cap1
“So
poco della notte
ma
la notte sembra sapere di me,
e
in più, mi cura come se mi amasse,
mi
copre la coscienza con le sue stelle.
Forse
la notte è la vita e il sole la morte.
Forse
la notte è niente
e
le congetture sopra di lei niente
e
gli esseri che la vivono niente.”
Alejandra
Pizarnik
Madrid,
2017
L'estate
iniziava ormai a inoltrarsi e scemare, per lasciare spazio pian piano
a quel clima temperato che sarebbe subentrato nelle settimane
successive. Non che per la capitale spagnola la cosa rappresentasse
un problema, poiché per tutto il mese di settembre, nessuno
le
avrebbe tolto la media stagionale di 25-30°C con quel caldo
ventilato, qualche pioggia di tanto in tanto e delle mattinate con
una sottile brezza, benché non vi fosse alcuna traccia di
acqua come
invece potrebbe considerarsi normale nelle zone marittime.
A
differenza di Londra, con il suo Big Ben, Parigi e la sua maestosa
Tour Eiffel, Berlino, quasi sormontata dalla Porta di Brandeburgo o
anche solo Roma stereotipata nel suo famoso anfiteatro, il Colosseo,
se si dovesse pensare a Madrid, probabilmente non verrebbe subito in
mente nessun particolare monumento di norma disegnato sulle cartoline
o spedito come augurio di buon viaggio per coloro che si recano nella
città per la prima volta. Forse verrebbe in mente un toro,
la
Corrida, e perché no, una bella bottiglia di Sangria dal
color rosso
rubino. O il Museo del Prado. Nessuna persona comune penserebbe al
Giardino Botanico Reale, al Palazzo Reale anche chiamato Palazzo
d'Oriente, il Museo della Regina Sofia, molto più
contemporaneo, o
semplicemente Plaza Mayor, famosa per il suo antico mercato e i
numerosi incendi subiti. Così come a nessuno verrebbe in
mente il
“Vida
Loca”,
locale notturno situato nel quartiere di Chueca, a nord della
città
vecchia, non troppo distante dal caos della Gran Via.
Un
locale semplice nella sua sregolatezza, dalle linee moderne ricercate
nel ricreare uno stile Art Nouveau, misto al contemporaneo nel
corridoio d'ingresso, con le pareti in piccole tessere disordinate di
vetro colorato attaccato assieme a formare un guazzabuglio di colori
e luci, illuminate dai faretti stroboscopici appena superata la
soglia. Un solo bodyguard all'ingresso a cui presentare il biglietto
regolare acquistato chissà dove o semplicemente fuori da
qualche
distributore ambulante assunto appositamente dal locale a fare
pubblicità, intento a controllare che la fila venisse
rispettata e
nessuno scoppiasse in inutili risse o problematiche di sorta, specie
tra le ragazze intente a sfidarsi una con l'altra con gli sguardi e
frasi poco carine su chi presentasse un abbigliamento migliore. O
anche il fisico, le unghie, rigorosamente finte, i capelli gonfiati
per la maggior parte da extension artificiali, quel trucco pesante
che misto all'auto abbronzante le avrebbe potute far somigliare
più
a delle parenti del semaforo all'angolo, piuttosto che a persone
vere. Non che negli ultimi tempi i ragazzi fossero da meno. Capelli
rasati ai lati e impomatati di gel sul ciuffo, fissati
perché non si
muovessero mentre si scatenavano in pista, giacca elegante abbinata a
dei jeans stinti con il risvolto alla caviglia, che Dio solo sa
quanto avrebbero sofferto di reumatismi con l'avanzare
dell'età. E
litri di profumo, quello lo avrebbe percepito anche un idiota con il
raffreddore. Maschili, femminili, speziati, fruttati, dalle note
dolci o decise. Di diverse marche o fatture, poco importava: quando
lo scopo era cercare di attirare un partner, fosse esso stabile o
l'avventura di una notte, il profumo giocava un ruolo importante nel
tutto.
Tutti
tirati a lucido per la serata, tra tubini coprenti a malapena il
sedere abbinati a un tacco dodici e tuxedo che manco si fossero
dovuti presentare a un matrimonio imminente, tutti perfettamente
eleganti, eccetto lui.
Bryan
Fitzpatrick: perché già il cognome non era
abbastanza singolare,
pure quella “y” di troppo doveva mettercisi. Un
metro e
settantacinque per qualche chilo “di troppo poco”
per raggiungere
il peso forma e una zazzera piena di capelli bruno-rossiccio a
indicare le proprie origini irlandesi, intento per lo più a
guardarsi attorno, fotografando con la propria Reflex ogni singolo
dettaglio del locale o delle persone. Un tipo ordinario, un turista
qualsiasi all'apparenza, non si poteva certo dire che spiccasse per
la bellezza o bruttezza, ma a vederlo sembrava solo un idiota con una
fotocamera intento ad entrare in uno dei locali più trendy
della
città per lavorare al proprio blog, piuttosto che
divertirsi.
