A Marco, il mio amico.

di Hitchhiked
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La discesa reclama come reclamò l’ascesa

Siamo sole e ombra su una tazza gialla.
Marco, sei caduto dal cielo con le mani di sangue.
Sole sulla tua faccia.
Braccia di angelo attorno alla tua vita.
Sospeso in un abbraccio.
Ma tu non sai che qualcuno ti sorregge.
E cadi. 
E urli.
E ti dimeni nell’aria, come se punte ti forassero le costole.
Precipiti, Marco.
Perché il destino di noi tutti è cadere.
E adesso dimmi Marco, perché? 
Cadi, urli,
Urli e scalci.
Calci l’aria, che dolce fa vibrare i tuoi capelli scuri.
Calci come se qualcuno cercasse di afferrarti.
Ma cazzo, non c’è nessuno a prenderti.
E tu cadi, 
e realizzi che quel cielo blu sarà l’ultima cosa che vedrai.
O forse non lo sai,
e speri di sprofondare in una piscina.
Ma quando atterri c’è solo la ghiaia del sentiero.
E le tue urla smettono.
E c’è silenzio.
Il silenzio che tanto desideravo quando la tua voce era l’unica cosa che sentivo.
E adesso lo odio.
Marco.
È stato il rumore più forte che io abbia mai sentito.
Marco.
Qualcosa è andato storto.
Marco.
Gli altri ti seguono.
Io ti seguo.
In silenzio, facciamo correre i nostri moschettoni sulla fune.
E scendiamo.
Marco.
Tocchiamo terra, in maniera più aggraziata di quanto tu abbia fatto.
Marco.
C’è polvere nell’aria.
O mio Dio.
C’è un morto per terra.
Non è il mio amico.
Non è il ragazzo che beveva con noi e mi ha insegnato come legare le cime.
E mi sembra di sentire ancora il suono della tua risata, un attimo prima che tu precipitassi,
e le tue urla,
giuro che le sento ancora,
o forse questa volta sono le mie.


 





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