Salva il corpo, salva la mente di Melitot Proud Eye (/viewuser.php?uid=1469)
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Nota: salve a
tutti, e Buon Anno! Sono desaparecida da un po', lo so, ma è
stato un anno incasinato. Non ho smesso di scrivere, comunque, e questo
è il mio contributo al fandom di Jurassic
Park, che amo
da quando ero piccola :D Ok, Jurassic
World non
è niente di che, ma quelli vecchi li adoro.
Ah,
la fanfic fa parte del Yuletide Exchange 2017 di AO3 ed è
stata postata come regalo anonimo di Natale. Questa è la
versione originale non tradotta. Spero che vi piaccia :D
Tags: Alan
Grant/Ellie Sattler, Alan Grant & Ellie Sattler
& Ian Malcolm, Past Relationship(s), Friendship, Lovers to
Friends, Friendship/Love, Alan's patience, Ian being Ian, Dinosaurs,
Angst, Trauma, Nightmares, Survival, Developing Friendships, Kind of a
progressing-flashfics series?, Velociraptors, T-Rexes, Yuletide 2017,
Flashbacks, Friends to Lovers, Children.
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Salva il corpo, salva la mente
I
È una svegliata. Oh, una
bella svegliata.
L'adorata indolenza che
lo accompagnava dai tempi dei castelli di sabbia finisce
così: con
uno schiocco di denti. Un ruggito, e un volo, e un laccio emostatico
in mezzo alle fascine bagnate di un tetto.
Finita la vita da eterno
universitario. Finiti i dibattiti di successo, gli spettacoli da rock
star. Finiti gli spensierati dry Martini, finite le serate nei
locali, la giocosa seduzione, il volar da un matrimonio all'altro; da
un figlio all'altro. Finita la credibilità.
Finita anche la cattedra
di docenza, poi.
Ian Malcolm ha guardato
la morte negli occhi – enormi, gialli – e la sua
vita è uscita
dai binari.
La farfalla che gli ha
portato quel ciclone sarebbe dovuta morire bruco.
Gli incubi vanno e
vengono con l'irregolarità dei temporali. Quando Ian crede
di aver
finalmente superato il grottesco inferno di Isla Nublar, riecco quei
respiri nella notte, il fiato puzzolente, gli occhi che spiano dal
buio. E il ticchettio di quei maledetti artigli...
Un tonfo.
Denti che baluginano,
ruggiti assordanti.
Quando si rende conto che
non può più tenere un bicchiere sul comodino per
paura di veder
muovere l'acqua, capisce di avere un problema.
Il lato ironico della sua
personalità lo trova divertente. Sarà una sfida
spacchettare questo
caos in capitoli intelligibili per le masse. Ha tutti i crismi per
essere un altro best-seller.
Il lato animale del suo
cervello, invece, si piscia sotto al pensiero che quei cosi
potrebbero essere ancora in circolazione.
Ian ne è molto
contrariato.
II
Si allontanano così,
scivolando via dolcemente.
Quando tornano agli
scavi, Alan si ributta nel lavoro con un fervore che ha del
parossismo religioso, cercando oblio nella routine. Ellie invece
vuole solo scappare.
Per quanto fingano, il
Jurassic Park ha cambiato tutto: le loro esistenze, i loro desideri;
gli occhi con cui guardano il mondo. Persino il lavoro che era la
loro vita non è più lo stesso. Alan si illude, ma
lei vede come gli
tremano le mani quando riportano alla luce un nuovo scheletro. Resta
in piedi accanto al sito e fissa i denti del predatore, respiro
affannoso. Hammond lo ha derubato della sua passione.
Ogni riferimento è un
brivido. Ogni reperto un silenzioso attacco di panico. Nel mezzo del
deserto la notte trattiene il fiato, gettando ombre e silenzio che parlano più di agguato che di pace.
Cosa possono fare?
Capiscono che il loro rapporto sta cambiando, ed Ellie è
convinta
che parlare di quanto è successo farebbe bene a entrambi. Ma
parlarne fra loro alimenta solo gli incubi, mentre i mass media sono
preclusi da un contratto di non-divulgazione grazie al quale i loro
scavi saranno finanziati per altri tre anni.
Pian piano, smettono di
parlarne.
Alan si seppellisce nel
lavoro. Ellie vuole solo scappare.
Era inevitabile che,
prima o poi, anche senza volerlo ci riuscisse.
III
Dicono che sopravvivere a
fronte di probabilità impossibili cambi la prospettiva sul
mondo e
su se stessi. Dicono che ti renda un dio.
