Star
Trek – The Miracle Generation
A
place where your love has always been enough for me
§§§
Da
un'idea di Rei Hino e Mkb-Diapason
§§§
Spin-off
di “A Kind Of Miracle”
§§§
Data
Astrale Ignota
La
plancia era distrutta, ovunque solo cadaveri o feriti agonizzanti nel
buio appena appena ingentilito dagli sporadici flash elettrici delle
scintille che provenivano dai macchinari ormai disintegrati.
In
mezzo a quella distruzione, Demora era distesa a terra, con la parte
inferiore del corpo, bloccata da un pezzo di lamiera caduto dal
soffitto, ormai insensibile e con la mano sinistra stretta attorno a
quella di Monica, che era buttata al suo fianco come uno straccio
sporco.
La
accarezzava meccanicamente, concentrata unicamente sulla figura
davanti a lei, l'unica forse ancora in piedi e viva in tutta la
plancia.
Quella
furente di Sammy che, malgrado il corpo percorso da tagli e ferite,
si reggeva faticosamente in piedi, col phaser puntato verso un angolo
della stanza circolare, gli occhi pieni di rabbia mentre sorreggeva
con l'altro braccio il corpo spaventosamente pallido, piccolo e
tristemente privo di vita di Victor.
“AVVICINATI
QUANTO VUOI! UCCIDIMI!” gridò il capitano,
sovrastando per un
attimo le esplosioni che si susseguivano per tutta la nave, che
tentavano a loro volta di accavallarsi al grido penetrante
dell'allarme rosso: “MA NON TI DARO' MAI DEMORA!”
Una
risata cattiva, che fece tremare di paura la fin troppo giovane
tenente, risuonò ovunque per tutta la nave, entrandole
dentro e
cercando di strapparle a viva forza il cuore dal petto.
Chiuse
gli occhi, senza però mollare la mano di Monica, piccola e
fredda,
priva di battito.
“...ra...”
Aveva
paura, non voleva morire...
“...ora...”
Non
voleva che Sammy morisse per colpa sua, per colpa di una bambina che
era solo un pericolo per l'intero equipaggio, per la sua stessa
famiglia...
“...mora...”
Voleva
vivere...
“DEMORA!”
Ritornare
a farlo non era mai stato così doloroso.
Soprattutto
per i suoi occhi, che vennero impietosamente feriti dai penetranti
neon che il suo istinto aveva riconosciuto all'istante come quelli
asettici dell'infermeria dell'Enterprise.
Per
non parlare dei polmoni, che inspiravano ed espiravano ossigeno,
coadiuvati dalla mascherina che le era stata gentilmente poggiata sul
volto, sudato e accaldato come dopo un lungo allenamento di kendo con
tanto di bogu indosso.
E
pure gli arti avevano qualcosa da ridire, poichè parevano
essere
scesi in sciopero: riusciva a malapena a muovere le dita di mani e
piedi.
Presa
dal panico, la giovane cercò di muoversi in qualche maniera,
mugolando e lamentandosi, ma subito una mano gentile le andò
ad
accarezzare la testa, una mano sottile e fin troppo familiare, mentre
la stessa voce che ricordava avesse gridato, solo pochi istanti
prima, il suo nome, era diventata carezzevole e affettuosa, e le
cantava qualcosa all'orecchio, una melodia familiare...
All
I need is your love
Hageshii name
no naka de utatte yo
Toki wo
nagare ni hikisakareta ai wo
Ricordava...
che Hikaru-chichi-ue gliela cantava quando faticava ad addormentarsi,
i primi tempi che si trovava sull'Excelsior...
E
c'era una sola persona, oltre al suo papà, che sapeva
cantarla.
Più
o meno.
“Sam...
E' ame,
non name...
E dopo toki
c'è no...”
biascicò Demora faticosamente, riuscendo infine a mettere a
fuoco la
capigliatura spettinata del suo capitano e fratello maggiore
autonominatosi tale.
