CORMORANT
6
Cuffie da volo e giacca a vento
arancione con strisce catarifrangenti, la donna sedeva sul sedile
posteriore dell’elicottero. Accanto a lei, un uomo equipaggiato
nello stesso modo si stava sistemando una videocamera in spalla.
“Sbrigati,” gli disse la
donna.
“Faccio subito.”
L’altra si sporse in avanti,
batté la mano sulla spalla del pilota e, alzando la voce per coprire
il rumore delle pale, ordinò: “Più vicino, per favore.”
“Ci provo.”
Il Bell 206 si piegò da una
parte e scese di quota.
Dabbasso, in un ribollire di onde
plumbee, la piattaforma petrolifera sembrava una specie di grosso
crostaceo piantato a zampe larghe. Aguzzando la vista, si poteva
vedere gente che correva sul ponte principale.
La donna afferrò un microfono e
si schiarì la voce, quindi rivolse un’occhiata al cameraman, che
le rispose con un cenno d’assenso.
“Qui è Sandra Shears di
Channel 23,” esordì allora la giornalista, “in questo momento ci
stiamo avvicinando alla piattaforma Cormorant 6, dove, da circa due
giorni, un gruppo di terroristi sta tenendo in ostaggio tutto il
personale. Non sono ancora note le loro...”
In quel momento una scia di fuoco
passò sibilando accanto all’elicottero.
“Un missile terra-aria!” urlò
il pilota. “Cazzo!”
Fece scartare bruscamente
l’aeromobile, evitando di stretta misura un secondo missile. La
scia di fuoco dell’ordigno passò così vicina da illuminare tutto
l’abitacolo.
“Hai visto?” gridò la donna
concitata, aggrappandosi alle maniglie che si trovavano sul soffitto
per mantenere l’equilibrio, “Stai riprendendo, Wes?”
L’elicottero invertì la rotta.
“Aspetta!” disse la
giornalista. Poi, rivolta al cameraman: “Wes, stai riprendendo? Hai
filmato il missile?”
Il pilota diede tutta manetta.
“Aspetta, maledizione!”
“Col cazzo! Non ci tengo a
saltare in aria!”
L’elicottero proseguì verso la
costa.
A bordo del pattugliatore Sirius,
aggrappato alla struttura del cannoncino prodiero per contrastare il
moto vigoroso delle onde, Thomas Foreman, della polizia federale,
stava fissando la Cormorant 6.
Alzò lo sguardo nell’udire le
pale di un elicottero, constatò che si trattava del mezzo di
un’emittente locale, e fra i denti ringhiò: “Quegli stronzi
vanno a cercarsi dei guai.”
Tirò fuori dalla tasca della
giacca a vento una radio, premette il PTT[1] e disse: “Fate tornare
indietro quegli idioti.”
Dall’altoparlante giunse la
risposta: “Hanno il permesso del commissariato locale, Tom.”
“Possono avere anche quello del
Presidente, non me ne frega un cazzo. Adesso girano il culo e tornano
indietro, questa è un’operazione antiterrorismo.”
“Ora li chiamo.”
In quel momento, sul ponte della
piattaforma petrolifera ci fu un bagliore arancione, poi qualcosa che
si lasciava dietro una scia di fuoco si staccò da essa e si diresse
rapido verso l’elicottero in avvicinamento.
“Figli di puttana,” sibilò
Foreman. Vide l’aeromobile evitare il primo missile di stretta
misura, scartare perdendo quota all’arrivo del secondo e
successivamente dirigersi a tutta velocità verso la terraferma.
Rimase a seguirlo con lo sguardo
per qualche secondo, poi si girò di nuovo verso la Cormorant 6, cui
rivolse uno sguardo feroce. “Figlio di puttana,” ripeté,
stringendo gli occhi. “Ma questa volta non la fai franca, pezzo di
merda. Questa volta giuro che ti strappo il cuore con le mie mani e
me lo mangio.”
Alphonse Joussineau, più noto
negli ambienti dell’ecoterrorismo col nome di Alpha, si tirò
indietro i capelli, che il vento gelido continuava a sbattergli in
faccia. Si strinse addosso l’eskimo intriso di salsedine e fece
scorrere lo sguardo tutt’intorno. Si fermò sui prigionieri: legati
e ammucchiati da una parte, gli operatori della piattaforma
petrolifera sembravano delle pecore spaventate. Ebbe un ghigno
sprezzante: nessuno aveva avuto paura, però, quando si era trattato
di cacciare via popolazioni che da secoli si sostentavano pescando in
quelle coste, né aveva avuto espressioni terrorizzate, quando si era
trattato di bruciare i villaggi e deportare quei disgraziati.
E nessuno era stato neppure
lontanamente così preoccupato come erano ora quegli uomini, al
pensiero che le scorie dell’estrazione avrebbero distrutto
l’ecosistema della zona.
Non erano stati materialmente
loro a fare quelle cose, chiaro, ma avevano scelto loro di lavorare
per la Star Petrol, e quindi erano complici.
Nello sfacelo dell'ambiente che
veniva con indifferenza portato avanti, nessuno era senza colpa.
Nessuno era innocente.
Nessuno ormai poteva più dire
che non sapeva, che non voleva, che non immaginava.
Alzò la testa: un elicottero si
stava avvicinando.
Fece un cenno ai suoi uomini, e
subito un paio di essi imbracciarono degli RPG e li puntarono in
direzione dell’aeromobile.
“Sparate,” ordinò, “voglio
che capiscano che facciamo sul serio.”
I razzi partirono sibilando.
Sempre con la giacca a vento
addosso, i capelli scompigliati dal vento forte, Sandra Shears
lottava per rimanere in equilibrio sul ponte di un’unità della
marina. “Siamo giunti a una situazione di stallo,” disse nel
microfono, “Nessuno riesce ad avvicinarsi alla piattaforma
petrolifera. I terroristi hanno fatto sapere che cominceranno a
uccidere gli ostaggi se le loro richieste non verranno ascoltate.”
In quel momento si vide qualcosa
di arancione muoversi sul ponte principale della Cormorant 6. Wes si
voltò immediatamente in quella direzione con la videocamera e zoomò
il più possibile. “È un uomo!” esclamò, “Stanno trascinando
un uomo!”
La figura si agitava come un
verme infilato sull’amo. Ce n’erano altre intorno, ma i colori
spenti degli abiti che indossavano facevano sì che si confondessero
con la foschia. “Lo stanno trascinando,” ripeté il cameraman,
che era l’unico che riusciva a seguire la scena.
“Riprendi tutto, Wes!” disse
Sandra alle sue spalle.
“Ok.”
Il verme continuava ad agitarsi.
Attraverso l'occhio della videocamera, Wes aveva anche l'impressione
di sentirlo urlare.
Non distingueva la sua
espressione, ma vedeva bene la voragine nera che gli si apriva
nell'ovale bianco del viso ogni volta che chi lo stava trascinando lo
spingeva più vicino al bordo della piattaforma.
In un silenzio irreale lo vide
impuntarsi, divincolarsi e infine buttarsi per terra. I terroristi lo
trascinarono per gli ultimi metri, poi lo issarono sopra la ringhiera
di protezione. Rimasero immobili alcuni secondi, forse per lasciare
il tempo a chi li stava osservando di realizzare la portata di quello
che stava per succedere, quindi lo lasciarono cadere.