Chiunque sia il creatore
di questa perla di saggezza popolare, sulle prime due ci ha
azzeccato; ma sulla seconda? A meno che non intendesse un dio di
furia.
Ian è sopravvissuto ed è
molto, molto incazzato. Lusingato di avercela fatta, sì, ma
incazzato da morire. Vede l'ironia ma è troppo incazzato per
riderci
su come avrebbe fatto una volta.
È andato ai tropici per
un weekend di lusso, pagato da una multinazionale che piscia miliardi
all'ora, e si è ritrovato a dover fuggire, lottare, sparare
e
pregare per la propria vita. Ha rischiato di essere ingoiato in un
boccone, dissanguato, sventrato e ogni possibile variazione sul tema.
Ha visto morire della
gente.
E quando ha denunciato
l'accaduto, nessuno ha voluto credergli. Non la sua fidanzata, non i
suoi genitori – e a volte dubita anche dei suoi figli.
Come se questo non
bastasse, quei figli di buona donna della InGen hanno usato il suo
contratto di non divulgazione per inguaiarlo, facendo crollare
l'edificio della sua reputazione mattone dopo mattone.
E poi ci sono gli incubi.
I ricordi.
Stessa cosa, in fondo.
Così Ian, dopo aver
distrutto un mobile di casa o due a colpi di mazza, si ritrova
davanti al punching ball di una palestra.
È stanco di vedersi
additare in giro come lo studioso pazzo di turno. È stanco
di
sentire occhi che lo seguono, fruscii che lo tracciano, ombre che
scivolano appena fuori della sua visuale, preparandosi al salto...
Ma, soprattutto, è
stanco di sentirsi indifeso.
IV
Una cosa che ha sempre
amato dire è "quando non esiste soluzione, creala tu
stesso".
È così che è arrivato alle sue teorie
più azzardate sul caos; ed
è così che, molto più prosaicamente,
trova ilmodo per coniugare il
suo stress post-traumatico con la necessità di evolvere.
Perde dieci chili in un
mese, ne riacquista cinque di muscolo. Non è un uomo di
costituzione
nerboruta né lo sarà mai, ma non si dà
per vinto.
Via il grasso da animale
sedentario. Via la debolezza e fiato corto. Inizia a correre tutte le
mattine (evitando i parchi boscosi). Fa sollevamento pesi. Si iscrive
a corsi di sopravvivenza. Ottiene il porto d'armi, si allena quando
può al poligono più vicino. Non smette fin quando
non sente di
poter affrontare al meglio una situazione di emergenza come quella
del Jurassic Park – pur pregando di non riviverla mai.
A un buon punto del
percorso, la furia è mutata in rabbia gestibile. E Ian
è più
calmo.
Abbastanza calmo da poter
scrivere un libro, pubblicarlo, pubblicizzarlo e difendersi dalle
querele a suon di avvocati, partecipando a quanti dibattiti offre la
televisione. È in una di quelle occasioni che conosce Sarah.
V
Quando il polverone si
assesta, improvvisamente si rende conto di non aver più
pensato agli
altri sfortunati naufraghi di Isla Nublar. Dove sono? Che staranno
facendo? Saranno nelle sue stesse condizioni? Non li ha visti in tv.
Non li ha più sentiti nominare.
Comincia a credere che
siano rimasti vittime del contratto di non divulgazione. E questa
è
una pessima cosa. Davvero una pessima cosa.
Li cerca. Fa i loro nomi.
Bussa alle porte giuste con l'insistenza di un venditore ambulante e,
alla fine, riesce. Col senno di poi saprà che è
stata la migliore
decisione presa negli ultimi anni. Alan Grant ed Ellie Sattler
possiedevano un equilibrio difficile da spiegare già nel
Jurassic
Park.
La sua psicologa di una
seduta ne sarebbe fiera: Ian ha trovato un'influenza posituva (se non
proprio consenziente).
Non ha avuto amici veri
dai tempi del liceo. Ad esser sinceri, forse non ne ha mai avuti
–
e va benissimo così. Ian Malcolm ha colleghi (mediocri),
alunni,
fans, paparazzi, genitori, figli, (ex)mogli, editori, plagiatori e
sufficienti nemici, accademici e non; ma amici? Gli esemplari in cima
alla catena alimentare sono meravigliosamente, superiormente soli.
Ma... c'è sempre un
"ma". Come ama dire, la vita sa sempre prenderti di
sorpresa. E porca vacca se ci è riuscita.