Vestito si con jeans come la maggior parte degli adolescenti, scuri
giusto per staccare, e una semplice t-shirt volutamente stinta in
alcuni punti per dargli un effetto etnico, color azzurro scuro, non
pareva tuttavia ci avesse messo particolare impegno. Perfino i
capelli sbarazzini andavano per conto loro, come si fosse appena
alzato dal letto e fosse uscito di casa senza pettinarsi.
Se
fosse lì per lavoro o per vero turismo, non si sarebbe
potuto dire a
un primo sguardo, munito di biglietto come tutti gli altri, intento a
fare la fila nel tentativo di accedere al locale, un sorriso semplice
e naturale stampato in volto.
Come
al solito una volta giunto il proprio turno, il gorilla all'ingresso
gli chiese un documento. Come biasimarlo dal momento che a vederlo
così, con quel visetto sbarbato e dai tratti delicati,
ancora gli
capitava di essere scambiato per un diciassettenne. Otto anni in
più
di norma dovrebbero fare la differenza. Non per lui.
Dimostrata
la propria età, venne fatto accedere al locale, stabilito su
due
piani, con l'accesso a quello inferiore, la musica alta a sufficienza
da dover urlare per sentirsi, se solo fosse stato accompagnato da
qualcuno. Ai lati dell'enorme sala da ballo, erano stati posti
tavolini e divanetti in tessuto scuro, un simil velluto per
richiamare l'atmosfera tetra ed elegante allo stesso tempo, mentre
sul fondo un piccolo palco affiancato per la serata da due gabbie in
metallo sufficientemente grandi da contenere una persona, si
elevavano poco al di sopra della folla. Sia il piccolo palco, sia le
gabbie erano riempiti da ballerini e ballerine del locale, forse
qualcuno anche come spogliarellista, sebbene il locale cambiasse
spesso in base al tema della serata. A quanto aveva capito Bryan,
quella serata non avrebbe avuto un tema in particolare, sapeva solo
che ci sarebbe stato un piccolo spettacolo con le gabbie e non
avendone mai visti prima di così singolari, aveva deciso di
fare un
salto sul posto per scoprire con i propri occhi di cosa si trattasse.
Per
lo più l'inizio serata sembrava promettere bene. Attorno a
sé,
infatti, ragazze e ragazzi si muovevano per ballare o spostarsi alla
ricerca di una nuova vittima o di un drink da recuperare alla destra
della pista, non distante dal palco. Gli occhi nocciola del ragazzo
passavano dalla realtà all'obiettivo della macchina, le dita
intente
a scattare l'ennesima foto, per poi tornare a rilassarsi senza
tuttavia distaccarsi troppo dal pulsante di scatto, come se l'indice
fosse sempre pronto a seguire l'ordine dell'occhio, una volta trovato
il giusto soggetto. A volte la giusta prospettiva gli si presentava
così in fretta che doveva essere rapido a scattare. Un
gesto, un
sorriso, una luce speciale pronta a illuminare un volto o dei
particolari dell'espressione, qualsiasi cosa gli sarebbe andata bene
se fosse rientrata nei propri canoni di bellezza e proporzione.
La
musica aiutava solo maggiormente a fondere il tutto in un connubio
perfetto ed equilibrato.
Mentre
tutti ballavano e si divertivano, lui si divertì a modo
proprio a
scattare diverse foto, ritraendo ben bene il fisico dei ballerini per
cui, diciamocelo, aveva una predilezione particolare. Fisico da urlo,
perfettamente curati e in ordine, spesso con vestiti succinti o
provocanti. Chiunque gli sarebbe caduto ai piedi.
Non
si rese conto del tempo finchè la gola non iniziò
a chiedere pietà,
urlando di essere idratata neanche si fosse trattato del deserto del
Sahara. Si diresse quindi verso il bancone, coprendo l'obiettivo con
una mano per paura di finire addosso a qualcuno, proteggendo la
macchina da eventuali urti.
Si
accorse ben presto che l'intero bancone era stato decorato con luci
led lungo tutta la sua estensione, verso l'esterno, in modo che i
clienti potessero apprezzarlo. Luci bianche, fredde, come se quel
colore tanto luminoso potesse dare l'impressione di potersi
amalgamare con il ghiaccio nei drink e rinfrescare quel clima sin
troppo torrido, ora che all'interno del locale le persone tendevano a
stare a stretto contatto una con l'altra.
Due
ragazze al bancone sembravano intente a baciarsi, ma la cosa non lo
sorprese. Chueca infatti era un quartiere famoso per i locali LGBT
friendly, dove dieci anni prima si era svolto anche un famoso Pride
europeo. Non che il ragazzo lo avesse scelto per caso.
“Cosa
ti porto, dolcezza?” chiese il barista, un ragazzo giovane e
avvenente dalla muscolatura scolpita e diversi tatuaggi, oltre a un
trucco sobrio sugli occhi.
“Qualcosa
di fresco, scegli tu per me” rispose Bryan, sorridendo con
gentilezza.
Rimase
a osservare prima il barista, poi attorno a sé fin quando
non venne
servito, lasciandosi poi sussurrare senza troppe remore dall'altro un
invito a tornare al bar, con palese malizia in sottofondo.
