Anni prima, Masato aveva rivelato a sua madre che il suo matrimonio stava
fallendo mentre lei piantava dei kiku, crisantemi.
Al tempo aveva pensato che fosse ironico che
confessasse i suoi fallimenti mentre un fiore simbolo di gioia e pace
prendeva posto lì dove lui aveva corso, giocato e si era sbucciato le
ginocchia.
“Abbiamo parlato con un avvocato” aveva detto guardando le
spalle della madre. “Per le bambine” aveva poi aggiunto spostando la terra
con la punta del piede.
Sua moglie non amava un altro. Semplicemente non
amava più lui.
“Potresti portarle un po’ qui. Mentre le cose si sistemano.”
La sua oka-san gli aveva letto nel
pensiero.
“Sì, penso sia una buona idea che stiano qui con te. Lara sta
reagendo bene alla cosa, insomma…” alzò gli occhi al cielo “ …sta reagendo a
modo suo”
La madre prese un vasetto e lo riempì di terra soffice per poi
spargerla alla base dei crisantemi.
“Ma Vanessa ti preoccupa. Vanessa ti
preoccupa sempre” disse serafica schiacciando il terreno con le mani.
Masato sospirò. “Non so mai cosa pensa. Sembra che abbia sempre paura,
timore…”
La madre si alzò e passò le mani sulle ginocchia fatte di terra.
“Non ha paura” disse guardando il figlio negli occhi, in un modo in cui solo
le mamme sanno guardarti. “Semplicemente non ha ancora trovato il suo posto.
”
Masato pensò a quando aveva
trovato il suo di posto nel mondo. Da sciocco diciottenne aveva creduto di
averlo trovato nella pittura, poi il ventenne stanco e assonnato l’aveva
trovato sulla metro, racchiuso in una ragazza dal sorriso sbarazzino. Ma non
era mai stato più sicuro di averlo riconosciuto fino a quando non aveva
stretto le sue figlie fra le braccia per la prima volta.
“L’Italia non le
piace e qui la vedo felice solo quando sta con te” considerò.
“Poi da quando le hai dato quel libro
non fa che tenerci la testa dentro.” Continuò seccato.
“Avresti potuto
almeno lasciarlo in giapponese e non farlo tradurre” la ammonì.
La madre
lo ignorò, concentrandosi sul giardinaggio.
“Ci sono cose che bisogna
scoprire attraverso la lingua in cui si pensa” disse con tono pacato
prendendo un’altra piantina.
Masato inarcò le sopracciglia, confuso.
“Che intendi?” chiese mordendosi l’interno guancia. Sentiva in qualche modo
che sua madre volesse dargli una lezione di vita non solo su sua figlia, ma
anche su se stesso.
La sua oka-san
si voltò e alzandosi sfilò i guanti fatti di terra.
“Volevo che capisse
la storia e non che si dovesse impegnare per capirla”
Masato, in un
certo senso, lo comprendeva.
“Quando hai detto per la prima volta a tua
moglie che eri innamorato di lei scommetto che l’hai prima pensato in
giapponese” lo stuzzicò la donna.
Masato quasi arrossì; non erano
discorsi che era solito fare con lei. Poi però pensò alle sue figlie e a
quel timore, che solo i padri possono avere, di vederle con dei ragazzi.
“E’ fragile. Appena alzerà gli occhi da quel libro il mondo la ferirà. Ho
paura di questo”.
“Non è fragile” lo ammonì sua madre, per la seconda
volta, come se fosse uscito di senno.
“Devo proteggerla” insisté Masato.
La madre si spostò verso il punto meno curato del giardino e scostò
qualche filo d’erba. “Sei uno sciocco” disse continuando a scrutare il
terreno.
Masato pensò che la sciocca era sua madre se credeva ancora di
poter piantare in giardino qualsiasi cosa le passasse per la testa.
“Ginseng?
Ti sei trasferita in Corea mentre ero via? A me risulta che siamo sempre in
Giappone”
La radice non era rarissima lì da loro, ma non era così facile
farla crescere, a differenza della Corea o della Cina.