VI
«L'hai lasciata. Non
posso crederci.»
«Ci siamo
lasciati, Malcolm. Abbiamo preso strade diverse.»
«L'hai lasciata andare.
Il livello di stupidità necessario è sconosciuto
persino ai teorici
dell'edonismo. E fidati, ne conosco molti.»
Grant posa la penna sulla
relazione che sta riempiendo di scarabocchi. Incredibile come una
scrivania rimpicciolisca la gente.
«Non penso che tu sia
nella posizione per giudicare, signor Dieci Ex-mogli.»
«Sette» precisa Ian,
alzando un dito ammonitore. «Sette, professore.»
«Scommetto che stai già
lavorando all'ottava.»
«Questo è ininfluente.»
«Oh beh.» Grant
recupera la penna. «Ricordo che volevi prendere all'amo anche
Ellie.»
«Santo cielo, era una
battuta. Uno scherzo! Sai, professor Grant, credo che questa
possessività possa aver costituito un problema fra
voi.»
Gli scarabocchi
riprendono a camminare, sparpagliandosi sulla pagine come formiche
tra rametti. Grant tira qualche rigaccia. A giudicare dall'energia
con cui segna la carta e l'aria generale di vecchiume accademico, Ian
deduce che la rottura è stata meno armonica di quel che
è stato
sviolinato ai tabloid. Se dovesse tirare a scommettere, punterebbe
sulla faccenda dei figli. Ricorda ancora i discorsi di Ellie
– ma
non lo dice.
Non è mica stupido.
«Non posso crederci»
ripete.
Stavolta, il sospiro di
Grant è per metà ringhio.
«Non c'è bisogno che tu
ci creda, Malcolm. Basta che lo accetti.»
VII
Ogni tanto il telefono
squilla, ed è lui. Sono rimasti amici: parte di Ellie ne
è felice,
l'altra delusa. Sperava che Alan non si arrendesse così
facilmente;
fino all'ultimo ha sperato che lottasse per tenerla con a sé.
Ma non è colpa sua, in
fondo. Non è colpa di nessuno. Neppure lei sa cosa vuole
davvero. I
vecchi sogni e i vecchi obiettivi sembrano così patinati,
dopo il
Jurassic Park. Voleva allontanarsi da tutto quello che glieli
ricordava, cambiare vita per dimenticare.
La voce di Alan, però,
la ricalibra sempre.
«Pronto?»
«Ciao, Ellie.»
«Ciao, come stai?»
«Un po' sciupato. Non
indovinerai mai chi è entrato nel mio ufficio,
oggi.»
Gli argomenti a sfondo
dinosauri dovrebbero essere tabù per tacito consenso
– ma come si
fa, quando sono ancora dei dannati paleontologi?
E poi, è impossibile
passare Ian Malcolm sotto silenzio.
«Mi ha lasciato il suo
libro, capisci? Il suo volgarissimo libro. Con dedica.»
Dopo mesi, Ellie scoppia a ridere di
gusto.
VIII
Un sito B. Esiste un
fottuto sito B.
I cosi sono ancora vivi.
Non gli stessi – altri, su un'isola più grande e in
numero
superiore. Ian l'aveva capito subito che Hammond era un
disgraziato.
Ma non è tutto: si dà
il caso che la sua fidanzata del momento, la più seria di
tutta la
sua vita, abbia deciso di fare un reportage fotografico per la
conservazione dell'isola in questione, accompagnata da un assistente
e un camper non blindato.
Naturalmente non poteva
mancare un biglietto per Ian Malcolm, oh no. Ma questa volta
è
preparato (alla missione di salvataggio).
Come prevedibile fin
dall'inizio, quando viene informato della missione Sarah è
ormai
irraggiungibile. Altrettanto prevedibile, anche Isla Sorna finisce in
disastro, grazie alla InGen e alla stupidità delle persone.
Dannazione. Ian amava i
tropici, i rettili e le vacanze organizzate. Ora ha un'avversione per
tutti e tre, per il caldo umido, per gli scienziati e per la
vegetazione lussureggiante da safari equatoriale. Anche solo i
pannelli del museo di Storia Naturale gli fanno venire le
palpitazioni.
Cosa diavolo lo abbia
spinto ad accettare la proposta dei galoppini di Hammond nel '92,
ancora non lo sa. Il programma di viaggio aveva tutti i crismi di una
vacanza eccezionale, vero... ma non è mai stato un
avventuroso se
non nella mente e sulla carta.