Per
uno come lui, abituato a quei paesi di provincia in cui la
città più
grande conta qualche decina di migliaia di abitanti, trovarsi in una
città così grande, era stato un po' spiazzante,
all'inizio. Si
trovava lì da un paio di mesi e non poteva certo dire di
essere
passato inosservato, ma di per sé non si riteneva certo un
modello
da palestra quotidiana. Fisico asciutto e visetto dolce avevano fatto
il loro lavoro e si poteva dire che non fosse esattamente un santo,
ma nemmeno il tipo di persona capace di uscire tutti i giorni alla
ricerca di divertimento. Poche esperienze, ma tranquille, nulla di
eccessivo e soprattutto nulla che avesse a che fare con il proprio
posto di lavoro.
Aveva
trovato un buon posto come aiuto cuoco in uno dei locali del centro,
volendo iniziare a far carriera anche al di fuori del proprio paese,
girando il mondo alla ricerca di esperienze sempre nuove da cui poter
imparare. Se la fotografia era il proprio hobby preferito, cucinare
per vivere era il proprio sogno.
Avances
del barista a parte, dopo averlo ringraziato portò il
bicchiere alle
labbra, constatando ben presto che il liquido aranciato al suo
interno doveva essere composto da frutta fresca con un bel po' di
ananas come base. Sicuramente anche pesche e qualche fragola e vodka,
vodka a non finire.
Sorseggiò
qualche istante la bevanda, rimanendo a guardarsi attorno con
noncuranza finchè non si accorse di ciò che stava
accadendo presso
uno dei divanetti più vicini. Un ragazzo dai capelli scuri
sembrava
intento a flirtare con una giovane donna bionda, stringendola a
sé
sul fianco, come farebbe chiunque ricercasse un contatto stretto con
qualcuno, nulla di forzato.
Lei
sembrava a suo agio e del tutto consenziente, non fu tanto quello ad
agitarlo, quanto l'insistenza del ragazzo nel volerla mordicchiare
tra il collo e la spalla, decidendosi infine a conficcarle i denti
nella carne, da cui sembravano trarre entrambi diverso godimento.
Diamine, l'ennesima coppia fissata con Twilight!
Sebbene
Bryan ne fosse esasperato, qualche scatto non glie lo avrebbe negato
nessuno. Non che non sopportasse solo quell'opera in sé, ma
per
l'idea generale che la gente si metteva in testa dopo quei film
fantasy, ormai sempre più di moda al cinema. Vampiri, lupi
mannari,
demoni, angeli. Mancava solo il pazzo convinto di essere un supereroe
della Marvel che andasse in giro in calzamaglia e poi le aveva viste
tutte! Per modo di dire, ma se non dal vivo, internet forniva una
buona realtà delle cose, non solo per i cosplayer eccessivi.
Diciamocelo,
anche lui era un nerd appassionato di certe cose, finchè si
trattava
di giochi innocenti che finita la sessione tornavano a stare nel
cassetto fino alla settimana successiva, con seguito della storia,
master a narrare l'ennesima avventura epica e amici muniti di
patatine e pop corn con cui divertirsi per quelle poche ore. Ma il
giorno dopo sarebbero tornati tutti alla realtà e alla prima
lamentela inerente a storia, personaggi, sistema di gioco e
quant'altro, lui sarebbe stato il primo a gettare la spugna, non
avendo tempo da perdere in simili cavolate, quando aveva un lavoro a
cui pensare.
Insomma,
il gioco è bello finchè dura poco, e quando la
cosa iniziava a
degenerare portando la gente a litigare per un gioco fantasioso che
dovrebbe invece aiutare a staccare la testa dalla vita esasperante di
tutti i giorni, lui era il primo a stufarsi e ad andarsene da
qualsiasi gruppo.
Lo
stress in cucina era già abbastanza alto, se avesse dovuto
badare
anche a simili piccolezze, o sarebbe impazzito, o avrebbe iniziato a
fare vittime alla mo di serial killer. Già vedeva i titoli
sarcastici sul giornale: “Giovane ragazzo assassina gli amici
per
l'esasperazione. - Vivevano nel mondo delle favole, qualcuno avrebbe
dovuto svegliarli! - le sue parole.”
Ridacchiò
da solo a pensarci. Non sarebbe mai stato in grado di farlo,
ovviamente, sin troppo paziente e a tratti ingenuo.
Tuttavia
no, non fu nemmeno quello il particolare che quasi lo fece strozzare
con il drink, bensì lo sguardo del ragazzo intento ad
“assalire”
quella malcapitata vittima consenziente, che sembrò voltarsi
a
guardarlo quando Bryan si mise a ridere da dietro l'obiettivo. Come,
con tutta quella musica alta non era ben chiaro, ma pareva essersi
proprio accorto della sua risata.
Doveva
esserselo inventato. Così come doveva essersi inventato
quegli occhi
luminosi attorniati da un alone strano tutt'attorno, come se quella
persona non solo fosse munita del tapetum lucidum di alcuni animali,
ma anche come se fosse e non fosse lì allo stesso tempo,
alla mo di
fantasma dei telefilm.