Sammy
le sorrise, senza però smettere di tenerle la mano:
“Scusami se
non so il giapponese...” borbottò lui falsamente
irritato, “Non
basta il Vulcan?”
“Demora,
stai bene?!” chiese Monica con tono preoccupatissimo,
comparendo
nello spazio visivo dell'altra ragazza: “Accidenti, mi sei
svenuta
in braccio! Non farmi più prendere colpi del
genere!” esclamò con
tono vagamente isterico, “Sei rimasta priva di sensi per ore!
Avevo
paura...” singhiozzò, asciugandosi gli occhi
visibilmente gonfi
con la manica della divisa.
Demora
notò solo in quel momento che l'unica mano che le era
rimasta
libera, era tenuta stretta tra le dita dell'amica.
Era...
svenuta?
Non
lo ricordava per certo...
“Non
ti sei più mossa dopo essere caduta in braccio a Monica,
subito dopo
la riunione nella mia sala tattica.” le ricordò
gentilmente Sammy:
“Questo è accaduto 15 ore fa.”
precisò.
15...
ore...?
Aveva
saltato il suo turno alpha! E aveva fatto quasi sicuramente la figura
dell'idiota davanti a tutto l'equipaggio!
Presa
dal panico, e mossa unicamente dall'adrenalina, la giovane si
strappò
di dosso gli elettrodi che sembravano essere fioriti sul suo corpo
nudo fino alla cintola e la maschera dell'ossigeno; rotolando a
terra, mentre i flash dolorosi di quello che, forse, era stato un
sogno, la colpivano con ancora più dolore e forza,
riuscì a
guadagnare qualche passo prima che le svelte braccia di David Foster
la riacchiappassero, depositandola sul bio-letto e la voce assordante
di Sammy chiamasse a gran voce il dottor Shran.
Poi
più nulla.
§§§
“Le
ho somministrato un blando sedativo, dovrebbe dormire tranquilla per
tutta la notte. Comunque, il sottotenente Scott ha insistito per
stare con lei quindi, qualunque cosa accada, se necessario, ci
penserà lei a dare l'allarme.”
Il
capitano annuì distrattamente alla spiegazione puntigliosa
del
proprio CMO, la mente totalmente assorbita dal fin troppo rapido
svolgersi degli eventi.
Prima
l'inspiegabile svenimento, durato la bellezza di 15 ore, poi la crisi
isterica che aveva colpito Demora e infine quel sonno innaturale,
certamente popolato di incubi come il precedente.
Il
capitano Samuel Kirk McCoy era molto preoccupato per il tenente Sulu
Chekov, per quella sorellina che il Destino gli aveva donato ormai
14 anni prima e certamente non se ne sarebbe rimasto con le mani in
mano.
“Allora,
ricapitoliamo... Il dottor Shren dice che non c'è nulla che
non vada
in Demora... Nè a livello fisico nè a quello,
grazie al cielo,
mentale. Semplicemente...”
“S'è
spenta.” mormorò con tono pensieroso David,
poggiando una mano
sulla spalla di Sam: “Sembrava come quei bambolotti robot
delle
esercitazioni fisiche, che l'istruttore spegneva e riaccendeva a
distanza in Accademia...” fece notare il Primo Ufficiale.
Victor
si morse un labbro, tirando fuori il proprio inseparabile DiPadd:
“Io
ho raccolto qualche informazione dal dottor Shran e ho provato a fare
qualche ricerca in parallelo... So che non avrei dovuto ma... Voglio
bene al tenente Sulu... Durante la missione su Hal Beta...”
“Va
tutto bene, guardiamarina.” lo rassicurò Sam con
un sorriso:
“Prometto che non dirò a Demora che ha frugato
nella sua cartella
personale.”
Annuendo
imbarazzato, Vic bisbigliò un vago: “Illuminazione
20%” prima di
proiettare sulla parete dirimpetto a loro una scansione dello stato
di servizio della ragazza.