Curiosità? Antagonismo?
Noia? Tutti e tre?
Di sicuro, ora i
risultati resteranno con lui a vita, sotto forma di antistress, tic
nervosi... oh, e non dimentichiamo il bicchierino extra al giorno.
IX
Quattro anni per
dimenticare il Jurassic Park. Un solo istante per capire che
è
impossibile.
Ellie fissa lo schermo
con sgomento, aggrappata ai braccioli della poltrona del suo salotto.
Non riesce a muovere un muscolo. Può solo assistere al
disastro.
È talmente sconvolta da
non sentire il telefono finché non smette di squillare. Alla
seconda
chiamata, picchia manate sul tavolino per trovare il ricevitore a
tentoni.
Risponde con un ansito.
«Ellie? Ellie, mi
senti?»
«...Alan?»
«Stai vedendo anche tu?»
«Sì» esala.
«Mio Dio.»
«Quella è San Diego, Alan. San
Diego.»
«E quello è un fottuto
tirannosauro.»
Si sono lasciati due mesi
fa. Ora è quasi come se non fosse successo. Nel terrore, il
suo tono
la ancora alla ragione e all'istinto di sopravvivenza.
«Sono... sulla
terraferma.»
Ellie deglutisce a
fatica. Sullo schermo della televisione, il T-Rex carica un autobus e
lo manda fuori strada, seminando il panico in un'intera Avenue a
quattro corsie.
«Sono sulla terraferma.»
Cosa può essere
successo? Chi ce li ha portati? Chi è il disgraziato che ha
osato
disturbare Isla Nublar, dopo le innumerevoli denunce di Ian...?
«Ellie.» La voce di
Alan è seria. Le ricorda il suo volto accanto alla porta
della sala
di controllo, e un velociraptor dall'altra parte del vetro.
«Chiama
quel tuo amico, quello dell'FBI. Digli che mandino qualcuno. Devono
fermarlo. E devono scoprire se ce ne sono altri.»
Ma la risposta le muore
in gola. C'è una macchina che sfreccia verso il porto di San
Diego,
ripresa dalle telecamere di un elicottero. E sopra quel bolide rosso
fiammante c'è un volto che riconoscerebbe in mezzo a mille,
per
quanto sfocato.
«Oh mio Dio» esclama,
bassa. «Quello è Ian.»
E ha un piccolo di tirannosauro suo
sedili posteriori.
X
Un trillo nella notte.
Alan si drizza a sedere, sveglio all'istante. Accende la lampada con
una manata, occhi puntati nel buio della camera.
Ma è solo. La porta è
chiusa. La finestra sbarrata.
E dietro non si muove
niente. Nessun respiro, nessun ticchettio di artigli.
Il telefono continua a
strillare. Alza la cornetta, improvvisamente stordito.
«Pronto...?»
«Alan... Alan?»
«Chi–»
«Sono io.»
«Malcolm?» Si lascia
ricadere contro il cuscino. «Lo sai che diavolo di ore
sono?»
«Uh... oh. Scusa.»
«Come hai avuto questo
numero?»
«Era sul tuo biglietto
da visita. Quello nella tua agenda.»
«Ah. Quello che non dò
a nessuno. Perché diamine hai chiamato?»
Si rende conto che il suo
non è l'unico respiro affannoso. La voce di Malcolm trema.
«...Che succede?»
Una pausa. Poi: «Tu li
sogni mai?»
Non ha bisogno di
chiedere cosa. Si è svegliato convinto di sentire il grido
di un
velociraptor.
Quasi cinque anni, e
ancora se li sente alle calcagna.
XI
«C'era anche mia figlia,
su quell'isola.»
In qualche modo sono
finiti qui, nel salottino dove Ian Malcolm sta lentamente andando in
pezzi, sdraiato sul divano. È stata un'idea di Ellie.
Alan se n'è già
pentito.
«Non solo la mia
fidanzata. Anche mia figlia.»
Kelly è una ragazzina
sveglia. L'hanno incontrata un paio di volte; è prudente ed
equilibrata – di solito. Alan avverte una fitta d'angoscia.
«Ma Ian, come ha fatto?»
chiede Ellie. «Dovevi partire da solo dopo aver parlato con
Hammond,
e lei vive con sua madre...»
L'uomo sul divano è
diverso dal caosologo che hanno conosciuto nel '92 come il giorno e
la notte: esausto, pallido e contuso, ha sul braccio destro quattro
graffi paralleli ed è ancor più cupo della prima
volta che gli ha
fatto visita nell'ufficio dell'università.
