New York, 8 anni prima
Un fulmine squarciò il cielo plumbeo. Il rumore del tuono,
che arrivò poco dopo, riuscì a coprire a malapena
il grido di piacere che la donna bionda si lasciò sfuggire
dalla labbra morse a sangue, nella vana speranza di non farsi sentire.
Imprecò sommessamente, mentre stringeva, con più
forza, il bordo della scrivania su cui era piegata.
Una risatina roca ed affannata le accarezzò l'orecchio
sinistro.
"Shhh!" la ammonì, divertito, il ragazzo alle sue spalle,
mentre spingeva ritmicamente dentro di lei.
La donna lo ignorò e continuò ad assecondare
quegli assalti che la condussero ben presto all'apice del piacere,
seguita a ruota dal compagno.
"Per Lilith!" esclamò soddisfatto il ragazzo, ansando e
risistemandosi i pantaloni.
"Stai migliorando!" si complimentò la donna, alzandosi e
girandosi per fronteggiarlo.
Il ragazzo le sorrise orgoglioso. "Faccio parecchia pratica!" rispose
allegro.
Una fitta di gelosia, tanto acuta quanto inaspettata, saettò
nel petto della bionda. Scosse la testa, come a voler scacciare quella
fastidiosa sensazione, rimise a posto la gonna e la camicetta e si
piegò per raccattare le mutandine gettate a terra neanche
dieci minuti prima. Si avvicinò felina al giovane e gliele
ficcò nella tasca posteriore dei jeans, palpando, visto che
c'era, la natica soda che sentiva sotto le dita. Quel moccioso aveva un
corpo perfetto per avere solo vent'anni.
"Quando lo rifacciamo?" chiese, in punta di piedi ed ad un soffio dalle
sue labbra, pentendosene un attimo dopo, perchè ora sarebbe
sembrata un'odiosa ragazzina alla prima cotta.
Non era, però, riuscita ad evitare quella domanda. Le
sarebbe piaciuto avere un atteggiamento algido con lui, cosa che le
riusciva perfettamente nella realtà di tutti i giorni con le
altre persone, ma da quando erano iniziati quegli incontri clandestini,
attendeva quella deliziosa ed eccitante evasione con sempre
più maggiore trepidazione.
Non sapeva se era tutto merito del ragazzino, che riusciva a farle
raggiungere l'estasi come non c'era mai riuscito nessun altro, o se era
per l'ebrezza del peccato, visto che era assolutamente proibita quella
tresca che, invece, era nata e continuata nel tempo. Forse per entrambe
le cose, decise.
"Non lo so! Devo andare. Ho altre commissioni da fare. Ci vediamo!" le
disse, per tutta risposta, il ragazzo, allontanandosi da lei ed uscendo
dalla stanza.
La donna incrociò le braccia al petto, irritata. Odiava
quando si comportava così. Quel mocciosetto, alla prossima
occasione, avrebbe dovuto sudare sette camicie per tornare a
trastullarsi con lei!
Sospirò seccata ed iniziò a sistemarsi per
tentare di eliminare ogni possibile traccia di quello che era appena
successo. Si accorse, con grande disappunto, che c'era uno strappo
sulla gonna. Il tessuto doveva essersi impigliato da qualche parte
quando il ragazzino l'aveva presa e sbattuta sulla scrivania. Avrebbe
dovuto gettarla ed era un peccato, perchè era una delle sue
preferite. Dannato moccioso!
Si girò di scatto non appena sentì richiudersi,
dietro di lei, la porta della stanza.
"Oh cielo!" esordì, portandosi la mano al petto. "Mi hai
fatto prendere uno spavento!" sorrise, mentre l'uomo che era entrato
nello studio si avvicinò a lei. "Sei tornato presto!"
osservò.
Lui non parlò, limitandosi a trapassarla con un'occhiata
glaciale che le fece rizzare i peli dietro la nuca. Oh oh. Era
arrabbiato. E parecchio anche.