“Non
è un mistero per nessuno che il tenente Sulu sia stata
adottata
dalla sua attuale famiglia quando aveva appena 11 anni...”
iniziò
lui, tormentandosi le dita: “Però questo lei l'ha
sempre saputo.”
fece notare Sam, “Ne sono convinto, lei stessa mi ha
raccontato più
volte alcune cose... Però...”
“Però...?”
incalzò il biondo, inquieto per la possibile risposta che,
nel
profondo, conosceva già.
“Alma
Mater V, di cui abbiamo visto le riprese della sonda e sul quale
dobbiamo fare ricerche per conto della Federazione...”
Tutti
trattennero per un attimo il fiato.
“E'
il pianeta su cui l'Excelsior del capitano Sulu la trovò, 14
anni
fa.”
“Quindi...”
“E'
altamente probabile che sia stato lo shock, unito forse a un certo
grado di stress già presente, a far collassare il
tenente.”
concluse Shran con tono monocorde.
Sam
rabbrividì, ricordando le condizioni in cui Demora era
arrivata
sulla Terra, dopo tre mesi nello spazio: ed erano già stati
parecchi
gli sforzi degli zii per riportarla a una condizione umana.
La
piccola Demora, all'epoca, difficilmente parlava o si staccava dal
suo papà russo o da quello giapponese, Sam non osava pensare
ai
racconti che gli zii avevano riportato ai suoi genitori, nelle sere
seguenti al loro ritorno sulla Terra con quella bimba.
Racconti
che lui, in teoria, non avrebbe dovuto sentire - doveva occuparsi
delle due bambine e David, da bravo e fedele amico che era, lo aveva
pure aiutato molto – ma se tutti e tre erano crollati dopo
aver
letto l'ennesimo libro o visto l'ennesimo film sull'olovisore, e lui
si annoiava...
Doveva
aver sofferto molto, da sola e in quella giungla e lo shock era quasi
comprensibile.
“Crede
che...”
“In
casi come questi, uno shock particolarmente violento è in
grado di
fare tabula
rasa
di qualunque mente.
Teoricamente parlando, uno shock di pari
intensità potrebbe sortire l'effetto opposto ma la teoria ha
sempre
qualcosa di meno della pratica, c'è sempre qualche variante
imprevista ad interferire.” soggiunse l'andoriano:
“Per ora,
resterà in infermeria sotto osservazione. Verrà
dimessa solo sotto
mio esplicito permesso.” e nel dire ciò, i suoi
occhi
dardeggiarono sul capitano, “Mentre gli ufficiali che sono
rimasti
in piedi per tutta la scorsa notte,” e di nuovo
osservò il
Capitano, assieme al suo seguito, “dovranno tornarsene nei
loro
alloggi a riposare.”
Consci
che fosse stupido litigare con il dottor Shran, i tre annuirono
vigorosamente.
§§§
Scesa
giù dal bio-letto con cautela, Demora sorrise
affettuosamente
all'indirizzo di Monica, che dormiva rannicchiata sul bordo del
piccolo materasso, con la giacca della divisa tutta stropicciata e
distribuita tutta scompostamente sulle sue spalle, di tanto in tanto
sussultanti.
Non
era raro che, nel mentre dei sogni, Monica si lamentasse o mugolasse
– aveva trascorso l'ultima parte dell'infanzia e tutta
l'adolescenza con lei, sapeva quello che diceva – ma era
tutto
assolutamente normale.
Non
volendo disturbarla, e sentendosi abbastanza in forze per prendere
servizio, la ragazza si avvicinò in punta di piedi
all'armadietto in
fondo alla stanza, dove sapeva venivano tenuti gli abiti e gli
effetti personali degli “ospiti” dell'infermeria.
E
difatti, ci trovò dentro tutte le sue cose in perfetto
ordine.
Aveva
appena finito di appuntarsi la spilla al petto quando udì un
nuovo
mugolio provenire da Monica, segno che, forse, stava per svegliarsi.
Forse
avrebbe fatto meglio a darsi una mossa.
