Londra,
25 dicembre 2010
“Ho
sempre pensato al Natale come ad un bel momento. Un momento gentile,
caritatevole, piacevole e dedicato al perdono. L’unico
momento che
conosco, nel lungo anno, in cui gli uomini e le donne sembrano aprire
consensualmente e liberamente i loro cuori, solitamente
chiusi.”
Canto
di Natale,
Charles Dickens
Il
giorno di Natale uno si aspetterebbe di trovare un po' più
di neve.
Lungo le strade, sui tetti ad imperlare i comignoli sputacchianti
fumo scuro, sulle auto parcheggiate sempre allo stesso posto da una
vita. Invece no, solo una spolveratina qua e là. Quello fu
il Natale
più stupido che lo stregone oscuro Asgeirr, per gli amici
“Oskar”,
Svart si trovò ad affrontare. Il più stupido, ma
anche il più
bello. Si sa che spesso le due cose vanno di pari passo, ma
tralasciamo.
Concluso
un affare nel quartiere di Soho, Westminster, nella Chinatown della
zona, situata nei pressi di Gerrard street, decise di fare due passi
per strada, diretto a Piccadily Circus per godersi qualche luce
natalizia, l'odore dei dolci venduti alle bancarelle mondane, il
rumore dei carillon e dei giocattoli meccanici che ancora venivano
costruiti e fatti funzionare in nome della tradizione, rigorosamente
di legno o di latta. Nonostante l'orario, il buio era ormai
già
calato, come una qualsiasi giornata d'inverno e le temperature lo
costrinsero a stringersi appena in quel cappotto classico, un
doppiopetto nero, come la sciarpa in cotone spesso. Svedese di
nascita, il freddo non era certo uno dei suoi problemi, poco ma
sicuro.
Una
giornata come un'altra per lo stregone, il glamour ben attivo per
potersi mostrare ai Mondani come un qualsiasi uomo d'affari, in
completo nero e cappotto abbinato, gli scuri capelli liberi da ogni
vincolo, lunghi appena sotto le spalle, in uno scalato regolare,
preciso. Ogni cosa di lui trasmetteva precisione e
inflessibilità,
compreso lo sguardo di ghiaccio in perfetto tema con in clima.
L'intenzione
era quella di raggiungere Shaftesbury Ave, per poi tirarla dritta
fino a Piccadilly, osservando di tanto in tanto quelle quattro luci
che poi avrebbe guardato meglio a Trafalgar Square, altra piazza
piuttosto rinomata in cui ogni anno veniva allestito e decorato un
bell'albero natalizio. Per quanto quel posto non avesse assolutamente
nulla da invidiare a casa sua e alla bellissima Stoccolma, secondo il
suo “modesto” parere, qualche luce qua e la non se
la poteva
certo perdere prima di andare via. Certo, non c'era la neve e
già
questa cosa lo aveva innervosito parecchio, ma se non altro sarebbe
potuta andare peggio. Poteva piovere. Come iniziò a fare
poco dopo
che lo ebbe pensato.
“Città
schifosa!” mormorò il corvo, stringendosi
maggiormente nel
cappotto.
Avviatosi
all'incrocio con Shatesbury Ave, accelerò il passo per poi
girare
l'angolo e proseguire sempre avanti, deciso a trovare una soluzione
per coprirsi da tutta quella pioggia, senza dover staccare la testa a
un Mondano per rubargli l'ombrello. Dannati Mondani, dov'erano gli
“omini degli ombrelli” indiani, quando servivano?!
Loro non
sarebbero dovuti essere impegnati a festeggiare il Natale, che fine
avevano fatto, li aveva mangiati qualcuno?!
Nella
testa dello stregone gli insulti iniziarono a volare più
pesanti,
rivolti a tutti, come al proprio solito, fossero essi per i poveri
indiani malcapitati o per i Mondani già muniti di ombrello,
stretti
uno accanto all'altro per ripararsi dall'acqua e dal freddo, come
dolci piccioncini intenti a tubare, intonando canzoni natalizie. Che
schifo la vita quando sei uno stregone oscuro, eh?
Se
non altro la buona notizia era che lui, a differenza degli stupidi
umani, disponeva della magia, ma probabilmente se si fosse messo ad
andare in giro con un incantesimo che lo riparava dalla pioggia,
senza alcun oggetto visibile a proteggerlo, i Mondani lo avrebbero
scambiato per miracolato. O per Dio in persona, ma sorvoliamo. E
sappiamo tutti che lo stregone non si sarebbe risparmiato gli insulti
e le battute sarcastiche.
