In tutti i
viaggi che fecero assieme inseguendo la promessa della divinità, il
Principe
Rosso perse il suo contegno e le sue impeccabili maniere solamente tre
volte.
La prima fu
sull’isola di Fort Joy, quando un altro rettile lo schernì pieno di
disprezzo accusandolo
di essere l’animale da compagnia di demoni. Fu l’occasione per i suoi
compagni di
avere finalmente un’idea del perché l’erede all’impero dei rettili,
Sposo del
Sole e gioiello del Casato della Guerra, fosse stato esiliato. Allo
stesso
tempo però, capirono anche che quell’argomento particolare era da
trattarsi con
molta cautela: il Principe Rosso infatti schiaffeggiò subito quella
bocca
molesta che lo aveva accusato di asservimento alle più vili creature,
prima di
passarne il proprietario a fil di spada. Il provocatore dovette
agonizzare
sbudellato ancora per qualche momento, prima che il Principe Rosso lo
ardesse fino
a fargli sfrigolare gli occhi: uno spettacolo davvero molto spiacevole,
ma allo
stesso tempo rivelatore. Perché confermava che, per quanto quel suo
esilio
fosse la prima occasione in cui lasciava i palazzi della favolosa Città
Proibita, il Principe Rosso conosceva già fin troppo bene il peso di
una spada
nella mano e il sapore della vittoria che può conquistare. E dunque
erano tutte
vere anche quelle dicerie secondo le quali i generali del Divino Lucian
cercassero il suo consiglio già quando era solo un ragazzo, affinché
venisse
loro mostrata la via più breve per la vittoria.
La seconda
volta, fu dopo che la Principessa Rossa, Sadha del Casato della Legge,
gli fu
portata via: il segreto del suo cuore, che inseguiva nei sogni da
sempre, così
come lei aveva fatto con lui.
Chi del
resto potrebbe restare indifferente in una simile situazione?
Eppure, non
fu mentre combatteva i vili emissari del sovrano della Progenie del
Vuoto che
il Principe Rosso si abbandonò per un momento alla disperazione. Fu
dopo, dopo
aver protetto i suoi compagni cioè, quando i nemici giacevano già morti
ai loro
piedi: solo allora rivelò il suo cuore ai suoi amici, lamentando la
perdita che
il destino gli aveva inflitto al culmine della sua gioia. Solo allora
Lohse,
Ifan e Sebille capirono la verità che Zorl-Stissa, dea di tutti i
Rettili, già
sapeva: il cuore del Principe Rosso era un oceano così vasto e pieno
d’amore,
che le stelle avrebbero dovuto morire e rinascere, prima che le onde
dei suoi
sentimenti lo percorressero da una riva all’altra. Averla persa in quel
modo,
subito dopo averla stretta per la prima volta nella carne, per il
Principe
Rosso era più che rinunciare ad un’unione profetizzata secoli fa, il
cui frutto
non sarebbero più stati meri nobili rettili, ma fiammeggianti draghi
scarlatti!
Per lui, averla persa in quel modo significava vedere amputata la sua
stessa
anima.
Eppure…
Eppure l’occasione
più terribile, quella in cui il Principe Rosso si abbandonò
completamente alla
più bestiale violenza, fu senza dubbio la terza e ultima, quando lo
stesso
fuoco che normalmente maneggiava con tanta destrezza sembrò sfuggire al
suo
controllo per divampare eterno. Accadde ai pozzi di Blackpit, dove la
follia
dell’ordine dei Magister, il loro zelotismo e la loro ottusa ferocia
avevano
fatto cadaveri di un intero borgo. Gli abitanti erano stati giudicati
colpevoli
infatti, se tali si potevano definire, di aver dato rifugio a degli
orimanti in
fuga dalle manette, dai collari e dalla tortura dell’ordine. E poiché i
Magister ne avevano trovato solo uno da torturare ed umiliare, avevano
sterminato il resto del villaggio per rivalsa.
Quando
Lohse, Sebille, Ifan e il Principe Rosso arrivarono a Blackpit,
restavano ormai
solo pochi superstiti di quell’eccidio. Oltre la palizzata che
delimitava il
villaggio, l’odore del sangue, il puzzo dei cadaveri e l’unto
nauseabondo del
petrolio e del grasso umano, diventavano sopportabili solamente perché
contrastavano in meglio con la vista che si offriva ai forestieri. Quei
corpi
inchiodati alle porte o sventrati appena oltre l’ingresso delle loro
case e
lasciati ad agonizzare. Quegli innocenti legati a cadaveri di
altrettanti
incolpevoli, solo per meglio affogare nel petrolio. Quei corpi violati
e
lasciati insepolti. Quelle donne e quei bambini costretti a fissare i
loro cari
mentre venivano giustiziati, solo per poi raggiungerli…
Se un solo
luogo avesse dovuto testimoniare quanto terribile fosse stata la caduta
dell’ordine dei Magister dalla scomparsa del Divino Lucian, Blackpit
sarebbe
bastato mille volte.