L'uomo, legato mani e piedi,
piombò in acqua, andò sotto, riemerse per un istante e poi
scomparve definitivamente.
“Cazzo...” mormorò il
cameraman.
“Hai filmato tutto?” volle
sapere la giornalista alle sue spalle.
Wes non rispose. Appoggiò la
videocamera e si frugò in tasca alla ricerca di una sigaretta.
“Hai filmato?”
“Sandra, hanno appena ucciso un
uomo.”
“Sì, e tu l'hai filmato,
vero?”
L'altro si infilò la sigaretta
fra le labbra, l'accese con fatica a causa del vento, poi si girò
aspirando il fumo. Vista a occhio nudo, la Cormorant 6 sembrava
niente più di un grosso rottame fatto di tralicci grigi e gialli,
solo a fatica si coglieva da una parte la massa arancione degli
ostaggi.
Diede un altro lungo tiro alla
sigaretta.
§
“Ricordo questo posto,” disse
Alphonse Joussineau con un sospiro. “Lo ricordo com'era, intendo.”
Fece qualche passo lungo la
battigia. L'acqua era nerastra, coperta di uno strato di schiuma
color caffellatte. Tronchi marci che spuntavano dall'acqua facevano
capire che fino a pochi mesi prima la zona era stata una
lussureggiante foresta di mangrovie.
Tolto il lieve sciabordio delle
onde, c'era un silenzio raggelante. L'unica forma di vita visibile
era una massa di larve che si agitava dentro la carcassa infangata di
un trampoliere.
L'uomo si fermò e volse lo
sguardo all'orizzonte, dove, sulla linea che separava acqua e cielo,
spuntava la sagoma indistinta di una piattaforma petrolifera. “Che
mondo lasciamo ai nostri figli?” sospirò.
La donna che camminava alle sue
spalle lo raggiunse e si fermò al suo fianco. A sua volta emise un
sospiro e disse: “Uno schifo.”
Alphonse annuì grave. Fece
scorrere lo sguardo sulla devastazione della costa. Più oltre, dopo
quello che rimaneva di un villaggio espropriato dal governo,
sorgevano le costruzioni bianche di un resort. Certo la zona non era
delle migliori – non era un resort da ricchi – ma tanto la gente
non usciva quasi mai da quei posti. Si limitava perlopiù a starsene
a mollo nella piscina e a prendere il sole in un'imitazione di
giardino tropicale, un paradiso posticcio creato più per soddisfare
l'immaginario collettivo di esotismo che per conservare le specie
autoctone.
Se c'erano delle escursioni, a
bordo di pulmini decorati con tucani e fiori di ibisco, erano solo
verso negozi di souvenir o cene etniche
con patetiche esibizioni di cosiddette danze locali.
Il turismo, che avrebbe potuto
rappresentare un veicolo di conservazione dell'ecosistema,
distruggeva al pari del resto.
L'uomo
distruggeva.
L'uomo era come un virus per il
pianeta, si insediava in un posto, si moltiplicava esaurendo ogni
risorsa naturale, poi si spostava verso un'altra zona ricca, e la
sfruttava fino a esaurire anche quella.
Fino a quando?
“Non rimarrà più niente,”
disse amareggiato.
La donna al suo fianco, occhi
neri e zigomi alti da india, non disse nulla.
Egli si chinò, raccolse uno
stecco infangato e con quello rivoltò la carcassa dell'uccello,
sollevando una nube di lezzo di putrefazione. “Io credo che sia
arrivato il momento,” disse grave.
“Che momento?”
“Quello in cui si è chiamati a
decidere. Il momento in cui o li combatti o sei loro complice.”
Inspirò volgendo di nuovo lo sguardo verso la piattaforma, poi
proseguì: “Certo, abbiamo liberato qualche cucciolo di beagle,
abbiamo tirato vernice rossa alle modelle impellicciate, ma a cosa è
servito, veramente?
Che cosa abbiamo ottenuto? Di arrecare dei fastidi, che alla fine
hanno portato più vantaggi a loro che a noi, e ci hanno fatti
passare per cretini esaltati buoni solo per le vignette satiriche.”
La donna si spostò fino a
incontrare il suo sguardo. “E quindi cosa proponi di fare?”
“Di
fare sul serio. Di distruggere chi sta distruggendo il pianeta.”
“Nel
concreto?”
Alphonse
si voltò verso la piattaforma petrolifera, che sorgeva sinistra
dall'orizzonte caliginoso. “Guardati intorno: quella
ha devastato ogni cosa. Ha corrotto, inquinato, ucciso, rovinato. Ha
cancellato un intero ecosistema, e con esso tutte le forme di vita
che lo abitavano. E come quella, ci sono migliaia di industrie che
scaricano veleno nell'acqua, nell'aria e nella terra, e noi lo
beviamo, lo respiriamo e lo mangiamo. I corpi non si decompongono
più, pieni di antibiotici come sono. I bambini sono convinti che il
latte nasca nei supermercati. Si fa la caccia di selezione, per
abbattere animali che non trovano più sostentamento, perché noi
abbiamo distrutto il loro ambiente, e abbattendo quelli si causa la
proliferazione di altre specie, e l'equilibrio si altera ancora di
più.” Fece una pausa, si passò una mano fra i capelli con fare
sconsolato. “Fino a quando?” chiese poi, “Fino a che non saremo
ridotti a mangiare soylent verde come nel film di Fleischer?[2]”
§
“Non ci sono vittime,” fu la
prima cosa che lo sceriffo del posto di polizia locale disse a Thomas
Foreman.
Bloccata a nord e a sud, la
strada era percorsa solo da sanitari, pompieri e poliziotti. La
scientifica stava già procedendo ai rilevamenti assieme al nucleo
antiterrorismo. Altri agenti tenevano lontani i giornalisti.
La carreggiata era ostruita da un
trasporto speciale con le ruote all'aria. Poco lontano c'era quello
che rimaneva di una trivella da pozzo petrolifero. Altri macchinari
distrutti erano sparsi in giro.
“Segni di esplosivo,”
constatò Foreman.
“Hanno fatto saltare tutto,”
confermò lo sceriffo. “Hanno legato e bendato l'autista e quelli
della scorta tecnica, li hanno mollati da una parte e poi hanno
distrutto qualsiasi cosa.”
“Si sa chi sono?”
L'altro alzò le spalle.
“Terroristi del cazzo. Vogliono il mondo come pare a loro, e
siccome non lo è, pensano bene di mettere le bombe.”
Foreman non rispose. “Sarà
meglio che vada a parlare con quelli del trasporto,” disse
semplicemente, quindi si diresse verso una delle ambulanze.
A bordo c'era un uomo corpulento,
sulla quarantina, con una gran barba castana e i capelli rasati quasi
a zero. Aveva una sigaretta spenta all'angolo della bocca, un cerotto
nell'incavo del gomito e stava aspettando pazientemente che
un'infermiera finisse di prendergli la pressione.
Foreman salutò, si qualificò,
quindi gli disse: “Dovrei farle alcune domande.”
“Si accomodi,” rispose
l'altro. “Me le hanno già fatte in venti. Uno più uno meno, non
cambierà molto.”
“Sarà questione di poco.”