Poco
importava in quel momento, la precedenza andava al trovare una
stradina, un vicolo in cui infilarsi per potersi rendere invisibile
all'occhio mondano e ripararsi dalla pioggia. Nulla sarebbe cascato a
fagiolo meglio di Wardour street, stradina più isolata, per
così
dire, dal caos di persone riversatosi in strada nel rientrare dalla
casa di amici e parenti o uscire dalla propria per poter andare a
festeggiare in giro, o di nuovo a casa di altri. Poco interesse per
lui, che di feste cristiane e cose moderne spesso non sapeva che
farsene, vista la propria credenza nelle divinità nordiche e
il
ricorrente festeggiamento dei Sabbat. Secondo il proprio parere, i
Mondani erano in ritardo di ben quattro giorni, Yule era ormai
passato da un pezzo, altro che!
Tuttavia
al momento la magia aveva la precedenza, e una volta svoltato nella
stradina, si diresse verso gli alberi, sebbene una volta arrivato ed
entrato dal cancello, potè tranquillamente rendersi conto
che ce
n'erano giusto quattro in croce.
Che
delusione. No, davvero, quella città piaceva tanto ai Seelie
per i
loro parchi, il fiume, le zone ben tenute...forse sarebbe stato
meglio se fosse andato a Parigi, almeno sugli Champs Elysees quel
vialone alberato sarebbe saltato all'occhio. Ok, forse non in pieno
inverno come in quel caso, ma sarebbe stato sempre meglio di nulla!
Se
non altro si sarebbe potuto godere quel momento di pace in una zona
isolata, visto che i Mondani sembravano tutti intenti a festeggiare a
destra e a manca, lasciando quella via completamente vuota o quasi.
Costruita
nella seconda metà del Seicento, la chiesa al fondo del
piccolo
cortile verde, con due strade asfaltate a intersecarsi, dei gradini
al cancello d'ingresso posto a recintare tutta la piccola zona, si
ergeva nelle sua piccole dimensioni di circa venti metri quadrati di
pietra e guglia in legno aggiunta solo successivamente, attorno agli
inizia del Settecento. Le due grandi finestre a vetrata ampia sui
lati, facevano contrasto con le piccole finestre tonde del centro e
si poteva notare chiaramente come la guglia fosse stata annessa dopo,
visto il materiale differente.
Sbuffando,
lo stregone fu in procinto di mettersi all'opera, rendendosi
già
almeno invisibile, quando udì un rumore che non gli piacque
per
nulla. Prima dei passi si fecero sempre più vicini, poi gli
ansimi
iniziarono a farsi sentire, ma dalle scale dell'ingresso fece
capolino non un demone, né una bestia infernale di
qualsivoglia
natura, solo una semplice Mondana. Stupida, Mondana, per l'esattezza,
che dopo essersi trascinata per qualche metro, era crollata a terra
sul fianco, raggomitolata.
Tutte
a lui, ecco quale fu il pensiero dello stregone, ormai resosi
invisibile agli occhi dei comuni parassiti mortali che i Nephilim
amano tanto.
Oskar
rimase nell'ombra, per quanta potessero offrirgli quegli alberi ormai
spogli della loro chioma piena, ringraziando che ci fosse il
complesso della chiesa a coprirlo maggiormente dalle luci sistemate
in giro per tutta la città, osservando la scena da diversi
metri di
distanza.
Quella
donna non gli pareva certo inglese. O meglio, lo sarebbe potuta
essere se non fosse stata coperta di stracci, recuperati un qualche
centro profughi o qualcosa di simile, ci mancava solo la tazza con
cui fare la carità ed eccola lì, pronta e
servita! Doveva essere
una zingara. Altri insulti volarono nella propria mente, sebbene lo
stregone si stesse limitando a osservare senza muovere un muscolo.
Forse
si aspettava uscisse fuori un drago da qualche parte per mangiarsela,
o forse dei piccoli gnomi, chi può dirlo. Terribili gli
gnomi!