Da
brivido. Poco ma sicuro, avrebbe scoperto il trucco che quello
lì
usava per sembrare così vero. Vero per modo di dire, visto
che le
leggende sulle creature sovrannaturali erano varie e diverse a
seconda dell'epoca e delle opere.
Era
certo di non avere nulla di cui temere, quindi fu proprio lui a fare
il primo passo, avvicinandosi ai due, sentendo e vedendo lo sguardo
dell'altro addosso, un verde del tutto normale sotto alle luci del
locale, come se quell'effetto strano di poco prima non fosse dovuto a
queste, quanto all'obiettivo della macchina. I capelli corvini erano
talmente lucidi da poter quasi brillare da sé quando non
nascosti in
zone buie, forse dovuto all'effetto del gel indossato.
Una
volta giunto di fronte ai due, Bryan notò che la ragazza
bionda
sanguinava appena laddove il moro l'aveva morsa e si stava sporgendo
verso lo stesso partner per poter avere altre attenzioni di quel
tipo. Dovevano essere proprio fanatici del fantasy a giudicare
dall'espressione rapita della donna. Eppure i vestiti erano semplici,
nulla di pomposo: jeans e maglietta abbinati a una giacca elegante
per lui, vestito corto alla coscia, con scollo a cuore e pieghe, per
lei. Va bene, tutto rigorosamente nero con qualche punto luce qua e
la sul vestito della ragazza, ma nulla di più.
L'irlandese
fece per parlare, ma venne interrotto dallo sconosciuto.
“Perchè
mi stavi fotografando?”
“Per
questa sera sono un fotografo di passaggio, ho visto che siete dei
fan del fantasy e mi è sembrata una cosa interessante da
ritrarre.
Da dove vengo io non è così facile trovare amanti
del genere.”
annuì Bryan.
L'altro
lo squadrò dall'alto, sebbene fosse ancora seduto alla sua
postazione assieme alla ragazza, che poco dopo allontanò con
il
braccio, come ne avesse abbastanza della sua presenza e la stesse
congedando. Lei, in tutta risposta, si alzò quasi offesa,
mettendo
un finto broncio all'apparenza adorabile, per poi girare al largo
senza troppe remore, sventolando le dita con fare adorabile, come se
si aspettasse di essere invitata una seconda volta in un'altra
giornata o qualche ora dopo.
Il
moro fece quindi segno a Bryan di accomodarsi accanto a lui, come se
invitare persone appena conosciute fosse la cosa più normale
del
mondo e altrettanto normale fosse accettare senza pensarci due volte.
Quel tipo era bello, non avrebbe potuto dirgli di no nemmeno volendo!
“Come
ti chiami?” chiese Bryan, una volta accomodatosi, sportosi
verso
l'altro per farsi poter sentire.
“Javier”
si limitò a rispondere l'altro.
Una
“j” aspirata la sua iniziale, come qualsiasi nome
d'impostazione
spagnola, altisonante in un certo senso.
“Ma
puoi chiamarmi Javi, se preferisci” riprese, sorridendo.
Disarmante
quel sorriso, bianco come la neve nonostante le luci variabili e
quella parte di lui ancora immersa nell'ombra rassicurante del
divanetto, né troppo esposto alle luci della pista,
né troppo al
buio per non poter essere notato. A giudicare dal suo modo di porsi,
quell'allargare le braccia sullo schienale per mettere in mostra il
corpo dal fisico praticamente perfetto, non sembrava decisamente una
persona timida. Solo a un attento sguardo si sarebbe potuto notare il
sottile strato di glitter su collo e viso, come se fosse imperlato da
un lieve trucco non eccessivo, che gli avrebbe fatto risaltare la
pelle color avorio sotto alle luci stroboscopiche del locale. Un velo
di matita sugli occhi inoltre faceva sembrare il suo sguardo dalle
iridi verdi ancora più distaccato e freddo, come avesse
potuto
esplorare l'anima altrui con una sola occhiata.
Per
una frazione di secondo Bryan si sentì avvampare come una
liceale
davanti al poster del suo idolo preferito, come se quello avesse
potuto fissarlo veramente. Venticinque anni per arrivare in un locale
qualsiasi di una città qualsiasi in cui si era trasferito da
poco e
rendersi la persona più imbecille del mondo in un
nanosecondo di
fronte a un bel ragazzo. Fantastico, hai fatto proprio centro, Bryan!
Vide
Javier leccarsi le labbra a quel proprio avvampare, rimanendo
imbambolato a fissarlo a propria volta con un'espressione da ebete in
viso, mentre lo spagnolo lo spogliava con gli occhi. Tensione, ecco
cos'era quella. Tensione per i fremiti sottili che il corpo
dell'irlandese non avrebbe potuto ignorare nemmeno se fosse stato
etero! Andiamo, da come lo stava fissando era chiaro dove sarebbe
voluto arrivare.
