L'inizio del nostro mondo.
È una fredda mattinata
d’autunno a New York, l’estate
indiana se n’è andata da qualche giorno e la
città è stretta nella morsa del
gelo.
Io guardo dalla finestra mentre bevo il mio caffè
quotidiano, gli alberi sono scossi da un vento impietoso e le foglie
roteano
come impazzite in mulinelli.
Io sorrido, ho imparato ad apprezzare la natura in
Louisiana, quella vera fatta di parchi, prati e paludi, non quella
addomesticata di città. Mi fa sentire a casa che anche in
questa città così
grande e piegata all’uomo ci sia un elemento incontrollabile
come il vento.
Mi chiamo Deirdre, ho vent’anni, ho gli occhi tra il
verde e il castano con pagliuzze dorate ombreggiati da lunghe ciglia
nere,
capelli castano chiaro con ciocche bionde e uno spazio tra i denti
davanti che
mi dà un’aria simpatica. A scuola mi paragonavano
a una zucca di Halloween, ma
ho imparato a passarci sopra, e un corpo agile e scattante.
Sto frequentando il secondo anno della facoltà di
giornalismo alla NYU, l’università di New York.
Prestigiosa e costosa, ha la
sua élite, ma io non ne faccio parte, ho imparato a stare
lontana dalle
gerarchie al liceo.
Mio padre paga la retta con il fondo che mia madre ha
lasciato per la mia istruzione, il resto me lo pago con un lavoro in un
Mac
Donald, incluso questo appartamento alla periferia della
città.
Fino alla fine dello scorso anno scolastico lo dividevo
con Ellie, una ragazza di colore, ma poi sua madre è morta e
lei è dovuta
tornare a casa in Alabama per dare una mano alla sua famiglia.
Nessuno può capirla meglio di me, mia madre è
morta
quattro anni fa e mio padre ha deciso che ci saremmo trasferiti in
Louisiana,
prima a New Orleans, poi a Charmette, un paesino di provincia.
Ed è lì che la mia vita è cambiata,
come nelle fiabe.
Finisco il caffè, lavo la tazzina e poi prendo la giacca
e lo zaino, chiudo a chiave l’appartamento e scendo le scale
di corsa. Affronto
il vento con un sorriso sul volto, ma quando mi infilo nella fermata
della
metro mi sento meglio, l’aria è davvero fredda.
Salgo sul convoglio della mia linea e mi aggrappo
saldamente alle sbarre, mi sento nel mio elemento in qualche modo. Sono
una
newyorchese di ritorno, ci ho vissuto per sedici anni prima del
trasferimento
nel sud. Avevo anche una migliore amica, si chiamava Marissa, non
l’ho mai contattata
quando ero a Charmette e quando ci siamo riviste è stato
deludente.
Lei mi ha rovesciato addosso un torrente di parole vuote
sulle mode che si sono succedute a scuola, sulle feste, sui ragazzi e
io non
riuscivo a trovare le parole giuste per raccontarle di Johnny.
Mi sembravano tutte piccole e inadatte per rendere la
magia di quell’incontro, poi ho capito che era inutile, lei
non avrebbe capito
cosa significasse sentirsi la metà di una persona, lei era
ancora una
ragazzina.
Non ci siamo più viste da allora e non passi giorno che
io non pensi a lui.
Johnny Vouchamps.
A scuola lo chiamavano Johnny Voodoo perché era un
senzatetto che conduceva una vita randagia che non si poteva
incasellare ed
erano fiorite attorno a lui le leggende più strane come
quella che praticasse
il voodoo o sapesse svanire nell’aria.
Lui voleva essere chiamato solo Johnny, l’unica volta che
l’ho chiamato come lo chiamavano loro l’ho ferito,
perché per lui io ero la
ragazza nuova che non sapeva del suo passato, una sorsata
d’aria pura
probabilmente.
Lui per me invece era il ragazzo dalla pelle ambrata, dai
capelli castani con riflessi rossicci, gli occhi scuri dolci ed
espressivi, con un cappello calato su di essi e una fisarmonica sulle
spalle.
