Flames of the past

di LostRequiem
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Flames of the past


 

 

“Professore”

 


Il ragazzino che gli stava seduto davanti, dietro quella parete trasparente che li divideva, aveva una voce fin troppo stanca che non sembrava nemmeno la sua.

Ma forse erano le cuffie che gli avevano dato per comunicare a riprodurre quell’effetto.

O almeno, Layton lo sperava.

Erano passate solo due settimane ed il tempo da scontare era molto di più. Troppo per aver cercato di distruggere un’intera città.

Troppo per le carceri di Londra.

Troppo per quel ragazzo di sedici anni.

 

“Sì?”


Quasi ringraziava che la luce fosse bassa, perché quello che riusciva ad intravedere non gli piaceva per niente: era dimagrito così tanto che gli zigomi risaltavano sul suo volto come un mucchio di ossa immacolate nel bel mezzo del deserto; il corpo non lo vedeva perché era seduto, ma immaginava che fosse messo addirittura peggio, osservando l’inizio del busto.

 

E gli occhi.

 

Quelli li vedeva bene, e non erano più i suoi.

Incredibile cosa riesca a farti, la prigione.

Anche se era sicuro che non fosse quella il motivo principale per cui era ridotto così, e gli si stringeva il cuore nel pensare che probabilmente non aveva mai fatto abbastanza per aiutarlo.

 

 

 

“Quello che mi chiede lei è impossibile.”


Non era molto sorpreso, era facilmente intuibile che avrebbe risposto così. Dopotutto come poteva biasimarlo?

Ma il professore sapeva che lasciandolo fare sarebbe andato allo sbaraglio. Aveva bisogno di una guida, di qualcuno che lo aiutasse… e adesso che poteva rimediare ai suoi errori, voleva essere lui quella persona, voleva dargli l’affetto di cui aveva bisogno.

Perché sì, uno dei suoi più grandi problemi era l’essere stato da solo troppo a lungo.

L’essere stato sfruttato, l’essere stato scordato.

E probabilmente il non essere mai stato capito.

 

“Clive… non ti sto suggerendo di dimenticare, so che è impossibile, ma…


L’occhiata che gli rivolse avrebbe fatto raggelare chiunque.

Non erano gli occhi di un semplice sedicenne, quelli, erano gli occhi di una persona che non sapeva più che cosa fare della sua vita, erano degli occhi che provavano ancora odio, ancora rancore, occhi che non si sarebbero mai stancati di inseguire i propri demoni.

Ma che in realtà erano stanchi da morire.

E come avrebbe potuto biasimarlo, Layton?

 

Chiunque, in quella prigione, lo considerava un pazzo, un terribile criminale senza cuore che sarebbe riuscito a distruggere un’intera città senza rimorsi, un genio del male.

Persino la maggior parte degli altri delinquenti provavano soggezione di lui, tanto che ne nessuno ci parlava.

E neanche lui rivolgeva loro la parola, era un carcerato decisamente più elegante degli altri e non aveva bisogno di nessuno.


…E figuriamoci se si metteva a dialogare cordialmente con le guardie che l’avevano sbattuto dentro.

 

Lui non poteva perdonare.

 

 

Che senso ha perdonare?

Beh- e Layton lo sapeva- a volte bisogna saperlo fare.

Ma per se stessi.

 

 

 

 

“No.”

 

Ma forse era giusto così. Lui non sarebbe cambiato. Forse sarebbe riuscito ad ottenere quello che voleva.

 

Si pentì subito di averlo pensato.

 

 

“Glielo ripeto, è impossibile. ‘Guardare al futuro’, cambiare vita, sono tutte stronzate.”

 

Non era vero, auspicare ad un buon lavoro, ad una casa diversa, ad una vita più tranquilla e dedita a sé ed agli amici lo avrebbe fatto stare decisamente meglio… e magari sarebbe cambiato. Pure lui.

 

Era vero.

Anche il lavoro che faceva prima aveva portato i suoi frutti, la ‘casa’ che aveva adesso era la prigione e una volta uscito di lì non l’avrebbe comunque mai voluto nessuno dopo i suoi precedenti.

E il primo a non voler cambiare era proprio lui. Come si fa a trasformare una persona quando lei stessa non ne ha l’intenzione?

 

Ma no, Layton non l’avrebbe mai lasciato a sé stesso.


 

“Ascolta…”


Ma quello che doveva capire era che non poteva aiutare tutti.

E che lui non voleva essere salvato, voleva lasciarsi distruggere dall’apatia che lo consumava per poi far esplodere tutto il suo dolore e lasciarsi divorare da esso. Anche questa è una scelta di vita.

Ed il suo essere felice si identificava con il non esserlo.

 

Lo guardò male una seconda volta.

Sapeva che le sue parole sarebbero state ricolme di speranze e piene di falsità, perciò lo interruppe, perdendo la finta pazienza che lo caratterizzava.

 

“Io non sono un ‘gentiluomo’ come lei, va bene?! Niente e nessuno mi ridarà mai i miei genitori! Né questa stupida prigione, né i buoni propositi o il… pentimento, né lei!”

 

Tasto dolente, a questo non poteva ribattere.

Perché quello che gli avevano portato via non era rimpiazzabile con nessuna parola, non si poteva allievare con alcuna comprensione da parte sua e, gli doleva ammetterlo, nessuno poteva cambiare le cose.

 

Ma forse il professore non capiva che stare lì peggiorava tutto, che quelle tre mura che costituivano la sua orribile cella glielo ricordavano ogni secondo, che non riusciva a smettere di sentire le urla e rivedere davanti agli occhi troppo stanchi quelle fiamme che gli avevano portato via le vite delle uniche persone che lo avessero mai amato, di quanto avesse solo sei anni quando era successo e di come quell’ingiusto mondo avesse continuato a girare senza quello che costituiva il suo di mondo, i suoi genitori.


 

“Pentimento… ma che buffo, credeva sul serio che fossi pentito?!”

 

E Clive non riusciva a comprendere come mai il destino non l’avesse portata via a lui la vita, come mai dovesse essere costretto a vivere ancora senza nessuno, affogato dalle sue paure e da dei ricordi che non l’avrebbero mai lasciato libero dalle catene.

 

 

 

Hershel Layton si zittì dopo quelle parole.

E rivide davanti a sé ogni cosa.

 

L’incendio, la confusione, il fumo, Claire, le persone, la folla, la macchina del tempo, Claire, la cenere, il palazzo, le macerie, la polizia, la disperazione, Claire, delle lacrime, un cappello, l’ambulanza, le voci, il suono, la morte, un bambino di sei anni che piangeva.


 

Dopotutto…

 

…come poteva biasimarlo?

 


 

Lui, che non aveva mai dimenticato.

Lui che era scappato.

Lui che era diventato un altro per paura.

 


 

Clive lo fissava. Lui non sapeva.

Ma l’aveva capito, forse.

Si appoggiò col viso sul pugno della mano, con l’espressione stanca di chi aveva ragione.

Condividevano lo stesso dolore.

 

Uno sguardo. Silenzio.

 

 


E poi la fine dei minuti a disposizione per parlare.

 

 

“Tu sai… Come si fa… a cambiare completamente una persona quando lei stessa non ne ha l’intenzione?”


Non ci pensò neanche un minuto, non lo stupì.

 

 

“Semplice, professore.”

 

 

 

 

 

 

“…Facendole del male.”





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