Non
accadde nulla. Non uscirono demoni da nessuna parte, né
draghi,
gnomi, unicorni o qualsiasi tipo di creatura idiota pronta a divorare
la Mondana. Si sorprese che nemmeno gli stessi Mondani si fossero
accorti di lei e di quello che da lontano, a ben guardarlo, poteva
essere sangue copioso sull'asfalto. Se ne aveva lasciato in giro
tanto all'interno del complesso, doveva essercene anche fuori, per il
marciapiede, ma anche i pochi passanti presenti, sembrarono non farci
caso, forse calpestandolo pure, quasi come fosse...invisibile.
Un
Mondano invisibile era roba da matti, doveva avere una spiegazione!
Quindi si decise ad avvicinarsi, pronto ad aprire un portale per casa
appena si fosse reso conto di essere in pericolo. Non che fosse un
codardo, ma la voglia di combattere dello stregone rasentava lo zero,
specie dopo quella giornata infame tra cinesi corrotti e pioggia a
catinelle senza nessun accenno di neve!
Udì
la donna ansimare e sibilare qualcosa, che non riconobbe subito.
Forse una preghiera, visto il luogo. Quella chiesetta sembrava essere
antica, doveva essere stata consacrata alla vecchia maniera, con uno
di quegli incantesimi potenti dell'epoca. Non male, doveva
ammetterlo.
“Aiuto...”
mugolò la donna, cercando di guardarsi attorno, come stesse
cercando
qualcuno.
Era
chiaro come non vedesse lo stregone, ma gli altri Mondani nemmeno
vedessero lei.
Quindi
Oskar rimase a osservarla, notando il sangue man mano fluire
sull'asfalto, denso, chiaramente umano a giudicare dall'odore e dal
colore, per quanto potesse vedere in quella semi oscurità.
Nessuna
traccia di icore, ecco tutto. Poi si decise, dopo aver preso un bel
respiro, a mostrarsi in tutta la propria altezza, imponente ancora di
più da quell'angolazione, gli occhi di ghiaccio a squadrarla
dall'alto come fosse l'ultimo degli insetti sulla faccia della Terra.
Nessuno
dei due si mosse o disse nulla, rimasero lì in silenzio, lui
a
fissarla, quasi si aspettasse tirasse le cuoia da un momento
all'altro, lei raggomitolata su sé stessa, come volesse
ripararsi da
quella figura sbucata dal nulla per mezzo della magia. Avrà
pensato
che lo stregone fosse una specie di Angelo della Morte o qualcosa del
genere a giudicare dalla reazione, stringendosi nei propri stracci,
spaventata.
Dal
canto suo lui non riusciva a spiegarsi chi o cosa l'avesse ridotta in
quello stato. Nell'osservarla più da vicino e con maggior
attenzione, si rese conto che gran parte della maglia, già
logora di
suo, era stata lacerata e una ferita profonda si faceva spazio sul
fianco della donna, fino all'addome. E chissà se avesse
avuto altre
ferite simili in giro per il corpo.
Non
erano affari propri. Mentre esaminava la donna con lo sguardo, lo
stregone si poté fare una chiara idea delle sue condizioni e
benché
non fosse un medico, una base di studi sul corpo umano l'aveva eccome
per potersi permettere certe cose, dagli esperimenti, alle
dissezioni, ma non entriamo nei dettagli.
La
cosa certa era che lui per lei non avrebbe né voluto,
né potuto
fare nulla. Incapace di usare incantesimi e di produrre vere e
proprie pozioni di guarigione sin da bambino, con tanto di persone e
animali morti o feriti dopo diversi tentativi, al massimo avrebbe
potuto darle una delle proprie tisane salutiste, con qualche erba
rinvigorente, ma nulla di più. Uno di quei rimedi che vanno
bene per
il raffreddore, al massimo una bronchite con guarigione naturale a
lungo termine, non se hai il fegato spappolato!
Nulla,
nemmeno un ospedale con tanto di streghe e stregoni avrebbe potuto
salvarla in quelle condizioni e lei stessa lo stava guardando con
occhi imploranti, mugolando perché quel dolore smettesse di
lacerarle le carni e il sangue fermasse la sua corsa contro il tempo.
Non
c'era altro da fare. Lo stregone potè sentirla biascicare le
ultime
parole, delle sillabe forse, come cercasse di dirgli qualcosa, poi
s'inginocchiò per essere alla sua altezza, portando una mano
alla
sua testa, alla base del collo, prima vertebra cervicale. Pressione,
pura e semplice dettata dalla magia di base che potrebbe imparare
anche uno stregone alle prime esperienze nel creare le onde d'urto,
un semplice “clack” nel sentire la vertebra
spezzarsi, poi di
nuovo il silenzio.