Un
attimo dopo, senza neppure curarsi di chiudere lo sportello, Demora
era fuori nel corridoio e cinque minuti dopo la
“fuga” si trovava
su un turbo-ascensore diretta in plancia.
Non
poteva ancora crederci.
Come
aveva potuto svenire, davanti al suo capitano e ai suoi compagni?
Si
sentì umiliata dal proprio corpo.
Non
era più una bambina, certe cose, anche se non ricordava
ancora bene
come avesse trascorso quei mesi nella giungla, quattordici anni
prima, non avrebbero più dovuto farle effetto.
Eppure,
evidentemente, il suo corpo li ricordava eccome, pur non volendo
condividere quelle memorie col suo cervello razionale.
Da
quando papà Pavel e Hikaru-chichi-ue l'avevano portata sulla
Terra,
lei stessa aveva quasi del tutto stivato nel profondo dell'inconscio
qualunque flash, sensazione, ogni cosa riconducibile ad Alma Mater V,
si era del tutto integrata all'interno della sua nuova famiglia, fino
quasi a dimenticare di non esserci nata ma di esserci arrivata solo
dopo.
A
quel pensiero, si morse il labbro.
Le
sue radici appartenevano a quel passato che lei non ricordava, e non
sapeva se voleva o meno ritrovarle.
Perchè
sentiva che quel sogno, avuto dopo il suo svenimento, era collegato
strettamente a quella storia, come se la propria mente volesse
avvertirla, metterla in guardia da qualcosa.
Come
se avesse voluto dirle: “Allontanatevi da questo
posto, non
portate a termine la missione o verrete distrutti.”
E
lei non ci teneva a vedere l'Enterprise nuova di pacca distrutta, e
loro con lei.
In
fondo, le sue radici non erano così importanti: aveva una
famiglia
che le voleva bene, era nello spazio assieme ai suoi
“fratelli” e
aveva intenzione di supportare Sam e Monica in tutto ciò che
poteva.
Aveva
sufficienti cose di cui occuparsi e preoccuparsi.
“Demora?
Che ci fai qui? Il dottor Shran ti ha già dimesso?”
La
voce stupita di David la accolse al suo arrivo in plancia, assieme al
sorriso gentile del piccolo Victor, le cui maniche della divisa
erano, evidentemente, sempre troppo lunghe dato che i risvolti
arrivavano al gomito.
“Più
o meno...” borbottò lei, massaggiandosi le tempie
e andando a
sedersi alla sua postazione.
“Ho
capito, sei scappata.” concluse David con un sorrisino
divertito,
andandosi ad accomodare di nuovo sulla poltrona di comando:
“Ci
vorranno almeno altre cinque ore prima dell'arrivo a destinazione,
prenditela comoda, tanto il capitano è stato confinato nei
suoi
alloggi fino a nuovo ordine.” ridacchiò Foster.
Lei
annuì.
Si
fidava di David: quando era appena arrivata sulla Terra, lui e Sammy
si occupavano di lei e Monica, gli era legata e affezionata,
però
non si sentiva pronta a parlare di quello che le era accaduto, e
sperava che lui per primo non tirasse fuori il discorso.
Aveva
apprezzato molto il fatto che non avesse nominato il pianeta
però,
prima o poi, avrebbe dovuto parlarne.
Soprattutto
in merito a quel sogno...
Trascorsero
parecchi minuti avvolti nel più totale silenzio quando...
“Da
quant'è che siamo qui a vagabondare nello spazio?”
“Non
lo so... Non sono solita contare il tempo che scorre.”
“C-Circa
quattro mesi...”
All'affermazione
di Victor, David sorrise, sfregandosi le mani: “Quindi sono
quattro
mesi circa che nessuno di noi torna a casa, esatto?”
“Non
è esatto... Se siamo in servizio sull'Enterprise da quattro
mesi,
allora per me sono dieci. Ero assegnata alla corvetta Hikari che
pattugliava il confine romulano prima di venir trasferita qui in
fretta e furia, sono stata accompagnata alla base orbitale e non sono
neppure scesa sulla Terra.” fece notare la ragazza.