L'unica cosa che non è
sparita è il sarcasmo.
«Si è nascosta nel
camper. L'abbiamo beccata che si preparava per il barbeque sulla
spiaggia.»
Oh, Dio.
«Ha visto...?»
«Oh, un bel po' di cose.
Ben più di questa città» ride Ian,
aspro. «Hammond ha sempre
offerto i viaggi migliori. Ringrazio solo il cielo che fosse sulla
tana alta quando sono arrivati mammina e papino.»
Alan ed Ellie si
scambiano un'occhiata.
«Vuoi dire...?»
«Già, voi avete visto
solo papino. Mammina era molto più grossa – e
molto più
arrabbiata.»
Racconta loro tutto,
seguendo un ordine sufficientemente logico. E l'orrore cresce.
Alan sa già cosa lo
aspetta nel sonno.
Ellie scuote la testa,
passandosi una mano sulla bocca. Si aprono una lattina di birra a
testa, mentre Ian beve dal collo di una bottiglia di rosso.
«Che cosa farai, ora?»
Lui abbassa la bottiglia
e fissa nel vuoto.
«A parte evitare i
tropici per il resto della vita e tenerne ben lontana la mia
famiglia?» Alza le spalle. «Scriverò un
altro libro.»
«Che ne dici di uno
psicologo militare?» suggerisce Alan, massaggiandosi la
fronte.
«Meglio un istruttore di
sopravvivenza militare.»
«A me sembra che tu non
ne abbia bisogno, tutto sommato.»
Ellie ed Ian lo guardano
in contemporanea. Poi, inaspettatamente, condividono una mezza
risata.
Sono dei sopravvissuti. E
continueranno a sopravvivere.
XII
Nel mondo onirico di Ian,
tirannosauri irrompono dalla foresta per correre nelle strade di San
Diego. In quello di Alan la veglia pacifica dei brachiosauri si
trasforma nella tragica fuga dei gallimimus, e nella scarica di
un'alta recinzione.
Gli incubi di Ellie
invece sanno di pioggia e metallo – il metallo della centrale
elettrica con le sue scale, i suoi corridoi bui. Il suono persistente
è il gocciolio dell'umidità, l'eco della voce di
Muldoon («La
tengo sotto tiro. Corra. Verso il deposito. Corra!») e poi
quel
respiro.
Basso, raschiato. Sibila
attraverso file di denti acuminati.
Nei sogni è sempre la
sua ombra a darle la caccia. Quando la vede, il suo
occhio la
guarda attraverso la rete, intelligente. Sai che io so,
dice.
E non mi sfuggirai. Siamo solo tu ed io,
solo noi due,
piccola umana.
Ma Ellie è scappata. Ha
lasciato Isla Nublar viva.
Non nel suo subconscio, a
quanto pare. In quei boschi, la velociraptor regina continua a darle
la caccia.
Strano che i pericoli
condivisi negli ultimi istanti non bussino mai alla porta del sonno.
Ma, in fondo, essere soli è il requisito della paura
viscerale.
Mentalità di branco, direbbe Alan. Nel numero, anche un
grande
pericolo appare smorzato.
Quando suo marito è
fuori città, talvolta Ellie crede di sentire velociraptor
pattugliare le ombre oltre la siepe. Neppure la tranquilla periferia
può zittire gli istinti che l'isola ha svegliato in lei.
XIII
Malcolm non è il solo ad
esser rimasto traumatizzato dal Jurassic Park. L'ultima volta che ha
parlato con loro, Tim e Lex vedevano uno psicologo specializzato in
stress post-traumatico nei militari di ritorno da zone belliche.
Hammond si è ritirato dalla vita pubblica. Ed Ellie... beh,
il
ricordo delle loro ultime notti insieme è costellato di
risvegli
bruschi, grida, il riflesso di incubi sanguinosi nei suoi occhi.
A volte si chiede se il
parco sia stato il colpo di grazia alla loro relazione. Dicono che
esperienze simili creino legami indissolubili fra i sopravvissuti;
lui, francamente, crede che siano altrettanto capaci di spezzarli.
L'orrore di Isla Sorna è così fittamente
intrecciato agli ultimi
mesi con Ellie da sembrare il principale colpevole.
Fuori dal suo studio
rimbomba un tuono. Il cielo incorniciato dalla finestra è
plumbeo, e
alla prima raffica di pioggia Alan sente un peso scendergli nello
stomaco.