Lo
vide sporgersi nella propria direzione e per un attimo si chiese che
avesse in mentre, sentendo poi le sue labbra sul viso, all'altezza
della guancia, quasi sullo zigomo, non come se si fosse trattato di
un bacio romantico o lieve, più come se il moro avesse
voluto
cercare una sorta di contatto lieve con quel rossore. La sapeva fare
proprio bene la parte del vampiro, altro che i giocatori su internet
o quegli squilibrati del gioco di ruolo dal vivo! Qualcuno era anche
bravo, ma lui era riuscito a calarsi nella parte in modo magistrale,
con quei gesti sottili e lievi, quasi impercettibili, il respiro
flebile, come avesse potuto imitare davvero la mancanza di un battito
cardiaco e respirazione annessa, uno charme dannatamente perfetto che
unito a quel profumo di rosa selvatica avrebbe lasciato chiunque ai
suoi piedi. Ogni dettaglio era stato curato alla perfezione.
Non
che Bryan fosse esattamente la persona più innocente e
ingenua del
mondo, solo un ragazzo nella media, quindi capì
ciò che lui stava
facendo, era una delle classiche tecniche di rimorchio in quei locali
notturni, lo sapeva bene. Eppure pareva che la cosa non gli
importasse. Non era impegnato, né una suora! Ci sarebbero
voluti
ancora millenni prima di convincerlo a prendere i voti, cosa che
ovviamente non rientrava nemmeno lontanamente nella propria testa,
quindi con un bel tipo del genere a fargli la corte in quel modo, non
si sarebbe certo tirato indietro!
L'idea
era quella di iniziare un dialogo rilassato, lasciando intendere
velatamente che lo avrebbe seguito anche in capo al mondo, se solo
glie lo avesse chiesto, facendo un po' il prezioso, giusto per
fingere di negarsi e rendersi più appetibile, come una
ragazzina che
non vede l'ora di essere rincorsa, per rendersi conto di quanto sia
desiderata. Invece no, l'altro interruppe ogni propria buona
iniziativa con poche, semplici parole, fin troppo dirette, sussurrate
al proprio orecchio in modo talmente sensuale da rischiare lo
scioglimento imminente del corpo, percorso da brividi, manco fosse
stata lanciata una bomba nucleare a devastare i ghiacci del nord!
“Ti
voglio per me. Ora.”
Ora?!
Lì, nel bel mezzo del locale o cosa? Il rossore si fece
più vivido
sulle guance dell'irlandese, sebbene il corpo urlasse di essere preso
in spalla e portato via all'istante, gli occhi sbarrati per la
sorpresa. Non che fosse la sua prima volta in una situazione simile,
ma un invito del genere nel bel mezzo di un locale affollato sarebbe
risultato “difficile da applicare” per chiunque!
“Usciamo,
allora.” replicò piano Bryan, in una sorta di
invito velato.
Javier
era stato fin troppo diretto e la cosa non gli era dispiaciuta,
mentre lui con i propri inviti velati si considerava piuttosto
misurato in certe cose.
Il
moro non se lo fece ripetere due volte, afferrando la mano di Bryan
con salda decisione, la pelle tiepida con un sottofondo freddino,
come fosse una di quelle persone con la circolazione lenta, che a
causa di un cuore grande o di poco spostato tendevano ad avere le
estremità del corpo sempre sul congelato andante, sebbene
lui
sembrasse essersi riscaldato.
Imboccarono
assieme l'uscita del locale e il seguito all'esterno fu un
susseguirsi di vicoli e piccole stradine per sì e no cinque
minuti,
a giudicare dalla vicinanza della casa dello spagnolo rispetto al
locale. Per strada le persone giravano ancora, nonostante l'orario,
talvolta mosse dall'aria di festa proveniente dai club con la loro
musica alta e gli ospiti agghindati per la serata, talvolta riunite
accanto ad abitazioni e monumenti in piccoli gruppi sparsi, con
bottiglie di birra tra le dita, vestiti stravaganti e diversi
“tesoro!” rivolti agli amici più
stretti, quando si univano alla
compagnia.
Le
stradine della città erano suggestive come sempre,
illuminate da uno
spicchio di luna nel cielo e i diversi sistemi cittadini, a rendere
il quartiere ancora più vivo e allegro, comune nella cultura
popolare del luogo.
Casa
di Javier, rimasto silenzioso per tutto il tragitto, frettoloso nel
passo, distava ben poche centinaia di metri e a vederla da fuori
sembrava esattamente una di quelle vecchie costruzioni delle zone
popolari, forse un tempo adibita pure a zona commerciale, ora ridotta
ad uno dei tanti vicoli in cui la gente s'infila solo se conosce bene
la strada. Per uno come Bryan quello era solo l'ennesimo dedalo di
viottoli e stradine che l'indomani si sarebbe dimenticato.
Nella
parte inferiore dell'edificio vi era un negozio etnico, uno di quei
posti in cui oltre a vestiti, borse, incensi e quant'altro, si
potevano comprare anche diversi gioielli in pietra dura, statue del
Buddha e campane tibetane al modico prezzo di un rene e un polmone.
L'irlandese era cresciuto con la cultura celtica, capiamoci, quindi
di Buddha e cose varie non è che ne capisse poi molto.