“Dite tutti così. Intanto sono
tre ore che sto qui a rispondere a domande e a farmi infilare aghi
addosso. Quegli stronzi mi hanno fatto saltare il camion, e la prima
cosa di cui voi sbirri vi preoccupate è che io non fossi ubriaco
alla guida.”
“Lo
era?”
“Cazzo, no. Alla patente ci
tengo, è la stessa cosa che ho detto agli altri.”
“Cosa può dirmi di quello che
è successo?”
“Era notte. A un certo punto un
furgone si è messo di traverso, sono scesi dei tizi col
passamontagna, mi hanno puntato in faccia una pistola, mi hanno
legato e bendato. Poi mi hanno portato via e dopo un po' ho sentito
le esplosioni.”
“Quanti erano?”
“Non lo so. Sembravano un bel
po', comunque. C'erano anche delle donne.”
“Non ricorda altro?”
“Uno si faceva chiamare Alpha,
o qualcosa del genere.”
Foreman annuì. “Altre cose?”
L’uomo scosse la testa. “No,
mi spiace. Me la stavo facendo sotto, e in quei momenti non è che lo
spirito di osservazione sia proprio al massimo, se capisce quello che
intendo dire.”
“Già, certo. Beh, grazie per
la sua collaborazione.”
L’agente si allontanò di
qualche passo, estrasse il cellulare e compose un numero.
“Colby,” rispose una voce
maschile dall’altra parte.
“John, dà un’occhiata agli
archivi,” disse Foreman sbrigativo, “vedi se c’è qualcuno nei
gruppi di ecoterroristi che si fa chiamare Alpha.”
Dall’altra parte ci fu un
silenzio, quindi giunse la risposta: “Mai sentito, farò qualche
ricerca.”
“Fa' un giro anche nel deep
web.”
“Era già in programma. Cosa
puoi dirmi di questo tizio?”
“Per ora, solo che ha fatto
saltare materiale destinato a una piattaforma petrolifera.”
“Messaggi? Rivendicazioni?”
Nonostante fosse una
conversazione telefonica, Foreman scosse la testa. “Niente di tutto
questo.”
“Allora controllerò in giro se
per caso ce ne sono.”
“Ok, fammi sapere appena hai
qualcosa.”
§
Foreman alzò gli occhi dai
documenti che stava scorrendo. “John? Che ci fai fuori dal tuo
antro dei computer?”
L’altro, un neanche trentenne
che dimostrava diciotto anni, con la felpa di Star Wars, un cappello
da baseball con la visiera girata sulla nuca e le mani ficcate nelle
tasche dei pantaloni, rispose: “Se spero che vieni tu di là da
me...”
“Ho da fare, Johnny.”
“Oh, ma pensa un po’. Io
invece vengo qui in centrale per fare i videogames.”
“Hai scoperto qualcosa?”
Il più giovane alzò le spalle.
“C’è poco su quel tizio. Posto che sia un tizio, ovviamente. Sta
ben attento a tenere un profilo basso.”
“Perché, cosa dovrebbe essere,
se non un tizio?”
“Boh, una tizia,
un’organizzazione, una scimmia ammaestrata...”
“E dai, Johnny.”
“Lo dicevo per sdrammatizzare.
Allora, alzi il culo?”
Foreman si infilò nello stanzino
di Colby, talmente pieno di monitor, cavi e materiale informatico che
non sapeva dove girarsi per non rovesciare qualcosa.
La console principale era
equipaggiata con un mouse a forma di maschera di Iron Man e una
tastiera da gamer retroilluminata.
“Non mi rovesciare la lampada,”
gli raccomandò il giovanotto.
Su uno schedario, di fianco a un
T-Rex di gomma con un boa di piume al collo, c’era una maschera di
Darth Vader con gli occhi illuminati di rosso.
“Sarebbe quella?”
“Uh-huh.”
“Tu sei malato.”
“E tu invidioso.” Poi,
cambiando bruscamente discorso: “Il tuo tizio – sempre ponendo
che sia un tizio – pare molto attento a tenere un profilo basso,
per ora.”
“Per ora?”
“All’inizio sono tutti cauti.
Pian piano, quando comincerà a ottenere dei successi, diventerà più
tracotante.”
“Vuoi dire che per beccarlo
devo aspettare che faccia altri attentati?”
“Esatto.”
“Ma intanto la gente muore,
Johnny.”
Il più giovane si strinse nelle
spalle. “Per ora non è morto nessuno.”
Foreman emise un ringhio di
frustrazione. “Prova a cercare ancora.”
“Te l’ho detto, Tom: deve
insuperbirsi un po’, e poi come tutti comincerà a vantarsi.”
I due tacquero, e per un po’
non si udì altro che il ticchettio della tastiera.
“Non ce la fanno: è più forte
di loro,” soggiunse John. “Vogliono salvare il mondo, capirai.
Hanno una missione.”
“Per me sono solo dei figli di
puttana che ammazzano innocenti.”
§
La donna diede un calcio a un
rottame, che rotolò sul pavimento con un rumore metallico. Si tolse
il passamontagna nero e scosse la testa. Illuminati dal bagliore
delle fiamme, i suoi capelli corvini presero sinistri riflessi
aranciati. “Non ci voleva,” disse.
“Mi spiace, Soledad,” le
rispose Alpha, “Non era previsto che morisse. Nessun essere umano
doveva morire, in realtà, sebbene la maggior parte di essi lo
meriti.” Si guardò intorno, facendo scorrere lo sguardo su quello
che era rimasto dell’edificio dopo le esplosioni, poi aggiunse:
“Però questo posto era un Lager per animali. Bovini costretti a
passare la vita in uno spazio di un metro quadro, con le giunture
inservibili per l’immobilità, pieni di ormoni e antibiotici,
ingozzati di sfarinati proteici ottenuti da carcasse di altri
animali. Come ti sentiresti tu, se ti facessero mangiare esseri umani
liofilizzati? Solo l’idea è rivoltante.”
“Non
ricominciare con il Soylent verde.”
L'altro scosse la testa, emise un
sospiro e soggiunse: “Io non ho nulla contro l'allevamento di capi
di bestiame, ma questa è barbarie. Non si possono sottoporre degli
esseri viventi a un supplizio del genere dalla nascita alla morte.
Noi ce li mangiamo, gli animali allevati in questo modo, e li diamo
da mangiare ai nostri figli. E diamo loro anche tutto il dolore, la
sofferenza e l’alienazione di queste povere creature. È follia,
capisci?” Corrugò la fronte, si voltò verso un mucchio di stracci
intriso di rosso, sotto il quale si allargava una pozza scura. “Io
avevo detto a tutti di uscire,” ringhiò a denti stretti. “A
tutti l’avevo detto, Cristo! Perché questo qua non ha voluto fare
come gli altri?”
Soledad lo prese per un braccio.
“Andiamocene, ora. Recriminare non serve a niente.”
“Io l’avevo detto a tutti, di
uscire...”
“Andiamo.”
Gli altri si stavano già
radunando per scappare.
“Non volevo.”
“Lo so. Ce lo siamo detti fin
dall’inizio: niente omicidi. Distruggiamo le strutture, ma le
persone non si toccano.” Lanciò un’occhiata al corpo dilaniato.
“Questo è stato solo un incidente.”
§
“Mi sa che qui c’è
qualcosa,” disse Johnny.
