Cronache dalla Decima Era in giù

di Paridoso1
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Yrda o La ragazza che non voleva rassegnarsi a studiare

(Per Michele. Lo trovate qui come Muki97) 

 

Yrda si guardò intorno stizzita, per nulla soddisfatta da come si stava mettendo la situazione: avrebbe potuto affrontarne uno, forse due o addirittura tre, se fosse stata particolarmente fortunata, ma la situazione era decisamente diversa. L’intero corpo docenti si parava tra lei e la tanto sognata biblioteca universitaria di Grandana, e quindi anche i pochi che l’avrebbero sostenuta nella sua impresa erano ridotti in minoranza, e dunque a star zitti per non perdere la faccia. La signorina Pasenni, che in un altro contesto le avrebbe dato ragione, addirittura cercava di evitare il suo sguardo.

-La biblioteca universitaria è riservata agli studenti,- fece un professore dall’aria altezzosa e il viso incorniciato da un’impeccabile barba bianca -ma credo che lei lo sappia più che bene, dato che è la terza volta che la troviamo intenta ad eludere i controlli di sicurezza-

-Ed io, per la terza volta, le ripeto che mi sembra una cavolata bella e buona. Il motto dell’università non è forse “la cultura è di tutti”?-

Un mormorio percorse le file dei docenti. A facce indignate si alternavano visi costernati e risate. Risate! In una situazione seria come quella! Yrda stava per perdere la calma e mettersi ad urlare, quando le parole del professore barbuto la ridussero a più miti consigli -È vero, ma l’università paga fior di quattrini per mantenere alcuni di questi documenti. Pertanto, l’accesso è consentito, ripeto, solo ed esclusivamente agli studenti ed ai docenti.- L’uomo mostrò un’espressione contrita, come se stesse ripensando le sue parole -Se proprio non può trattenersi, perché non si iscrive? Farebbe un piacere a noi ed anche a sé stessa.-

-Ma io non voglio iscrivermi alla vostra cavolo di università! Voglio solo consultare dei libri!-

-Allora mi dispiace per lei, ma non può entrare. Ed ora se ne vada.-

Tutte le porte luminose affacciate al corridoio divennero rosse, segno che passare per una qualsiasi di esse avrebbe significato trovarsi all’uscita dell’edificio. Come al solito, si disse Yrda, quei mentecatti non capivano la sua necessità, né volevano venirle incontro. Entrare nell’università, che cavolata! No avrebbe saputo che farsene di lezioni, esami, tesi e lauree. E non solo, oh no: avrebbe dovuto addirittura pagare! E per cosa, poi?

Riflettendo su quanto le era appena successo, Yrda si diresse imbronciata verso casa. Di sicuro non poteva permettersi un appartamento con tutti i comfort in Piazza dell’Università, certo che no: quelli o erano riservati agli universitari che tanto disprezzava, o costavano un occhio della testa, e il suo misero sussidio di disoccupazione bastava appena per comprarsi da mangiare e pagare l’affitto di un piccolo monolocale in periferia. Camminava, e intanto rifletteva. E più rifletteva, più le montava una gran rabbia, finché non si trovò a lamentarsi ad alta voce di quanto fosse difficile la vita a Grandana, di quanto fosse elitario l’accesso all’università e di quanto fosse ingiusta la sua situazione. Ovviamente, il suo spettacolo non passava inosservato, poiché la ragazza aveva iniziato anche ad urlare, attirando anche l’attenzione di una guardia.

-Scusi, signorina, si sente bene?-

-Certo che sto bene! E tu stammi lontano, schifoso!-

-Va bene, va bene. Ma almeno smetta di gridare, che la stanno guardando tutti…-

Yrda si guardò intorno e notò le facce sconvolte e divertite dei passanti che, appena si accorsero di essere visti dall’oggetto del loro scherno, ritornarono frettolosamente alle loro precedenti occupazioni. Fantastico, un’altra figuraccia da aggiungere alla collezione. La ragazza decise di tenere la bocca chiusa e non aprirla prima de essere arrivata a casa.