"Tesoro, c'è qualcosa che non va?" chiese, con la voce
più mielosa che riuscì a tirare fuori,
appoggiando il palmo della mano sulla sua guancia.
Che sospettasse qualcosa? No, non era possibile. Lei ed il ragazzino
erano sempre stati estremamente cauti. Certo, in quel preciso momento,
suo marito sarebbe dovuto essere in viaggio di lavoro,
anzichè davanti a lei, ma questo non significava che era
stata scoperta.
L'uomo prese tra le dita il polso della donna e strinse, dapprima
leggermente, poi sempre più forte.
"Ahi! Mi stai facendo male!" lo avvertì la donna, tentando
di sottrarsi a quella morsa, senza tuttavia riuscirci. Non era
spaventata, ma cominciava ad agitarsi.
Il manrovescio che le arrivò all'improvviso,
però, le fece piegare la testa di lato e schizzare il cuore
in gola. Boccheggiò, sia per lo shock che per la botta
ricevuta. Ora, era il momento di iniziare ad avere paura.
Guardò smarrita, e con le lacrime agli occhi, l'uomo di
fronte a lei. "Perchè?" fu tutto quello che
riuscì a chiedere, prima che una scarica dolorosa la
trapassasse da capo a piedi.
Con occhi sbarrati di incredulità, abbassò lo
sguardo verso il proprio ventre. Un manico dorato, e finemente
lavorato, spiccava sul bianco candido della camicetta e su una macchia
rosso scuro che stava inzuppando velocemente il tessuto.
Rialzò gli occhi sull'uomo, che la guardava imperturbabile,
e sentì distintamente la lama ritirarsi dalla sua carne per
poi affondare di nuovo in lei, in un altro punto.
Avrebbe voluto urlare, ma le uscì solo un verso strozzato,
mentre la macabra danza del coltello continuava ancora, e ancora, e
ancora.
In un ultimo lampo di lucidità, mentre si accasciava al
suolo, si rese conto che stava morendo, che lui la stava uccidendo.
L'ultima cosa che sentì, prima di sprofondare
definitivamente nel buio che la stava risucchiando a sè, fu
la risata terrificante dell'uomo.
Il temporale era finalmente cessato e Magnus camminava lentamente lungo
il marciapiede, fermandosi, di tanto in tanto, ad osservare le vetrine.
Gli sarebbe piaciuto entrare in ogni negozio ed uscirne pieno zeppo di
sacchetti, ma la banca gli aveva bloccato, per l'ennesima volta, la
carta di credito perchè il conto corrente era in rosso. Accidenti! Quei damerini in giacca e cravatta non riuscivano a capire che
per lui avere l'ultimo modello di quelle scarpe favolose o quella
camicia assolutamente fantastica, che di certo non trovavi al mercatino
dell'usato, non era uno sfizio, ma questione di vita o di morte!
Insomma mica poteva andare in giro vestito da straccione, no?
Passò oltre una vetrina che l'aveva particolarmente
affascinato, ma ritornò sui suoi passi quando decise che la
giacchetta borchiata, che aveva ammirato per un numero imprecisato di
minuti, era troppo bella e non poteva lasciarla su quel manichino
inespressivo. Sarebbe stato un reato!
Se non ricordava male, doveva avere almeno duecento dollari nel
portafoglio. Bastavano eccome. Si tastò, quindi, le tasche
dei jeans.
Su quella di destra trovò le mutandine di Camille: le prese,
schifato, e le gettò nel bidone dell'immondizia
là accanto. Quando mise la mano nell'altra tasca,
però, scoprì di non averlo più con
sè. Cazzo! Doveva averlo perso mentre si dava da fare con la
donna!
Sarebbe dovuto tornare a riprenderlo, rivedendo, così, la
bionda. La cosa, però, anzichè eccitarlo, lo
seccava enormemente perchè, sì, lei era molto
bella e con le curve al posto giusto, ma stava diventando troppo
appiccicosa per i suoi gusti. Avrebbe dovuto dare retta al suo istinto
e non accettare di incontrarla nuovamente, dopo la prima scopata.
