Fandom: Hellsing
Genere: Generale, Introspettivo
Personaggi: Alucard,
Integra
Rating: Giallo
NdA: Scritta diverso tempo fa e
recuperata dal pc con l’intento di pubblicarla. In sostanza
sarebbe il continuo di “Fall,
Again“.
Un saluto e buona lettura.
“Perdonami
Padre,
Perchè
ho peccato.
Perdonami
Padre,
poiché
so quello che faccio.”
Quanti
anni sono passati?
Troppi.
“Sono
vecchia, ora. È tardi.” Asserisce con una punta di
sdegno, sottolineando un’ovvietà che lui,
stranamente, fatica a considerare; l’immortalità
ha il potere di mutare certe percezioni tipicamente terrene, certi
pensieri ‘umani’ come il prestar continua
attenzione allo scorrere del tempo non lo toccano più da
Secoli, da quando, in Valacchia, ancora contava i propri anni
chiamandoli ‘Inverni’.
Era Voivoda allora ed il tempo a sua disposizione gli era sempre parso
troppo poco per riuscire a completare tutti i grandiosi progetti
plasmati dalla sua mente, nonostante il XV secolo non possedesse gli
stessi ritmi folli di questo futuro, ove anche un secondo sprecato
può significare enormi perdite; a volte dimentica di quali
anni è figlio e perché certi suoi pensieri, a
lei, paiano incomprensibili, come deve sforzarsi – a volte
– per comprendere quella donna atipica e i tumulti che la
agitano. I fiumi del tempo non possono inghiottire, né
plasmare certe differenze, casomai acuirle e lui ora, vedendola di
nuovo dopo anni ad inseguire fantasmi dai contorni fumosi e stralci di
memorie, rammenta perché non ha mai cercato di far in
fretta: la vecchiaia per lui è sempre stata utopia e, nella
sua distorta visione del mondo, avrebbe dovuto esser così
anche per lei, eternamente giovane, eternamente
‘Vergine’.
Non è una statua, Integra Hellsing, nonostante il suo cuore
sia freddo come il porfido e pesante come un blocco di granato; non
è nemmeno una santa, nonostante lui ora – con
cinque pallottole in corpo e la stanchezza d’intere vite
sulle spalle – la stia osservando con la stessa adorante
bramosia con cui i fedeli a Lourdres si prostrano chinando il capo di
fronte alle sacre rocce, pretendendo il miracolo.
Lui ai miracoli non ha mai creduto, ma il sangue di lei –
santa reliquia – lo esige; è l’odore,
antico e pungente, dolce e venefico come il succo della Datura, ad
annientare quel poco di ragione che ancora possiede, spingendolo a
scrutarla con impudenza, con occhi rossi come fiamme
d’inferno e labbra dischiuse in un sorriso di scherno;
può scaricargli in fronte gli ultimi proiettili, non si
fermerà, come non s’è mai fermato in
passato quand’era in procinto di commettere una pazzia:
avrà il suo sangue di Vergine-Vecchia, ancora bella,
nonostante bella non sia mai stata, quel sangue per cui ha combattuto
persino sé stesso, tornando vincitore per reclamare
ciò che gli spetta.
Lei è la sua terra, il principio e la fine del Mondo.
Che sia giovane o incartapecorita d’aspetto poco
gl’importa.
“Vuoi
succhiare il mio sangue?” nonostante l’intonazione
non è una domanda, Lei sa perfettamente cosa il suo servo
sia venuto a reclamare e, senza attendere risposta, stringe
l’indice fra le labbra mordendo con forza prima di distendere
il braccio verso di lui, lasciando cadere alcune gocce.
Bevi elemosina Alucard, Vlad Dracul, bevi la vita che questa donna ti
concede e riprendi il tuo vecchio posto di servitore al suo fianco,
sorvolando l’insolenza e rammentando il potere degli
incantesimi che a lei ti vincolano, impedendoti di
sfiorarla…non commettere l’insania che ha preso ad
agitarti l’animo da quando hai messo piede in questa stanza.
Certe gerarchie non possono essere scavalcate, sarebbe come sovvertire
l’ordine cosmico.
“Ben
tornato, Conte” mormora lei, avvicinandosi sino a sfiorargli
gli stivali.
“Sono a casa…” Integra avverte solo lo
spostamento d’aria, i capelli lunghi fluttuarle attorno come
fossero privi di gravità e, fra quei fili dorati che le
coprono la visuale, rischiarati dalla luce tenue della luna,
gli occhi ardenti di lui farsi sempre più grandi e profondi,
come l’abisso, inghiottendola.
L’aria le fuoriesce dai polmoni quando si ritrova schiacciata
contro il suo corpo freddo, solido, imprigionata nella ferrea morsa di
braccia che – un tempo – l’hanno protetta
dai proiettili dei sicari inviati da suo zio e che ora, possessive,
reclamano quel contatto che più volte si sono viste negare;
la dama e il servo, che assurdità Indecente!