Per
quanta pioggia cadesse, a Oskar parve che quel sangue non finisse
mai. Rimase a fissarlo per qualche secondo, impassibile, dentro
sé
ancora confuso sul perché una Mondana dovesse essere stata
resa
invisibile, ma in fin dei conti non erano affari suoi. Il proprio
compito da buon giustiziere senza cuore lo aveva fatto, anche se come
al solito se si fosse venuto a sapere sarebbe passato per lo stronzo
di turno, ma poco male, ci era abituato.
Un
sospiro, tornando invisibile all'occhio umano, e fu sul punto di
aprire un portale quando udì un mugolio, forse un lamento,
una sorta
di rumore fastidioso che gli fece storcere la bocca in una smorfia.
Tornò
ad avvicinarsi alla donna, ormai esanime, volendo assicurarsi che la
sua anima non avesse preso pieghe inaspettate, magari trasformandosi
in una creatura oscura, o prendendo possesso di un oggetto, come si
dice sia accaduto in alcune leggende. Dal momento che “tutte
le
leggende sono vere” non si sa mai a cosa si può
andare in contro.
Si
accucciò per tastare i vestiti e parte del corpo della
Mondana, come
a volersi assicurare che non ci fosse qualche creatura sovrannaturale
al suo interno, sentendo qualcosa di morbido muoversi al di sotto dei
vestiti. Sempre pronto ad aggredire qualsiasi cosa fosse stata,
preparò una sfera infuocata sul palmo della mancina, la
propria mano
dominante, impiegando la destra per eseguire uno scatto repentino nel
togliere quella stoffa che si frapponeva tra lui e quella creatura
arcana.
Gli
occhi si sbarrarono alla vista della creatura. Una smorfia di shock,
misto a disgusto, misto a sua volta a sollievo nell'osservare quella
cosina tanto piccola quanto...innocente.
Un
bambino.
Che
giornata scarognata! Di tutte le cose che gli sarebbero potute
capitare, aveva trovato un dannato bambino! Quindi ora che avrebbe
dovuto farci, il tacchino di Natale?! Un polpettone? Patè di
Mondano, Dio che schifo!
La
pioggia non voleva saperne di smettere e lui era perfettamente
consapevole che un bambino in quelle condizioni, esposto alle
intemperie, al sangue probabilmente contaminato della madre e cose
simili, non sarebbe mai sopravvissuto. Poco male, un problema in meno
a cui pensare. Non si sarebbe certo dato pena per uno stupido
cucciolo umano! No, quel bambino andava eliminato e subito anche. Non
aveva voglia di creare portali per il primo ospedale Mondano per
lasciarcelo lì, figurarsi, aveva ben altro a cui pensare!
Avrebbe
dovuto farlo e anche in fretta.
Cercò
quindi di porre una mano tra i vestiti e la testa del piccolo,
facendola scivolare il più possibile per non destare
sospetti, in un
certo senso. I bambini sono molto più sensibili alla magia
in
genere, non si sarebbe sorpreso di sentirlo urlare. Anzi, era
già
sorpreso che non stesse piangendo, quel microbo!
Nel
sistemare la mano, una parte della stoffa scivolò via dalla
testa
del bimbo, lasciando scoperte le orecchie, che fecero immediatamente
bloccare lo stregone dall'applicare la stessa pressione impressa al
collo della madre, solo molto più lieve.
Piccole
pinne al posto delle orecchie, come fosse una creatura marina, che
nel discostargli leggermente il padiglione esterno, fecero rivelare
al corvo ciò che lui realmente era: un bambino munito di
branchie.
Ecco perché non stava piangendo, l'acqua in un qualche modo
rientrava in uno dei suoi elementi e il corpo si sarebbe sentito a
suo agio probabilmente senza tener conto della temperatura, che in
ogni caso a lungo andare lo avrebbe ucciso.
Confuso
da quel caos, non seppe trovare una soluzione logica alla cosa. Una
madre Mondana, a giudicare dalla sua aura, con un bambino mezzo pesce
che doveva essere a tutti gli effetti uno stregone non era la cosa
più preoccupante di tutta quella storia. No, la cosa
preoccupante
era perché quella madre lo stava proteggendo tanto da essere
stata
disposta a dare la vita per lui.
Inconcepibile.