Tamburi d'acqua sul
tettuccio di un'automobile. Avaria, buio, fango. Colline sprofondate
nella notte....
Qualcosa che si muove nel
fogliame.
La coscia smembrata di
una capra. Un grande occhio giallo che ti fissa, e cavi elettrici che
si spezzano, zampe unghiute che scavalcano il muro di cinta, un
ruggito vecchio di sessanta milioni di anni–
Toc toc!
Alan sussulta, facendo
cadere agenda e telefono. Col cuore in gola, guarda la porta del suo
ufficio. La maniglia trema – inizia ad abbassarsi–
«Sono i
velociraptor!»
Si aggrappa alla
scrivania, pronto a balzare in piedi – si getterà
fuori dalla
finestra, il vetro è sottile–
«Professore? Professor
Grant?»
La porta si apre ed entra
Grace Wells, la sua miglior studentessa, con le braccia cariche di
fascicoli spiralati. Dev'essere la relazione commissionata alla
classe di dottorandi.
«Professore? Si sente
bene?»
Alan si rende conto di
essere madido. Ha il respiro affannoso e gli tremano le mani.
Risponde qualcosa di
generico e accetta le relazioni, quasi cacciandola fuori.
Dovrà
scusarsi, più tardi.
Per ora, abbandona i
fascicoli e afferra la cornetta del telefono.
[«Sai com'è... se vedi
un uomo che apre la portiera della macchina a una donna, o è
nuova
la macchina, o è nuova la donna.» ]
XIV
Quando l'elicottero
atterra sulla terraferma, li attendono un'ambulanza e un suv nero.
Alan ha il sospetto che occorreranno ore di avvocati per spiegare
cosa è successo a lui e a Billy, e non vorrebbe essere nei
panni dei
Kirby, figlio disperso o meno.
Il portellone si apre. Mentre scendono,
si aprono anche le portiere del suv.
E all'improvviso davanti a lui ci sono
Ellie e Malcolm.
«Alan! Oh mio Dio, Alan! Sei ferito?»
Ellie lo abbraccia. «Che cosa è
successo?»
«È... una lunga storia.»
Ed è finita, se non altro. Finita per
davvero. Non rimetterà più piede su quelle isole,
né in un raggio
di 200 chilometri da esse.
Malcolm li raggiunge, mani nelle tasche
dei pantaloni neri.
«Ci sei cascato anche tu, eh,
professore?»
«E lei che ci fa qui?»
«Ah, ancora con le formalità? Con
questo viaggio siamo pari, sai?»
«Ha chiamato poco dopo di te» spiega
Ellie. «Quando ero ancora sconvolta e cercavo di organizzare
una
missione di salvataggio con i contatti di Mark. Ian conosce l'isola.
Ha voluto dare una mano.»
Malcolm ha due dita sollevate. «Isla
Nublar e Isla Sorna. Siamo gli unici ad averle viste entrambe,
professore.»
Alan gli offre un sorriso stiracchiato.
«È un trofeo di cui avrei fatto
volentieri a meno.» Due infermieri cercano di farlo sdraiare
su una
barella. «No no no, sto bene, sto bene. Davvero.»
«Comunque io te l'avevo detto: stai
lontano da quel posto. Questo è quello che succede quando le
persone
non mi ascoltano.»
Alan alza gli occhi al cielo – blu,
stellato, e privo di pterodattili. Si avviano lentamente verso il
suv.
«Che cosa credi che stessi cercando di
fare? A me i dinosauri interessano fossilizzati, non vivi.»
«Eppure eccoti qui. Dopo che ti avevo
raccontato di Isla Nublar in tutti i particolari!
«Sai, Malcolm, Erik non aveva tutti i
torti. Sei un po' bacchettone. E troppo pieno di te.
XV
Le due isole sono
lontane, le acque e lo spazio aereo circostanti inaccessibili dopo la
bravata dei Kirby. E loro non ci rimetteranno più piede.
Tutto sotto
controllo, quindi.
Cosa potrebbe andare
storto?
Ian non aveva tenuto
conto degli stupidi. Errore suo, in questo caso, perché sa
bene che
non hanno fine: purtroppo la madre degli idioti è sempre
incinta. Ci
sarà sempre qualcuno che vorrà mettere mano ai
dinosauri creati da
Hammond, e quel qualcuno riuscirà sempre a ficcarci il naso,
degli
scienziati, una visione, producendo danni e perdite innominabili.
E stavolta il conto è
ancora più alto.