Magnus non era fatto per le relazioni stabili. A lui piaceva, infatti,
svolazzare di fiore in fiore e farsi uomini o donne (od entrambi,
perchè no?!) diversi ogni giorno.
Camille, però, era stata così insistente che,
alla fine, aveva ceduto. Non che gli fosse dispiaciuto, anzi, ma era
giunto il momento di troncare quel rapporto, fin troppo particolare
rispetto ai suoi soliti standard, soprattutto prima che lei diventasse
una spina nel fianco.
Sbuffò. In un certo senso era colpa sua. Essere troppo bello
e troppo desiderabile era la sua croce e la sua delizia.
Il motivo principale, comunque, per cui fece marcia indietro era che
non poteva permettersi di lasciare il portafoglio in quella casa. Se
fosse capitato tra le mani del marito di Camille, instillando anche il
più remoto sospetto che tra i due potesse esserci qualcosa,
Magnus era sicurissimo che entrambi sarebbero andati a fare compagnia
ai pesci in modo talmente veloce che non se ne sarebbero neanche resi
conto. Era meglio non far arrabbiare quell'uomo. Era inquietante. E
pericoloso.
Arrivato a destinazione, sgattaiolò all'interno della casa,
con la sicurezza che derivava dall'esperienza di averlo fatto decine di
volte.
Silenzioso come un gatto, ritornò nello studio, sperando di
non dover incontrare nuovamente Camille. Per Lilith, se lei era ancora
lì, sicuramente non se la sarebbe più scollata di
dosso!
La stanza, fortunatamente, era buia, ma vuota. Per evitare di farsi
scoprire, non accese la luce, ma solo la torcia del cellulare e
guardò sotto la scrivania, visto che era il posto
più probabile dove poteva aver perso il portafoglio, quando
si era slacciato i pantaloni. Lo trovò là,
infatti. Lo recuperò velocemente e, nel fare dietrofront,
scivolò su qualcosa di viscido, lasciando andare il telefono
nella caduta.
Aggrottò le sopracciglia e saggiò con le dita la
cosa viscosa che gli aveva fatto perdere l'equilibrio. Cos'era?
Ritornò in possesso del cellulare e
puntò la luce della torcia sulla mano: le dita erano
colorate di rosso. Il suo cuore prima perse un battito, poi
iniziò a palpitare furiosamente nel petto. Rapidamente
indirizzò il fascio di luce anche sul punto dove i suoi
piedi avevano perso aderenza e al ragazzo si fermò il
respiro.
Un'enorme chiazza scura spiccava sul pavimento dello studio e Magnus
era sicurissimo che, fino ad un'ora prima, quella cosa non c'era. Ne
era talmente certo che avrebbe potuto mettere la mano sul fuoco.
Quando finalmente il cervello recepì l'informazione visiva,
Magnus sentì improvvisamente l'odore metallico del sangue
invadergli ferocemente le narici. Gli venne da vomitare e, prima di
farlo, decise saggiamente di alzarsi da terra. Tremava mentre si
asciugava le dita sui pantaloni.
Di chi era quel sangue? Cosa era successo in quella stanza?
Il respiro si fece affannato ed incontrollato ed il ragazzo si impose
di calmarsi. Doveva farlo se voleva uscire indenne da quella situazione.
Era nella casa di uno degli uomini più pericolosi
dell'intero paese, c'era moltissimo sangue e lui poteva essere
incastrato per quell'omicidio o addirittura essere la prossima vittima.
Non impazziva per nessuna delle due ipotesi.
"Pensa Magnus! Pensa!" si disse, inspirando ed espirando più
e più volte.
Via. Doveva andare via da lì, subito.
Come prima cosa, decise di togliersi le scarpe, perchè le
suole erano macchiate di sangue ed avrebbero lasciato delle tracce che
avrebbero potuto ricondurlo a lui. Poi toccò alle impronte.
Quando si era dato da fare con Camille, aveva toccato qualcosa? Ci
pensò e, a parte il corpo della donna, era sicuro di non
aver sfiorato nessun'altra superficie.