Due
paia d'occhi la puntarono stupiti.
“Mi
vuoi dire che sono dieci mesi che non senti e non vedi i
tuoi?”
chiese David preoccupato.
“Esatto...”
“Ma
non è giusto!” esclamò lui piccato,
voltandosi verso l'addetto
alle comunicazioni, che li fissava dalla sua postazione:
“Tenente
Hua, l'Excelsior dove si trova in questo momento?”
La
giovane tenente cinese sorrise accondiscente, comprendendo quello che
il suo comandante stava architettando: “Sono nel sistema di
Alpha
Centauri, accompagnano una missione diplomatica.”
“Perfetto.
Si metta in comunicazione con loro. Tenente Chekov, a lei la plancia.
Noi abbiamo una missione da sbrigare.” decretò
David, alzandosi
dalla poltrona per lasciarla a Demora, sbigottita, “Shatsky,
Hua,
O'Malley, con me.” concluse, uscendo dalla stanza a larghi
passi.
Prima
di uscire, Hua poggiò una mano sulla spalla dell'amica:
“Parlando
con loro starai meglio.” la rassicurò con un
occhiolino.
Lo
schermo si accese, brillante, nel momento in cui la ragazza s'era
accomodata al posto del capitano, e il volto di Janice Rand
riempì
il visore, stupendosi non poco nel vederla: “Demora, cosa
succede?”
chiese lei, la ragazza notò che occupava il posto del padre.
“V-Volevo...”
balbettò lei, abbassando lo sguardo imbarazzata.
Nel
vederla così dimessa, e forse anche un po' troppo pallida,
Janice
sorrise: “Se aspetti un attimo, ti metto in comunicazione con
l'alloggio del capitano.”
Lei
annuì e, quando l'immagine sparì, e venne
sostituita dai volti
sorridenti dei genitori...
Demora
scoppiò letteralmente in lacrime davanti a loro.
“S-Scusate...”
biascicò, cercando di ricomporsi: “Stavate
dormendo?” domandò,
notando che entrambi indossavano abiti civili.
“Dobbiamo
riprendere servizio tra meno di un'ora, ci stavamo
preparando.” la
rassicurò il russo, “O meglio, Pavel stava ancora
beatamente
ronfando, occupando impunemente anche la mia parte di letto.”
ridacchiò il giapponese.
“Tu
eri sotto la doccia...” borbottò il più
giovane, spostando
l'attenzione sulla figlia: “Tutto bene, Tribble? Ti vedo un
po'
pallida...” notò lui, “Hai spodestato
Sam?” rise un secondo
dopo Hikaru, “Sono fiero di te, sei diventata Capitano a soli
venticinque anni!” esclamò con tono solenne il
giapponese.
Demora
scoppiò sonoramente a ridere: le erano mancati tanto i suoi
papà,
le era mancato il soprannome che papà Pavel le aveva
appioppato poco
dopo quel primo Natale trascorso sulla Terra, quando l'avevano
trovata, la mattina dopo, ravvolta in una marea di pellicciotti
sintetici mentre imitava perfettamente uno dei due triboli che Monica
e lei avevano ricevuto in regalo da Sammy e David.
“N-No.
Sam è a letto, fino a poco fa c'era David qui ma sono tutti
usciti
per permettermi di parlare con voi...” spiegò:
“E' difficile da
spiegare...” borbottò.
“Prenditi
tutto il tempo che ti serve.” la rassicurò Hikaru.
“Siamo
stati assegnati all'esplorazione di un pianeta di classe M... Si
chiama Alma Mater V. E io sono svenuta come una deficiente davanti a
tutti e ho sognato che qualcuno aveva ucciso l'equipaggio dopo aver
attaccato l'Enterprise e che Sammy mi stava difendendo, ho paura, non
so cosa dobbiamo aspettarci da quel posto e non riesco comunque a
ricordare quello che mi è successo laggiù! Kuso!”
I
due genitori si guardarono negli occhi, preoccupati.