Il ragazzo che parlava attraverso la musica e che mi
capiva meglio di quanto io capissi me stessa e mi ha insegnato cosa sia
l’amore.
Il ragazzo che se n’è andato.
Johnny aveva un fratello, Leander, che stava male e che
aveva bisogno di assistenza, fino a che io non sono entrata nella sua
vita
bastava la sua musica a curarlo. Dopo tutto è cambiato.
Se n’è andato per Leander e forse per la freddezza
volubile dei miei diciassette anni.
A una festa si era comportato male con me, anche se in
realtà ero stata io a ferirlo per prima, e io non riuscivo a
passarci sopra. Mi
dicevo che la chimica se ne era andata, ma era solo orgoglio, a
diciassette
anni si fa confusione con i sentimenti.
Ho capito tutto quando era troppo tardi, quando lui era
andato via e mi aveva lasciato la sua barca e la sua capanna nel bel
mezzo
della palude. Ho sempre tenuto in ordine quel posto un po’
perché era diventato
il mio posto segreto, un po’ perché speravo che
lui tornasse.
Ci ho fantasticato sopra così tante volte che ho perso il
conto, mi sono detta che – se anche non lo avessi
più rivisto – lui viveva nel
mio cuore insieme con mia madre. La speranza è lenta a
morire e spero ancora di
vederlo, un paio di volte sono persino tornata a New Orleans con il
cuore che
batteva a mille e la mente piena di aspettative, ma non l’ho
trovato.
Dissolto nell’aria come nelle leggende.
Ripenso alla sua musica a come suonava quella
fisarmonica, sapeva evocare mondi che esistevano solo nella sua
fantasia,
potevano essere sogni o incubi a seconda delle occasioni, e a come
cantava in
quel misto di inglese e francese. Mi incantava e capivo
perché per suo fratello
fosse una cura.
Lo è stata anche per me per un po’.
Chiudo gli occhi e mi sembra di risentire quella canzone
che mi ha suonato nella palude attirando a sé dei
coccodrilli e stregando
persino loro, un ricordo avvolto di amore e magia.
Ora la capanna è di mio fratello Kenny, ci andiamo
insieme quando io sono a casa per le vacanze universitarie.
La mia fermata arriva e io scendo con in testa l’eco di
quella fisarmonica, di come avesse suonato triste nel bosco vicino a
casa mia
poco prima che se ne andasse.
Sto per imboccare le scale dell’uscita quando mi blocco,
all’improvviso non so cosa sia vero e cosa no, qual
è il confine tra sogno e
realtà. Sento qualcuno suonare la fisarmonica come faceva
lui e non so se sia
uno scherzo che mi sta giocando la mia mente.
Credo che ci sia solo un modo per scoprirlo: seguire
quella musica.
I miei piedi si muovono da soli, urto pendolari
frettolosi, passanti dall’aria stanca e perdigiorno, ma la
musica diventa più
forte.
Il mio cuore salta qualche battito.
È lui, seduto per terra su di una coperta indiana,
vestito di nero, i riflessi rossicci dei capelli sottolineati dalla
luce al
neon impietosa della metro, sono ancora lunghi fino alle spalle come
tre anni
fa.
La musica è triste e parla di una ragazza persa, una che
ha dovuto lasciarsi alle spalle per non trascinarla nel suo mondo,
qualcuno che
gli manca da fargli male.
Sono io?
Dopo di lui non ho più avuto ragazzi fissi perché
quando sai di
essere la metà di qualcuno non ti va di provare pezzi di
puzzle che sai essere
sbagliati sin dall’inizio.
Rimango ipnotizzata, trascinata a Charmette, alla
capanna, alla palude, alle notti di luna nella radura, al parco dove ci
siamo
incontrati.
“Johnny…”
Sussurro, lui alza gli occhi e la musica si interrompe
all’improvviso.
Ha gli occhi puliti come tre anni fa, occhi in cui leggi
quello che prova.
Si alza in piedi e lascia perdere la fisarmonica.
