Eccomi! Oh God, io
davvero non so che fare. Perché quando ho finalmente del
tempo libero, anziché recuperare le serie in arretrato, ne
inizio di nuove? T_T Sono un caso perso.
Ho iniziato Voltron:
Legendary Defenders dopo aver sentito parlare della Klance
su vare pagine facebook e... diamine, quanto sono belli questi pulcini!
*^*
Non ho quindi saputo resistere e ho scritto questa fanfiction
ambientata
tra gli episodi 2x08 e 2x09, più nello specifico nelle tre
ore di vuoto - e del pisolino di Hunk - tra la fine delle prove di
Marmora e il piano d'attacco organizzato dai Paladini e i soldati della
resistenza Galra.
Spero che il tutto sia plausibile e di non essere andata OOC. E con
questo credo sia tutto!
Vi auguro buona lettura e se qualcuno vorrà farmi sapere che
cosa ne pensa ne sarei molto felice :)
Vostra,
_Pulse_
Attenzione: la storia
non è scritta a scopo di lucro e Voltron: Legendary
Defenders appariene alla Dreamworks e a Netflix.
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EYES WIDE OPEN
«Sto bene,
Shiro. Come te lo devo dire?».
Il più
grande si limitò ad alzare gli occhi e a sospirare prima di
spingerlo gentilmente verso la più vicina cella criogenica,
la quale si aprì con uno sbrilluccichio magico.
Una zaffata di aria
fredda, tanto da creare delle nuvolette di vapore, fece tremare il
Paladino Rosso, il quale si voltò, deciso a tornare alla
sala di comando.
Shiro però
lo afferrò per le spalle e lo guardò intensamente
negli occhi: «Keith, abbiamo bisogno di te al cento percento
se vogliamo liberarci di Zarkon una volta per tutte. Io ho bisogno di
te. Ti prego».
Come poteva dirgli di
no, a quel punto? Dire di no al suo più grande eroe, il
guerriero che tanto ammirava e che in quelle poche settimane aveva
iniziato a considerare un vero e proprio fratello maggiore?
Semplicemente non ne fu in grado.
Abbassò il
capo mestamente e gli lasciò tra le braccia il pugnale per
potersi spogliare del superfluo.
In sola calzamaglia
nera, Keith portò una gamba all'interno della capsula di
guarigione e rabbrividì di nuovo. Dio, se odiava il freddo.
Come poteva Lance guidare il Leone Blu, tra i cui poteri c'era anche il
raggio congelante? Erano davvero agli antipodi.
«Avanti,
Keith».
Il ragazzo, spronato
da Shiro, agitò il capo come a volersi scrollare di dosso
quei pensieri. Quello non era proprio il momento.
Entrò nella
cella e non appena il vetro si chiuse davanti a lui, separandolo da
Shiro e mostrandogli un mondo dalle sfumature azzurre, il Paladino
Rosso vi posò sopra le mani e gridò:
«Promettimi che mi verrai a tirare fuori da qui non appena
inizierete a formulare un piano d'attacco!».
Shiro sorrise con
quella tenerezza che lo metteva sempre a disagio e al contempo lo
faceva sentire a casa e non furono necessarie parole. Una nebbia fredda
lo avvolse e Keith, abbandonandosi al sonno, realizzò quanto
in realtà fosse stanco per via delle Prove di Marmora.
*
«Keith, un
Galra?».
«Impossibile!
Lui è un umano, basta guardarlo per capirlo!».
«Mai
giudicare un libro dalla copertina, Hunk».
«Si tratta
di un detto terrestre? Affascinante!».
«Coran, la
questione è seria. Se Keith è in parte Galra non
ci possiamo più fidare di lui. Se solo non fosse uno dei
cinque paladini di Voltron, io...».
Allura si interruppe
bruscamente, accorgendosi di aver attirato su di sé gli
sguardi attoniti di tutti i presenti.
«Che cosa
farebbe, Principessa? Lo caccerebbe, come se tutto quello che ha fatto
fin'ora non contasse più nulla?»,
domandò Lance, rompendo il silenzio. Raramente gli amici
avevano visto quell'espressione seria sul suo volto e con immenso
stupore si resero conto anche che quelle erano le prime parole che
pronunciava da quando Shiro aveva finito di raccontare loro
ciò che era successo al Quartier Generale della Spada di
Marmora, il gruppo di resistenza Galra formatosi per sconfiggere il
malvagio imperatore Zarkon.
Nonostante fremesse
dalla rabbia, Allura si frenò stringendo i pugni lungo i
fianchi.
«Tu non puoi
capire, Lance. Zarkon ha distrutto decine di pianeti, ha ucciso tutto
il mio popolo... la mia famiglia! Non posso assolutamente permettere
che...».
Lance si
alzò di scatto e fissò Allura con sguardo truce,
il volto contratto dall'ira. Tuttavia usò un tono di voce
pacato: «Keith non
è Zarkon. Creare tutti quei wormholes ha per
caso danneggiato la tua vista, Allura?».
La principessa di
Altea gonfiò il petto, pronta a ribattere, ma Shiro si
piazzò tra i due con le braccia tese, consapevole che una
lite interna non avrebbe giovato a nessuno, specialmente ora che erano
ad un passo dallo sferrare l'attacco decisivo.