“Guarda
che è normale avere paura di una cosa del
genere...” le fece
notare Hikaru con aria incredibilmente seria mentre la sua mano
andava a stringere quella tremante di Pavel accanto a sè:
“Non è
una missione come un'altra. Che altro accadeva nel sogno?”
Demora
si asciugò gli occhi: “La plancia era distrutta...
Monica era
accanto a me... morta... Victor era in braccio a
Sammy, che
stava davanti a me... David era buttato con la testa fracassata
contro una parete...” a mano a mano che parlava, le venivano
in
mente sempre più particolari di quel sogno, come se lo
stesse
rivivendo in quei momenti.
Quando
ebbe finito, riaprì gli occhi, osservando smarrita e con le
lacrime
agli occhi i genitori: “E mentre venivo qui, dopo aver...
lasciato
l'infermeria, ho cominciato a pensare... Io non voglio sapere da dove
vengo e chi sono davvero, se per saperlo devo perdere qualcosa di
così importante...” singhiozzò,
sfregandosi gli occhi con la
manica della divisa, “Io ho già una famiglia e non
voglio perderla
a causa di stupidi fantasmi del passato.”
“Demora,
guardami.”
Con
gli occhi un poco gonfi, lei obbedì docilmente al tono
severo del
padre, che la guardò dolcemente: “Demora, ricordi
com'eri quando
ti abbiamo portato via da quel posto?”
Lei
annuì, non poteva non ricordarlo: aveva paura, non sapeva
chi
fossero quelle persone ma non voleva tornare nella giungla...
“Non
è stato facile per noi vedere quel frugoletto
così spaventato al
punto da non voler lasciare il letto e papà
Pavel,” ridacchiò,
sentendo la presa sulla sua mano farsi più forte tanto
più il russo
al suo fianco riviveva a propria volta quei giorni:
“Però quella
che vedo ora non è più una bambina terrorizzata e
traumatizzata ma
una giovane e capace tenente della Flotta, impegnata in una missione
sicuramente dolorosa ma che verrà senza dubbio portata a
buon fine.
E non devi aver paura di trovare le tue radici. Il fatto che tu sei
nostra figlia non cambierà. Vero?”
“Non
c'è neppure da chiederlo.” replicò
seccamente il russo,
avvicinando il volto allo schermo: “Per tirarla fuori dal
letto e
farla mangiare sono stato costretto a usare le marionette, le
rimboccavo le coperte e mi ha usato come peluche. E' la mia bambina e
su questo non si discute.”
Hikaru
rise, baciandolo appena sulle labbra: “Lo so, koi,
lo so.”
disse, prima di voltarsi verso la figlia, che aveva gli occhi lucidi,
“Ti vogliamo bene, Tribble. Porta a termine la missione e
torna
presto a casa, a breve ci saranno i campionati universitari di Kendo,
non ti piacerebbe tornare a vederli?” le chiese, strizzandole
l'occhio.
Demora
sgranò gli occhi: “E' da quando sono entrata in
Accademia che non
andiamo a trovare i nonni a Tokyo!” esclamò lei
felice.
“Allora
alla prossima licenza, andremo a trovarli. D'accordo?” le
sorrise
lui.
“Ora
vai,” s'intromise Chekov: “E chiama più
spesso. L'Enterprise è
sempre irraggiungibile come segnale, vi assegnano sempre missioni
pericolose in buchi sconosciuti dell'Universo.”
notò torvamente il
russo.
“Papà
Pavel, le vostre erano anche più pericolose.” rise
la ragazza:
“Grazie... Sono fiera di essere vostra figlia... Vi voglio
bene...”sussurrò con voce arrochita.
“Anche
noi, piccola, anche noi...”
Una
volta interrottasi la comunicazione, Demora si sentì calma
come mai,
negli ultimi mesi, si era sentita.
Le
aveva fatto bene parlare coi genitori.
Restò
in silenzio per qualche istante, poi sorrise tra sè e
sè, sfiorando
il proprio comunicatore: “David Foster, sono in debito con
te.