Una volta arrivata, decise che piuttosto che mangiarsi il fegato da sola se lo sarebbe fatto distruggere da qualche bicchiere di Massi nel pub all’angolo. Con un po’ di fortuna, avrebbe pure potuto trovare qualcuno con cui condividere la serata. Con questa risoluzione, si mise a decidere cosa avrebbe messo quella sera.

 

 

Loren si svegliò confuso. Doveva ancora abituarsi ai liquori sintetici di quell’epoca: oltre all’alcool contenevano anche qualche strano additivo che riusciva ad atterrarlo dopo la quarta bottiglia. La nota positiva era che il mal di testa la mattina dopo la sbronza, se di sbronza si poteva parlare, era meno opprimente. Guardandosi intorno si accorse di non essere nel suo appartamento come si era augurato, ma ancora in quello della ragazza, che dormiva ancora scomposta al suo fianco, anch’essa nuda. Si soffermò un attimo sulle sue curve: sì, era stata decisamente una serata ben spesa; tuttavia sarebbe dovuto essere a casa sua, in quanto si era imposto ritmi di lavoro distruttivi.

Mentre si alzava, il panico si impossessò di lui: complici i liquori ed un’inaspettata affinità sotto le coperte, avevano continuato a lungo, e lui non ricordava se aveva usato precauzioni. Uscì da sotto le coperte in un balzo e cominciò a rovistare la camera in cerca di un qualche segno, un cappuccio usato, pillole o simili. Man mano che continuava a non trovare niente, cominciò a trovare sempre più allettante l’idea di svegliare… come aveva detto che si chiamava?

-Ehi! Ehi, tu! Svegliati! Andiamo, andiamo…-

Yrda si destò di colpo: Loren aveva addirittura cominciato a schiaffeggiarle delicatamente il viso per farla svegliare. Disorientata, guardò per un attimo l’uomo completamente nudo di fronte a lei, cercando di richiamare ogni ricordo possibile dalla sera prima. Quando realizzò effettivamente cosa era successo accolse l’uomo con un sonoro sbadiglio e si preparò alla serie di domande.

-Abbiamo usato protezioni?- Domanda più che lecita. Per un momento ebbe alcuni dubbi, ma poi si ricordò della pastiglia presa prima di svestirsi. -Certo,- rispose, e si voltò dall’altra parte, coprendosi meglio con la coperta -ancora cinque minuti, giuro che poi mi alzo.-

-Ti dispiace se mi preparo qualcosa?-

-Se trovi qualcosa in frigo sei bravo…-

Ancora un po’ barcollante, Loren si diresse verso la dispensa per cercare qualcosa di commestibile. La ragazza non aveva torto, non c’era assolutamente niente di commestibile, a parte una confezione di condimento. Rassegnato, si decise a comprare qualcosa in uno spaccio di alimentari che, a quanto ricordava, doveva trovarsi nei dintorni. Quando lo disse a Yrda, la ragazza non sembrava molto convinta – non era la prima volta che il partner di una notte se la svignava con una scusa, e questa poteva benissimo essere l’ennesima variante del “vado a comprare il tabacco”. Tuttavia, dovette ricredersi quando il muscoloso ragazzone pelato si ripresentò alla sua porta con una borsa carica di ogni ben di dio. Lo stesso, mentre lei si sistemava, iniziò a preparare una ricca colazione, proprio quello che ci voleva per riprendersi da una serata innaffiata da fiumi di alcool. Ora che ci pensava, lui aveva bevuto decisamente più di lei, eppure sembrava non subire alcun sintomo da dopo-sbornia: doveva avere una capacità di sopportazione incredibile.

-Certo che sei strano. Invece di accontentarti una bottarella gratis mi fai addirittura la spesa… c’è qualcosa sotto?-

-No, direi di no.- Loren rifletté che quello che nella sua epoca era routine qui poteva essere considerato strano. Non sarebbe stata la prima volta: ricordò di quando gli avevano fatto notare che la sua abitudine di rasarsi non solo barba e capelli, ma anche tutto il resto del corpo era considerata strana se non impensabile. Ricordare quell’episodio gli fece venire da ridere.