“Contessa…” il respiro di Lui contro la
pelle delicata del collo è il vento freddo
dell’Averno ed ha l’odore pungente del peccato,
è la promessa di vita a cui lei non ha mai voluto pensare
per paura di vacillare,
dilaniata fra il buon senso – e la morale – che le
imponevano l’umano commino come Unico e la
possibilità, folle, che nel suo destino vi fossero altre vie.
“Vuoi uccidermi, Servo?” domanda la donna con voce
ferma, recuperando il proprio contegno.
“Vuoi disonorare la tua Signora?” nonostante
l’autocontrollo, il suo animo è in tumulto;
quand’era bambina ed ancora poteva permettersi
d’indugiare in frivoli pensieri, lui era stato
l’archetipo d’uomo –
del superhero-man -, la voragine in cui precipitavano quelle fantasie
che non avrebbe mai rivelato ad anima viva; a dieci anni si sentiva
ancora ‘innocente’ nonostante
l’infatuazione per quella Leggenda che
in vita era stato un condottiero pazzo e sanguinario; un esempio
deprecabile, nonostante lei stessa avesse impugnato la pistola per
uccidere, dimostrando lo stesso sangue freddo d’una fiera.
Si era sentita ‘pura’ finché, nel
guardarsi allo specchio, aveva scoperto che le camicette da bambina
iniziavano a tirare sul petto seguendo il profilo dolce di seni ancora
piccoli, accennati; le gonne s’accorciavano,
passando dalle caviglie al polpaccio, sottolineando indecentemente il
profilo di quei fianchi non più così secchi, di
cosce femminili fra le quali scivolava in gocce la condanna del sangue
mensile.
Fa male scoprirsi donna, scoprirsi improvvisamente
‘assoggettata’ ad una forza più grande
della ragione, più profonda del sentimento; fa male
scoprirsi debole, nonostante possedesse uno fra le armi
più potenti al mondo, perché Lui – la
sua pistola – era come la lama d’una spada stretta
in pugno, letale per altri se conficcata di punta, ma dolorosa anche
per lei ferita di taglio e, per evitare che lui se ne
accorgesse,
che vedesse nei suoi gesti il riflesso di quella debolezza che, con
fatica reprimeva, aveva scelto d’annichilire la sua natura
mutandosi in Uomo.
Sir Integra Hellsing, la dolcezza d’un sergente dei Marines e
l’aridità emotiva d’una vergine di
ferro; rinunciando alla Donna aveva paradossalmente conservato quanto
di più femminile avesse e solo ora che è
invecchiata, con lui così vicino, si rende conto di quanto
sia stato ‘inutile’ il suo gesto.
Nonostante la fascia che le schiaccia i seni avvizziti, la creatura ne
avverte le forme compresse contro il proprio torace, come avverte
l’odore dolce – femmineo – di lei sotto
l’acre aroma di tabacco d’importazione; gli ci sono
voluti quarant’anni per capire che la bambina magra e miope
è divenuta una donna, per capire a fondo la forza di quei
desideri che per troppo tempo ha represso.
Non sparire! Gli ha comandato trent’anni prima, fra le
macerie d’una Londra apocalittica, “Non
lasciarmi!” ciò che invece avrebbe voluto urlare
nel vento pregno dell’odore di morte e fumo,
affinché lui sapesse, nonostante rischiasse
d’essere ugualmente abbandonata, con la beffa di finir derisa.
L’amore per Alucard è un sentimento dannoso,
distruttivo, e ne ha una percezione ben diversa da quella attuale
poiché, ai suoi tempi, non si usava dargli troppo peso.
Non ci si sposa per amore ma per politica.
Non si prende una donna per amore, ma per desiderio.
Non si combatte per amore, ma per necessità.
Eppure
mentre la osserva in silenzio, con le labbra semichiuse sopra le lunghe
zanne, le iridi incandescenti paiono rifulgere d’una luce
nuova, ch’ella non aveva mai scorto prima; non è
la semplice fame
del pellegrino, né l’esaltazione mistica del
fedele giunto dinnanzi a Dio, al termine del proprio viaggio,
è desiderio – sesso e sangue – addolcito
da una punta d’umanità, di
quell’illusione tanto cara ai romanzieri.
La sta amando nell’unico modo che conosce, attendendo un suo
cenno per affondarle le zanne nel collo e prendersi ciò che
gli spetta, non con la forza – come in uno stupro- ma
lentamente, con una gentilezza quasi ironica per una creatura priva di
principi e pietà; non s’accontenterà
più di quelle poche gocce offerte distrattamente, il suo
status ora è mutato e, mentre Integra si sbottona il
colletto della camicia,
tirando la stoffa sulla spalla per offrire alla vista la carotide
pulsante, sa che quella comunione cambierà profondamente
anche lei e, stranamente, non prova alcuna repulsione.
Tutto il suo rigore anglicano è spirato, annientato dalla
presenza di lui.
“Miserere mei, Domine”
E:N:D.
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