Foreman gli si precipitò al
fianco. “Dove?”
“Come ti dicevo, il nostro
comincia a vantarsi.” Fece scorrere il cursore del mouse sullo
schermo ed evidenziò la parola Alpha
in un testo. “Qui c'è qualcuno che ne parla.”
“Riesci a capire chi è?”
“Uno di quei soliti gruppetti
di nazi-vegani che vorrebbero sottoporre i carnivori
a corsi di rieducazione forzata. La sua ultima azione, quella
dell'allevamento intensivo, è stata decisamente apprezzata.” Fece
scorrere il testo, poi soggiunse: “Vedi? Tutti molto felici.”
Foreman scorse la pagina
aggrottando di tanto in tanto le sopracciglia, quando si imbatteva in
slogan particolarmente integralisti. Alla fine chiese: “Dove li
trovo, questi?”
“Che vuoi fare?”
“C'è uno che lo chiama con un
nome, Alphonse. Lo conoscono.”
“Magari è stato il correttore
automatico.”
“No, lo conoscono. Riesci a
scoprire da dove scrivono questi qui?”
Johnny emise un sospiro
esasperato. “Certo che quando ti metti in testa qualcosa...”
Con un gesto deciso, il
commissario inserì il caricatore nella pistola.
Il collega che lo accompagnava,
Frank Everett, lo fissò stupito. “Che fai?”
“Potrebbe servire.”
“Stai scherzando? Già la
polizia di qui ci ha dato il permesso di sentire questa gente solo
perché siamo dei federali, se ti metti a fare Fort Apache ci
manderanno a dirigere il traffico.”
Foreman alzò le spalle. “Che
si fottano. Qui c'è un terrorista che compie attentati, e io devo
fermarlo.”
“Noi veramente dovremmo
indagare. C'è l'antiterrorismo per quello che intendi fare tu.”
“Sai anche tu come funziona.
Questo tizio va fermato subito.”
“Thomas...”
“No, senti Frank, io non ho
fatto lo sbirro per stare a guardare uno stronzo che mette bombe e
ammazza gente. Io ho fatto lo sbirro per mandare questi stronzi dove
devono stare, ovvero in galera.”
Senza aggiungere altro, Foreman
scese dalla macchina e si addentrò in un bosco di conifere. L'altro
alzò gli occhi al cielo, ma non ebbe altra scelta che tenergli
dietro.
Dopo una buona mezz'ora di
cammino, arrivarono a un nucleo di capanne di legno disposte a
cerchio intorno a uno spiazzo. Da una parte c'era un palo sbozzato e
pitturato come una specie di totem, dai tetti delle abitazioni
pendevano sonagli e casette per uccelli.
Passò una tizia di età incerta
a piedi nudi, rivolse loro un'occhiata e biascicò qualcosa di poco
gentile, poi proseguì senza più degnarli di attenzione.
I due poliziotti si scambiarono
un'occhiata perplessa.
Alla fine arrivò un uomo che
poteva avere sui quarant'anni. Aveva la barba lunga, i dreadlock e
qualche tatuaggio sbiadito. Aveva cerchi di legno inseriti nei lobi
deformati. A differenza della donna, li fissò con sospetto e disse:
“Non amiamo molto i poliziotti qui.”
“Hai buon occhio,” ribatté
Foreman. “Per caso hai già avuto a che fare con la legge?”
“Chiunque non si sottometta al
sistema prima o poi ha a che fare con la legge.”
“E abbiamo proferito la massima
delle dieci di mattina. C'è un posto dove possiamo parlare?”
L'altro lo fissò imperturbabile.
“Vediamo il mandato, prima di tutto.”
“Da quando in qua è necessario
un mandato per fare un po' di amabile conversazione?”
In quel momento, l'altro agente
disse: “Tom, guarda qua.”
All'interno di una capanna
c'erano un computer, un generatore e un'antenna satellitare.
“Ma guarda un po',” commentò
Foreman ostentando un'aria stupita.
“È il nostro contatto col
mondo,” disse l'uomo con i dreadlock.
“E con Alpha, magari?”
“Con chi?”
“Non c'era bisogno di
infilargli la pistola in bocca,” brontolò Frank risalendo in
macchina.
“Sì, invece. Quello stronzo
stava coprendo un terrorista.”
“Gesù, Tom, delle volte vorrei
che tu fossi un po' più diplomatico.”
“Se in Iraq fossi stato
diplomatico,
adesso non saremmo qui a parlare.”
“Sì, ma adesso non siamo...”
Si udì uno squillo. Tom trasse
di tasca il cellulare. “Foreman,” disse nel microfono. Mise in
viva voce.
“Sono John,” si sentì
dall’altra parte. La voce era velata di una strana nota di
apprensione. “Forse è meglio che rientri subito.”
“È successo qualcosa?”
“Ascolta il notiziario.”
Qui è Luis Gutierrez di Gold
News, vi sto parlando dall’impianto petrolifero di Blue Cod Bay. Le
fiamme sono ancora molto alte, e i vigili del fuoco dubitano di
riuscire a domarle prima di sera. I primi rilevamenti hanno escluso
che nella struttura si siano verificati incidenti, mentre è
probabile che si tratti di un’azione di matrice terroristica. La
polizia ha fatto sapere di aver ricevuto uno stralcio di filmato che
contiene rivendicazioni e richieste da parte di un gruppo eversivo
comandato da un uomo che si fa chiamare Alpha.
“Figlio di puttana!” sbottò
Foreman. “Muoviamoci. Voglio vedere il filmato.” Mise in moto e
partì sgommando alla volta della centrale.
§
Soledad si avvicinò ad Alphonse
e gli porse una tazza dalla quale si levava un’esile nuvola di
vapore. “Ho trovato un microonde e delle bustine,” gli disse, “Ho
pensato che un po’ di tè ti avrebbe fatto piacere.”
Alpha prese la tazza e la strinse
fra le mani come per assorbirne il calore. Si guardò intorno: la
stanza aveva i mobili di formica la tappezzeria macchiata. Una
tapparella pendeva di traverso, l’altra mancava del tutto. L'unico
pregio di quel motel era che non erano stati troppo pignoli con i
documenti quando avevano dato loro la camera. “Perché combattiamo,
Sole?” le chiese senza neppure voltarsi.
La donna gli si avvicinò. “Per
la Terra,” rispose pronta.
“Non esattamente.” L’altro
emise un sospiro. “Le azioni sono comunicazioni, e più sono
spettacolari, più è potente il messaggio che veicolano. Tu sei mai
stata picchiata da bambina?”
“Due o tre volte.”
“E quante volte ti hanno
sgridata?”
Soledad sorrise. “Alcuni
milioni, credo.”
“Eppure quelle che ti ricordi
meglio sono le volte che i tuoi te le hanno date, giusto?”
Ci fu qualche secondo di
silenzio. Il motel era fuori dal centro abitato, e le finestre davano
su una pianura che si perdeva all’orizzonte, coperta di erbe
ondeggianti.
“Cosa vuoi dire con questo?”
chiese la donna.
“Che le nostre azioni non
contano in sé, ma per il messaggio e l’esempio che veicolano. Non
dobbiamo sperare di proteggere l’ambiente facendo saltare una
raffineria, ma spingendo altre cento, mille persone a fare la stessa
cosa, facendo capire a tutti che si può reagire, che si può
combattere per un mondo migliore.”
