Ouverture

di Capitan_Canesciolto
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Suonano i corni dei demoni dell’abisso, suonano la loro marcia infernale.
Tamburi battono il ritmo, flauti segnano il passo. 
Orde di creature nati dagli incubi più perversi si levano, strisciano dalle loro tane, fuoriescono dai loro tuguri, e si riuniscono, una marea che offende la vista, una marea che è legione. 
Avanzano, gridando, facendo cozzare le armi fra loro, incitandosi, ruggendo, preparandosi a quello che li attente. 
Davanti a loro si stagliano i bastioni della città, le mura, altissime, poste in difesa di essa. 
Svettano le torri, simili a dita aguzze che puntano al cielo, plumbeo, incoronando architetture slanciate, contrafforti, pareti in marmo, balconate. 
Una città che sembra protendersi verso l’alto, un’offerta alla vastità del firmamento, agli dei che dimorano oltre le nubi.
Tacciono i corni.
Tacciono tamburi, flauti, incubi.
Un momento di silenzio che si protrae, che si dilata nel tempo, assorbendo in esso ogni istante passato e futuro. 
Il presente è adesso. 
Un silenzio che è denso, carico d’attesa. 
Battono i cuori, sono fissi gli occhi sulle mura della città.
Dall’orda avanza un singolo demone. 
Esso è alto, muscoloso, la pelle rossa come il sangue, le corna enormi, nere come la notte, come pece. Ha occhi gialli, ha lineamenti spigolosi, ali magnifiche, da pipistrello. Alza la mano destra, e poi l’abbassa. 
Il segnale che tutti attendevano. 
Il silenzio viene rotto.
La battaglia ha inizio, la tempesta si scatena. 
Sono grida e urla, sono sangue che schizza, ossa che si spezzano, arti che si lacerano. 
Armi d’acciaio penetrano in corpi di carne, mura di marmo vengono distrutte, cancelli abbattuti. 
Difensori e assalitori si affrontano, fra le fiamme e la morte, fra vittoria e sconfitta.
La battaglia dura giorni, si protrae per mesi, anni, secoli.
O forse sono solo poche ore. 
Poco resta, alla fine. 
Una torre, una guglia, un muro perimetrale.
Non ci sono suoni, se non le braci che ancora ardono, se non il flebile lamentarsi delle poche anime che attendo trepidanti il caldo abbraccio della morte. 
Una sola figura si staglia, su quel teatro di battaglia.
Il demone dalla pelle rossa.
Avanza fra i cadaveri. 
I piedi schiacciano corpi, rompono ossa. Il respiro caldo nell’aria gelida crea nuvole opache.
Le mani dei moribondi si protendono verso di lui, ma non le guarda, non hanno importanza, le ignora. 
Avanza, ed ha una sola meta.
Davanti a lui. 
Una figura in catene, sdraiata, seminascosta all’ombra di un muro, all’ombra di quello che resta della sua prigione.
Si china su di essa. Spezza le catene, e la solleva, fra le braccia possenti. 
Una giovane succube. 
Corti capelli biondi, pelle candida come la neve, sul corpo, che sfuma in una corazza chitinosa sugli arti, la stessa corazza che sulla schiena forma spuntoni, che sul capo forma delle corna, eleganti.
Muscoli che possono stroncare vite la cingono, con delicatezza. 
Sguardo che può vincere il coraggio di ogni nemico si posa su di lei, sereno, risoluto. 
L’abbraccia. 
Si sollevano, in volo. 
Assieme.
Uniti. 
Alle loro spalle solo silenzio. 
 




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