Nella
mente di Oskar, tutto ciò era semplicemente assurdo.
Tuttavia al
momento la questione più urgente era decidere che farne
della
creaturina e pioggia e canzoni natalizie provenienti dalla strada
principale non erano certo il massimo per la concentrazione!
Indeciso,
iniziò a percepire il battito cardiaco accelerare, l'ansia
farsi
strada nel proprio animo come se non avesse mai provato una
sensazione tanto sgradevole in vita propria. Se lo avesse ucciso,
avrebbe ucciso un membro della propria specie, se l'avesse salvato,
avrebbe dovuto assicurarsi che stesse bene almeno una volta all'anno,
ricordarsi del suo compleanno, forse, piantarlo da qualche parte con
qualche stramba famiglia pronta ad adottarlo. Che schifo le
responsabilità!
Se
lo avesse dato a un qualche istituto, sarebbe stato cresciuto da
quegli schifosi dei Nephilim, se invece lo avesse consegnato ai
Mondani, sarebbe rimasto traumatizzato per il resto della sua vita
per essere quello diverso, forse rinnegato dai nuovi genitori. Sempre
ammesso che il suo genitore demoniaco non lo volesse indietro, un po'
come il proprio.
La
cosa lo fece rabbrividire. Per lo schifo, mica per altro.
Guardò
la creatura con una smorfia, sentendo i suoi occhioni azzurri
addosso, benché la luce permettesse di vedere poco.
Sospirò,
indeciso sul da farsi, puntandogli l'indice sulla guancia come a
volerlo tastare e assicurarsi che fosse morbido, le unghie forse un
po' troppo lunghe non calcate per non ferirlo, quando lo vide
voltarsi e afferrare il proprio dito con le manine, portandolo alla
bocca come di consuetudine. I bambini scoprono il mondo con la bocca,
è risaputo che tendono ad “assaggiare”
qualsiasi cosa e lui lo
stava facendo con il dito dello stregone.
Compassione.
Lui quasi non sapeva cosa fosse, l'aveva dimenticato. Aveva amato una
volta, aveva avuto pietà per tutte quelle persone che ne
avevano
bisogno, provando a salvarle, realizzando che il proprio corpo di
stregone non avrebbe mai potuto salvare nessuno. Incapace di guarire,
incapace a relazionarsi, aveva chiuso tutto sé stesso in
quel corpo
di svedese senza lasciar trasparire nessuna emozione. Statico, stoico
nell'imporre il proprio volere, aveva imparato ben presto a prendere
con la forza tutto ciò che desiderava, fosse esso di vitale
importanza o un mero capriccio.
Cresciuto
dal proprio padre naturale, un demone quindi, non ci si sarebbe
potuti aspettare nulla di diverso. Il suo corpo glie l'aveva solo
continuato a ricordare più e più volte,
rammendandogli che la sua
natura, quella vera, non sarebbe stata fatta di altro che sofferenza
e solitudine. Non si sentiva uno stregone, non si sarebbe mai sentito
tale. Lui era e rimarrà per sempre un demone.
“Sei
già tutto bagnato e il tuo corpo è freddo, tra
qualche ora morirai
di certo. Ora vuoi anche prenderti la peste?” riferito al
proprio
dito, ancora in bocca al neonato.
Poteva
aver toccato qualsiasi cosa con quelle mani, dal sangue a qualche
erba per le pozioni, a cose illegali vista la bisca cinese dalla
quale era appena uscito.
Sospirò,
tirando le somme. Forse avrebbe potuto prenderlo come animale
domestico. Come un cane o un gatto giusto un po' più umano.
Nah, la
schiavitù era stata abolita dalla fine dell'Ottocento.
Un
assistente. Un piccolo assistente alla mo di Umpa Lumpa ne
“La
fabbrica di cioccolato”, ecco che ne avrebbe fatto! Doveva
essere
così, ne avrebbe avuto bisogno di un assistente a cui
rompere le
scatole tutto il giorno, visto che la propria casa era sempre vuota.
Per
quanto si fingesse a proprio agio anche in mezzo alla folla, Oskar
rimaneva pur sempre un inguaribile asociale. Amante della solitudine,
al massimo della compagnia di un paio di persone alla volta,
possibilmente a casa accanto al camino, coperta sulla gambe con tanto
di pigiama, rigorosamente nero o viola, una tazza di thé in
mano ad
ammirare i paesaggi invernali perenni della Svezia del nord.