«Adesso
basta», esclamò con tutta l'autorevolezza di cui
disponeva. «Lance, non devo di certo ricordarti che stai
parlando ad una principessa».
Il ragazzo
chinò il capo in segno di scuse, anche se la sua rigidezza e
la sua espressione ancora livida rendevano palese il suo malcontento.
Il Paladino del Leone
Nero poi si voltò verso Allura e la interruppe prima che
potesse ringraziarlo per il suo intervento. Quasi dispiaciuto, le
disse: «Principessa, questa volta Lance ha ragione: non
può fare di tutta l'erba un fascio».
«E questo
che cosa vorrebbe dire?», sbottò lei, contrita. Se
anche Shiro le andava contro...
«Vuol dire
che non tutti i Galra devono essere per forza malvagli. Ulaz non lo
era, si è addirittura sacrificato per noi». Shiro
indicò Kolivan e Antok, in piedi accanto al tavolo della
sala di comando, ed abbassando ulteriormente la voce aggiunse:
«Loro e tutti i soldati della Spada di Marmora non lo sono. E
poi Keith ha scoperto solo un'ora fa di avere...».
«Questo non
ha importanza», lo interruppe Allura, dandogli le spalle ed
incrociando le braccia al petto. «Perché non ci ha
mai parlato del suo pugnale? Se non aveva nulla da nascondere avrebbe
dovuto essere onesto fin dall'inizio».
«Lo capisco,
però...».
«Dacci un
taglio, Shiro. Non c'è peggior sordo di chi non vuol
sentire», esclamò Lance, gelido come il raggio del
suo Leone Blu, passandogli accanto.
«Ah, non ne
posso più dei vostri modi di dire terrestri!»,
gridò la principessa Alteana, incamminandosi a passo pesante
verso il corridoio opposto.
Pidge e Hunk li
fissarono sgomenti, spettatori silenziosi delle crepe che si stavano
formando nel gruppo che fino a qualche ora prima avevano creduto fosse
inseparabile.
Nel castello tutte le
porte erano a scorrimento, eppure quando si chiusero alle spalle dei
due per i tre Paladini rimasti fu come sentirle sbattere.
«Io... Io
credo che darò una mano a Kolivan a caricare nel sistema le
loro informazioni», squittì Pidge, avviandosi a
testa bassa verso i due soldati della resistenza Galra.
Hunk invece si
lasciò cadere nella propria poltrona e chiuse gli occhi.
«Io mi farò un pisolino allora».
Shiro, rimasto solo,
incrociò le braccia al petto e sospirò di nuovo.
Si ritrovava a farlo spesso ultimamente e la cosa non gli piaceva. Ma
guidare Voltron era anche questo: cercare di tenerlo unito. E ce
l'avrebbe messa tutta anche quella volta.
*
Keith fu svegliato
all'improvviso dal rumore del vetro della cella che svaniva, segno che
il suo corpo era ormai completamente guarito dalle ferite riportate
durante le battaglie che aveva combattuto contro gli uomini di Kolivan.
Uscì dalla
capsula e si guardò intorno, domandandosi quanto tempo fosse
trascorso. Sugli scalini trovò la sua uniforme da Paladino e
sorrise al pensiero di Shiro che gliela portava. Se la
infilò, sentendosi subito al sicuro e a suo agio, come se
quella fosse diventata ormai la sua seconda pelle, e poi raccolse anche
il pugnale Galra.
Uscì
dall'infermeria e fece per percorrere il corridoio in direzione del
ponte, ma dei tonfi sordi e delle grida attirarono la sua attenzione.
Non stava suonando
alcun allarme e il castello non sembrava in modalità di
difesa, ma non poteva sottovalutare alcunché.
Perciò corse nella direzione opposta ed estrasse
istintivamente il pugnale Galra, il quale si trasformò,
proprio com'era accaduto alla fine delle prove, in una spada di tutto
rispetto.
Guardando il simbolo
viola inciso sull'elsa gli tornò alla mente il sogno in cui
aveva visto suo padre ed era stato a tanto così dallo
scoprire qualcosa sul suo passato. L'uomo gli aveva detto di non
preoccuparsi dell'armata Galra che stava marciando verso la sua casetta
nel deserto, che presto sua madre sarebbe stata lì e gli
avrebbe rivelato tutto. Intendeva forse dire che era da lei che aveva
preso il sangue Galra? Che quel pugnale apparteneva a lei? Che magari
si era addirittura infiltrata tra le file dell'esercito di Zarkon?
Un'altra serie di urla
furiose ed esplosioni lo riportarono alla realtà, davanti
alle porte della sala di allenamento. Quindi non erano sotto attacco;
più semplicemente, qualcuno si stava mettendo alla prova
contro il Gladiatore di Coran. Ma chi? Lui trascorreva il novanta
percento del suo tempo libero lì dentro, a migliorare le sue
tecniche di combattimento o semplicemente a sfogare la rabbia, e mai
gli era stato chiesto di sloggiare, perciò aveva dato per
scontato che nessun altro sentisse il bisogno di allenarsi. Dopotutto
non ce li vedeva proprio Pidge o Hunk in combattimenti corpo a corpo,
per non parlare poi di Lance... Un momento. Erano colpi di blaster
quelli che sentiva?