Copre la distanza che ci separa come in un sogno, il mio
cuore e il mio corpo sono tesi fino allo spasimo per la voglia di
risentire il
suo tocco, mi sembra di aver persino smesso di respirare.
E poi sono tra le sue braccia, più muscolose, ma con lo
stesso profumo di bosco, di non domato, il profumo che ricordavo e che
amo.
Seppellisco la testa nel suo petto e il mondo cessa di
esistere, ci siamo solo noi.
Non mi importa di quelli che imprecano perché gli
sbarriamo la strada o di quelli che applaudono.
Siamo tornati a essere solo Johnny e Deirdre.
Siamo tornati a essere una sola anima in due corpi
diversi.
Io l’avevo quasi amato, ma la sensazione di completezza
che provavo con lui era reale.
Quando ci stacchiamo sorridiamo entrambi, un po’
impacciati, ma anche felici.
Prendo la sua mano tra le mie.
“Vieni.”
Sussurro.
“Vieni con me, non te ne andare di nuovo.”
“Non me ne andrò.”
Prendiamo la metro per tornare al mio appartamento, per tutto il tempo
le
nostre mani non si staccano e io mi sento al sicuro, come se qualcuno
avesse
acceso una luce in me da lungo tempo dimenticata.
È come se le lampade di kerosene della capanna nella
palude fossero dentro di me.
Aspettavo questo momento da quando lui se n’è
andato.
Il mio appartamento non è certo una reggia, ma lui si
guarda attorno meravigliato.
“Deirdre è bellissimo! Ci sono i colori del
sud.”
Dice osservando le tende gialle e arancioni.
“Gli anni in Louisiana mi hanno cambiato, vuoi qualcosa
da bere?
Caffè? The?”
“Del caffè.”
Io annuisco.
Metto la moka sul fuoco e quando è pronto mi siedo con
lui al tavolo del salotto, ognuno con una tazza in mano. Lui beve a
piccoli
sorsi.
“È davvero buono, forse perché
l’hai fatto tu.”
Io sorrido.
“Dove sei stato in questi anni?
Ti ho aspettato, ti ho cercato.
Più di una volta sono andata a New Orleans, ma di te non
c’era traccia, nessuno aveva visto né te
né Leander.
A proposito, come sta tuo fratello?”
Lui abbassa gli occhi.
“È morto. Aids.”
Io gli stringo forte le mani, i suoi occhi luccicano come se la ferita
fosse
fresca e dolorosa.
“È stato orribile vederlo spegnersi poco a poco,
non
avevamo i soldi per le cure e poi anche se li avessi avuti la malattia
era a
uno stadio troppo avanzato per poter fare qualcosa.
Con lui se n’è andata una parte di me,
l’ultimo legame
con la famiglia.”
Rimane in silenzio per un po’.
“Poi ti ho vista tra la folla e quasi non ci credevo,
pensavo che tu saresti sempre stata il mio ricordo felice…
Ma forse è stato l’ultimo regalo di Leander farci
incontrare di nuovo.”
“Credo che tu abbia ragione, mia madre e tuo fratello devono
essersi incontrati
dall’altra parte e forse hanno visto che da soli non ce la
cavavamo bene.”
“Leander è morto un anno dopo che ho lasciato
Charmette, eravamo a New Orleans.
Il giorno dopo il suo funerale ho preso un treno e sono andato in
California.
Ci ho vissuto un anno, sentendomi solo come un cane, sbarcando il
lunario come
meglio potevo. Ho fatto il cameriere, l’operaio, suonato per
locali e per
strada, ma non riuscivo a trovare una direzione precisa.
Quando ho avuto i soldi necessari ho mollato tutto e sono
andato a New York e qui mi sono sentito meglio, come se il mio spirito
sapesse
che ti avrei ritrovata in questa città incasinata.
Mi ricorda la palude, se prendi una strada sbagliata sei
fottuto.
E tu?”
“Ho finito il liceo a Charmette, come ti ho detto qualche
volta sono andata a
New Orleans.