“Kalmar”, lui la chiamava ancora in quel modo,
visto il periodo
in cui era nato e aveva trascorso la propria infanzia.
Quindi
un assistente giovane e moderno gli avrebbe fatto senz'altro comodo!
Con tutta quella tecnologia da imparare a usare, quelle cose
così di
moda al momento, a cui non si sarebbe mai abituato da solo, l'idea di
prendere con sé un assistente a cui scaricare il lavoro gli
sembrò
perfetta. O una perfetta scusa per decidersi a fare la cosa giusta.
Si
decise quindi a muoversi, visti quei minuti persi a rimuginarci
sopra, strappando parte delle vesti della donna morta lì
accanto per
poterci avvolgere il bambino, riscaldandolo con la propria magia. Gli
indumenti infatti erano fradici, dovette usare diversi incantesimi
per renderli asciutti, uno per riparare anche il piccolo dalla
pioggia costante e uno per estrarre l'acqua, nonché scaldare
quella
piccola area riparata, ma controllando il fuoco come elemento
principale, non fu un problema. Il problema fu quando nel sollevare
il bimbo, si accorse di avere a che fare con una bambina.
Ennesimo
sospiro, nervoso, se fosse stato un cartone animato si sarebbe potuta
vedere la vena sulla testa sul punto di esplodere.
“Sei
inutile. Una piccola pesciolina inutile!” disse,
punzecchiandole
ancora la guancia con il dito.
Era
così morbida. Squartare gli adulti era un conto, ma fare a
pezzi una
creaturina tanto piccola e morbida gli sembrò quasi troppo.
Non era
il figlio di un nemico, da punire severamente. Solo una piccola
strega.
Buttando
poi l'occhio sul corpo della madre, decise che lo avrebbe bruciato.
Chiunque avrebbe potuto reclamarla o trasformarla in qualcosa di
orrendo e già il fatto che non ci avesse pensato lui, la
diceva
lunga. La bambina aveva la priorità.
Materializzò
quindi sul palmo l'ennesima palla di fuoco, dopo aver reso anche la
zona relativa alla donna “impermeabile” per
così dire, quando
con la luce da lui stesso creata notò un simbolo alla base
del
collo, quasi sulla scapola. Un sigillo, ecco cosa l'aveva resa
invisibile. Lasciò la palla di fuoco sospesa, stringendo a
sé la
bambina perché non gli scivolasse nello sporgersi per
analizzare il
sigillo.
Forneus.
Quella schifezza urlava “Forneus” da tutte le
parti. Trentesimo
demone della Ars Goetia, Marchese conosciuto per la sua buona
retorica, qualcuno dice anche il suo amore verso i propri nemici, ma
soprattutto per la sua natura dedicata all'acqua e ai fluidi.
Oskar
capì in quel momento che la donna Mondana doveva essere
stata
raggirata dal demone e dalla loro unione era nata quella piccola
strega. Forneus l'aveva marchiata come una sua proprietà e
quasi
sicuramente era alla ricerca della bambina.
Soddisfazione.
Eccolo quel sorriso che gli si dipinse sul volto, pura e semplice
soddisfazione.
Realizzò
che oltre a portarsi a casa un nuovo animaletto domestico, avrebbe
potuto fare un torto al proprio padre, impossessandosi della bambina
come fosse un proprio oggetto, facendo impazzire il Marchese, che
quasi sicuramente sarebbe andato da papino a lamentarsi per le azioni
avventate dello stregone. Sì, quel piano era geniale!
Si
trasse in piedi poco dopo, guardando la piccola con aria da furbo,
non avendo nulla di buono in mente, sentendosi in un qualche modo
sciogliere per quegli occhioni puntati addosso, ora più
azzurri che
mai alla luce del globo infuocato.
“Non
guardarmi in quel modo, se non fossi stata una strega, ti avrei
lasciata qui a marcire!” sbuffò.
Chi
lo sa come sarebbe andata, non era sicuro nemmeno lui delle proprie
parole.