Col cuore
improvvisamente in gola, Keith si affacciò al vetro da cui
poteva vedere all'interno della grande sala e vide proprio il Paladino
Blu accucciato dietro un masso-ologramma, con la sua arma tra le
braccia e il volto madido di sudore. Da quanto tempo stava lottando?
«Livello
Quattro!», gridò Lance e Keith fu costretto ad
abbassarsi quando il pilota del Leone Blu si rialzò per
riprendere a sparare.
L'aveva visto solo di
sfuggita, ma il suo sguardo era stato in grado di ghiacciargli il
sangue nelle vene. Sembrava... furioso e deluso. Non l'aveva mai visto
in quello stato.
Quando Keith
tornò a guardare, spinto dalla curiosità, la
nuova ondata di Gladiatori era comparsa insieme a diversi pilastri di
metallo che le fornivano scudo e che allo stesso tempo limitavano la
visibilità a Lance, impedendogli di capire immediatamente se
chi si trovava di fronte fosse un amico o un nemico. I Gladiatori,
infatti, non avevano assunto solo l'aspetto dei soldati robot Galra,
bensì anche quello degli altri paladini e degli abitanti dei
pianeti salvati fino a quel momento. Oltre a non farsi colpire, Lance
doveva stare attento a non ferire gli innocenti e Keith non
poté evitare di rimanere a bocca aperta per la sua bravura:
ovviamente non gliel'avrebbe mai detto, ma era vero che il Paladino Blu
era il loro tiratore scelto quando teneva la bocca chiusa.
«E questo
sarebbe il livello quattro?!», gridò ad un tratto,
saltando la barriera e facendo comparire lo scudo con cui si difese
mentre continuava a sparare a tutti i nemici che tentavano di
nascondersi dietro i pilastri.
Ad un certo punto il
computer, come se si fosse offeso per via delle sue insinuazioni,
trasformò i Gladiatori con le sembianze di Shiro e Coran,
ormai alle sue spalle, in due nemici. Keith portò entrambe
le mani sul vetro ed aprì la bocca per gridare a Lance di
stare attento, ma il Paladino Blu lo anticipò e
colpì i due col bordo dello scudo, facendo volare le teste
degli ologrammi. E fu allora che li vide: i suoi occhi, di solito
ridenti e maliziosi, erano ricolmi di rabbia e disprezzo. E sul suo
volto non aleggiava il solito sorriso un po' sbruffone, ma un ringhio
muto. Che cosa diavolo gli era successo?
Senza nemmeno saperne
il motivo, Keith strinse i pugni ed ebbe voglia di unirsi a lui nella
battaglia. Voleva fargli sapere che chiunque l'avesse fatto arrabbiare
in quel modo, lui sarebbe stato dalla sua parte. Lo voleva davvero, ma
sapeva che non l'avrebbe mai fatto. No, Lance avrebbe mal interpretato
e avrebbero finito per litigare, come sempre.
I nemici iniziarono a
scemare, così come gli amici, e Lance si ritrovò
allo scoperto, in mezzo ad una serie di pilastri posti intorno a lui
come una specie di prigione. Con lo scudo in una mano e la pistola
nell'altra, si guardò cautamente intorno e ad un tratto
gridò: «Beh, che succede? Stai avendo paura,
ammasso di codici?».
Il computer rispose
lanciandogli addosso dieci Gladiatori contemporaneamente e da ogni
direzione.
Ecco Lance, l'unico
Paladino in grado di far infuriare persino le entità
virtuali.
Quella volta Keith fu
davvero sul punto di entrare per aiutarlo, certo che non ce l'avrebbe
fatta, ma ancora una volta dovette rimangiarsi tutto. Di solito odiava
avere torto, eppure guardando il modo in cui Lance affrontò
ogni nemico, senza paura alcuna, riempì il suo petto di uno
strano calore, specie quando notò che stava usando le
tecniche che aveva provato ad insegnargli.
*
A fiato corto e con le
mani posate sulle ginocchia, il Paladino Blu riposò fino a
quando non vide nel proprio campo visivo quattro paia di scarpe
bianche. Alzò di scatto il blaster e si ritrovò a
puntarlo contro il volto di robot-Allura, la quale era stata presa in
ostaggio da uno dei cattivi.
«Siamo per
caso passati al Livello Cinque e non me ne sono accorto?»,
domandò al computer, senza grandi aspettative.
«Arrenditi e
consegnaci il tuo Leone, Paladino», ordinò con
voce metallica il Gladiatore Galra.
«Coooosa?».
«Se non lo
farai la ucciderò».
«E come
dovrei fare? Il mio Leone non è nemmeno qui,
idiota».
Seguendo quel copione
senza capo né coda, l'ologramma-Allura ordinò:
«Ti proibisco di consegnargli il Leone! Mi
sacrificherò con piacere per proteggere Voltron!».
A quelle parole gli
occhi di Lance si assottigliarono e la luce di caricamento del suo
blaster illuminò d'azzurro la principessa.
«So che non
sto parlando con la vera Allura, ma hai comunque un bel coraggio a dire
una cosa del genere, lo sai? Mi chiedo se sia vero, se tu sia davvero
come ti dipingi: l'altruista e generosa principessa di Altea, pura e
buona di cuore. Mi chiedo se noi paladini stiamo lottando per la
libertà oppure per spianare la strada ad un nuovo Zarkon.