L'ingresso
per gli appartamenti era posto poco dopo, con una classica porta in
legno spesso, color verde bottiglia, che il moro si
preoccupò di
aprire con le chiavi. Finto vampiro bravo nel suo ruolo e a recitare
la parte finchè non si trattava di porte sbarrate: a quel
punto
anche lui doveva ricorrere alle chiavi come un qualunque mortale! La
cosa fece ridacchiare Bryan, che si ritrovò lo sguardo
curioso del
moro addosso, ora intento a fare strada su per le scale.
Tre
piani per il duo, una cosa semplice e classica, nulla di imponente
per l'edificio, che i due salirono senza troppe remore o problemi,
come fossero stati amici dell'università che rientrano a
casa dopo
la serata passata in giro a far baldoria.
Ennesima
porta per l'ingresso all'appartamento, che entrambi si decisero a
superare una volta aperta, all'interno del quale Bryan si accorse che
le pareti erano state sostituite quasi del tutto da colonne portanti,
per creare uno spazio aperto più simile a un loft che a uno
degli
appartamenti dell'epoca in cui era stato costruito l'edificio.
Insomma, come un regalo la cui carta esterna sembra provenire
dall'armadio della nonna con all'interno un gioiello degno di
Tiffany!
La
cosa un po' spiazzò Bryan, rimasto sulla soglia ad osservare
il
lusso in netto contrasto con l'esterno di poco prima, con tanto di
tecnologia di ultima generazione, un caminetto finto nella zona
soggiorno e una cucina contemporanea. Quella cucina per poco non gli
fece cacciare un urlo. Stupenda e perfettamente ordinata, con ogni
utensile appeso o posto nell'apposita scatola, contenitore, cesto,
dotata di ogni accessorio possibile e immaginabile. Per lui che
sognava da sempre di diventare uno chef professionista e non ne aveva
mai avuto la possibilità, quello era un paradiso in terra.
Si
sarebbe voluto voltare per dirgli quanto già amasse quel
posto,
almeno per fargli i complimenti visto che sapeva bene quanto la cosa
non sarebbe durata, ma nel sentire le mani dell'altro addosso, a
cingergli pian piano la vita con una dolcezza indicibile e le sue
labbra sul collo, ogni parola gli morì in gola. Brividi,
brividi
ovunque per l'irlandese che sentiva le gambe cedere e il corpo
reclamare libertà dai vestiti. Siamo realisti, i complimenti
avrebbe
potuto farglieli anche dopo, primo, e secondo non era colpa sua se
quello era così perfetto! Perché resistere a
tanta bellezza? Lo
aveva seguito volontariamente, ma forse non si sarebbe aspettato
quella sensualità nei gesti, che non aveva ritrovato in
nessun altro
con cui aveva avuto un rapporto occasionale.
“Mi
piacciono gli amanti dolci” disse, sorridendo con
tranquillità.
“Lo
sospettavo”
Dolce
nel tono, essere trattati con del riguardo avrebbe fatto piacere a
chiunque, lui non faceva eccezione. La reflex ancora addosso tramite
apposita cordina venne spostata dal ragazzo, che si premurò
di
appoggiarla su un mobile, laddove non sarebbe potuta cadere o
rompersi per qualche disgraziato motivo. La sua
“bambina” gli era
costata un occhio della testa, comprarne un'altra sarebbe significato
rinunciare a un mese e mezzo di stipendio o quasi, contando l'affitto
e le bollette da pagare.
“E
gli amanti passionali, ti piacciono?” chiese Javier a un
certo
punto, rimanendo a sussurragli all'orecchio, le mani a scorrere sul
corpo dell'irlandese come cercasse di arrivare sensualmente alla sua
maglia, per poi infilarvele al di sotto, tastando il suo corpo.
L'imbarazzo
non fu il sentimento predominante tra i due, sottile nella mente di
Bryan, assente in quella dello spagnolo, quanto più il
desiderio.
Volontario in quella crociata che sperava si sarebbe rivelata solo
piacevole, sapeva a cosa sarebbe andato in contro nel seguirlo, non
desiderava altro.
“Anche
quelli, se non mi fanno troppo male...”
Un
modo gentile e carino per dire che sì, si sarebbe prestato
ben
volentieri a certe cose, ma entro limiti ben stabiliti. Nulla alla
“Cinquanta sfumature” per intenderci, niente
rituali satanici o
cosplay strampalati in cui lui gli avrebbe rivelato di essere davvero
un vampiro o cazzate simili. Non è che Bryan non fosse un
nerd,
ricordiamolo, ma i limiti andavano stabiliti, come nella vita
quotidiana, così anche in camera da letto, specie tra due
sconosciuti.
La
presa sul proprio corpo si trasformò in un abbraccio velato,
accompagnato da una risatina di divertimento soffiata tra le labbra
per il moro avvolto nel mistero.
“Non
farò nulla che tu non desideri, anche se so già
che me ne chiederai
ancora.” sussurrò ancora una volta, portando le
mani alla maglia
di Bryan per poterlo liberare da quell'impedimento.
Modesto,
dicono. A quanto l'irlandese aveva capito,
“modestia” non era
certo il suo secondo nome, ma la cosa non pareva infastidirlo
più di
tanto.