L'introduzione è
mediamente tranquilla, come da copione. Ellie chiama annunciando un
nuovo progetto di studio in cui è stato coinvolto Mark; lui
ed Alan
sono invitati, se riescono a staccarsi da Santa Fe e dal Montana. La
loro consulenza sarebbe molto apprezzata. Paga: a quattro zeri.
Soggetto: da comunicarsi in loco.
Luogo: il Pentagono.
Ian sorvola sulla
previsione di scartoffie da firmare e incontra Alan al gate in uscita
di Washington, DC. Soltanto quando recuperano il bagaglio e vede il
dente di Spinosauro che fa da cartellino a quello di Alan gli viene
in mente di chiedersi perché diavolo li abbiano chiamati
entrambi.
«È per qualche studio
scientifico, vero?»
Alan corruga la fronte.
«Vorranno nuovi particolari per la sicurezza delle acque
costaricane. Che altro potrebbe essere?»
Ian si mette in spalla il
borsello nero. «Il lavoro di Mark?»
«Sicurezza
internazionale, no.»
«Sicurezza nazionale,
Alan. Che c'entra il Costa Rica?»
«Beh, e io che ne so?»
Escono dall'aeroporto in
mezzo alla folla. Ad attenderli c'è la macchina nera di
turno.
«Ian.»
«Sto solo dicendo che...
so come lavorano queste agenzie governative, tutto segreto tutto
tappato tutto invisibile – ma perché Ellie non ha
potuto darci
almeno un indizio?»
«Stai dicendo–»
«Solo che la cosa non mi
piace.»
E gli piace meno a ogni
minuto che passa. Vorrebbe rallentare appena entrato nel Pentagono,
ma c'è Ellie ad accoglierli, fresca e sorridente. Sarebbe
una buona
idea girare sui tacchi quando accedono all'area ristretta: nessuno ha
il permesso di varcare quella porta tranne gli addetti e loro tre,
quindi nessuno ha visto cos'è successo lì dentro
nelle ultime sette
ore. Ci sono graffi profondi sull'interno della porta, che è
blindata.
«Madre di Dio» mormora
Alan. Traccia un solco con le dita, sudore che gli imperla una
tempia. «Sembrano... unghioli di uccello.»
«Pessimo verdetto» dice
Ian, occhi puntati sul fondo del corridoio, dove alcuni cavi
strappati spruzzano scintille nella penombra. Ellie sta osservando il
disastro a bocca aperta. «Non voglio sapere cos'è
successo qui.
Voglio solo sapere perché nessuno ha dato l'allarme e
uscire,
subito.»
«Mark è qui dentro. Oh
Dio, Mark! Mark!»
«Ellie, no!»
«Ferma ferma ferma! Dove
vai?!»
Non c'è modo di
fermarla. Le corrono dietro, sbattendo la porta.
Che, ovviamente,
scopriranno si è chiusa male.
«Quanto detesto avere
sempre ragione» impreca Ian quella notte, barricato insieme a
due
stagisti malconci in un magazzino segreto.
Gli viene in mente il
film di Alien. Rovina, terrore, solitudine in corridoi bui e
infestati; i mostri verranno portati via dal loro pianeta, prima o
poi, e colonizzeranno la terra divorando gli uomini. Al momento
è
una possibilità affatto remota: sono braccati da un
deinonichus,
liberato nel gran caos prodotto dallo svolazzare di due pterodattili
catturati in volo sulla California e portati qui per ragioni di
studio. Sembra che le miglia di mare intorno a Nublar e Sorna non
siano abbastanza per tutti.
Il deinonichus assomiglia
molto ai velociraptor. Troppo, per i gusti di Ian.
Non sente Alan ed Ellie
da un po'. Comincia ad essere seriamente preoccupato.
«Compsognathus!»
strilla la ragazza.
L'orda arriva come un
formicaio in corsa.
«Via via via! Correte!»
Vengono tirati fuori da
quell'inferno il giorno dopo, e costretti alla massima riservatezza
prima ancora di aver varcato la soglia di evacuazione. Alan ed Ellie
sono seduti sul retro di un'ambulanza militare, lui con un braccio
ingessato, lei tutta sporca di sangue. Ian zoppica fino a loro con la
rabbiosa tenacia di un tirannosauro.
Ellie piange.
Mark è disteso alle loro
spalle, bianco. È morto.
XVI
E così va il mondo, così
si ripete la storia...
Hammond ha disturbato il
continuum spazio-temporale della loro epoca, ed esso non
tornerà mai
più come prima; soprattutto per coloro che si sono immersi
pienamente nella disturbanza del giurassico.