Che saresti tu, se non l'hai capito. Non hai la pelle viola e non hai
brutte cicatrici come lui, ma sai... mai giudicare un libro dalla
copertina, no?
«Quando il
Leone Blu ci ha portati al castello non ci siamo posti molte domande,
abbiamo dato per buono ciò che tu e Coran ci avete
raccontato, ma chi ci dice che voi siate davvero i buoni? D'altronde
è stato tuo padre a costruire Voltron e Zarkon era uno dei
paladini, non è così?
«Quanto
vorrei che mi rispondessi, Principessa, perché davvero io...
io non so più che cosa pensare».
Lance
abbassò la pistola laser, così come il capo, e il
Gladiatore nemico spinse da parte Allura per sparargli. Il Paladino Blu
incassò il colpo senza emettere un suono, incarcando
soltanto la schiena e cadendo in ginocchio sul pavimento quando la
simulazione cessò, facendo tornare la sala d'allenamento nel
solito spazio vuoto ed immacolato.
«Come puoi
pensare che Keith sia malvagio? Che non sia degno della nostra fiducia,
dopo tutto quello che abbiamo passato insieme?», disse ad un
certo punto, quando le lacrime iniziarono a scorrergli sulle guance per
poi cadere sulle sue mani e sul blaster. «In lui
c'è del sangue Galra, e allora? Sulla Terra ci sono ancora
dei casi di razzismo, io ne so qualcosa, ma pensavo che almeno gli
alieni fossero più evoluti di noi. Galra o meno, Keith
rimane sempre Keith. Keith ai miei occhi è e
rimarrà lo stesso irresponsabile, testa calda, solitario,
emo, imbronciato di sempre. Adesso l'ho dipinto come se fosse soli
difetti, ma non è così: Keith è anche
leale, determinato, un guerriero eccezionale e un amico che si
getterebbe in un buco nero per ognuno di noi. Anche per te,
Principessa. Dubito che tu faresti lo stesso per lui, ora come ora.
Forse saresti sollevata, se...». Lance strinse forte i pugni
e rialzò il volto, gli occhi azzurri rivolti verso l'alto
soffitto. «Oggi abbiamo scoperto qualcosa di più
su Keith, qualcosa di inaspettato e preoccupante, certo, eppure
ciò che mi ha sconvolto e spaventato di più
è stato scoprire un lato di te che pensavo non esistesse.
Nonostante la tua bellezza, non so se riuscirò
più a guardarti con gli stessi occhi dopo oggi».
Il Paladino Blu, come
sfinito, si lasciò cadere di schiena sul pavimento freddo e
si portò il braccio sinistro sugli occhi, nel tentativo di
frenare le lacrime.
Aveva parlato davvero
tantissimo, tirando fuori tutto ciò che aveva dentro,
tuttavia il peso che gli gravava sul petto non si era affievolito di un
grammo.
*
Scosso dalle parole
che non avrebbe dovuto sentire, Keith si lasciò scivolare
seduto a terra, i pugni stretti sulle ginocchia e gli occhi che gli
bruciavano.
Lacrime... quand'era stata l'ultima volta che aveva pianto?
E così
Allura, dopo aver scoperto le sue origini Galra, aveva cambiato
opinione sul suo conto, tanto da desiderare che lasciasse il suo posto
da Paladino. Forse... forse avrebbe dovuto.
Non appena il pensiero
si affacciò nella sua mente, un potente ruggito gli
rimbombò nelle orecchie: il Leone Rosso si stava opponendo
e, poteva sentirlo, sembrava piuttosto irritato.
Keith
abbozzò un sorriso. «Hai ragione, scusami. Sei
stato tu a scegliermi, perciò non ti abbandonerò.
Galra o meno, sono un Paladino e lo dimostrerò anche ad
Allura, puoi scommetterci».
Con quella convinzione
si alzò e raccimolando tutto il proprio coraggio
aprì le porte della sala d'allenamento. Lance, ancora steso
a terra con un braccio a coprirgli gli occhi, non si mosse. Che si
fosse addormentato, provato dal combattimento e da tutto ciò
che era successo in quelle ore?
Il Paladino Rosso lo
guardò per qualche secondo, incerto sul da farsi, poi gli
diede un calcetto sulle gambe. Lance trasalì ed
imbracciò immediatamente il blaster, puntandoglielo contro.
«Sono solo
io», esclamò Keith, portandosi le mani sui fianchi.
Lance
abbassò gli occhi arrossati per il pianto e
sforzò un sorriso. «Dannazione, Mullet, ti sembra
il caso di arrivare così di soppiatto? Avrei potuto spararti
e rovinare quel bel faccino, lo sai?».
Keith
corrugò la fronte. Bel
faccino?
«Ad ogni
modo, che ci fai qui? Non eri in una capsula di guarigione?».
«Sono
guarito».
«Hai fatto
presto. Sicuro di stare bene?».
Per la prima volta
Lance incrociò il suo sguardo e Keith sentì il
cuore stringersi in una morsa. Perché lo guardava in quel
modo, come se stesse cercando di vedergli l'anima?
«Sto
bene», mugugnò, voltando il capo. «Tu,
piuttosto, che ci fai qui?».
