Sweet
Dreams
Lunedì.
Martedì.
Mercoledì. Ormai troppi giorni passati da quando aveva fatto visita
a casa Bourbon. A dir la verità, era anche l’ultima volta da
quando Chevalier aveva fatto uso di sostanze in grado di stimolare la
sua mente – e di lasciarla senza nemmeno un ricordo il giorno dopo.
Decisamente, andava posto rimedio a questa situazione. E cosa c’era
di meglio di uno show di drag queens, proprio nel suo locale
preferito? Magari, chissà, avrebbe potuto cogliere l’occasione per
finire nei pantaloni di qualcuno di utile alla sua scalata sociale.
Per qualcuno che lavora nelle arti, decisamente utile. Ormai, era
diventato un pensiero fisso. Certo, aveva già disegnato qualche
vestito per Athenais e per sua cugina Sophie, povera ragazza. Era
venuta a Parigi con lui, ma era di ben più umili origini e non aveva
proprio la più pallida idea di come guadagnarsi posti importanti.
Voleva fare l’attrice. « Apri le gambe, ai produttori piace. » le
aveva detto la madre, ma lei era troppo ingenua per farlo davvero,
completamente diversa da Chevalier. Magari sarebbe stato lui a
garantirle una carriera, aiutandola nella sua scalata sociale.
Avrebbe potuto guadagnarsi anche lui qualcosa. Un passo avanti
avrebbe potuto farlo se fosse riuscito a catturare l’attenzione di
Philippe. Che, a dir la verità, non gli aveva nemmeno inviato uno
snap. Eppure, le sue storie sull’app dal fantasmino le guardava,
ragion per cui c’era da sperare che avesse almeno salvato il suo
numero.
Ma perché avrebbe dovuto sperare? Probabilmente non
l’avrebbe più rivisto presto. Non di certo all’ ‘XXL’,
davanti al quale Chevalier era arrivato.
Prima di entrare
raccolse i capelli in uno chignon disordinato. Gli avrebbe
risparmiato del tempo, dato che ormai era abituato a pagare i
buttafuori in natura. Almeno avrebbe iniziato a scaldarsi, dato che
il giubbotto di pelle che indossava lo riparava poco dal freddo, per
non parlare dei jeans neri strappati. ‘La bellezza è dolore’.
Questo era sempre stato il suo mantra, soprattutto nel momento in cui
aveva imparato a camminare sui tacchi. Si era slogato la caviglia
destra un paio di volte prima di riuscire a mantenere l’equilibrio,
ma ormai era maestro di quell’arte. Indossava spesso scarpe alte
anche quindici centimentri, ma altre volte optava per più comodi
anfibi di vernice, come quella sera.
Forse, più tardi avrebbe
potuto compiacersi di quella scelta. Almeno non l’avrebbero
chiamato sul palco e non avrebbe dovuto prestare le sue scarpe a
nessuna drag queen, com’era successo la volta precendente. Aveva
perso una scommessa e, con questa, anche un paio di Leboutin figlie
di un paio di mesi in cui aveva dovuto lavorare più del solito.
Magari avrebbe potuto riaverle indietro, quella notte. Ancora ci
pensava, quando scorse a un tavolino alcuni dei suoi amici. Ariane,
facoltà di scienze politiche, incarnava in pieno il termine ‘butch’.
Mael stava tentando la fortuna come bassista in una band indie-rock.
C’era anche Jean-Baptiste, il più grande del gruppo. Aveva
studiato recitazione, regia e scrittura teatrale a Londra. Era
tornato in patria un paio di anni prima, e Chevalier lo aveva
conosciuto per caso a una festa organizzata da Luis. Per qualche
strano motivo, si erano ricordati l’uno dell’altro e avevano
iniziato a frequentarsi. In realtà, Chevalier fu sorpreso dalla sua
presenza in quel locale. Non facendo parte della comunità LGBTQ,
Jean-Baptiste non seguiva spesso la cerchia di amicizie di Chevalier
in bar gay.
« Ti abbiamo passato la frociaggine? » gli chiese
il nuovo arrivato, facendo un cenno di saluto a tutto il gruppo e
sedendosi sulle gambe di Mael, non trovando uno sgabello libero.
