Fu come essersi svegliato da un incubo, per Alex.
Si ritrovò di nuovo nella propria camera, davanti alla televisione
ancora accesa; sembrava che non fosse accaduto nulla, che lui avesse
solo chiuso chi occhi e vissuto un brutto sogno durato vent'anni, o
forse solo un battito di ciglia.
«Bethany? Fridge? Martha? Spencer?», chiamò, quando il senso di
vuoto lo pervase.
Si guardò intorno disperato, con il cuore in gola che gli bloccava
il respiro.
I suoi amici non erano lì con lui.
Inizialmente fu ghermito dal panico, dicendosi che forse non erano
riusciti a uscire dal gioco, e automaticamente si guardò il polso, per
scorgere il tatuaggio delle loro vite, non trovandone però segno.
Ci mise ancora parecchi minuti per tranquillizzarsi e per capire che
la soluzione più logica era che dovevano essere tornati alla propria
epoca di appartenenza ad inizio avventura, quindi i suoi amici dovevano
aver fatto ritorno a quel futuro che ancora non esisteva.
Alex guardò il calendario. Era ancora troppo presto, anche solo
perché fossero nati.
Si sedette sul letto, con la testa tra le mani.
Non aveva trascorso che poche ore con loro, eppure gli pareva di
conoscerli da sempre.
Si passò i palmi sugli occhi per scacciare le lacrime, per non
piangere. Sperava di poterli rivedere e festeggiare con loro la
vittoria, invece lo avevano lasciato solo, così come era arrivato.
Dopo un respiro spezzato, le sue iridi scure andarono all'orologio,
poi tornarono al calendario appeso al muro.
In quel momento si ripromise che non importava quanto tempo ci
sarebbe voluto: secondi, minuti, ore, giorni, settimane, mesi, anni...
due decenni. Li avrebbe aspettati e non avrebbe mai perso le speranze
finché non avesse potuto salutarli un'ultima volta.
Prese il gioco e lo mise dentro una scatola di cartone: sapeva
benissimo cosa avrebbe dovuto fare per rivederli.
"Donazioni".
«Caro, da quando hai tirato fuori dalla soffitta quelle magliette le
usi praticamente sempre».
Come aveva predetto, erano passati quasi vent'anni da quella sua
avventura; non sapeva esattamente quando i loro cammini si sarebbero
incrociati, ma voleva che loro lo riconoscessero; quelle t-shirt dei
metallica erano consunte e stinte, anche se pulite, ma lui non le aveva
mai volute buttare.
«È solo nostalgia, amore».
Aveva detto loro di essere metallaro, e quelle T-shirt per lui erano
un simbolo di riconoscimento.
Capitò per caso, come un fulmine a ciel sereno; in anni nessuno era
venuto a chiedere di lui, e, un giorno, mentre andava con la famiglia
dal padre, li vide.
Successe esattamente come nel mercato dentro al videogioco: gli
bastò uno sguardo per capire che erano loro.
Erano completamente diversi dai loro avatar del gioco, come del
resto anche lui doveva essere cambiato fisicamente, più di tutti.
Nonostante ciò, li avrebbe riconosciuti tra mille: il professor Shelly,
Finbar, Roundhouse e il dottor Bravestone.
Li aveva aspettati per vent'anni dentro Jumanji, altri venti nella
vita normale; e, se non fosse stato sufficiente, li avrebbe attesi
ancora, per sempre.
Ora, con questo ultimo incontro, il gioco era veramente finito.