La donna rimase in silenzio.
“L’accordo era di non uccidere nessuno,” disse dopo un po’.
Lui emise un sospiro, bevve un
lungo sorso di tè. “Un accordo ingenuo,” disse poi. “Ora me ne
rendo conto Non si può aver la pretesa di fare la rivoluzione senza
sporcarsi le mani.”
“Alphonse, l’impianto era a
pieno regime quando...”
“Lo so, Sole, lo so,” la
interruppe lui, prendendole le mani e stringendole fra le sue, “ma
dobbiamo distogliere l’attenzione dal nostro vero obiettivo,
dobbiamo far sì che la gente pensi che colpiremo da tutt’altra
parte. Visto che abbiamo fatto saltare la raffineria a terra, chi
penserà mai che vogliamo occuparci anche dell’impianto di
estrazione offshore?”
Soledad non rispose.
“Non sei convinta?” la
incalzò lui. “C’è qualcosa che non ti torna nel mio
ragionamento? Eppure ne abbiamo parlato, ed eravate tutti d’accordo.”
Lei si morse il labbro inferiore.
“Non è stato bello veder bruciare viva la gente.”
Lui le rivolse uno sguardo duro.
“Beh, non è bello nemmeno veder avvelenare il mare col petrolio,
vedere gli animali soffocare lentamente nell’acqua ridotta a una
poltiglia nera, non è bello vedere delle popolazioni antichissime e
cariche di dignità ridursi a una massa di alcolizzati e drogati
devastati dalle malattie veneree perché non hanno più un mondo in
cui vivere. Nemmeno questo è bello.”
“No, certo che no.”
“E allora, questo è il prezzo
da pagare per ottenere un mondo migliore. Hai presente il discorso di
Kurtz sull’orrore, in Apocalypse Now? L’orrore bisogna farselo
amico, è nostro alleato nel combattimento.” Fece una lunga pausa,
tanto che alla fine Soledad si girò per andare nella stanza attigua.
“Ma se l’orrore ci è nemico,” concluse Alpha in tono sinistro,
continuando a guardare fuori dalla finestra, “Allora ci
distruggerà.”
§
Tom Foreman entrò nel parlatorio
della prigione come un toro nell’arena.
“Vedi di stare calmo,” lo
ammonì il collega al suo fianco.
“Stare calmo un cazzo. Sarà
meglio che questo tizio mi dica quello che sa con le buone,
oppure...”
Non fece in tempo a finire la
frase, perché la porta che dava sulle celle si aprì con uno scatto
metallico, e due guardie accompagnarono verso di lui un uomo con
l’uniforme grigia dei detenuti.
Foreman cominciò a osservarlo da
lontano, facendosene man mano un’idea: aveva l’aria di uno
studentello di buona famiglia, capelli corti, niente tatuaggi, faccia
pulita da bravo ragazzo. Il classico stronzetto che siccome aveva
fatto l’Università si sentiva al di sopra della cultura mainstream
e credeva di avere un messaggio da comunicare al mondo.
Gli si avvicinò.
“Non parlo se non in presenza
del mio avvocato,” lo prevenne il tizio.
L’agente ghignò. “Ah,
davvero? Frank, senti, ti spiace fare la parte dell’avvocato? A
quanto pare il nostro amico è un po’ timido.”
Everett si fece avanti e si
posizionò accanto al collega. Gli lanciò uno sguardo velato di vaga
apprensione.
Foreman lo ignorò. Si rivolse
anzi alle guardie e disse: “Scommetto che avete un sacco di cose da
fare, voi due.
Ci fu un gioco di sguardi,
dapprima titubante, poi sempre più consapevole. Infine, il più
anziano dei due disse: “Hai dieci minuti.”
Uscì chiudendosi la porta alle
spalle.
“Parlami di nuovo del tuo
avvocato, stronzetto,” disse Foreman quando furono soli.
Il ragazzo, già meno baldanzoso,
scosse la testa. “Ho detto che non parlo con lei se non in presenza
di un avvocato.” Poi, dopo una pausa soggiunse: “Mi dispiace, ma
questa è la procedura. La conosco bene.”
Per tutta risposta, l’agente lo
afferrò per il bavero. Lo spinse brutalmente all’indietro finché
non arrivò a sbatterlo contro il muro, e poi lo sollevò di peso.
“Io credo di non aver capito bene,” ringhiò.
Il ragazzo si divincolò. “Ma
cosa sta facendo? Io la denuncio!”
“Sì, dopo
mi denunci, certo. Ma intanto io ti ho già gonfiato come una
zampogna.”
“Mi lasci andare! Aiuto!
Aiuto!” Le urla si spensero contro le pareti insonorizzate. Il
ragazzo si girò anche verso Frank, che però rimase impassibile.
“Aiuto!” urlò di nuovo.
“Abbiamo dieci minuti,” gli
disse Foreman con glaciale calma, sempre continuando a tenerlo
sollevato. “E in dieci minuti si possono fare un sacco di cose. Lo
sai cosa facevo io, in Iraq, in dieci minuti?”
Il ragazzo si limitò a
deglutire.
“Prendevo uno di quei pezzi di
merda di terroristi, e gli insegnavo che far scoppiare le bombe in
mezzo ai civili è sbagliato.” Lo fissò negli occhi con uno
sguardo che sembrava volerlo incenerire. “Vuoi che lo insegni anche
a te, stronzetto? Poi, se ti resta qualche osso intero, puoi sempre
andare a frignare col tuo avvocato.”
Di nuovo, il ragazzo non aprì
bocca.
“Bene, lo prendo come un sì.
Allora parlami un po’ dell’attentato alla raffineria di Blue Cod
Bay, vuoi?”
Il ragazzo guardò verso la
porta, probabilmente nella speranza di veder rientrare le guardie.
“Non ti distrarre,” lo
richiamò Foreman.
Il ragazzo ebbe un sussulto di
baldanza. “Io voglio il mio avvocato!” strillò. “Io vi
denuncio tutti, ci sono telecamere ovunque, vi stanno filmando.”
“Sì, e tra un po’ filmeranno
te che ti caghi e ti pisci addosso mentre io ti prendo a calci nella
pancia.”
Lo strappò brutalmente dal muro,
lo sollevò di peso e lo buttò con le spalle sul tavolo. “Adesso
parla, figlio di puttana, o comincio a farti male!”
“Tom, basta! Basta!” Frank
aveva afferrato a mezzo corpo il suo collega, ma quasi non riusciva a
staccarlo dal detenuto.
Il ragazzo si era come previsto
cagato e pisciato addosso, e stava singhiozzando senza ritegno.
Probabilmente aveva il setto nasale rotto e qualche costola
incrinata.
“Hai visto quante cose si
possono fare in dieci minuti, pezzo di merda?” inveì Foreman.
“E dai, Tom. Ti ha già detto
quello che volevi sapere, no?”
Foreman si fermò ansante. Si
guardò le nocche schizzate di rosso e ringhiò: “Terroristi
fottuti. Siete solo dei vigliacchi bastardi, mettete le bombe perché
non avete il coraggio di combattere a viso aperto. Tu ci sei stato in
Iraq, eh, stronzetto? No di certo, scommetto che mentre io mi facevo
il culo laggiù, tu eri a scrivere slogan pacifisti di merda su
Facebook...”