Lasciò
quindi che il piccolo globo si posasse sugli abiti ora asciutti della
donna, iniziando a bruciare ogni cosa, dagli indumenti alla carne
viva, voltandosi con la piccola tra le braccia in modo che non
vedesse nulla. Gli scienziati attestano che non è possibile
ricordare determinate cose prima di una certa fascia d'età,
ma così
come non sanno spiegare perché alcuni bambini hanno ricordi
della
vita precedente, altri misteri del cervello ancora oggi non sono
stati svelati, quindi lo stregone preferì non rischiare. Se
anche un
giorno avesse ricordato lui o la madre stesa a terra, se fosse venuta
a sapere per vie traverse che lui stesso l'aveva uccisa, non se lo
sarebbe mai perdonato. Certo, ormai la donna era senza speranza ed
era sicuro che arrivata a un'età sufficiente per capire
determinate
cose, la bambina probabilmente gli avrebbe chiesto che fine avesse
fatto sua madre, ma se avesse potuto evitarle gli incubi dovuti al
subconscio, sarebbe stato meglio. Avrebbe dovuto dirglielo prima o
poi, ma al momento era un problema che avrebbe rimandato.
Già
s'immaginava con lei in giro per casa a sgambettare qua e
là,
facendo domande sulle pozioni e sulle erbe, a giocare assieme con la
neve, a raccontarle qualche favola per farla addormentare...stiamo
divagando! No, non avrebbe ceduto al fascino della bimba per fare il
paparino moderno, nossignore!
La
guardò poi con un mezzo broncio nel pensare certe cose,
inviando un
messaggio di fuoco per attenderne la risposta, aprendo quindi un
portale diretto all'indirizzo arrivatogli, il messaggio
autodistruttosi pochi secondi successivi.
“Ti
ci vuole un nome”
Eccolo
lì, prima pensa di farci un tacchino natalizio, poi di
spedirla in
qualche stramba famiglia assurda, quindi un assistente e ora quasi si
crede il padre nel volerle dare un nome. Dare nomi alle cose
è il
primo segno di affetto, dovresti saperlo, Oskar!
Ma
era così piccola. E carina.
Al
diavolo tutto, quella creaturina l'aveva trovata lui, quindi ora gli
apparteneva. Molto logico come ragionamento, certo. Avrebbe avuto
tutto il tempo del mondo per decidere che farsene, poco ma sicuro.
Certo era, ora come ora, che un nome le ci voleva o non avrebbe
saputo come chiamarla se avesse avuto bisogno dei suoi servigi.
Perché una bambina di un mese o giù di
lì, sicuramente era in
grado di fargli subito da assistente.
La
cosa sembrò non interessare più di tanto allo
stregone, perso nelle
sue mille contraddizioni, benché il proprio subconscio aveva
già
deciso di tenerla con sé senza che se ne rendesse conto.
Si
mise quindi a pensare a qualcosa in quei pochi istanti, sapendo di
dover attraversare il portale per raggiungere la Casa di Magia dei
gemelli, ora dislocata chissà dove, ricordando una favola di
Dickens
che avrebbe potuto aiutarlo molto. Effettivamente lui e il caro
Ebenezer Scrooge avevano tanto in comune: l'essere asociali, il poco
spirito delle feste, viste le proprie credenze pagane,
l'avarizia...no, quella no, lui a differenza del vecchio faceva le
cose per sopravvivere o per semplice divertimento sadico.
Nell'aria
le canzoni di Natale avevano continuato a riempire l'atmosfera con la
loro melodia per tutto il tempo, provenienti dai negozi aperti per
qualche ora, come a voler coinvolgere il pubblico o ovviare a un
problema di fondi, dalle case lì attorno e dalla via
principale con
il traffico, le macchine, quei rari mezzi pubblici che come i negozi
rappresentavano un'eccezione.
“A
Christmas Carol. Carol.” disse, decidendo senza pensarci.
Quello
sarebbe stato il suo nome.
Attraversò
quindi il portale, conscio del fatto che nulla lo avrebbe fermato dal
tenerla con sé, sebbene la testa gli stesse dicendo di
lasciarla lì
o al massimo dai gemelli. Perennemente in dubbio e in conflitto con
sé stesso, già sapeva che si sarebbe fatto tutti
quei problemi.
Infine
la lasciò alla Casa di Magia dei gemelli egiziani, ma nei
giorni,
nelle settimane e nei mesi successivi non seppe trattenersi
dall'andare a trovarla ogni giorno, presentandosi puntualmente con un
giocattolo, un vestitino, una nuova copertina con ricamato il suo
nome. Immaginate la faccia del povero Mondano addetto ai ricami
quando si era presentato al negozio con quell'aura tetra e
agghiacciante, chiedere di incidere un nome su una coperta per
bambina.