Passano gli anni. I figli
di Ellie crescono. Imparano a chiamarlo zio, e a chiamare Alan
papà.
Ian è contento per loro:
nella tragedia, col tempo, una famiglia si è salvata, un
legame
riformato. Ama vedere i suoi figli giocare coi "cuginetti".
Ma non può fare a meno di chiedersi se sarà
possibile godersi
questa epoca di pace.
Se lo sta chiedendo anche
la sera in cui, cinque anni dopo Washington, sente parlare per la
prima volta di un nuovo progetto: il Jurassic World.
«Qualcuno deve impedire
l'apertura di quel parco» dice Alan, cupo.
«Le associazioni di Tim
e Lex stanno lavorando sodo» commenta Ian, distratto dai miny
pony e
dai ricci rossi di Ruth, che gioca sulle sue ginocchia. «Ce
la
faranno.»
«No.»
«Perché no?»
L'ha chiesto. Sapeva che
non doveva farlo, ma ha chiesto.
«Perché il governo
vuole relazioni documentate di esperti che ne testimonino la
pericolosità, prima di rifiutare i permessi alla Masrani
Corporation.»
Ian alza lo sguardo.
Charlie e Rosie passano di corsa davanti alla porta, imbracciando ali
di carta e artigli di polistirono. Ellie appoggia le reni alla
cassettiera del soggiorno, fissandolo.
Dopo un attimo anche Alan
lo guarda, serio.
«No. Ohh, no. Non
pensateci nemmeno.»
«E' per una giusta
causa, Ian.»
«Siete pazzi? Sì
sì, siete pazzi.» Agita una mano, tenendo Ruth
dritta con l'altra.
«Questo va oltre ogni teoria del chaos. Sconfina nello
psichiatrico.
Fatemi capire, dove vorreste tornare?»
«Isla Nublar» dice
Ellie, pallida, ma bocca ferma.
Ian batte le palpebre,
sorride.
«Nublar? Voi
vorreste tornare nell'inferno creato da Hammond per... documentarlo?
Disapprovarlo? Perché questa cosa mi suona
familiare?»
Alan ricambia il suo
sorriso con altrettanto, stanco sarcasmo. «Perché
l'hai già
fatta.»
«Esatto. E non la
rifarò.»
XVII
Finisce un po' come è
iniziata: Ian, Alan ed Ellie sui sedili di un elicottero, abiti
stracciati, ginocchia che si scontrano e immagini di rettili negli
occhi.
Hanno appena lasciato una
deposizione giurata sugli eventi, se dio vuole l'ultima legata alla
InGen. Precedenti, istinto e teoria del caos insegnano che
probabilmente non la sarà... ma, per come stanno le cose,
Ian può
anche riconciliarsi con l'idea.
Arrivi a un punto della
tua vita in cui accetti il tuo destino e basta. Il fato ha pensato
bene di deviare il tracciato della sua esistenza gettandolo in una
sorta di multiverso a realtà parallele – una
moderna, l'altra
collocata 65 milioni di anni fa. È tragico pensarlo, ma
ormai i
dinosauri fanno parte della sua individualità.
E poi, non affronterebbe
la prossima tempesta da solo.
La vera differenza dal
primo incontro, infatti, è la profonda comprensione che lo
unisce Ad
Ellie ed Alan. Quel mattino del 1992 erano sconosciuti separati da
mestiere, formazione e un certo sprezzo professionale reciproco.
Tornare al giardino selvaggio della terra, reimmergersi nella legge
della giungla dove non si è più in cima alla
catena alimentare ha
avuto l'effetto di livellare le minuzie individuali, riducendo gli
uomini a sopravvivenza e istinto.
Beh. Ian può dire di
aver passato l'esame. Quattro volte.
Guarda Alan ed Ellie e
sorride, metà compiaciuto, metà felice. Il senso
di sicurezza che
prova stando con loro è irrazionale, ma non poi
così tanto. In
fondo, sono tutti dei sopravvissuti. Ian si sente una sorta di
quadrifoglio, un ferro di cavallo, una zampa di lepre.
Pensa a Kelly, al sicuro
a casa di Sarah.
«Allora» dice,
picchiandosi le mani sulle cosce. «A chi va una bistecca
T-bone da
me?»
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La T-Bone Steak è letteralmente una bistecca "Tyrannosaurus
Rex" ed esiste davvero XD in certi stati d'America servono bistecche
così enormi da sembrare prese da un dinosauro!
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