“E dai, Tom,” ripeté Frank.
“Ora basta.” Lo prese per un braccio incontrando già minore
resistenza. Lo spinse verso la porta.
§
Il cielo era così basso che la
sommità della torre di raffreddamento della centrale termoelettrica
si perdeva tra le nebbie, dando l’impressione di un’immensa
montagna dalle pareti lisce e grigie. L’aria era immobile, fredda e
gravata del tanfo acre dei residui di combustione.
Tutt’intorno l’erba era
giallastra, malsana. Qualche albero scheletrito tendeva verso l’alto
i rami spogli.
Foreman ringhiò un'imprecazione,
poi spostò lo sguardo verso i punti in cui si erano nascosti gli
altri agenti. “Quel figlio di puttana ci ha detto una balla,”
ringhiò.
“Non credo proprio,” rispose
Frank al suo fianco. “Non ho mai visto uno così terrorizzato. A
momenti si prendeva anche la colpa dell’estinzione dei dinosauri.”
“Faceva la commedia.”
“Hai mai visto uno che per fare
la commedia si caga addosso?”
“Hm.”
Passò un’altra mezz’ora.
Tutt’intorno il silenzio era raggelante, sembrava che ogni forma di
vita a parte loro fosse scomparsa.
Poi Foreman si tese, rialzò la
testa e si guardò intorno mentre il cuore gli accelerava i battiti.
Notò un movimento più avanti, vicino all’edificio che si trovava
alla base della torre.
Attraverso la finestra, vide la
porta socchiudersi.
Saltò in piedi e cominciò a
correre in quella direzione.
Qualcosa partì verso di lui
sibilando e lasciandosi dietro una scia di fumo giallastro. L’agente
si buttò a terra e subito dopo a pochi metri di distanza una delle
macchine esplose con un boato che gli risucchiò l’aria dai
polmoni.
Si rialzò, si scrollò via i
detriti che gli erano caduti addosso. Frank alle sue spalle stava
gridando qualcosa, ma tra gli effetti dell’esplosione e la frenesia
che l’aveva pervaso, non capì neppure cosa stesse dicendo.
“FBI!!” urlò correndo verso
l'edificio, “Siete tutti in arresto!”
Qualcuno gli sparò addosso, lui
si mise in copertura, identificò una sagoma scura e rispose al
fuoco.
La sagoma cadde.
Avanzò. Oltrepassò l’angolo
della costruzione si appiattì accanto alla porta. Rimase immobile
per qualche secondo, cercando di capire se all’interno ci fosse
qualcuno, ma non sentì alcun rumore. Si affacciò: nessuno.
Entrò in una specie di ufficio.
C’erano schedari rovesciati, carte sparse ovunque. Macchie di
sangue facevano supporre che qualcuno fosse rimasto ferito.
Da quella stanza si passava alla
sala operativa vera e propria, con tutte le strumentazioni per
regolare i bruciatori e l’afflusso di combustibile. Alcune persone
con il passamontagna addosso stavano legando pacchi di plastico alle
tubature col nastro adesivo.
“Fermi, FBI!” urlò. Sparò
due colpi, e il più vicino dei terroristi si accasciò facendo
cadere l’esplosivo, che rimase a penzolare dal nastro col quale lo
stava fissando.
Qualcuno rispose al fuoco,
Foreman si buttò dietro uno dei serbatoi, e da lì cercò di farsi
un’idea più precisa della situazione. I suoi di sicuro stavano
arrivando, ma se non si muoveva in fretta, rischiava di farsi
scappare i terroristi.
Vide che si stavano dirigendo
verso un’uscita che si trovava dalla parte opposta della sala. Si
trascinavano dietro anche degli ostaggi.
Foreman balzò in avanti, sparò,
l’ultimo dei terroristi rotolò per terra e rimase immobile. Un
altro si affacciò alla porta e gli sparò contro, l’agente sentì
le pallottole fischiargli vicino alle orecchie. Si buttò da una
parte, gli altri corsero via. Si rialzò, li inseguì.
“Fermo!” esclamò una voce,
vagamente velata dal passamontagna di lana.
Uno dei terroristi teneva un
operaio della centrale per il collo e intanto gli puntava la pistola
alla testa.
Foreman si immobilizzò.
Calò un silenzio teso, rotto
solo da vaghi piagnucolii del prigioniero.
“Butta la pistola,” disse il
terrorista.
L’agente non si mosse. “No.”
“Guarda che lo ammazzo!”
“Fanculo.” Foreman fece un
passo avanti.
L’altro arretrò tirandosi
dietro l’uomo piangente. “Guarda che lo ammazzo!” lo minacciò
ancora una volta. Il suo tono vagamente stridulo suggeriva che fosse
prossimo a perdere il controllo.
La cosa non fece esitare l'agente
nemmeno per un attimo. “Tu ammazzalo,” gli disse, “e subito
dopo io ti sparo in faccia.”
Di nuovo ci furono lunghi secondi
di immobilità cristallizzata. Anche i lamenti dell’uomo si erano
affievoliti.
Il terrorista cominciò
lentamente a rinculare.
“Ti ammazzo,” lo ammonì
l’agente. “Se non stai fermo, giuro che ti ammazzo.”
“E io ammazzo lui.” Il
terrorista spostò l'uomo in modo che si trovasse sulla linea di tiro
dell'agente.
Foreman balzò in avanti,
premette il grilletto, ma in quello stesso istante qualcosa gli
spostò il braccio, lo spinse violentemente da una parte e lo fece
crollare a terra. “Ma sei impazzito?” urlò la voce di Frank.
“Cristo di Dio, stavi per far secco un ostaggio!”
Thomas alzò gli occhi, constatò
che i terroristi non c’erano più. “Cazzo,” ringhiò,
rivolgendo al collega un’occhiata di fuoco, “Stavo per beccarlo.”
“Tu sei fuori di testa, stavi
per ammazzare uno che non c'entrava un cazzo.”
“Avevo tutto sotto controllo.”
L’altro lo fece alzare in piedi
con malagrazia, lo trascinò fuori. “Andiamo a fumarci una
sigaretta,” gli disse brusco, “hai bisogno di schiarirti le
idee.”
§
Seduto su una cassa, lo sguardo
perso sulla landa coperta d’erba secca, Thomas Foreman fumava in
silenzio, e ad ogni tiro di sigaretta aveva l’impressione che la
mente gli si schiarisse, come se il fumo che espirava man mano
provenisse direttamente dal suo cervello.
Seduto accanto a lui, Frank
Everett fumava a sua volta, apparentemente assorto nei suoi pensieri.
Dietro di loro sostavano soli o a
gruppetti gli altri agenti che avevano partecipato all’operazione.
Gli unici due terroristi catturati erano già stati portati via.
“Stai meglio ora?” s'informò
Everett.
“Hm.”
“Vedi di ripigliarti, Tom. Oggi
mi hai fatto preoccupare.”
Passarono altri minuti di
silenzio. Infine Foreman emise un sospiro, poi, come parlando a sé
stesso, disse: “In Iraq avevo un sergente che alle volte diceva una
frase strana: chi lotta con i mostri, deve guardarsi di non
diventare, così facendo, un mostro. E se tu scruterai a lungo in un
abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te. Diceva che era di un
grande filosofo.” Diede un tiro alla sigaretta. “Non l’avevo
mai capita, fino ad oggi,” soggiunse.