-Che hai da ridere? Ti faccio ridere?- fece Yrda.

-No, no, tranquilla. Stavo pensando ad una cosa buffa. Comunque, da dove vengo io è normale offrire almeno la colazione alla ragazza che ti porti a letto.-

-Beh, dev’essere un gran bel posto, allora. Da dove hai detto che vieni, uhm…-

-È Loren, ma non stare a segnartelo: probabilmente non ci vedremo così facilmente. Non fuori da quel locale, almeno.- I due risero. -Comunque, dimmi, conosci una città chiamata Mir?-

-Sta fuori dallo Scudo?- Da quel che Loren era riuscito a scoprire della Nona Era, lo Scudo era una catena montuosa che divideva il mondo civilizzato dalla parte inesplorata del pianeta. Forse era meglio liquidare la questione confermando i dubbi di Yrda. -Esattamente, e pure molto lontano dallo Scudo.-

Mangiarono in silenzio finché non ebbero finito entrambi. A quel punto, Loren si liquidò cortesemente ma in fretta, per poter tornare alle sue occupazioni. Uscendo una seconda volta per strada si rese conto di essere abbastanza vicino a casa sua, e la cosa non poté che rallegrarlo.

 

 

-Ancora qui, signorina?- Prostero Messet ricominciò a tormentarsi la barba candida e curata, gesto che voleva poter dire perlopiù due cose: o il professore non aveva ancora bevuto il suo caffè mattutino, o era nervoso. In entrambi i casi, i suoi studenti ben sapevano che in una qualsiasi di queste circostanze era meglio girare alla larga, tanto più se si verificavano entrambe in una sola volta come in quel momento. Tuttavia, Yrda Nalod non era una sua studente e, sinceramente, se ne fregava altamente se la sua presenza irritava tanto un vecchietto in astinenza da surrogato di caffè.

-Sono venuta a consultare quel libro,- fece spavalda -e non credo che lei potrà fermarmi.- Intanto, tirò fuori da una tasca un piccolo ma affilato coltellino. -Mi serve la sua impronta digitale. Ora.-

Per poco il vecchio non diede di matto, ma ebbe abbastanza prontezza di spirito per intuire come sarebbe andata a finire se avesse anche solo alzato la voce.

-Sul mio cadavere, ladra.-

-Come desideri.-

Tuttavia, Yrda non si mosse. Rimase semplicemente immobile, puntando il coltello verso il volto dell’anziano docente. No, non l’avrebbe mai potuto fare: si era aspettata una resistenza scarsa o addirittura nulla, ma Messet sembrava pronto a morire pur di difendere la biblioteca. Ciò che vi era custodito era davvero tanto prezioso da valere una vita umana?

Un tonfo sordo proveniente da dietro di lei fece tornare la ragazza in sé. Dopo essersi guardata attorno, chiese al vecchio: -Cos’è? Cos’hai fatto?- -Non ne ho idea,- rispose -ma non mi sembra niente di buono. Se mi lascerà uscire per controllare, dimenticherò di questo nostro “incontro”.-

Un secondo tonfo, più forte del precedente, provenne dalla stessa direzione. Spaventata, Yrda sventolò il coltello pericolosamente vicino al viso del professore. -No, caro. Ora entriamo nella biblioteca e ci chiudiamo lì, che te ne pare?-

Un altro schianto fu udito, proveniente da dietro una porta al fondo del corridoio. Strano, dato che la porta luminosa era diventata rossa, e dunque niente sarebbe dovuto poter entrare. Con un ultimo, sonoro rumore la porta saltò letteralmente fuori dai cardini, percorrendo alcuni metri prima di arrestarsi. Un uomo vestito unicamente di un paio di pantaloni ed un elmo somigliante alla testa di un insetto entrò dalla porta che aveva appena divelto con la semplice forza dei propri pugni.