Ok, doveva essere a posto.. il preservativo! Dove cazzo aveva buttato
il preservativo? L'aveva gettato nel cestino? Guardò nel
bidone, ma era immacolato. Stava per farsi prendere da un attacco di
panico, quando si ricordò di averlo portato via con
sè, quando se n'era andato dalla stanza la prima volta, e di
averlo gettato alla prima occasione utile.
Prese un altro respiro e, con cautela, sbirciò fuori dalla
porta per vedere se c'era qualcuno nei paraggi. Nella casa regnava il
silenzio assoluto e Magnus schizzò fuori dalla stanza.
Sperò e pregò di non incontrare nessuno durante
la sua fuga e, fortunatamente, fu accontentato.
Respirò a pieni polmoni non appena ritornò
all'aria aperta, come se fosse emerso dopo una lunghissima immersione.
Aveva appena girato l'angolo del muro di cinta dell'abitazione, quando
una voce lo gelò.
"Ehi! Ehi ragazzino! Fermati!" urlò un uomo.
L'istinto di sopravvivenza di Magnus gli gridò
prepotentemente di scappare e lui lo fece, dirigendosi verso il
marciapiede trafficato.
Vide solo una sequenza indistinta di volti, mentre correva a
perdifiato, e si accorse della donna solo quando le rovinò
sopra.
"Mi.. mi scusi!" ansimò Magnus. "Oh cielo, si è
fatta male?" le chiese, quando la aiutò a rialzarsi,
accorgendosi del suo volto sofferente.
La donna fece in tempo a fare un debole cenno di diniego, quando il
richiamo dell'uomo si fece risentire.
"Ragazzino! Ragazzino fermati!!" lo sollecitò.
Gli occhi di Magnus si spalancarono per il terrore. L'avrebbero preso e
Dio solo sapeva cosa gli avrebbero fatto. Torture, sevizie ed infine,
quando ormai sarebbe stato solo una poltiglia sanguinolenta, la morte.
La donna guardò prima il ragazzo e poi l'uomo che stava
avanzando verso di loro. Prese il polso di Magnus e lo
trascinò nel taxi che la stava aspettando, e che avrebbe
preso se lui non le fosse piombato addosso. Diede l'indirizzo al
conducente e l'auto partì prima che lo sconosciuto potesse
raggiungerli.
Magnus si girò verso di lei. "Grazie! Grazie! Grazie! Mi hai
salvato la vita!" le disse, colmo di gratitudine, prendendole le mani.
La donna sorrise. "Prego." rispose timidamente.
"Io sono Magnus!" si presentò.
"Lydia." rispose, laconica, la donna.
Il silenzio piombò nell'abitacolo ed i due si fissarono,
studiandosi.
Lui aveva un aspetto terribile, con i capelli sparati in tutte le
direzioni, gli abiti sgualciti e macchiati di sangue e scalzo, ma lei
era talmente pallida che sembrava pronta per la bara da un momento
all'altro! Era carina, però, e doveva avere all'incirca la
sua età, era bionda, aveva gli occhi azzurri, era ricca, a
giudicare dagli abiti che portava, e tremendamente incinta!
Lydia sorrise quando notò dove si era posato lo sguardo del
ragazzo.
"E' un maschio. Si chiamerà Max." lo informò,
rispondendo alla tacita domanda del giovane, mentre si accarezzava il
ventre.
"Sei sicura che ce ne sia solo uno là dentro?" chiese
Magnus, sorpreso.
Lydia rise divertita. "Sì, un solo bambino!"
confermò.
Il ragazzo guardò scettico la pancia, per nulla convinto di
quello che lei gli aveva appena riferito. Il ventre era talmente
prominente, che era certo che lei attendesse tre gemelli!
Ritornò lo sguardo sul suo viso e la guardò
preoccupato. "Non stai bene." constatò.
Il sorriso della donna si spense. "E' solo la fatica della gravidanza.
Non preoccuparti." gli disse, tentando di minimizzare il suo stato di
salute.