Potete anche tornare quassù.” disse, alzandosi
dalla postazione
per raggiungere la propria.
Quando
il comandante, accompagnato da tutti gli altri, rientrò in
plancia,
trovò l'amica intenta a compilare scartoffie su scartoffie,
comodamente seduta al proprio posto e sorridente.
“Ti
comunico che Monica sta venendo qui. E sembrava anche piuttosto
arrabbiata e preoccupata.” le disse David con un certo
divertimento
nella voce.
“Deve
essersi svegliata. La andrò a intercettare.”
replicò
tranquillamente lei, alzandosi e rivolgendo a tutti loro un sorriso
riconoscente prima di sparire inghiottita dal turbo-ascensore.
§§§
“Sam,
sono io. Posso entrare?”
L'ingresso
di David nell'alloggio del suo capitano venne accolto da un cuscino,
che lo colpì con precisione chirurgica in faccia.
“Lasciami
dormire ancora un po'...” biascicò, affossandosi
sotto le coperte.
Ridacchiando
tra sè e sè, il comandante strappò
poco gentilmente le coperte di
dosso al suo superiore: “Illuminazione 100.”
ordinò con tono
compiaciuto, “Sorgi e splendi, Samuel! Siamo in vista di Alma
Mater
V.”
A
quelle parole, il capitano McCoy scattò seduto malgrado il
fastidio
che gli dava la luce: “E Demora?” chiese ansioso.
“E'
già in sala teletrasporto, pronta assieme a Brown, Shatsky,
il
dottor Shren, Hua e O'Malley.”
“E
come...?”
“Ottimamente.
Era di umore eccellentemente nero quando è salita stamane in
plancia
ma poi abbiamo “ricevuto” una chiamata di cortesia
dall'Excelsior
ed è tornata la solita e affabile Demora di
sempre.”
Sospirando
sollevato, Sam accettò di buon grado la divisa pulita dalle
mani di
David: “Che dicono? Si stanno divertendo su Alpha
Centauri?”
“Sai,
Sam, io non credo che divertirsi sia l'aggettivo
più adatto
da conferire a una missione diplomatica cui partecipano Klingon,
Andoriani, Vulcaniani, Romulani e altri. Direi piuttosto che noia
mortale inframezzata a possibili tempeste di rabbia e sbronze klingon
sia la previsione meteo più
azzeccata in questo
frangente.”
“Chissà,
zio Hikaru potrebbe trovare qualche avversario degno di lui nella
scherma.”
“Permettimi
ma ne dubito.” ridacchiò il giovane, passando al
capitano anche
gli stivali: “Battere Hikaru Sulu a duello è
difficile. Ne so
qualcosa.” aggiunse, ricordando una lezione di scherma dei
tempi
dell'Accademia.
“Ti
brucia ancora il fioretto puntato alla gola in due secondi
netti?”
lo sfottè Sam mentre recuperava tutto il necessario allo
sbarco.
“Puoi
dirlo forte, amico. Non ho avuto neppure il tempo di
vederlo!” si
lamentò David, guidando il proprio comandante fuori
dall'alloggio.
Cinque
minuti dopo, erano in sala teletrasporto.
Con
un rapido colpo d'occhio, Sammy saggiò l'umore della sua
squadra,
normale per tutti, forse un pizzico di ansia nel caso di Victor ma
era quasi una formalità per lui, e si stupì nel
percepire la quasi
totale assenza di emozioni provenire da Demora.
Cosa
insolita perché Demora era forse la persona più
passionale ed
emotiva tra quelle che conosceva, e se anche non era particolarmente
incline a mettere in mostra quei suoi sentimenti, Sammy in quanto
Sammy, e in quanto suo fratello maggiore d'adozione e quindi
estremamente legato a lei non dal sangue ma dal profondo affetto, e
da una buona dose di empatia, riusciva a leggerle dentro con estrema
facilità.
Eppure
in quel momento non percepiva nulla.