«Avevo
bisogno di stare un po' da solo», ammise.
Guardandolo con
attenzione, Keith notò che la rabbia era svanita, lasciando
spazio a pura e cocente delusione. D'altronde Lance aveva sempre avuto
un debole per la Principessa e sapere che in realtà
commetteva degli errori, proprio come gli esseri umani, doveva aver
mandato in frantumi l'immagine che si era costruito nella sua testa.
«Perché
non ci hai mai detto del tuo pugnale, amico?», gli chiese
piano, rompendo il silenzio.
Il Paladino Rosso
abbassò gli occhi sulla propria mano destra, con la quale
stringeva ancora l'arma con lo stemma della resistenza Galra.
«Temevi che
ti avremmo additato come un nemico, o che ti avremmo impedito di
pilotare il Leone Rosso? Non ti fidavi di noi?».
Keith rimase in
silenzio, cercando le parole. Alla fine Lance sospirò e una
volta trasformato il proprio blaster nella bayard si alzò,
stanco di aspettare. Posandogli una mano sulla spalla,
mormorò: «Non sono affari miei, ho capito. Mi
dispiace».
Detto ciò
fece per allontanarsi, ma Keith posò la mano libera sulla
sua, stringendola forte, e col volto rivolto verso il basso e nascosto
dai capelli neri riuscì finalmente a dire qualcosa:
«Sono io che dovrei dirlo, Lance. Mi dispiace. Avrei
dovuto parlarvene, avrei dovuto... fidarmi di più. Ma sai...
è tutta la vita che faccio tutto da solo e adesso che avevo
finalmente trovato degli amici, io... non volevo perdervi. Hai ragione,
avevo paura che mi avreste allontanato».
La mano di Lance
scivolò via dalla sua stretta e Keith pensò di
averlo perso, di aver tradito anche lui proprio come Allura con quella
verità che adesso avrebbe voluto non scoprire.
Alzò di scatto il capo per cercare di fermarlo, pregarlo di
non lasciarlo, ma aveva sbagliato un'altra volta: Lance non
andò da nessuna parte, anzi si fece più vicino e
gli avvolse le braccia intorno alla schiena in un abbraccio.
«Stupido»,
gli sussurrò all'orecchio, con quel suo tono un po'
sbruffone, e Keith fu così felice di sentirlo che
lasciò cadere il pugnale e ricambiò
automaticamente la stretta.
Per una volta, una
soltanto, si lasciò andare.
*
Lance non riusciva
nemmeno ad immaginare come doveva essere stata la vita di Keith fino a
quel momento. Senza sapere chi fosse, senza un papà o una
mamma ad indicargli la via, senza fratelli con cui giocare, ridere e
litigare... Solo, sempre e in ogni circostanza.
«Stupido»,
gli sussurrò all'orecchio, nascondendo un sorriso tra
ciocche di capelli neri. Erano troppo lunghi, troppo.
«Non sei
più solo, amico. Noi saremo sempre al tuo fianco, anche se
dovessi diventare viola e ti spuntassero due orecchie pelose sulla
testa».
«Dubito
succederà».
«Beh, sempre
meglio di quello che hai in testa ora».
Keith lo spinse via, o
almeno ci provò; Lance infatti non mollò la presa
e si allontanò quel tanto che bastava per guardarlo in
volto, trovandolo corrucciato.
«Stavo
scherzando», gli disse e per la prima volta da quando lo
conosceva vide del rossore colorargli le guance. Keith sapeva
imbarazzarsi? Per cosa, poi?
«Potresti...
lasciarmi andare?», gli chiese il Paladino Rosso, evitando
con cura il suo sguardo.
Lance, notando la
vicinanza eccessiva dei loro corpi, ci pensò su. Keith
però era così caldo... Non voleva lasciarlo
andare, non ancora. Aveva paura di farlo perché sapeva che
quando l'avrebbe fatto ciò che c'era stato in quei minuti
sarebbe stato spazzato via, cacciato in un angolo remoto delle loro
menti per tornare ad essere Keith e Lance, i rivali del team Voltron.
(Era già successo, dopotutto). Sarebbero tornati alla
realtà in cui Allura ce l'aveva a morte con lui per essere
metà Galra e Lance non avrebbe potuto difenderlo come aveva
fatto in sua assenza - sarebbe stato troppo, persino per lui.
«Lance!»,
lo richiamò Keith, iniziando ad agitarsi.
«Aspetta»,
disse semplicemente il Paladino Blu, tornando a posare la tempia contro
la sua. «Solo un attimo ancora, per favore».
«Lance...».
«Keith».
«Se qualcuno
entrasse e ci vedesse in questo modo...».
«Gli diremmo
che stiamo legando».
«Fuoco e
acqua non legano, dovresti saperlo».
«E chi lo
dice?».
«Uh, la
scienza?».
«E da quando
ti interessa la scienza? Dillo, avanti: in realtà ti sto
mettendo a disagio».
«A disagio?
E per quale motivo?! Se solo lo volessi potrei stare qui tutto il
giorno!».
Lance
abbozzò un sorriso e avvicinò di più
le labbra al suo orecchio. «È una sfida? Io ci
sto».
«Sfida
accettata!», gridò Keith e tornò a
stringere la vita di Lance con le braccia.