-Avanti così, ragazzina.- L’uomo misterioso le si avvicinò e le prese la mano con la quale reggeva il coltello -Uccidilo e prendi il libro. È così che volevi fare, no?-

-Ma sei pazzo?-

-Ehi, ehi! Mi hanno dato dello strano e del barbaro, ma mai del pazzo, capito?-  Il figuro mollò la terrorizzata Yrda e si mosse verso la porta blindata che portava alla biblioteca. -Comunque sia, io entro. Se vuoi farlo fuori non ho nulla in contrario, ma sappi che una volta fatto non si torna indietro. Quindi rifletti bene se vuoi davvero ucciderlo.- Detto questo, sferrò un pugno alla porta della biblioteca. Lingue di fuoco guizzarono da tutte le parti mentre la porta volava all’interno del lungo corridoio che portava al centro dell’area dedicata allo studio. Alcuni ragazzi impegnati nei loro progetti accademici scapparono non appena videro chi stava entrando dalla porta principale.

Loren si soffermò un attimo ad ammirare il libro posto sul piedistallo al centro della stanza. Alzò la visiera dell’elmo per poterlo osservare meglio: era scritto in una calligrafia che non conosceva, ma che somigliava parecchio a come gli era stata descritta quella della Seconda Era. Mentre si preparava a dire addio a quell’epoca, sentì qualcuno arrivare al suo fianco. Voltandosi, riconobbe Yrda ed il vecchio professore.

-Bene bene,- fece -sono contento di non essermi sbagliato sul tuo conto. Allora, sei ancora curiosa di vedere di cos’è capace questo libro?-

-E questo come fai a saperlo?- Chiese la ragazza. -Beh,- rispose -diciamo che quando bevi sei piuttosto loquace.- la Guida si godette la vista di quei libri ordinati e ben sistemati. Probabilmente ad Ana quel posto sarebbe piaciuto un sacco. -Sai, se fossi in te io considererei per bene l’idea di iniziare a studiare qui. Non mi sembra male. Ora, se non vi dispiace, allontanatevi.-

Senza aspettare alcuna risposta, Loren si riabbassò la visiera ed attivò un qualche meccanismo nel suo elmo. Immediatamente, cominciò a sembrare che nell’immagine dell’uomo ci fossero delle interferenze, dato che sembrava passare da visibile e tangibile a traslucido ed incorporeo. Allungò una mano verso il libro, ed una barriera sferica di luce verde apparve attorno allo scritto. Come se stesse cercando di trapassare una palla di gomma, la barriera cominciò a piegarsi cercando quasi disperatamente di bloccare l’avanzata di quella strana mano trasparente. Come aveva previsto, il sistema di difesa non si estendeva agli oggetti extradimensionali, e quindi non ci sarebbe stato modo migliore per testare la sua recente scoperta. Con l’altra mano aumentò la dispersione al novanta per cento, e la barriera si lasciò finalmente attraversare. Provò ad afferrare il tomo, e notò con gioia che poteva spostarlo a suo piacimento. Tuttavia, non stava funzionando: non aveva ancora viaggiato fino all’Ottava Era. Forse la cosa dipendeva dal fatto che la maggior parte di lui non era nella stessa dimensione del libro?

Loren portò il libro fuori dalla barriera e disattivò la dispersione.

 

 

Yrda Nalod levò lo sguardo verso i professori. Finalmente, era arrivata al suo obbiettivo. Cinque anni passati tra sofferenze indicibili, dovendo sopportare torture difficilmente definibili umane, notti insonni e giornate umilianti. Ma anche cinque anni pieni di soddisfazioni enormi, e quella non era che l’ultima e più grande di queste soddisfazioni. Con una luce determinata negli occhi, la giovane donna passò in rassegna la commissione. Il professor Messet, il suo relatore, fu chiamato a consegnarle la tanto ambita laurea in Scienze della Singolarità, complimentandosi con lei da parte dell’intero corpo docenti per la sua meravigliosa tesi riguardante il viaggio nel tempo.





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