Ancora
perso in quelle risposte tanto sincere e dirette, sentì
l'altro
muoversi per spingerlo con il suo corpo verso il bancone della
cucina, cosa che fece fremere l'irlandese con tutto sé
stesso. Aiuto
in cucina, aspirante chef, un sogno nel cassetto che si portava
dietro da quando era bambino e avrebbe potuto non desiderare altro
che farlo sul bancone perfetto di uno sconosciuto?! Doveva essere un
sogno. O un incubo se quello avesse preso un coltello e lo avesse
sgozzato, trasformando la loro fuga di passione in un episodio di
C.S.I.
Pose
le proprie mani sul bancone in metallo lucido, percependo gli ansimi
farsi strada tra le membra per fuoriuscire come vulcani in eruzione
dalla gola, misti a sottili mugolii di piacere nel percepire le mani
dell'altro addosso. Essere toccato, spogliato, quelle labbra sul
collo che lo stavano baciando ora con sempre maggior insistenza era
qualcosa che non avrebbe potuto lasciarlo indifferente.
Sentì
il suo corpo addosso, diverse parti del suo corpo a dire il vero, che
non si limitavano alle sole sporgenze degli arti, ma diciamocelo, la
cosa non solo non lo infastidiva, ma gli donava più piacere
del
previsto. La pressione esercitata dal padrone di casa, mista a
quell'insistenza tipica delle popolazioni del sud, passionali e
focose, iniziava a dargli alla testa. Sentì le sue mani sui
propri
pantaloni e ben oltre, così come a propria volta
provò a
raggiungere quella zona con le dita, nel tentativo di scoprire anche
il suo corpo, ma la frenesia di Javier era tale che si sarebbe
solamente voluto abbandonare alle sue braccia per lasciargli fare
tutto ciò che desiderava.
Il
calore emanato dai loro corpi, quel muoversi uno contro l'altro, gli
ansimi che da emissioni di semplice aria calda mista a mugolii si
trasformarono in veri e propri gemiti, sarebbero stati troppo per
qualsiasi essere umano.
Lo
sentì mordere a un certo punto, probabilmente come aveva
fatto con
la ragazza, in quel punto tra la spalla e il collo che sembrava
piacergli tanto, ma a parte il lieve dolore iniziale dovuto alle
protesi dentali, il seguito fu puro piacere, che misto alle emozioni
già in atto nel proprio corpo, lasciarono Bryan stordito,
completamente in balia di quello sconosciuto che avrebbe potuto fare
di lui tutto ciò che desiderava.
Il
mattino seguente, se così si poteva chiamare
“l'alba di
mezzogiorno”, Bryan si svegliò nel letto di
Javier, per metà
rannicchiato tra le coperte, sebbene facesse ancora caldo, per
metà
del tutto scoperto. In tutti i sensi visto che i vestiti avevano
preso il volo la notte precedente e nemmeno ricordava dove fossero, o
quasi. Inoltre, sebbene quello fosse il letto dello sconosciuto che
se lo era portato a casa dopo averlo rimorchiato al locale, dello
stesso padrone di casa non c'era nemmeno l'ombra. In parte Bryan
sperava se ne fosse andato, così avrebbe potuto recuperare
le
proprie cose e andarsene senza disturbare troppo, ma a giudicare dal
caos lasciato tra le coperte e probabilmente anche fuori, scapparsene
inosservato con un passo laterale sarebbe stato difficile.
Andiamo,
il padrone di casa non era lui, Javier sapeva che avrebbero messo a
soqquadro l'appartamento, ora toccava a lui pulire!
L'irlandese
si trasse a sedere, constatando che il fondo schiena stava bene e non
aveva nulla di rotto o dolorante, salvo quel morso a metà
tra il
collo e la spalla che ora iniziava a sentire appena. Ci aveva dato
dentro, quel deficiente! Vabbè, stupido anche lui ad andare
a letto
con uno che ha il fetish per i vampiri. Ora aveva poca importanza dal
momento che avrebbe dovuto lavorare più tardi per il
servizio serale
a cui lo avevano messo di turno.
“Buongiorno,
ti ho portato una tisana, se ti fa piacere” disse Javier,
sbucando
dal nulla o quasi, silenzioso come un gatto.
Bryan
cacciò un urlo degno di una donnicciola alle prese con un
topolino e
per poco non fece un infarto, portandosi una mano al petto per lo
spavento.
“Credevo
fossi uscito!”
“E'
casa mia, mica la tua”
“Sì,
ma...”
Dopo
un bel respiro, Bryan ringraziò il moro, accettando la
tisana di
buon grado. Se non altro era stato gentile, non se lo aspettava,
diciamocelo.
Rimase
a sorseggiare la tisana per un po', senza dire nulla, guardandosi in
giro di tanto in tanto, potendo notare diverse cose etniche simili,
se non uguali, a quelle del negozio sottostante. Qualche cristallo
qua e là per illuminare la casa, una fontanella a ricircolo
con
tanto di fumo colorato posta quasi in un angolo. Tutto in quella casa
era armonico e perfettamente preciso, come se ogni cosa si fosse
scelta da sola il proprio posto, donando un senso di pace a chiunque
vi entrava. Solo la luce soffusa avrebbe potuto mettere a disagio chi
non era abituato, ma lasciando entrare qualche spiraglio dalle
persiane in legno, l'effetto luminoso sui cristalli donava
un'atmosfera rilassante e semplice.