Con Curtis le cose vanno meglio, a volte litighiamo
ancora, ma non lo odio più come lo odiavo prima, ho capito
che non era tutta
colpa sua se la mia famiglia è andata in pezzi.
Sta ancora con quella Robyn, dipinge e cerca di badare a
mio fratello.
Kenny adesso esterna le sue emozioni quasi normalmente,
ha qualche amico, ha preso l’accento del Sud ed è
innamorato di una ragazza.”
“Perché a un certo punto sei diventata
così strana e poi
fredda con me?”
Io sospiro.
“Dopo la nostra notte alla palude in cui mi avevi detto
che l’amore era sempre con me come una spada invisibile o un
angelo a casa mia
c’è stato un casino.
Abbiamo litigato come matti e Curtis ha costretto Kenny a
dire che aveva visto mia madre a letto con un altro uomo. In quel
momento ho
pensato che l’amore con me non c’era, che tu mi
avevi mentito e mi sono
arrabbiata con te.
Perdonami, ero una diciasettenne stupida.”
Lui mi sorride e mi accarezza una mano, io chiudo gli occhi.
“Dopo il liceo mi sono iscritta a Giornalismo qui alla
NYU, mamma mi aveva lasciato un fondo per gli studi, fino
all’anno scorso avevo
una coinquilina, ma poi se n’è andata per ragioni
familiari.”
“Capisco.”
Mi perdo di nuovo in quelle pozze scure che sono i suoi occhi, sono
quello che
mi hanno attirata verso di lui anni fa. Torno di nuovo la diciasettenne
di un
tempo, ci avviciniamo lentamente ci baciamo con dolcezza, come per
raccontare a
modo nostro gli anni in cui siamo stati divisi, quando ci stacchiamo ci
sorridiamo e lui mi accarezza una guancia, io mi ci appoggio inalando a
pieni
polmoni il profumo di bosco.
“Sai di palude, di bosco, di qualcosa di non domato.
Dio, quanto mi è mancato questo profumo. L’ho
cercato in
tanti posti, ma non erano te.”
“Tu sai di pulito e di rabbia che pulsa.
Quella rabbia buona che ti aiuta a tenerti in vita.”
“Johnny.”
“Deirdre.”
Ci baciamo ancora e ancora, sempre più voracemente.
Mi è mancato e da quello che sento sono mancata anche a
lui, gli steccati della ragione cadono uno a uno e ascolto quello che
si dicono
i nostri corpi. Parlano un linguaggio loro, quello di chi si conosce da
tempo,
ma è stato costretto a stare lontano.
Lui mi prende gentilmente in braccio e io lo guido verso
la mia minuscola camera da letto, alterniamo sorrisi a baci e carezze.
I suoi
occhi dolci ora sono un po’liquidi per il piacere e
leggermente più scuri, noto
un accenno di barba e che i suoi muscoli sono davvero leggermente
più definiti.
Mi adagia gentilmente a letto e si guarda attorno, la mia
camera è sui toni del verde.
“La radura.”
Mormora.
“Sì, è come la radura. È
come se avessi aspettato te e
solo te in questi anni, Charmette mi ha cambiato o meglio un ragazzo
selvaggio
che non ho capito fino in fondo.”
“Io invece ho portato nel cuore una ragazza che era come
un gatto randagio, il mio piccolo gatto randagio.”
Si sdraia accanto a me e riprende a baciarmi, le sue mani
mi accarezzano esitanti con lentezze, le mie fanno lo stesso. Non ho
avuto
molti ragazzi con cui fare pratica in questi anni e credo che nemmeno
lui abbia
avuto molte ragazze.
Piano piano i nostri vestiti vengono tolti uno dopo
l’altro, le sue mani ruvide sulla mia pelle mi procurano
tanti piccoli brividi
che diventano gemiti, soprattutto quando tocca esitante il mio seno.
Lo accarezza prima, poi lo lecca e infine succhia il
capezzolo, io inarco la schiena e accarezzo i muscoli delle sua scena e
i
bicipiti, cerco di scendere ai boxer, ma lui me lo impedisce.