Frank si piegò a per cercare di
intercettare il suo sguardo, in quel momento rivolto al suolo. “Che
intendi dire?” gli chiese.
“Oggi stavo per ammazzarlo,
quel tizio. Ti giuro che pur di mettere le mani addosso a quel figlio
di puttana di terrorista l’avrei fatto.” Fece un’altra lunga
pausa, finì la sigaretta, buttò per terra il mozzicone e lo
schiacciò sotto il tacco. Terminata l’operazione, si voltò verso
il collega, e lo fissò come se gli stesse chiedendo aiuto. “Per
fermare chi fa del male, rischi di fare a tua volta lo stesso male. E
allora, chi ha ragione e chi ha torto? È questo che significa,
secondo te, quella frase?”
§
Nel retro di un furgone che stava
percorrendo a tutta velocità la statale, Alpha sedeva con la schiena
poggiata alla parete. Teneva gli occhi chiusi, ma i fremiti delle
palpebre facevano capire che non stava dormendo.
“Ti ricordi quando insegnavo
ancora all’Università?” chiese a un tratto.
Soledad, che si stava legando i
capelli in una treccia, si voltò verso di lui. “Sì, mi ricordo,
ma che c’entra?”
“Ti ricordi le mie lezioni?”
Lei sorrise. “Certo.”
“Allora ti ricorderai anche
questo: chi
lotta con i mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un
mostro. E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l'abisso
scruterà dentro di te.” Si passò una mano sugli occhi come per
cancellare qualche visione particolarmente spaventosa. “Stavo per
ammazzare un uomo a sangue freddo. Quel poveretto piangeva come un
bambino, tremava, eppure gli avrei sparato in testa. Ero deciso a
farlo.”
Soledad annuì grave. “Io te
l’avevo detto, Alphonse, che la situazione prima o poi ci sarebbe
sfuggita di mano. La citazione di Nietzsche mi sembra adeguata:
abbiamo voluto guardare dentro l’abisso, ma anche l’abisso ha
scrutato dentro di noi, ha riconosciuto se stesso nella nostra parte
più profonda, ed è diventato sì nostro alleato, ma ha esatto un
prezzo di sangue. Ci ha chiesto in cambio l’umanità. Certo, daremo
un mondo nuovo e migliore ai nostri figli, ma con che mezzi? E
cos’altro, o chi altro dovremo sacrificare?”
Alpha emise un lungo sospiro,
protese le mani a cercare quelle della compagna come alla ricerca di
calore e rassicurazione. “Abbiamo un’ultima missione da
compiere,” sospirò, “un ultimo drago da combattere, e poi le
mangrovie torneranno a crescere, più belle di prima.”
§
Il pattugliatore Sirius
saltava sulle onde, spruzzi di spuma bianca inondavano la coperta.
“Siamo pronti,” disse Everett, controllando le cinghie del
proprio giubbotto antiproiettile.
Foreman fissò la Cormorant 6
stringendo gli occhi. “Da lì non possono scappare,” disse
soltanto.
“Ci sono anche venti civili,”
gli ricordò il collega, “e le strutture sono piene di esplosivo.
Vedi di non fare cazzate.”
“Io non faccio cazzate.”
“Te la stai prendendo un po'
troppo sul personale, rischi di fare come alla centrale
termoelettrica: non sei lucido quando devi esserlo.”
Foreman ripensò all'episodio.
Era come quando uno si prendeva una sbronza e il mattino dopo giurava
di non toccare mai più una goccia di alcol, cosa che poi non
succedeva praticamente mai.
Ricordò quello che erano soliti
ripetergli al corso di addestramento dei Seals: la violenza può non
essere l'opzione migliore, ma è comunque un'opzione. Ovvero, fuor di
metafora e con buona pace del sergente che aveva in Iraq, alle volte
era necessario venire a patti col male, per combattere altro male.
“Andiamo,” disse.
Muta e bombole già addosso,
scesero su un mezzo da sbarco leggero, che immediatamente partì
sotto costa percorrendo tutta la lunghezza della baia. La piattaforma
intanto cambiava aspetto a seconda del variare della prospettiva,
mostrando di volta in volta tralicci di un colore o di un altro,
bracci di carico, paranchi e infine l'edificio degli alloggi. La
massa arancione degli ostaggi era scomparsa alla vista, così come il
gruppo di terroristi.
L'uomo che portava la scialuppa
tirò fuori un binocolo e scrutò a lungo la struttura. “Nessuno,”
concluse infine. “Potete andare.”
Si assicurarono in cintura i
sacchi a tenuta stagna con le armi, si calarono la maschera sugli
occhi e si buttarono.
Alpha scrutò per l'ennesima
volta verso la costa. Fin da quella distanza si vedeva il brulichio
di lampeggianti rossi e blu delle varie unità di crisi giunte sul
posto. Intorno alla piattaforma, a rispettosa distanza, incrociavano
unità della marina. Si voltò verso l'edificio degli alloggi, dal
quale uno dei suoi stava continuando a mandare proclami via web.
Quella era la finalità di tutto, in ultima analisi: far capire,
scuotere le coscienze. Far cadere il velo di Maya.
Aveva guardato nell'abisso,
certo, e l'abisso aveva guardato in lui, ma anche quello era un
servizio che stava facendo a chi sarebbe venuto dopo, ai
meritevoli: prendere
su di sé il peso del male che sarebbe stato necessario perpetrare
affinché un altro e peggiore male cessasse di esistere. Similia
similibus curantur[3],
del resto, e in effetti, rispetto a quello che le compagnie
petrolifere stavano facendo all'ambiente, ciò che stava facendo lui
poteva senza dubbio definirsi omeopatico.
Trasse di tasca una
ricetrasmittente. “Ancora niente?” chiese.
“No,” giunse la risposta.
Alpha si voltò verso il gruppo
dei prigionieri. “Buttatene giù un altro,” ordinò.
Foreman emerse al di sotto della
piattaforma, nel groviglio di tralicci ricoperti da cirripedi, e la
prima cosa che vide fu una specie di sacco arancione che piombava in
acqua con un tonfo.
Si voltò verso Everett, che si
stava già muovendo verso il punto in cui l'ostaggio era caduto, e in
tono ruvido gli disse: “Andiamo.”
“Ma quel tizio sta annegando.”
“Ne annegheranno altri, se non
interveniamo.”
“Thomas...”
“No, Thomas un cazzo. Diamoci
una mossa, prima che quel figlio di puttana lo rifaccia.” Si liberò
di pinne e bombole, estrasse le armi e cominciò a salire sulle
strutture della piattaforma.
Persino nel contesto dell'HRT[4],
alle volte era necessario prendere la decisione di lasciar morire uno
per salvare altri cento.
Non perse tempo a controllare se
gli altri lo stavano seguendo.
Arrivò al ponte più basso, si
guardò intorno. Nessuno in giro. Il volto gli si contrasse in una
smorfia di disprezzo: dilettanti. E come tutti i dilettanti,
pressapochisti, stupidi e con una pericolosa tendenza alla violenza
inutile.
Salì di un altro livello. Ancora
nessuno.
