, e ora aveva riacquistato un minimo di colorito, che avrebbe sicuramente perso quando avesse iniziato a cucire.
«Cerca di non urlare, i vicini dormono.»
Il corpo del ragazzo s’irrigidì involontariamente in uno spasmo di dolore quando l’ago penetrò nella carne, e per puro istinto Magnus posò una mano sul petto del ragazzo, bloccandolo sul divano.
Aveva appena finito di ricucirlo quando lui riaprì gli occhi, e il loro colore lo colpì come la prima volta che l’aveva visto.
«Buonasera bella addormentata.»
«Ma…Magnus?»
Lo stregone si alzò e andò a buttare il filo rimasto e l’ago insanguinato nel lavandino rovinato prima di tornare dal suo ospite.
«In persona. Qual è l’ultima cosa che ricordi?»
Alec cercò di alzarsi facendo forza sulle braccia, ma scoprì di essere ancora troppo debole.
Voleva andarsene da lì, scappare lontano da quelle stanze piene di ricordi e rifugiarsi nel buio della propria stanza.
«Il demone, nella chiesa. Isabelle sta bene?» Si alzò di scatto, ma così facendo si procurò una fitta di dolore così forte da provocargli la nausea.
Magnus accorse davanti a lui ancora prima di rendersene conto.
«Ehi ehi, piano! Tua sorella sta bene. E ora rimettiti giù.»
Alec socchiuse gli occhi, accigliandosi, e alla fine obbedì coricandosi di nuovo sul divano zuppo di sangue, sentendo i punti sul petto tirare pericolosamente. Alla fine chiuse gli occhi, e rimase ad ascoltare i passi morbidi dello stregone che si muoveva nell’appartamento.
Quel momento di calma venne interrotto dal repentino pensiero che Magnus non si sarebbe chinato su di lui per dargli un bacio prima di andare a letto.
«Se sopravvivi guadagno un sacco di soldi, quindi stanotte resta buono su quel divano e non far saltare i punti.»
«Va bene.» Mormorò Alec, e poco dopo sentì la porta della camera dello stregone chiudersi.
Sarebbe stata una lunga notte.
Non seppe con esattezza cosa c’era di sbagliato, quella notte, ma non riuscì ad addormentarsi.
Si rigirò nelle coperte per ore prima di stufarsi e uscire dalla stanza, ricordandosi all’ultimo momento di chi stava nell’altra stanza ed evitando di sbattere la porta.
Girò intorno al divano e lo sguardo gli cadde sugli abiti stracciati che aveva accumulato sul pavimento mentre curava il ragazzo.
In mezzo al cuoio bruciato della divisa c’era un tocco solitario di colore, una sciarpa azzurra macchiata di sangue. Si chinò a raccoglierla, notando la consistenza morbida simile a seta, e si chiese come mai un Nephilim portasse qualcosa del genere.
«Che ci fai in piedi?» La voce di Alexander lo colse di sorpresa, facendogli alzare lo sguardo. Ora era accigliato, e una parte di lui lo trovò incredibilmente carino.
Lasciò cadere la sciarpa e dedicò un sorriso divertito al giovane. «Suppongo di poter fare ciò che più mi va in casa mia.»
Si allontanò scrollando le spalle ma si fermò nuovamente sulla soglia della camera, lasciando che i capelli gli coprissero parzialmente il viso. Il giovane Lightwood lo stava ancora fissando, sentiva il peso del suo sguardo come un macigno in mezzo alle scapole: nessun’altro gli aveva mai fatto quell’effetto, nemmeno Camille.
«Torna a dormire. Domani finirò di sistemarti, e se sarò fortunato avrò i soldi entro due giorni e tu sarai fuori dai piedi.» Fu più brusco del solito nel parlare e nel chiudersi la porta alle spalle. Vi si appoggiò contro, sentendo il respiro pesante del cacciatore nell’altra stanza.
In quel momento si rese conto che non sarebbero bastati due giorni per rimetterlo completamente in forze. Il veleno che gli aveva corroso la carne non apparteneva ad un demone qualunque, ma ad un Jallada, un carnefice infernale al servizio dei Principi. Quel ragazzo doveva essersi messo in un bel casino se era riuscito ad attirarsi uno di quei cosi addosso.
Sentendo la curiosità assalirgli la mente, si staccò violentemente dalla porta e si mise nuovamente a letto, scoprendo che il Presidente aveva risparmiato i cuscini ma non la poltrona accanto al materasso. Maledisse sottovoce quel gatto permaloso e chiuse gli occhi, ma c’era ancora qualcosa di sbagliato.
Perfino quando il felino saltò al suo fianco, condividendo il suo calore con lui, non si sentì consolato come al solito. Per la prima volta in tutti quegli anni si accorse che quel letto era troppo grande per una persona sola. Era troppo vuoto.
Mentre scivolava in un sonno turbato, dopo molti secoli, si sentì nuovamente solo.
 
«Che cosa?!»
Isabelle fu attirata fuori dalla propria stanza dall’esclamazione di Jace.
Lui e Clary erano nel corridoio, davanti ad una persona che inizialmente scambiò per Alec, ma alla fine riconobbe.
«Che ci fai qui, papà?»
Robert Lightwood spostò lo sguardo sulla sua unica figlia e le sorrise brevemente. «Sono venuto a prendervi, dobbiamo andare ad Idris. Dov’è Alexander?»
La domanda gelò il sangue nelle vene ai tre giovani, che si scambiarono una breve occhiata.
«Cosa mi state nascondendo?» Domandò il capo dell’Istituto, osservandoli uno per uno.
«Alec…» Iniziò Jace, attirando l’attenzione dell’uomo. «È stato gravemente ferito durante una caccia.»
«Cosa?»
Il biondo alzò velocemente le mani per placare il padre adottivo. «Sta bene, Robert, ma per salvarlo abbiamo dovuto chiedere aiuto a Magnus Bane.»
Ci fu un attimo di silenzio in cui l’Istituto stesso sembrò trattenere il fiato, come in attesa di un attacco. Quando erano tornati dall’Inferno ricoperti di ferite e con un Alec in stato di semi-incoscienza, Robert si era infuriato, ma la sua rabbia era stata mitigata dal fatto che suo figlio non avrebbe più avuto niente a che fare con il Sommo Stregone di Brooklyn, e non avrebbe di sicuro preso bene la nuova notizia.
«Fate i bagagli, vado a prendere Alexander.» Fu la risposta controllata a stento, e ancora prima di aver finito di parlare l’uomo si stava già avviando verso l’uscita.
«No!» Quell’unica parola pronunciata in coro da Clary e Isabelle bloccò i passi dell’uomo.
Quando si voltò nuovamente, la mora vide un controllo precario in quegli occhi così simili ai suoi.
«Papà, aspetta. Non hai idea in che stato fosse Alec, di sicuro non è abbastanza forte per sostenere un viaggio attraverso un portale.»
«Non lo lascerò con lo stregone.»
«Ma si prenderà cura di lui!»
«Isabelle…» L’avvertimento nella voce del padre non fece desistere la ragazza, sempre testarda.
«No papà. Non voglio perdere anche Alec, non dopo…» Le si spezzò la voce, ma tutti i presenti sapevano come continuava la frase. Non dopo Max.
Robert sospirò e si avvicinò alla figlia. «D’accordo. Ora preparatevi, e fate in fretta.»
«Che cos’è successo a Idris?»
«Abbiamo catturato Sebastian.»

 




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