Al Paladino Blu
mancò per un attimo il respiro, tanta era stata la forza
usata dal corvino. Lentamente però si rilassò,
allentando la stretta e posando persino la fronte contro la sua spalla.
«È
bello, vero?».
*
Ma
che cosa sto facendo?
Keith aveva accettato
la sfida come uno stupido e, conoscendo la cocciutaggine di Lance,
chissà per quanto tempo ancora avrebbe dovuto stargli
così vicino! Certo, se gli dava così fastidio
poteva sempre lasciarlo andare e perdere, però... voleva
farlo? Voleva lasciarlo andare? Le sue braccia erano così
accoglienti e rassicuranti, dopotutto. E poi non poteva perdere,
assolutamente no.
Cercando di rilassarsi
e trovare una posizione migliore, Keith si appoggiò a lui ed
abbandonò la fronte contro l'incavo della spalla sinistra.
Arrossendo, pensò che sembrava fatto su misura per la sua
testa.
Fuoco
e acqua non legano. Fuoco e acqua non legano. Fuoco e acqua non legano.
Se lo
ripeté ancora e ancora, ma la realtà dei fatti
era che lo stavano facendo. Le loro temperature corporee si stavano
lentamente equilibrando e Keith si sentì leggero e sereno,
come quando si immergeva nella piscina del castello e l'acqua lo
sosteneva con gentilezza, accarezzandogli la pelle ed avvolgendolo in
una bolla di pace e silenzio.
«È
bello, vero?», domandò Lance e il suo respiro gli
accarezzò l'orecchio, facendolo tremare. E non di freddo, no.
Sì, era
bello. Troppo bello per essere vero. Non era possibile, semplicemente.
«Ma certo,
adesso capisco», esclamò il Paladino Rosso, quasi
sollevato.
«Che
cosa?».
«In
realtà sono ancora nella capsula di guarigione. Sto
sognando, per forza. Il vero Lance non starebbe qui ad abbracciarmi e
di sicuro a me non piacerebbe così tanto».
Il castano si
scostò per poterlo guardare negli occhi e una punta di
dolore li attraversò, mentre sul suo volto compariva un
sorriso che voleva somigliare ad un ghigno malizioso.
«Chiudi gli
occhi, Keith», gli disse gentilmente.
«Cosa?
Perché?».
«Fallo e
quando li riaprirai ti sveglierai. È quello che vuoi,
dopotutto».
Keith
deglutì e decise di fidarsi. Di tutto pur di uscire da
quella situazione imbarazzante che lo faceva sentire ancora
più accaldato e al contempo tremante come una foglia.
Chiuse gli occhi,
aiutato anche dalla mano di Lance che scivolò leggera dalla
sua fronte sulle sue palpebre, per poi scendere sul profilo del naso e
anche sulle labbra. Il suo tocco sembrava così reale... E se non
si trattasse di un sogno? Se fosse sempre stato sveglio?
Senza fiato, quasi
come se due mani invisibili si fossero appena strette intorno al suo
collo, Keith aprì la bocca per dirgli di smetterla di
prenderlo in giro una volta per tutte, ma la richiuse immediatamente
quando sentì le labbra di Lance sfiorare le proprie.
Il Paladino Rosso
sentì la presa intorno al suo collo alleviarsi proprio
quando le dita di Lance gli sfiorarono il mento e le sue labbra agirono
con più convinzione.
Avrebbe dovuto aprire
gli occhi, fare in modo che il sogno finisse, ma ne era terrorizzato.
Cosa avrebbe fatto nel caso in cui non fosse stato un sogno? Inoltre,
il modo in cui Lance lo stava stringendo, con una sorta di
disperazione, gli fece capire che forse il Paladino Blu, sogno o meno,
non voleva che quel momento finisse.
Spinto da
chissà quale istinto, Keith decise di reagire e lo fece
aggrappandosi ai suoi fianchi e ricambiando il bacio. Il suo primo
bacio.
Le labbra di Lance
erano sottili e morbide - sicuramente per via del burrocacao di cui si
vantava tanto - e al contrario di tutto il resto erano calde, se non
bollenti. Gli piacquero subito.
Abbandonata la
ragione, Keith aprì la bocca perché le loro
lingue si incontrassero, ma Lance si ritrasse all'improvviso,
lasciandolo ansimante e col cuore che gli batteva impazzito nella cassa
toracica. Tuttavia non aprì gli occhi.
*
Lance
sgranò gli occhi quando sentì le mani di Keith
stringergli i fianchi e le sue labbra premere a sua volta sulle
proprie, ricambiando il bacio. Il suo primo bacio.
Mai avrebbe pensato
che l'avrebbe dato ad un ragazzo, figuriamoci a Keith! Eppure non aveva
potuto farci niente. Combattere la tentazione sarebbe stato inutile.
Tanto valeva sfruttare il momento e ricavarne qualcosa di positivo, si
era detto.
Il Paladino Blu
provò a rilassarsi, a godersi quel momento irripetibile per
poterlo custodire gelosamente nel suo cuore, ma quello stupido di
Keith, irruento ed impaziente, mandò tutto in malora. Lance
aveva dovuto raccimolare ogni briciolo di coraggio per baciarlo e non
voleva che lui prendesse il controllo, consapevole che se ci fosse
stato di più, beh... non sarebbe più riuscito a
fare finta di nulla, a reprimere quei sentimenti che col tempo gli
erano fioriti nel petto attirando a sé un esercito di
farfalle.
