Urbano Cielo by Invader
“Gli esseri umani si
differenziano per attitudini e abitudini.
C’è chi studia gli uccelli che volano, e c’è
invece chi vola,
a suo rischio e
pericolo….
E’ un dramma, Urbano Cielo.
È drammatico come ultimamente ci colpisca e ci schiacci
contro il muro.
Non te lo nasconderò Urbano Cielo, ho intenzione di essere
sincero.
Se le mie parole non restano imbrigliate in quella rete
fumosa
Di torbidi miasmi cittadini, di pensieri sudati e spossati,
Tu per favore ascoltami, perché parlerò una volta sola
Adesso sono fuori dalla mia gabbia, e ti assicuro che sto
bene, alla grande.
Non durerà molto, Urbano Cielo, mi vedranno prima che tu
riesca a distinguermi
Tra le formiche che calpestano la terra sotto la tua volta.
Quindi accontentati delle mie parole, perché più non posso
offrirti
So di essere un suddito che chiede udienza al suo sovrano
senza neppure un dono in natura, ma tu fammi questo favore,
ti prego
non c’è molto tempo oggi, non c’è mai stato molto tempo
fammi questo favore, concedimi questa grazia, considerami
per qualche secondo come il figlio che non hai, ascoltami
come ricompensa cerca di farti bastare la carezza del
pensiero di un affetto filiale.
Non sto bene, Cielo Urbano, Urbano Cielo – così lo dicono i
Poeti –
Nessuno sta bene, è impressionante come aumenti di giorno in
giorno.
Parlo piano, e la mia lingua non profuma; ma ti ho detto che
il tempo stringe
Quando esco dalla gabbia, cielo Urbano, è tutto sistemato.
Ma ci tornerò, già lo so. Ti ho ferito padre.
Urbano Cielo, per quanto afflitto, non credo di impetrare la
fine di questa visione.
Ti chiedo di spiegare, in versi o in prosa
Perché Dio sia adesso urbana e fumosa realtà
Perché molti volino e mordano le nuvole
che sputi come caramelle masticate
Perché come da carie afflitti
Giacciano poi sfiniti
Con ali spezzate
Facce alienate
Occhio bianco
Morte in viso.
Sonno.
Loro.
Ami i volatili? Io sì.
Per molto tempo ho creduto di imitarli.
E mi vedevi, vero?
Prendendo carta e penna, e giacendo sotto di te
Coperto dal manto erboso della mia gioventù
Ho percorso in lungo e in largo le colline
Scalato le montagne, finché non trovai una rampa per il
lancio.
Ma tu sai che il mio volo ha in comune con quello degli
uccelli
Solo il bisogno delle ali.
Leggevo nei momenti di sole urbano tra macchine e cemento
erboso
Di uomini che volano fuori da labirinti greci, sperduti tra
mirto e sole.
A picco sul mare, quel lago di impedimento che tanto mi
grava.
Leggevo di come il cielo arrivarono a toccare
Dell’esuberanza del genio, delle ali fabbricate, della cera
e delle piume.
Urbano Cielo, li ospitati tu nel tuo azzurro greco di mare e
di sale?
Fu il tuo sole a corrodere il collante della razionale
invenzione?
Sbagliare, certo, quello è sbagliare.
Perché mai ti avremo con la ragione, Urbano Cielo
Mai di te scriveremo parole precise e inferenze ben fatte
Urbano cielo, che le auto e i palazzi sovrasti
Accetti il parto di un attico sperduto in periferia?
Accogli il volo di un’anima senza catene e vincoli?
Un Minotauro minaccia la mia vita, Urbano Cielo
Le auto sfrecciano veloci e sbuffano atroce accidia
Tedium Vivendi me habet. Non dubito.
Non ho più mappe, nessuna cartina
È un labirinto di cemento, fuori il mare dell’ignoto
E mi sento un po’ Dedalo, Urbano Cielo.
Saresti disposto a farmi tentare la grande traversata?
La mia esistenza, Urbano Cielo, non è necessaria alla
matrice
Quella nera costruzione che oltre te aleggia,
come un telo increspato dal vento.
Muovo i miei passi come una tenera fiamma
In una ventosa sera di fine primavera
Ed è il vento che tutto può.
Io, Urbano Cielo, spero di brillare abbastanza
Per lasciare un’impressione di fervida passione
Quando il vento ai posteri mi avrà sottratto.
Urbano Cielo, massa violacea di smog ed ozono
Io non ti voglio spiegare ai mortali
Io ti voglio per sempre cantare
E per farlo devo volare, Urbano Cielo, devo salire.
Non c’è montagna che carezzi il tuo volto
Non c’è vento che trasporti il tuo odore
Ci sono solo ali, maledetto adorato genitore di passioni.
Ma io, Urbano Cielo, non voglio usare la cera.
Non la ragione impiegherei nella mia costruzione.
Urbano Cielo, sono come te, una azzurra emozione
Una testa che non sa ragionare
Un fiore che non si sa spiegare
Un assioma sbiadito
Un gioco di consonanti senza senso
Fluorescenza di amore fiorito
Urbano Cielo, ti canterò con la carta e la penna
Ma tu fammi volare.
Placa il tuo sole, non si deve adirare.
Il Mare non deve ancora avermi.
Perché la mia non è cera.
Il collante che uso è simile al vento
Mi sospinge oltre le nuvole, fino a toccarti
Fino a saggiare ogni passione per il semplice gusto
Di svegliarmi sul foglio e dire poi “questo sono io
Questi siamo noi?”.
Ti onoro di parole, non di formule o teorie
Ti profumo di bellezza, non di semplicità.
Urbano Cielo, da un attico di periferia
Accetta la mia tracotanza,
sciogli il torchio che lega le mie nuovissime ali.
Non protestare, te ne prego.
Ti carezzerò, come un piuma irrazionale
Che solletica il mento di un bambino.
E rideremo, Urbano Cielo
E nella caduta, se vorrai
Io leggerò, e tu piangerai.
Sono un annegatore del tempo e della mia storia
Ma tu chiamami violentatore della passione
Offuscatore della ragione, ladro di amori, malato di
fervori.
Sono io che oso scovare una nuvola
Senza troppo penare, senza prima morire.
Sono proprio io, morbide ali invisibili costruendo
Nego ogni ragione, ti corteggio con l’astrazione.
Sono l’abnegazione del presente e del cuore
Rimo la passione col distico della superbia.
Ma tu, per favore, chiamami solo…
… e si dimostrano
tuttavia stupidi, questi impavidi uomini volanti?
A loro non serve morire.
Volano, gli umani, per
carpire un sentimento, un’emozione
Da scrivere e poi raccontare. Poco male se cadono, pare
Anzi che provino un
assurdo piacere nel descrivere la propria caduta.
E non muoiono mai, perché
le loro ali sono fantasia di passione
Non è la cera di Dedalo,
non si sciolgono mai al sole
Questi mortali. Si
elevano fino al loro Cielo per sentire il profumo
Di una parola. E poi
sprofondano nel vuoto, forti della bellezza
Del proprio inarrestabile
precipitare. Effimeri come il lume
Di una candela, da molti
sono definiti Idioti.
Noi però, li chiamiamo
semplicemente Poeti.”
Ma tu, per favore, chiamami solo Poeta.
[ Teofrasto Eolico, Poeta
Lirico Mai Esistito]