Anni prima, la
madre lo avrebbe bacchettato e messo in punizione per quel tono, ma sembrava
essere arrivato quel momento, nella vita di un figlio, in cui certe cose non
ti importano più.
“Per te è sempre una questione di posto, eh?” sbottò la
madre. “Non posso restare qui per
imparare l’arte, devo andare in Italia! La donna deve stare qui, l’uomo lì.
Tuo marito è morto, non puoi parlare con gli altri uomini! Mia figlia deve
frequentare questa scuola e non quell’altra”
Era arrabbiata, molto
arrabbiata. Masato non l’aveva mai vista così. Non era mai stata una donna
come le altre, silenziose e con la testa costantemente china, da etichetta,
ma non aveva neanche mai ostentato proteste.
“Molti di noi sono come il
ginseng” spiegò poi, calmandosi.
“Possiamo non trovarci nel luogo giusto,
nella giusta luce, ma se ci viene data fiducia, una possibilità, possiamo
crescere sani e stare bene anche lì. Sarà poi il cuore a portarci dove
sentiamo di aver bisogno di andare”.
Masato capì cosa intendeva la sua
oka-san, ma non lo condivideva.
Secondo sua madre doveva lasciare che Vanessa facesse quello che lei sentiva
di fare, ma non poteva stare fermo e non fare nulla.
Stava passando in
quel momento una delusione amara e l’ultima cosa che voleva era dare a sua
figlia un destino simile. Gli sguardi della gente, i bisbigli al suo
passaggio, le insinuazioni sui motivi che avevano spinto sua moglie a
lasciarlo.
Avrebbe aiutato Vanessa
a non arrivare a quel punto. L’avrebbe presa per mano e le avrebbe indicato
la strada giusta per non cadere.
Una pianta, dopotutto, se viene
aiutata, può crescere meglio.
Masato abbandonò l’incontro poco dopo
aver visto sua figlia scappare via con quel ragazzo italiano. Eppure non
andò subito a casa. Aveva bisogno di tempo e aria fresca per fare i conti
con quell’ennesimo fallimento.
L’aver fallito come padre nel proteggere
sua figlia sembrava però fare quasi più male dell’aver fallito come marito.
Quel ragazzo può renderla felice,
farla stare bene? Può capirla davvero?
Vedere il loro bacio
ritornando a casa gli fece paura. Ricordava quella leggerezza dei primi baci
e dei primi abbracci pieni di promesse e speranze.
Forse cercava,
attraverso sua figlia, di ricostruire i propri pezzi.
“A casa!” le ordinò
avvicinandosi.
Vanessa spalancò gli occhi, portò una mano alle labbra e
abbassò lo sguardo, come se l’avessero sorpresa a fare qualcosa di proibito.
Di nuovo quel timore, pensò Masato. Per un attimo tentennò e si insinuò
dentro di lui il dubbio che fosse davvero un pessimo genitore.
Andrea nel
vedere Vanessa così dispiaciuta sentì una stretta al petto e i soliti
timori, le insicurezze, sparino sostituiti dal coraggio. Prese la mano di
Vanessa e la strinse forte preparandosi ad affrontare il padre della
ragazza.
Il gesto sembrò dargli una sorta di scarica di adrenalina, ma a
quanto pare, non fu l’unico a cui fece quell’effetto. Vanessa alzò il viso e
puntò gli occhi, lucidi e scuri, in quelli del padre.
“Credevo avessi
capito” disse solo. Lo fece in italiano e Andrea apprezzò.
Per un attimo
sembrò che il padre non volesse dire niente, ma dopo poco sussurrò:
“Sarà imprevedibile”
.
Il suo italiano non era perfetto come quello di Vanessa, mostrava una
sorta di reticenza ad abbandonarsi ad una nuova pronuncia.
“Voglio
correre il rischio” rispose Vanessa.
Non fu un attimo, non ci furono
momenti rivelatori o calori nel petto, né vocine che gli sussurravano di
cambiare idea e che quella era la scelta giusta. Masato semplicemente capì
che quella era una battaglia che non poteva vincere.
Non aveva potuto
cambiare sua moglie o il suo modo di pensare e non poteva di certo
convincerla a tornare con lui. Non poteva dire alla gente che era ancora un
uomo, anche se era solo.