Il vento fischiava fra le
strutture di metallo, l'acqua scura ribolliva sempre più in basso.
Attese che gli altri lo raggiungessero, quindi indicò con un gesto
due scale che andavano verso l'alto. Sopra si vedeva il cielo grigio.
Gli uomini, armi alla mano, si
prepararono a salire.
“Qui è Sandra Shears di
Channel 23 che vi parla da un'unità costiera della marina. Ci hanno
ordinato di spostarci indietro, perché i terroristi minacciano di
continuare a uccidere gli ostaggi uno dopo l'altro se non sarà
rispettata la loro richiesta che i mezzi di informazione mantengano
le distanze dalla piattaforma. Le squadre HRT dell'FBI sono già sul
posto, ma la situazione resta comunque molto tesa, il minimo errore
potrebbe scatenare un disastro ecologico senza precedenti, dal
momento che in un recente comunicato i terroristi hanno fatto sapere
che tutto l'impianto di estrazione è stato minato.”
Foreman si affacciò sul ponte
principale della Cormorant 6. C’erano degli uomini armati che
giravano su e giù, ma principalmente guardavano verso il mare. Un
paio, fucili mitragliatori imbracciati, controllavano il gruppo
ammucchiato e tremante degli ostaggi.
Tutti facevano riferimento a un
uomo alto, magro, con il volto incorniciato da una barba biondastra e
i capelli costantemente agitati dal vento. Portava un eskimo
semiaperto e sembrava insensibile alle raffiche di vento gelido che
spazzavano la piattaforma. Sembrava una di quelle immagini di Gesù
Cristo che ogni tanto si vedevano nelle chiese.
L’agente scambio un’occhiata
con il collega dell’HRT che comandava la squadra: non si poteva mai
sapere, con i dilettanti, perché di solito tendevano a comportarsi
in modo imprevedibile.
Simultaneamente tolsero la sicura
a due granate flashbang[5] e le buttarono in coperta, quindi
tornarono al ponte inferiore coprendosi le orecchie.
Non appena gli ordigni
deflagrarono, approfittando del disorientamento dei terroristi, gli
uomini dell’HRT salirono sul ponte principale.
Foreman scattò su per la scala.
Si trovò davanti un uomo, sparò, buttandolo a diversi metri di
distanza, tutt’intorno crepitavano le raffiche dei mitra, l’aria
si stava facendo caliginosa per i fumi degli spari.
Uno dei terroristi imbracciò un
RPG e lo puntò contro un gruppetto di federali.
“L’idiota fa saltare noi e
loro!” urlò Everett.
Foreman balzò estraendo la
pistola, sparò due colpi in rapida successione. Il terrorista cadde
con un urlo e rotolò lasciando andare il lanciarazzi, che venne
raccolto da un altro.
L’agente si rialzò rapido,
sparò di nuovo, l’uomo cadde all’indietro e non si mosse più.
Un altro federale spinse l’RPG in acqua.
Lo scontro sembrava già vinto, i
tizi con l’eskimo cominciavano a capire che forse era meglio
buttare le armi e alzare le braccia, ma a un tratto quello con la
faccia da Cristo afferrò una specie di scatoletta nera che teneva in
tasca, la sollevò in alto e arretrando disse: “Lo sapete cos’è
questo?”
Alla domanda seguì un silenzio
teso. Tutti sapevano cosa fosse.
“Questo è un detonatore!”
esclamò comunque l’uomo. “Mi basta premere il bottone e qui
salta tutto.”
Rimase immobile contro la scala
che conduceva alla piattaforma per l’elicottero, col vento che gli
scompigliava i capelli e gli faceva sbattere le falde della giacca.
Nessuno si mosse.
“Sta bluffando,” disse fra i
denti Everett, “Questo è un fottuto amante della natura, non
rischierà mai un disastro ecologico.”
“Col cazzo,” replicò
Foreman. “Sai quanti sono quelli che al momento di salvare la
buccia mandano nel cesso tutti gli ideali?”
“Voglio un elicottero per me e
i miei uomini!” urlò Alpha, “Oppure salta tutto!”
Tom si fece avanti. “Ma così
salti anche tu!” disse.
L’altro ghignò. “Pensi che
me ne freghi? Io sono un batterio nell’universo, un insieme di
composti chimici. Il mio corpo servirà a nutrire i pesci e gli
uccelli, e io rinascerò nel grande ciclo della vita.”
“E allora perché vuoi un
elicottero?”
“Per combattere ancora, per
distruggere altre Cormorant 6, per offrire un mondo migliore ai
nostri figli, più rispettoso dell’ambiente in cui viviamo, libero
dai veleni.”
Foreman fece un passo avanti. “E
per ottenere questo ammazzi gente a sangue freddo?”
L’altro annuì, sul volto
sembrò passargli un’ombra di tristezza. “È necessario,
purtroppo, amico mio.”
“Io non sono tuo amico, figlio
di puttana, e ora metti giù quel detonatore o ti faccio saltare la
testa.” Puntò la pistola.
“Tom, lascialo andare,” gli
sussurrò Frank all’orecchio.
“Col cazzo,” ringhiò
Foreman.
“Tom, è deciso, vuole farla
saltare. Lascialo andare, lo prenderemo dopo con calma.”
L’altro scosse la testa. “La
farà saltare comunque, con noi sopra, appena è su quel cazzo di
elicottero. Tanto vale che almeno lo ammazzi.”
“No, lascialo andare. Cristo,
lo sai anche tu cosa può fare un uomo disperato e fuori di testa, se
si sente all’angolo.”
“Lo ammazzo prima.”
“Tom!”
La scena si svolse come al
rallentatore. La nocca del pollice destro di Alpha si fece bianca,
mentre il polpastrello aumentava gradualmente la sua pressione sul
pulsante. Nello stesso momento, Foreman balzò in avanti, sparando
contro il terrorista.
L’uomo sussultò sotto
l’impatto dei colpì, cadde all’indietro, e mentre descriveva la
sua parabola verso il suolo, il polpastrello arrivò a fine corsa.
“Qui è Sandra Shears di
Channel 23 che vi parla da un elicottero in volo intorno al relitto
della Cormorant 6. Per ragioni di sicurezza non possiamo avvicinarci
troppo al rogo della piattaforma: le squadre dei vigili del fuoco
stanno ancora cercando di domare le fiamme, ma nonostante le dieci
ore di lavoro ininterrotto rimane concreto il rischio che prenda
fuoco il pozzo di petrolio. Le perdite di greggio sono state enormi,
il disastro ecologico è senza precedenti, e secondo le prime
valutazioni supera come gravità anche quello della Exxon
Valdez e della
Deepwater Horizon.
Sulla piattaforma non ci sono purtroppo superstiti: i terroristi, gli
ostaggi e tutti gli uomini dell’HRT sono morti nell’esplosione.”
[1] PTT: Push to talk. È il
pulsante che si preme nelle radio ricetrasmittenti per parlare.
[2] Il film a cui si fa
riferimento è “2022: i sopravvissuti”.
[3] Principio attribuito a Samuel
Hanemann, che ne fece il fondamento dell’omeopatia.
[4] Hostage Rescue Team, una
branca dell’FBI specializzata nel recupero di ostaggi.
[5] Anche dette granate
stordenti. Armi non letali usate nelle operazioni di recupero
ostaggi.
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