Sembra che voglia imparare a memoria ogni angolo e ogni
curva del mio corpo con il suo, gli occhi sono chiusi e muove in modo
impercettibile le labbra come se stesse pregando.
Quando anche i miei slip sono andati mi sento autorizzata
a togliergli i suoi e lo guardo: guardo i muscoli appena accennati, il
tatuaggio di un gatto sul petto, tante piccole cicatrici e
più grandi sulla
schiena, come se lo avessero picchiato.
Vorrei baciargliene una a una per sostituire il ricordo
del dolore con quello dell’amore, ma lui sta esplorando la
mia intimità e ogni
pensiero evapora.
È come se stessimo ballando sotto le stelle in mezzo a un
bosco e non in una giungla di cemento, il primo orgasmo esplode come un
fuoco
d’artificio.
Mi lascio andare sul letto e lo guardo, i suoi occhi ora
sono completamente annebbiati, io lo prendo e lo guido in me.
“Vieni.”
Gli dico semplicemente.
“Sì.”
Inizia a spingere prima piano con spinte lunghe, che salgono come la
marea e
poi sempre più veloci, le mie mani gli graffiano la schiena,
i nostri gemiti
saturano la stanza.
Salgono d’intensità come le nostre emozioni.
Io sono sua, lui è mio.
Quando finalmente raggiungiamo l’orgasmo urliamo i nostri
nomi e poi ricadiamo abbracciati come un unico corpo.
Respiriamo affannati, le mie mani che giocano con i suoi
capelli umidi, le sue che accarezzano il mio corpo.
“È stato come l’avevo sempre
sognato.”
Mormora.
“Sì, anche per me. Girati.”
“Cosa?”
“Volta la schiena verso di me.”
Lui ubbidisce titubante, io percorro una delle sue cicatrici lunghe e
profonde
con un dito, lo sento rabbrividire.
“Ti picchiavano, vero?”
Lui non risponde e io bacio una cicatrice.
“Cosa stai facendo?”
“Cancello il dolore, permettimi di farlo.”
“Solo tu potresti.”
Accarezzo e bacio ogni cicatrice, lo sento rilassarsi
sempre più.
“Mi hai purificato, vieni qui.”
Mi accoglie tra le sue braccia di un bel colore ambrato e
mi stringe a sé.
“Promettimi che questa volta non te ne andrai.”
“Deirdre, non ho nulla da offrirti. Che futuro potremmo
avere?”
Io alzo un gomito e gli tocco il naso.
“Quello che vogliamo noi, un anno ancora e sarò
libera.
Ti seguirò nelle tue avventure o dovunque tu voglia
fermarti.”
“Non te lo posso chiedere.”
“Non è una tua richiesta, è una mia
decisione se la accetti.
Ti ho già lasciato andare una volta e sono quasi morta,
non voglio che accada di nuovo.
I ricordi non bastano a volte, servono cose concrete e
poi questa volta è diverso, io sono diversa.
La Deirdre di diciassette anni ti ha quasi amato, quella
di venti ti ama con tutta sé stessa e la forza dei
sentimenti non espressi.”
Rimango un attimo in silenzio.
“E poi quando sei andato mi hai lasciato tutto quello che
avevi, mi hai offerto un rifugio, un modo per prenderti cura di te.
Io vorrei, se non ti sembra troppo, offrirti questo
appartamento, vorrei che anche tu avessi un rifugio.”
“Ma la tua vita?”
“Va tutto bene, qui vivo sola e vado solo in
università e
al lavoro, le feste non mi interessano.
Quelle a Charmette ci hanno allontanati.”
Sbadiglio.
“Piccola, hai bisogno di dormire.”
“Dimmi che ti ritroverò al mio risveglio e che
questo non è stato solo una
parentesi.”
“Questo ha cambiato tutto.”
“Johnny…”
“Ci sarò, ora dormi.”
Ci copre e mi tiene stretta a sé accarezzandomi i capelli.
“Potresti cantare per me la canzone dei coccodrilli, per
favore?”
“Sì.”
Inizia a cantare con quella sua voce profonda e ruvida, in cui alterna
inglese
e francese.