Non avrebbero capito che, in realtà, era stato
più coraggioso di molti altri a volare lontano da casa senza soldi e
sicurezza e vivere il suo sogno e la sua storia d’amore, anche se breve.
Non avrebbero capito che il ragazzo sorridente che imbiancava le staccionate
non aveva perso tutto perché era cambiato, ma erano state le perdite a farlo
cambiare.
Il ginseng è ancora lì.
Masato pensò che era ingiusto che fosse ancora lì, senza sua madre
che se ne prendeva cura. Grazie a lei era cresciuto dove non avrebbe potuto
crescere, ma non era morto con lei.
Faceva
male sapere che così come il ginseng poteva sopravvivere senza sua madre,
così sua moglie poteva stare bene senza di lui.
Vanessa era importante e
fragile. Voleva che quel qualcuno che le sarebbe stato accanto lo capisse.
“Io ci tengo a sua figlia” esordì Andrea.
Masato guardò quel ragazzo
prima con gli occhi di un padre e gli sembrò così poco adatto a proteggere
sua figlia, così inadeguato. Dopo poco però fu come rivedere se stesso in un
altro paese, lontano da casa, con un accenno di barba e la tracolla sulla
spalla.
Lara ed Ezio si avvicinarono a loro e Masato si rese conto che
avevano già dato abbastanza spettacolo.
“Andiamo a casa”
L’edificio dove abitavano era vicino, ma per tutto il tragitto Ezio tenne
d’occhio il padre di Vanessa.
“Tuo padre non ha una katana, vero? Devo
salvaguardare l’integrità del mio migliore amico” sussurrò a Lara.
La
ragazza alzò gli occhi. “Ovvio. Che razza di domande fai? La danno ad ogni
ragazzo una volta che, raggiunta la maturità, ha dimostrato la sua forza
uccidendo un’antilope”
Ezio abbozzò il suo solito sorriso. “Le antilopi
crescono in India”.
“E’ il primo animale che mi è venuto in mente” sbottò
Lara alzando gli occhi al cielo.
“Non è uno di quei momenti in cui
dovremmo essere tesi e preoccupati per la sorte degli innamorati?” continuò
poi alzando lo sguardo verso Ezio mentre si avviavano verso l’ascensore del
palazzo.
“Ho tutto sotto controllo” rispose Ezio umettandosi leggermente
la bocca.
Ad Andrea sembrò il viaggio in ascensore più lungo di
sempre. Voleva davvero che quell’uomo capisse quanto teneva a sua figlia.
Non mi sono neanche presentato.
Era assurdo pensare all’educazione in un momento come quello, ma non si
era mai posto un problema simile.
Crescendo in un paese non molto grande
conosceva già i padri delle sue coetanee.
Passare da ‘figlio
di’ a ‘ragazzo di’ era un
breve passo e spesso l’unico prezzo da pagare era l’imbarazzo iniziale.
Andrea non avrebbe mai immaginato che la sua prima visita a casa di Vanessa
sarebbe stata molto più simile ad una riunione di guerra, con le parti
schierate in modo silenzioso e pensieroso. Non si sarebbe nemmeno mai
sognato di aspettare un tè proprio mentre era senza scarpe e veniva fissato
intensamente dal padre della sua ragazza.
E’ la mia ragazza, giusto? Dovrei
chiederlo?
Quanto rimpiangeva i bei tempi della scuola elementare in
cui tutto era chiaro e semplice. Ti bastava strappare una pagina di diario e
scrivere una breve domanda. Il foglietto accartocciato poi diventava più
importante di un messaggero divino, ma non avevi bisogno che tornasse
indietro perché per qualche potere mistico dieci minuti dopo tutta la classe
era a conoscenza della risposta.
Beh, per me non era proprio così semplice, ma era davvero un metodo
infallibile.
Andrea lanciò uno sguardo ad Ezio con la coda
dell’occhio e lo vide tranquillo. Sicuramente voleva essere il primo a
parlare.
Era quello che facevano sempre dopotutto: Andrea combinava
casini ed Ezio risolveva la situazione.
Quello però non era un casino. Si
trattava di conquistare finalmente ciò che desiderava e che aveva aspettato
tutta la vita.