“Hai
una bella casa” disse, cercando lo sguardo del moro.
Javier
sorrise, annuendo con naturalezza.
“Ti
ringrazio, ho impiegato un po' per arredarla.”
Un
tipo silenzioso, ecco come gli pareva Javier così su due
piedi.
Senza troppo da dire, per dirlo al momento giusto, senza dare aria
alla bocca inutilmente.
“Quindi...sei
un vampiro?” chiese Bryan ridendo dolcemente, lasciando
intendere
la battuta.
Javier
lo guardò con aria confusa, sfarfallando le ciglia un paio
di volte
come se non avesse capito bene la domanda.
“Non
era evidente da quando mi hai incontrato?” chiese in risposta.
L'irlandese
scosse la testa, ridendo composto, la tazza ancora tra le mani con
qualche strascico di fumo ancora presente a innalzarsi dal liquido
all'interno.
“Com'è
nata questa passione, se posso chiedertelo...?”
Ovvio
che non prendesse la cosa seriamente, chiunque lo avrebbe preso per
un cosplayer pazzo o qualcosa del genere, senza contare che protesi a
parte, non aveva nulla delle tipiche cose stereotipate dei vampiri
classici.
“Lascia
stare, è un discorso lungo e tedioso” rispose
l'altro,
ridacchiando a propria volta.
Misterioso
quello sconosciuto di cui conosceva solo il nome, gli dava
l'impressione che volesse evitare le risposte dirette. Per quel poco
che avevano avuto occasione di parlare, s'intende. Sì, era
calato
nella parte molto bene, ma alcuni accorgimenti lasciavano intendere
che era una persona come tutte le altre, a partire dal fatto che era
mattina ed era già sveglio.
Quindi
come richiesto dallo spagnolo, Bryan lasciò perdere,
chiacchierando
a grandi linee del più e del meno, lasciandosi illustrare
dove
avrebbe potuto trovare i migliori locali della città, alcune
attrazioni da poter fotografare nel tempo libero e cose simili.
Dopo
aver terminato la tisana, si decise a rivestirsi dopo aver trovato i
vari pezzi dell'abbigliamento, messi in ordine da Javier
perché non
si sporcassero, infine recuperò la macchina fotografica da
dove
l'aveva lasciata, ancora lì, al suo posto.
Ringraziato
Javier per l'ospitalità, in un certo senso, lo
salutò senza troppi
problemi o imbarazzo, ben sapendo che se anche lo avesse incontrato
in giro per strada, non avrebbe avuto nulla di cui preoccuparsi. Non
si vergognava della serata, anzi, era stata fin troppo piacevole, ma
il lavoro chiamava e sarebbe voluto passare a casa per darsi una
lavata e cambiarsi prima di prendere servizio in cucina.
Dalla
propria zona abitativa, Chueca distava circa venti minuti a piedi,
meno in metro, se si contavano la precisione degli orari e la
comodità del viaggio. Senza contare che la linea cinque lo
avrebbe
portato a destinazione in un attimo. Non si sorprese per
l'affollamento della metro, così come della
rapidità del mezzo,
tutto nella norma. Sceso a Puerta de Toledo, si poteva dire che fosse
appiccicato a casa, dato l'appartamento preso in affitto in Calle de
Toledo. Qualche metro dopo essere uscito dalla stazione, imboccata la
porta giusta sullo stradone ed eccolo arrivato a destinazione.
L'appartamento
semplice sprizzava luce da ogni finestra, ristrutturato a nuovo per
chi come lui si trasferiva in città per qualche mese o poco
più, si
trovava in una posizione comoda e pratica, vicino a diverse
attrazioni della città, quasi in pieno centro. Oltre a
essere tenuto
bene, dall'arredamento semplice, in stile Ikea per così
dire,
economico, ma classico, tendente al bianco e nero opaco.
Raggiunta
la propria stanza, l'unica camera da letto dell'appartamento, Bryan
si buttò sul letto, sorridendo rilassato nel volersi
riposare un po'
di più prima del lavoro.
La
doccia avrebbe potuto aspettare, non aveva fretta, quindi avrebbe
potuto dedicarsi al proprio hobby senza troppi pensieri. Recuperato
il portatile dalla scrivania, dopo averlo acceso in tutta calma, si
decise a collegare la reflex per poter trasportare le foto sul
computer, magari stampandone qualcuna, volendo osservare se ce ne
fossero di sfocate ed eventualmente correggendole. Si accorse
tuttavia che qualcosa non tornava. Il programma non trovava nessuna
fotografia. Aprì quindi lo sportello in cui di norma era
posizionata
la memory card e con proprio enorme stupore rimase pietrificato, come
se qualcuno lo avesse pugnalato all'improvviso e lo avesse privato
dell'aria. La memory card era sparita.
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