Ho come l’impressione che minuscole lucciole si alzino
dai tappeti azzurro-verdi, e che nel soffitto si accendano le stelle di
quella
notte magica.
Sorrido e mi rannicchio meglio contro di lui.
Piano piano scivolo nel sonno serena come non lo sono da
anni.
Al mio risveglio sono sola.
Con il cuore che batte a mille infilo le mie mutandine e
la prima maglia che trovo, spalanco la porta della camere e lo trovo in
cucina,
tiro un sospiro di sollievo.
“Mi hai fatto spaventare.”
Lui mi sorride e noto che è a torso nudo.
“Me ne sarei andato senza maglia?
Quella che indossi tu?”
Io noto la maglietta nera larga che indosso non è mia, ma
sua.
“Dio, ti ringrazio.”
Dico a bassa voce.
“Grazie per non essertene andato.”
“Ho deciso di accettare il tuo regalo, questo sarà
il mio rifugio e poi
vedremo.
Progetteremo la vita un passo alla volta, ma insieme.
Io sono tuo.”
“E io sono tua.”
Mi avvicino a lui e guardo cosa bolle in pentola.
“Uhm! Salsiccia e fagioli!
Buona!”
L’orologio segna le due del pomeriggio e lui fischietta
tranquillo.
“Sono pronti, Deirdre.”
“Ottimo.”
Preparo velocemente la tavola e poi lui appoggia la pentola in mezzo,
ognuno
prende le porzioni che vuole, lui divora da solo metà del
pasto.
Doveva essere da molto che non mangiava.
“Ci sono delle cose che dobbiamo andare a prendere?”
“Tutto quello che ho è lì.”
Mi indica la sua fisarmonica e un capace zaino militare a cui noto che
è appeso
un medaglione, di quelli che si aprono. Lo apro e
c’è una mia fotografia
dentro, risalente a quando andavo al liceo.
Mi scendono due lacrime furtive che asciugo subito.
“Allora portiamo tutto di là.”
Lui prende lo zaino e ripone il contenuto nel mio armadio, i nostri
vestiti
sono mischiati adesso, ci sono delle nuove coperte, uno spazzolino e
una
spazzola di più in bagno e tutto questo mi rende
immensamente felice.
Ho delle salviette per lui e possiamo comprare il resto,
quasi non mi sembra vero.
Inizio a saltellare come una bambina, alzando le mani al
cielo, lui mi abbraccia da dietro e mi solleva da terra facendomi
ruotare verso
di lui.
Ci baciamo ancora.
“Grazie, Deirdre.”
“Grazie a te per avermi dato un rifugio e insegnato
l’amore senza chiedere nulla in cambio.
Ti amo, Johnny.”
“Ti amo anche io, ti ho sempre amata.”
Altri baci.
Mi porta sul divano e accende la tv, ci avvolgiamo nella
coperta e guardiamo vecchi cartoni per bambini, ridendo e stringendoci
le mani,
accarezzandoci.
Ho sempre pensato che se avessi visto di nuovo Johnny si
sarebbe chiuso un cerchio, ma mi sbagliavo.
Il cerchio non si è chiuso, si è allargato,
accoglie una
nuova persona, nuovi sogni e progetti, esperienze che dovremo fare.
Il cerchio indica anche una meta, un giorno vorrei essere
Deirdre Vouchamps e dividere davvero tutto con lui.
Un passo alla volta ci arriverò, i cerchi non si chiudono
mai davvero, se ne aggiunge solo uno, come una catena o una collana,
che ti
porta in nuove situazioni o percorsi.
Stretta a lui sento che il cammino è solo
all’inizio, ma
sento anche che ce la faremo in qualche modo.
Siamo anime gemelle, due corpi con la stessa anima.
Collane che non si rompono.
Sorrido un po’ di più e mi lascio andare a questo
pomeriggio che sa di inizio.
L’inizio del mondo e io sono lì pronta a dire
sì.
Il mio mondo sta iniziando solo ora.
Stringo la sua mano.
Il nostro mondo sta iniziando solo ora.
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