Per
quanto sembrasse assurdo, aveva sempre apprezzato i bambini. Piccoli,
paffuti, ingenui e dall'enorme potenziale se cresciuti come si deve.
Delle piccole macchinette del caffè che se riempite
correttamente
con la miscela giusta, sanno produrre ottimi risultati. Per non
parlare della loro sincerità. Qualsiasi cosa pensino, loro
la
dicono, li apprezza tutt'ora soprattutto per quello, imbarazzanti
come pochi.
Nonostante
le cure dei gemelli, si munì di ogni precauzione per essere
presente, l'unico motivo che lo spinse a non portarla a casa fu per
la pericolosità degli oggetti al suo interno. Per quanto
avrebbe
voluto, il proprio lavoro gli avrebbe impedito di poterla avere con
sé ancora per qualche anno. Se per disgrazia avesse toccato
qualche
pozione velenosa o qualche artefatto, sarebbe morta all'istante,
quindi era meglio non rischiare.
Eppure
quel legame contraddittorio spesso gli faceva male. Non sapeva che
futuro avrebbe potuto garantire a una bambina uno come lui, disposto
a entrare nella piena illegalità delle proprie azioni, a
uccidere
per il proprio lavoro. Quindi non erano rari i casi in cui andava a
trovarla e fuggiva dopo poco per paura di affezionarsi troppo a
qualcuno che un giorno lo avrebbe visto per il mostro che era.
Accadde
così, in una semplice giornata estiva, qualche mese dopo.
Intento
a farle il bagnetto come a un qualsiasi bambino della sua
età,
immersa per metà nella bacinella, si stava preoccupando di
insaponarla e risciacquarla, quando la vide agitarsi, tutta contenta,
come se qualcosa avesse attirato la sua attenzione.
“Che
succede, principessa di zio?” chiese, sorridendole. Un
sorriso
dolce, rassicurante, di quelli che in genere rivolge solo a lei nel
privato.
Di
fatto non era suo padre, da lì quell'appellativo, che
avrebbe
impiegato diversi anni ad abituarsi a togliere per sostituirlo con
“papà”.
Ovviamente
la piccola non sapendo ancora parlare, si limitò a emettere
qualche
verso, muovendo gambe e braccia come di consuetudine per un bambino
di quell'età. Un ciuffetto di capelli biondo chiaro
già era
visibile sulla testa della bimba.
Con
enorme sorpresa dello stregone, l'acqua presente nella bacinella
venne mossa dalla bambina, non sarebbe potuto essere altrimenti visto
che erano soli, che iniziò a sollevarla in tante piccole
gocce,
rilasciandola come fosse pioggia sopra la propria testa.
La
cosa in un primo momento lo sconvolse.
“Perchè,
Carol, che cosa vuoi dirmi?” chiese.
Era
ovvio che non potesse essere la vera e propria volontà della
bambina, ma il suo subconscio a parlare. Troppo piccola per ricordare
o per esprimersi se non a suon di “gagu” non ben
definiti.
Alla
domanda fu probabilmente di nuovo il subconscio a rispondere,
impiegando il sapone, gonfio all'interno della bacinella, a formare
un piccolo fiocco di neve, che levitando nell'aria finì
sulla
guancia dello svedese, lasciandolo basito.
Lui
lo interpretò come un “grazie” e per un
attimo sentì le gambe
cedere. Lui, che aveva chiuso il proprio cuore sotto strati di
ghiaccio perenne, si ritrovò con una lacrima a solcargli il
viso,
scendendo lungo la guancia sulla quale si era depositato il fiocco di
neve di sapone da lei creato.
Era
forse quella la felicità?
Questi
personaggi appartengono alla sottoscritta, gradirei che non
infrangeste il copyright e non li riutilizzaste nelle vostre storie,
salvo permesso.
L'opera
originale "Shadowhunters" e personaggi annessi, sono di
proprietà di Cassandra Clare. Ogni riferimento a luoghi,
fatti e
persone è puramente casuale, mi scuso in caso di omonimia.
Note:
non ce l'ho fatta, non ho resistito a scrivere questo capitolo
“spin-off” dell'altra storia! Che dire, adoro
com'è uscito
Oskar, ci tenevo a far capire quale fosse il tipo di legame che lo
univa alla piccola Carol e come si sono incontrati. Spero vi sia
piaciuto, alla prossima~
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