Anche in quel frangente, Magnus fece fatica a crederle, ma non voleva
sembrare invadente e non insistette. Oltretutto, anche se non si
conoscevano, e nonostante il suo aspetto, la donna non aveva posto
nessuna domanda né lo guardava con diffidenza. Evitare il
terzo grado, gli sembrava il minimo.
Guardò fuori dal finestrino e l'enormità della
situazione in cui si era cacciato lo riportò alla
realtà come una secchiata d'acqua fredda.
Era nei guai. Se lo sconosciuto, e Magnus non aveva motivo di
dubitarne, era uno degli scagnozzi del marito di Camille, lui doveva
assolutamente sparire dalla circolazione. Almeno fino a quando le acque
non si fossero calmate, almeno fino a quando non fosse stato sicuro di
non essere più in pericolo di vita. Con Valentine
Morgenstern non si scherzava.
Il suo istinto gli diceva che, nel punto in cui c'era l'enorme pozza
rosso scuro, qualcuno era morto e non aveva nessuna intenzione di
essere nei paraggi per fare la sua stessa fine.
La cosa più logica da fare sarebbe stata quella di chiamare
la polizia, ma cosa avrebbe potuto dire? E come avrebbe potuto
giustificare la sua presenza in quella casa, senza compromettere
Camille? Certo la donna stava diventando una palla al piede, ma, nel
caso in cui ci fosse stata una spiegazione plausibile per tutto quel
sangue, Magnus rischiava di darla in pasto alla cattiveria del marito
ed era una cosa che non avrebbe fatto mai e poi mai. Non avrebbe
augurato l'ira di Morgenstern neanche al suo peggior nemico!
L'unica idea che gli veniva in mente, quindi, era quella di fuggire il
più lontano possibile.
Sospirò affranto. Dove poteva andare? Non voleva coinvolgere
i suoi migliori amici e non aveva una famiglia presso cui rifugiarsi.
Emise un altro sospiro sconsolato e Lydia lo notò.
"Tutto bene?" gli chiese dolcemente.
"Sì.. no.." ammise il ragazzo. "Devo.. devo andare via da
New York il prima possibile." le confessò, proprio mentre il
taxi si fermava all'indirizzo richiesto dalla donna.
Lydia lo osservò in silenzio e poi annuì. "Tra
pochi minuti mi imbarcherò sulla Queen Mary 2." lo
informò. "Viaggio da sola." gli disse, facendo una pausa, in
attesa che Magnus recepisse l'informazione che gli aveva appena
fornito. "Ma questo lo sappiamo solo tu ed io. E avrei davvero bisogno
di qualcuno che venisse con me." terminò.
Il ragazzo fissò il volto della sua salvatrice e
riuscì solo ad annuire, grato per quella
possibilità che quell'angelo biondo gli stava servendo su un
piatto d'argento.
"Signor Bane, ecco suo figlio!" annunciò l'infermiera,
ponendogli delicatamente tra le braccia il neonato.
Magnus guardò spaesato prima la donna e poi il bambino. Non
sapeva assolutamente niente di infanti e quella donna gliene aveva
appena appioppato uno. Per Lilith! Lo stava tenendo bene? Gli stava
facendo male? Perchè non emetteva un suono?
"Lydia!" si ricordò improvvisamente, "Come sta?" chiese
all'infermiera.
La donna si rabbuiò. "Ecco.. vede.. Oh! Sta arrivando il
dottore!" disse la donna, sollevata di non essere lei a dover dare la
notizia al giovane.
Il medico arrivò di fronte a Magnus. "Signor Bane, purtroppo
la sua fidanzata non ce l'ha fatta. Ha avuto una forte emorragia, che
siamo riusciti a fermare, ma poi è andata in arresto
cardiaco e.. Signor Bane, abbiamo fatto tutto il possibile e.. Mi
dispiace.. mi dispiace moltissimo per la sua perdita." gli
comunicò serio.
Magnus riuscì solo ad annuire e, prima di far cadere il
bambino, decise che era meglio sedersi.
Lydia era morta. Morta.