Non appena
sentì la bocca di Keith schiudersi e la sua lingua
sfiorargli timidamente il labbro inferiore si ritrasse, a corto di
fiato e col cuore che faticava a reggere il peso di tutte le emozioni
che vi affluirono. Quindi guardò il suo volto, trovandolo
imbronciato e... ferito? Aveva ancora gli occhi chiusi, stretti, e ad
un tratto si morse con forza il labbro.
Lance non poteva
vederlo in quello stato.
«Conta fino
a tre e poi apri gli occhi. Io me ne sarò andato e faremo
finta che niente di tutto questo sia mai accaduto, va bene?».
Lance
arretrò, facendo attenzione a non pestare il pugnale Galra
di Keith.
«Uno».
Lo stava facendo
davvero, perciò voleva
dimenticare.
«Due».
Col petto schiacciato
da un macigno, si diresse verso la porta senza mai voltarsi indietro.
Sarebbe stato troppo doloroso farlo.
«Lance».
Il Paladino Blu si
fermò con la mano sul pannello di apertura, in attesa.
«Non
rovinare il tuo rapporto con Allura per colpa mia. So difendermi da
solo».
Quel brutto... aveva
origliato!
Lance non rispose,
uscì semplicemente dalla sala d'allenamento prima ancora di
sentire la fine del conteggio e corse il più veloce che
poté verso la propria cabina, dovrebbe avrebbe fatto del
proprio meglio per cancellare i segni delle lacrime e scrollarsi di
dosso la sensazione delle braccia di Keith che lo stringevano.
*
«Tre».
Keith aprì
gli occhi e si voltò di scatto verso l'uscita, trovandosi
solo nell'immensa sala d'allenamento. Si portò le mani sulla
faccia e senza farlo apposta le sue dita indugiarono sulle labbra,
sentendovi sopra ancora il calore e il sapore un po' salato, simile
all'acqua di mare, di quelle di Lance.
Si costrinse a non
pensarci, a fare finta che non fosse mai accaduto. Ma come avrebbe
potuto, come?
Si girò e
si inginocchiò per raccogliere il proprio pugnale.
Stringendolo tanto forte da farsi male alle nocche, si
maledì per come riuscisse a portare solo guai a tutti quelli
che gli stavano intorno. Che cosa diavolo aveva visto in lui Lance per
volerlo baciare?
Si lasciò
cadere supino sul pavimento e chiuse gli occhi, sperando di riaprirli
nella capsula di guarigione e realizzare che era stato davvero tutto un
sogno. Uno dei migliori della sua vita.
*
«Lance!».
Il Paladino Blu si
voltò ed incrociò lo sguardo preoccupato del team
leader, la testa di Voltron. «Ehi Shiro. Che
succede?».
«Volevo
svegliare Keith, ma non è più in infermeria. Tu
l'hai visto per caso?».
Lance fece del suo
meglio per mascherare la fitta di dolore che provò
all'altezza del petto e scuotere il capo. «No, mi dispiace.
Non può essere sparito nel nulla però,
sarà in giro da qualche parte».
Fece per girarsi, il
collo stretto tra le spalle e le mani infossate nelle tasche, quando
Shiro lo afferrò per un gomito.
«Non
è che mi aiuteresti a cercarlo? Il castello è
enorme e...».
«Adesso che
ci penso, ho sentito dei rumori provenire dalla sala d'allenamento.
Quel pazzo sarà là di sicuro». Gli
rivolse un debole sorriso e liberandosi dalla sua stretta
tornò ad incamminarsi verso la sala di comando.
«Lance,
aspetta».
Il pilota del Leone
Blu si fermò e si trattenne dal sospirare. «Che
cosa c'è?».
Shiro si
avvicinò e gli portò una mano sulla spalla,
guardandolo con quel suo fare paterno. «Ascolta, so che il
comportamento di Allura ti ha ferito e voglio che tu sappia che avevi
pienamente ragione a difendere Keith. Lui è un nostro
compagno e non lo abbandoneremo. Ne ho parlato con la Principessa e le
ho ricordato che siamo noi cinque Paladini a formare Voltron.
Finché noi ci fideremo di Keith dovrà farlo anche
lei».
Lance annuì
in segno di approvazione. Quindi, guardando di lato,
mugugnò: «Non mi scuserò
comunque».
Shiro sorrise.
«Non ti ho chiesto di farlo. Adesso puoi andare».
Il Paladino Blu si
voltò e riprese a camminare, ma venne fermato ancora una
volta dalla voce del più grande.
«Ah, non
dirò a Keith che l'hai difeso, stai tranquillo!».
Lance lo
ringraziò alzando una mano e poi svoltò l'angolo,
dietro il quale poté finalmente trarre un sospiro di
sollievo.
*
«Keith? Ehi,
Keith, mi senti?».
Keith aprì
gli occhi lentamente e come prima cosa vide il volto di Shiro,
sentendosi subito rincuorato.
«Che cosa
diavolo ci fai qui, Keith?».