Strinse la mano a Vanessa e umettò la bocca pronto a
parlare. Quando però la aprì, Ezio lo precedette.
“Bene!” esordì il
ragazzo tra lo sgomento generale.
“Signore” continuò alzandosi e piegandosi leggermente imitando il saluto di referenza
giapponese.
“Mi presento: sono il
nakōdo*
di Andrea e Vanessa”
Andrea guardò l’amico in preda al panico.
Che
diavolo ha in mente?! E che diavolo è il nakodo?
“Penso di essere la
persona adatta a fare da intermediario per questa coppia perché nessuno
conosce Andrea meglio di me e capisce quanto questo ragazzo sia rispettoso,
non solo con sua figlia, ma con chiunque”
“Ezio…” iniziò Andrea, ma il
ragazzo abbozzò un sorriso invitandolo a lasciarlo continuare.
“Non ci
siamo presentati qui con chissà quali pretese o con chissà quali referenze.
Siamo ragazzi semplici e cerchiamo sempre di affidarci prima a noi stessi”
“Quindi” disse facendo una pausa “Visto che abbiamo rovinato l’ultimo, le
chiedo un incontro”
Masato sembrava sul punto di scoppiare. Vanessa era
sorpresa, Lara colpita.
“Credi che sia tutto un gioco?!” quasi urlò
l’uomo. “Quest-“
“No, signore” Fu però Andrea ad immettersi nel discorso.
Masato alternò lo sguardo da Andrea ad Ezio e scosse la testa. “Questi
ragazzi!”
“Vorrei un incontro con sua figlia” insisté il ragazzo.
Masato sapeva di aver perso già quella guerra, ma il suo orgoglio gli
impediva di cedere. In realtà tutto il suo essere giapponese gli urlava di
non cedere.
“Portandoci qui è come se avessi già accettato” notò Lara.
Andrea, nervoso, portò una mano al petto e guardò l’uomo negli occhi.
Sentiva il sudore gelato sulla pelle e continuava a ripetersi di essere
sicuro, fermo, deciso. Alla fine, decise solo di essere sincero.
“Non
sono ricco, non ho un lavoro decente… ho più sogni che ambizioni e spesso li
guardo da un vetro pensando di non poterli nemmeno sfiorare. Non ho ancora
una laurea e, in realtà, mi chiedo ogni giorno se ho fatto le scelte giuste,
se sto sprecando tempo. Non ho avuto un buon padre. Non ho avuto un esempio
da seguire...”
Ezio pensò che l’amico era stato fin troppo sincero.
Alla fine è sempre una specie di colloquio, no?
Raddrizzò la
schiena, pronto ad intervenire se ce ne fosse stato bisogno. Andrea intanto
prese aria.
“Ora non sono un candidato adatto per sua figlia, ma le
prometto che lo diventerò. Non le farò mai mancare nulla e così come è ora,
lei sarà il mio primo pensiero”
“Ragazzo, non fare promesse che non puoi
mantenere” lo ammonì l’uomo, quasi però con rassegnazione nella voce.
Prima o poi l’idillio finisce. Per tutti.“Lo prometto”
Era
quello, pensò Andrea. Era quello il suo posto nel mondo.
Masato non era
più un uomo di promesse. Era passato il momento dei sogni ad occhi aperti e
del futuro incerto.
Decise che non avrebbe accettato subito quel
ragazzo, ma che lo avrebbe messo alla prova.
Ricordava ancora benissimo
quando a quindici anni disse a suo padre che voleva fare il pittore e che
lavorare da impiegato non sarebbe mai potuto essere il suo lavoro.
Suo
padre lo aveva guardato negli occhi. Aveva studiato e fatto tutte le cose
perbene e nei giusti tempi e voleva che il figlio facesse lo stesso.
Masato però non faceva che pensare ai
pennelli e ai colori. Alle foto dell’occidente e ai maestri d’arte italiani,
così diversi da quelli orientali.
“Se lo vuoi davvero, provalo. Le tue
mani non saranno mai lisce, ma non avrai mai rimpianti” gli aveva detto suo
padre.