Doveva piangere, voleva piangere, ma il bambino tra le sue braccia
emise un gorgoglìo e Magnus abbassò lo sguardo su
di lui.
Da quel che poteva giudicare, era davvero bello. Aveva una pelle
morbida, i capelli neri e gli occhi di un'incredibile
tonalità di blu, diversi da quelli della madre, che non
mollavano i suoi un attimo.
"Ciao Max!" sussurrò con il groppo in gola, mentre il bimbo
si appropriava del dito con cui gli aveva accarezzato la pelle.
"Signor Bane, possiamo fare qualcosa per lei? Vuole che chiamiamo
qualcuno della sua famiglia?" gli chiese l'infermiera, premurosa.
Magnus scosse la testa. "No, grazie." rispose distratto. "Loro.. loro
stanno arrivando." la informò con un filo di voce.
Il medico e l'infermiera annuirono, lasciando poi i due da soli.
Il giovane cullò il neonato, in attesa che i suoi amici
arrivassero. Era riuscito a chiamare Tessa mezz'ora prima e l'amica,
dopo la sorpresa iniziale, gli aveva assicurato che lei e Jem sarebbero
arrivati il prima possibile. Quando avrebbero visto Max, era certo che
ai due sarebbe pigliato un infarto!
Magnus sospirò. Non aveva idea di come ci si prendesse cura
di un bambino, delle sue necessità, di quello di cui aveva
bisogno, ma aveva fatto una promessa ed era intenzionato a rispettarla
fino alla morte.
Sì, c'era questo "piccolissimo" dettaglio che il piccolo non
era suo, mentre tutti pensavano l'esatto contrario, e che poteva essere
tranquillamente incriminato per rapimento, ma non volle pensarci in
quel momento. Le emozioni, che gli si agitavano nel petto, erano troppo
grandi per ragionare lucidamente.
Lydia, inoltre, era stata categorica: il padre naturale del bambino non
doveva essere coinvolto. Magnus non aveva osato chiederne il motivo,
perchè le doveva la vita e l'avrebbe assecondata in tutto e
per tutto, ma doveva ammettere che la domanda bruciava ancora sulle sue
labbra.
La donna era riuscita a farlo imbarcare sulla nave, spacciandolo come
suo fidanzato, ed il ragazzo ci aveva visto giusto quando aveva
ipotizzato la sua agiatezza economica, perchè uno degli
ufficiali dell'imbarcazione era stato ben felice di chiudere un occhio,
sul fatto che Magnus non aveva il biglietto, quando lei gli aveva
sventolato, sotto al naso, una lauta ricompensa per il suo silenzio.
Magnus aveva avvisato i suoi amici di New York che si sarebbe assentato
per un po' e, dopo una settimana di navigazione, lui e Lydia erano
diventati amici, se così si potevano definire due che non
sapevano assolutamente niente l'uno dell'altra, se non le cose
più frivole.
Tutto quello che il ragazzo era riuscito a scoprire era che anche lei
stava scappando da qualcuno. Chi era e perchè stesse
fuggendo da lui, non era dato sapere. Lydia si era cucita la bocca a
riguardo e non avevano più toccato l'argomento.
Non appena sbarcati, la donna era entrata in travaglio e dopo neanche
un'ora era diventato padre e "vedovo".
Se qualcuno gli avesse predetto che, a vent'anni, sarebbe stato
entrambe le cose, gli avrebbe riso in faccia talmente tanto da farsi
venire le convulsioni.
Ripensò all'ultimo momento in cui aveva visto la donna e
strinse un po' più forte a sè il bambino.
"Prometti.. prometti.."
ansimò pesantemente Lydia, prima di sparire dietro le porte
della sala parto.
"Cosa?" chiese Magnus,
afferrandole la mano.
"Prometti.. promettimi
che ti prenderai cura di lui." lo supplicò Lydia,
stringendogli le dita. "Ti prego Magnus, promettimelo!"
gracchiò sofferente.
Magnus prese un respiro
profondo ed annuì. "Lo giuro." dichiarò
solennemente.
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