Confuso,
afferrò la mano del Paladino Nero per alzarsi in piedi e si
guardò intorno. Il suo cuore fece una capriola. La sala
d'allenamento. Lance. Il bacio. Non era stato un sogno.
«Oddio.
Cos'ho fatto?», sussurrò coprendosi il viso con
entrambe le mani.
«Keith, ti
senti bene? Forse dovresti tornare nella capsula, abbiamo ancora un po'
di tempo...».
«No»,
negò con determinazione, allontanando Shiro con un braccio.
«Andiamo sul ponte».
Certo che niente al
mondo gli avrebbe fatto cambiare idea, il leader di Voltron
sospirò e lo seguì.
Giunti nella sala di
comando, Keith cercò subito con lo sguardo la figura di
Lance e lo trovò alle spalle di un Hunk addormentato,
intento a solleticargli il naso con una matita - o almeno un qualcosa
di Alteano che somigliava ad una matita. Si fermò
all'improvviso, come congelato, quando avvertì il suo
sguardo trafiggergli le scapole. Keith deglutì
rumorosamente, ma non si mosse ed aspettò che si girasse.
Quando lo fece, Lance aveva quella sua espressione arrogante e il
solito sorriso di sempre.
«Bentornato,
samurai! Com'è andato il riposino?».
Pidge gli diede una
gomitata nel costato, esclamando: «Keith ha combattuto contro
decine di soldati tutto da solo per conquistare la fiducia della Spada
di Marmora, doveva riprendere le forze!».
«Ti
ringrazio Pidge, ma...», iniziò a dire il Paladino
Rosso, ma venne interrotto dallo stesso Lance.
«Sì,
Pidge, che cosa fai? Keith sa difendersi benissimo da solo!».
La ragazza scosse
mestamente il capo e sistemandosi gli occhiali borbottò:
«Senti da che pulpito...».
A Keith non
sfuggì quel commento e cercò lo sguardo di Lance,
senza però trovarlo. Lo stava palesemente evitando, proprio
come se non fosse successo nulla nella sala d'allenamento. In fondo
l'aveva avvisato che l'avrebbe fatto ed era certo fosse la cosa
migliore per entrambi, tuttavia... perché faceva
così male?
Coi pugni stretti
lungo i fianchi raggiunse il tavolo intorno a cui erano riuniti i due
membri della resistenza Galra, Shiro, Coran e Allura. Provò
ad avvicinarsi alla Principessa, giusto per rassicurarla che non
provava l'improvviso desiderio di dominare la Galassia intera, ma
poté avvertire sulla pelle la barriera che aveva eretto nei
suoi confronti. Lo odiava sul serio.
Provò a
concentrarsi su ciò che stava dicendo Kolivan, indicando
alcuni punti sulla rappresentazione olografica della nave di Zarkon,
quando ad un tratto percepì un paio di occhi scrutarlo.
Alzò il capo e, come temeva, scorse le iridi di Lance
dall'altra parte del tavolo. Era appoggiato ad esso con un fianco e
teneva le braccia incrociate al petto, il volto alzato verso
l'ologramma viola, ma i suoi occhi erano puntati come fari azzuri su di
lui. Quando fu certo di avere la sua attenzione, il Paladino Blu
sollevò un angolo della bocca in un mezzo sorriso. Quella
volta non c'erano né malizia né sfregio,
ciò che voleva dirgli era semplicemente: "Io sono dalla tua
parte, amico". Per Keith fu come ricevere una boccata d'ossigeno e non
riuscì a trattenersi: ricambiò, ringraziandolo
silenziosamente.
Aveva tutte le ragioni
del mondo per odiarlo - era uno sbruffone che si credeva un playboy, lo
prendeva sempre in giro per la sua capigliatura e per ultimo l'aveva
baciato - eppure nessuna era abbastanza perché potesse farlo
davvero. Lance, nonostante tutto, c'era sempre stato per lui e aveva la
sensazione che mai lo avrebbe abbandonato. E di questo gli era grato.
«Keith, tu
che cosa ne pensi?».
Il Paladino Rosso
alzò gli occhi su Shiro, senza sapere di che cosa stesse
parlando. Per quanto tempo aveva fantasticato? Non era da lui.
Come se avesse letto
il suo disagio, Lance lo salvò per l'ennesima volta.
«Ehi, perché chiedi sempre a lui? È il
tuo secondo in comando o qualcosa, Shiro?».
Il leader di Voltron
sospirò e gli diede la parola. «Tu che cosa ne
pensi, Lance?».
Il Paladino Blu
mostrò il proprio sorriso più sfrontato e dopo
aver gonfiato il petto esclamò: «Scusa, non ne
capisco nulla di questa roba. Io sono un pilota, o al massimo un
cecchino! Dimmi a chi sparare e io lo faccio, pew-pew!».
Shiro fu sul punto di
portarsi una mano alla fronte, esasperato.
Keith, invece, decise
che da quel momento in avanti avrebbe fatto più attenzione a
ciò che lo circondava, tenendo gli occhi ben aperti.
Quel giorno aveva imparato tante cose - su se stesso e non solo. Aveva
imparato che non sempre le cose erano come sembravano e che spesso
ciò di cui aveva bisogno era proprio sotto il suo naso,
nascosto dietro sorrisi spavaldi e battutine.
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