«
Sfortunatamente continuo a preferire le grazie femminili, ma una
delle signore che si esibirà stasera ha domandato il mio aiuto. Ti
dico solo che non riuscirai mai a immaginare chi si cela sotto la
parrucca! » fu la risposta di un euforico Jean-Baptiste. Beh, era
quantomeno strano che una drag queen, anche se professionista, si
rivolgesse a un regista. Anche perché non era un lavoro
particolarmente remunerativo. Tuttavia, era un genere di
intrattenimento che stava via via guadagnando popolarità, come si
evinceva dalla quantità di gente accorsa ad assistere allo
spettacolo. Certo, non tutte erano di gradimento al pubblico, al
punto che una certa Viollet-Le-Dick suscitò l’ilarità solamente
di un piccolo gruppo di architetti, probabilmente i soli a capire le
sue battute. Colei che invece prese gli applausi più lunghi
rispondeva al nome di Narcisse BeauSancy. Nonappena fece la sua
entrata sulle note di ‘Royals’, il pubblico andò in visibilio. «
Quello è il mio lavoro! » Urlò Jean-Baptiste, alzandosi in piedi e
sollevando anche il suo bloody mary. Narcisse si rivolse verso il
loro tavolo, raggiungendo il gruppetto. Quando la canzone arrivò a
‘let me be your ruler’, la mano di Chevalier fu portata dalla
ragazza verso uno dei suoi seni di silicone. ‘È il momento più’
etero della mia vita’ pensò, voltandosi ridendo verso Ariane, a
cui invece vennero offerte le natiche della drag queen, in modo che
potesse ricevere una sculacciata. Era travolgente, davvero un’ottima
performer. Tornata sul palco, aveva ballato ancora un paio di brani
di Marina And The Diamonds e Sia, prima di scendere nuovamente per
tornare in camerino.
« Raggiungimi fuori tra dieci minuti. »
intimò a Chevalier, che nel frattempo occupava la sedia di Mael, il
quale aveva sentito il richiamo della natura. Aspettò quindi che
fosse tornato per rggiungere il retro del locale, lasciando gli altri
con una scusa.
Approfittò dell’uscita per accendere una
sigaretta, una Black Devil rosa, le sue preferite. La portò alle
labbra con grazia, appoggiando un piede contro un muro e abbassando
la testa mentre lasciava che il fumo gli entrasse nei polmoni. Un
ticchettare di passi sul pavimento. Alzò lo sguardo, scorgendo
Narcisse avvicinarsi. Aveva aggiunto una ecopelliccia bianca sopra
l’abito per coprirsi dal freddo. Anche la parrucca se n’era
andata, lasciando il posto a riccioli scuri ancora scompigliati.
«
Scusa se non ti ho chiamato. Posso rimediare? » gli domandò, una
volta che si fu fermata accanto a Chevalier.
« Aspetta, quindi
tu sei- ? » ci fu un momento di silenzio confuso. Subito dopo, la
sigaretta cadde a terra. « Philippe? »
« Il fratello del
prossimo presidente si veste da donna. È qualcosa che tutta la
stampa francese non vede l’ora di sapere. » Di nuovo quel sorriso
amaro, di nuovo la tristezza velò i suoi occhi.
«
Effettivamente potresti rimediare in qualche modo. » Chevalier tentò
di risollevargli il morale, passandogli un dito sulle labbra.
Philippe non se lo lasciò ripetere e afferrò la sua maglietta,
baciandolo con così tanta passione da far dubitare che fosse la
stessa persona che Chevalier aveva incontrato pochi giorni prima,
fredda come la Senna d’inverno. Certo non si lamentava del
cambiamento. Il suo corpo si abituò in fretta a quel contatto, e le
mani si mossero quasi automaticamente, raggiungendo le natiche
dell’altro. Ormai erano senza respiro.
« Guarda che schifo,
Samuel. » fece un ragazzo vesito di nero, con le braccia conserte,
che aveva osservato la scena.
« Ci sono troppi froci ormai in
giro. » echeggiò l’altro.
Chevalier guardò prima i due,
poi Philippe, spaventato. Vide la stizza salire sulle guance, sempre
più rosse. Come risposta, tuttavia, si riavventò sulle sue labbra,
baciandolo rabbioso. Eppure i due non demordevano, neppure dopo
essere stati ignorati, ma anzi ridevano.
« Non è neanche un
uomo, hai visto com’è conciato. »
A quel punto, Philippe
decise di alzare la testa.
« Ho molte più palle di te. »
Rispose, lasciando che Chevalier scivolasse dietro di lui. Uno dei
due si fece più grosso, gonfiò il petto e si fece avanti. «Ah, sì?
Vediamo un po’.» disse, sferrando un pugno sul viso del ragazzo
con il vestito. Bastarono dieci secondi per incassare il colpo, dopo
di che Philippe non ci vide più. Iniziò a colpirlo nello stomaco,
sul volto e gli tirò i capelli un paio di volte. A un certo punto,
però, Chevalier fu costretto ad intervenire, poggiandogli una mano
sulla spalla.
« Sebbene io mi stia divertendo, credo che abbia
capito. » disse, invitandolo a fermarsi « Se vuoi, possiamo
continuare quello che abbiamo interrotto... » Si stava leccando le
labbra al solo pensiero, eppure un’occhiata gelida di Philippe lo
fece ricredere.
Prese in mano il suo cellulare, se lo portò
all’orecchio. Parlo per alcuni momenti, poi si mise di fronte al
ragazzo.
« Torno a casa. Vuoi un passaggio? »
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