Lavorò sodo per anni per risparmiare il più possibile e volò in
Italia con tante insicurezze, ma anche una grande certezza: avrebbe fatto il
pittore.
I rimpianti c’erano stati, anche tanti, però non riguardavano
quella parte della sua vita. I rimpianti l’avevano paralizzato emotivamente,
eppure la pittura restava una parte di lui.
Semplicemente era una parte
che non voleva più esternare. La sua esperienza gli aveva fatto capire che
la strada sicura, diritta, è la migliore.
Sua figlia Lara lo avrebbe
chiamato ipocrita, senza remore.
“Quando me lo proverai, ti accetterò” disse ad Andrea.
“Papà!” esclamò
Vanessa, quasi scandalizzata.
“Va bene” rispose Andrea, accettando quel
tacito accordo.
“Cosa?!” continuò Vanessa passando lo sguardo da uno
all’altro. “Non devi provare niente” disse ad Andrea.
Suo padre stava
esagerando, lei e Andrea non potevano essere trattati come un accordo
commerciale o chicchessia. Le era stata tolta la possibilità di scelta per
troppo tempo.
Era stufa che sentimenti e persone venissero paragonati e
trattati come oggetti.
Andrea tese la mano per sigillare l’accordo e a
quel punto Vanessa non ci vide più. Fu lei a prendere la mano del ragazzo e a trascinarlo in cucina chiudendo la
porta alle loro spalle.
Era nervosa, irritata, arrabbiata e aveva
un’improvvisa voglia di rompere qualcosa.
Andrea si sorprese del gesto
e Vanessa lo vide provato, ma concentrato nel dissimularlo.
“Avevo già
intenzione di decidere cosa fare della mia vita” le spiegò. “Non voglio
certo fare il barista squattrinato tutta la vita. Questo è il segno, il
momento di svolta” continuò, la voce quasi roca.
Vanessa interpretò il
tono come una sorta di dovere. Non poteva sapere che Andrea era emozionato
di dirle certe cose. Voleva farle capire che avrebbe fatto di tutto per lei.
“Non deve essere per me. Devi farlo per te” cercò di fargli capire.
Andrea abbozzò un sorriso e portò una mano dietro la testa, imbarazzato.
Quasi non gli importò più delle persone in salotto, dell’aver lasciato il
padre della ragazza seduto a pochi metri di distanza nel mezzo di una
conversazione.
“Perché non può? Se è per te è anche per me” sorrise per
poi avvicinarsi e baciarla.
Non era il momento, non era il caso, ma
Vanessa ricambiò.
“Ci sarà un momento in cui farlo per me non ti basterà” sussurrò Vanessa staccandosi, la voce ridotta ad un sussurro.
“Fidati di me” rispose Andrea con il sorriso più dolce che Vanessa avesse
mai visto.
Uscirono dalla cucina. Ezio e Lara stavano perorando la loro
causa, ovviamente.
Non sarebbero riusciti a stare al loro posto in
nessun contesto.
“E’ così. Ha ragione” disse Lara indicando Ezio e
sistemandosi meglio sulla poltrona.
“Ammetti di aver perso,
oto-san”
accentuò il tono onorifico. Stuzzicarlo così in quel momento non li
aiutava per niente, pensò Ezio.
“Signore” Andrea si avvicinò. Tese la mano. Non era
sicuro che una stretta di mano avesse lo stesso significato in Giappone, ma
sapeva che l’uomo aveva vissuto in Italia per molti anni. Voleva solo che
accettasse e sentisse quanto significativa era quella stretta.
Con sua
sorpresa Masato si alzò e
sancì
l’accordo, guardandolo negli occhi.
Se non mi ha incenerito lui ora,
posso davvero affrontare tutto.
“
Papà” disse Vanessa facendo
girare entrambi.
La ragazza tese la mano verso il padre e alzò il mento.
“Anch’io ho qualcosa da provarti”
Note dell'autore:
È passato un anno e mezzo da quando ho aggiornato questa storia. È stato un periodo davvero difficile... di perdite, di fatica.
Non volevo però che questa storia rimanesse incompleta come me.
Spero vi piaccia. Il prossimo capitolo sarà l'ultimo!