Riflessi nelle tenebre

di Deceptia_Tenebris
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Riflessi fra le tenebre
 
 

Cecilia
 

La notte sembrava un gelido sentore di un’anima viva, pronta a ridare fiato ai comuni mortali.
La città vorticava in un riso folle, tagliente e la mia testa girava assieme ad essa, seguendo il ritmo di quel suono crudele, mentre i miei occhi vagabondavano vuoti senza osservare niente, confusi da quelle luci assordanti che mi trapanavano le retine. Sentivo le orbite andare a fuoco, il corpo fremere privo di controllo, lo stomaco contorcersi come una larva e qualcosa di duro premere contro la mia guancia. Cercai di allontanarla ma inutilmente, crollando di nuovo su di essa, rendendomi conto, in un lampo di lucidità, che ero distesa su un pavimento ed ero accerchiata da luci forti. Troppo forti. Non riuscivo a comprendere dov’ero e sentivo un lato della testa troppo pesante da sollevare. Una mano esitante mi sfiorò la spalla, ma la sentii a malapena.
Sembrava l’ombra sbiadita di una luce, in mezzo al buio che mi stava assorbendo dentro e che mi cuciva le palpebre con i gemiti deteriorati che provenivano in una parte indistinta della mia mente.
Udii poi qualcosa, forse il mio nome in lontananza, ma non feci segno di reagire, troppo presa dalle fitte che mi pugnalavano la pelle. Le sentivo tutte mentre mi congelavano i nervi fino alle viscere.  Dire che pativo il freddo era un eufemismo, ma non riuscivo a svolgere nessuna azione che mi permettesse di sfuggire a tutto quel gelo. Quel freddo e quell’oscurità, alimentati da un senso d’incoscienza, mi stavano portando a uno stato di paralisi mentale mai sperimentata.
La mano di prima poi, l’unica fonte di calore che il mio corpo avesse riconosciuto, si era dissolta nel nulla per poi essere sostituita improvvisamente da due braccia sorprendentemente forti, che mi sollevarono da terra da sotto le ascelle. Incominciarono a sballottarmi di malo modo. Qualcuno mi stava allontanando dal pavimento, verso una stanza candida come la neve e con bagliori argentei.
Sembrava la stanza di una fortezza di ghiaccio, uscita da un incubo.
E sebbene un senso di pericolo scattò flebilmente dentro di me come un campanello di allarme, non opposi resistenza e mi lasciai trascinare chissà dove, inerte come un fantoccio rotto.
Sentivo la testa a penzoloni sulla spalla mentre metà del volto era avvolto da una maschera composta da schegge di ghiaccio, rendendolo insensibile. Non percepivo altro, se non il buio.
E quelle luci. Quelle luci troppo forti e bianche, accompagnate da quella voce.
«Resisti.».
 
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