Di fronte a
quello spettacolo, di fronte a quella tragedia, nessuno avrebbe potuto
restare indifferente:
neppure Ifan però, che pure aveva visto la sua casa venire consumata
dalla
nebbia di morte, seppe cosa dire. Quanta rabbia si può provare a vedere
nuovamente qualcosa di imperdonabile?
Ma la furia che
pervase il Principe Rosso fu più terribile ancora: fu quella infatti la
prima
volta in cui attinse al potere del necrofuoco, con le sue lingue
liquide e
terribili. Fu quella anche la prima volta in cui diede un ordine ai
suoi
compagni, pretendendo obbedienza assoluta. Lohse accontentò quella sua
terribile furia, riunendo la feccia con un sortilegio teleporta e
quando i
sacrifici furono così riuniti, il Principe Rosso li elevò al sole.
L’aria
stessa sembrò bruciare in quel parossismo di calore e fiamma: i
Magister
scoprirono qualcosa che non avrebbero mai potuto riferire e cioè che
anche il
fuoco poteva avere una voce sua propria, non solamente quella del
combustibile
che lo alimenta. Fu un sordo ruggito, terribile e pieno come il vento
del
deserto e quando li raggiunse, i Magister non seppero più nulla che non
fosse giusta
agonia e ben meritata sofferenza. Tanto, che fu Ifan stesso alla fine a
liberarli: una singola freccia dalla sua balestra, per porre fine al
loro tormento.
Quando quella
furia finì però, i suoi compagni si accorsero che per il calore anche
le mani
del Principe Rosso si erano riempite di vesciche e piaghe, che gli
butteravano
le squame: lui però non sembrava badarci. L’unica cosa che riusciva ad
importargli,
incurante delle sue ferite, era slegare velocemente la famiglia che
avevano
appena salvato dalla morte.
“Non credevo sapessi
interessarti di miseri
uomini.” gli avrebbe detto l’elfa Sebille, quando quelle cinque persone
fossero
scomparse oltre la vecchia palizzata.
“Allora non mi
conosci quanto il tuo livore ti
fa credere.” le avrebbe risposto con un sorriso il Principe Rosso:
“...E in
ogni caso, il regno di dei e re passa sempre da persone come loro.”
“È per
questo che li hai salvati? Perché è il dovere di un principe?”
“Non dovere:
privilegio.” l’avrebbe corretta sommessamente: “…Che senso ha avere del
potere,
se non lo si può adoperare in questo modo?”
Forse sarebbe
stata anche per questa terza occasione che i suoi compagni si sarebbero
fidati
a lasciargli occupare il trono del Divino, alla fine.
Prima di tutto le cose importanti:
"orimante" è la traduzione che ho voluto imporre per la parola
originale "Sourcer" che in inglese è semplicemente stregone. Perché
l'ho fatto? Perché altrimenti si perde completamente nella traduzione
il gioco di parole con Sourceror e Source (origine in italiano). Gli
Orimanti che manipolano l'Origine, la magia originale, quella degli
dei, mi è parsa una più valida traduzione al banale e più anonimo "Stregone".
Dettto questo, mi rendo conto di come questo sia uno scritto
breve putroppo, ma DOS2 ha avuto la capacita di sorprendermi
in più di un momento con la sua trama, colpendoli alcune volte in modo
inaspettato (ad esempio, alla fine del primo atto).
Sopratutto, è stato capace di sorprendermi positivamente e quindi non
volevo rinunciare a tributargli il misero riconoscimento di questa mia
fanfic, che spero vi sia piaciuta, pur nella sua brevità: ho esagerato
volutamente la situazione a Blackpit per renderla più cupa ma anche
più... verosimile a ciò che ci si può aspettare da un ordine di ottusi
zeloti senza più controllo. Infine, so che non tutti tifano per il
Principe Rosso dato che spesso può risultare insopportabile, ma lo
trovo un personaggio dal cuore d'oro che si merita sia la sua prole di
draghi, che di stringere Sadha liberata dalle grinfie del Dio Re della
Progenie Del Vuoto (al diavolo Windego)
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