O
Demora, in quelle ore che aveva passato a dormire, aveva
padroneggiato la chiusura mentale vulcan, oppure lui si era
improvvisamente arrugginito, oppure...
Demora
davvero non provava nulla in un frangente del genere.
E
non sapeva se esserne felice o meno.
“Tenente,
venga qui.”
Con
il suo migliore tono da capitano, il biondo fece cenno alla ragazza,
poggiata contro la parete di avvicinarsi a lui, sotto gli sguardi
preoccupati di Victor e David e quello curioso e vagamente
strafottente di Brown.
Senza
battere ciglio nè aprire bocca, Demora eseguì
l'ordine, portandosi
con eleganza davanti al capitano, che la squadrò da capo a
piedi:
“Sicura di stare bene?” chiese poi, con tono
più addolcito.
Lei
annuì, senza però rispondere alcunché
a voce.
“Riesco
pressappoco a percepire le emozioni di tutti voi,, ma te sembri
vuota, impassibile. Che succede?” incalzò ancora,
non ottenendo la
minima risposta, neppure un cenno del capo.
Attorno
a loro, tutti sembravano curiosi, ma solo chi veramente conosceva
bene la tenente sapeva che un comportamento del genere non era da
lei.
Restarono
in silenzio parecchi minuti, con gli occhi azzurri di Sam puntati
sulla testolina scura della ragazza, con l'unico rumore delle
macchine in funzione a sfiorar loro l'udito.
Poi,
all'improvviso, Demora alzò di scatto la testa, puntando I
grandi
occhi scuri smarriti sul volto del capitano, e fu in quel momento che
quest'ultimo venne quasi sommerso dalle ondate di paura e
preoccupazione che l'amica emanava.
Poi,
quell'abbraccio istintivo, quelle braccia attorno al proprio collo e
quel peso leggero, così simile a quello che aveva cullato
per tutta
quella fredda, prima notte trascorsa sulla Terra.
E
quel lieve tremore...
“Sammy,
ho paura... Tasukete...”
susurrò lei con voce resa roca e
incrinata dal pianto: “Ho paura di quello che
troverò laggiù...
Ho paura di scoprire cosa sia successo...”
Facendo
cenno a David di guidare tutti fuori con la mano rimasta libera,
l'altra la stava usando per accarezzarle affettuosamente I capelli,
Sammy accompagnò Demora a sedersi sul bordo della
piattaforma per il
teletrasporto, aspettò che tutte le lacrime si fossero
sfogate, poi,
tirando fuori di tasca un fazzoletto, le asciugò con cura
gli occhi.
“Va
meglio?” le chiese poi, passandole con il pollice sulla
guancia
umida.
Demora
annuì: “Non so cosa mi sia preso, ho paura... Ne
ho tanta... Molta
più di quando sono scappata da casa dei nonni a Tokyo per
imbarcarmi
di nascosto sulla prima navicella per San Francisco e venire a
trovarti in Accademia.” rise distrattamente lei, ricordando
la
paura che i suoi papà le avevano fatto quando avevano
scoperto che,
no, non si trovava esattamente nella sua stanza e sì, era
stata
pescata da un Leonard McCoy a dir poco infuriato mentre dormiva
beatamente sullo stomaco di Sammy febbricitante nel suo alloggio a
Starfleet.
“Quella
era una marachella da bambini, forse un po' grossa ma pur sempre una
marachella.” le fece notare il biondo: “Qui siamo
ad un altro
livello.”
“La
paura è sempre la stessa, subdola, bastarda, che sembra
allontanarsi
ma che, al momento buono, arriva e ti prende impreparata, ti mozza il
respiro e ti spinge a scappare più lontano e più
veloce che puoi.”
borbottò lei, stringendosi nella divisa.
“Però
la paura si può dominare, è tutta una questione
di controllo.
Oppure, se non riesci a controllarla, è tutta questione di
amicizia.” cercò di mostrarsi rassicurante e
sorridente.
Con
aria interrogativa, Demora lo fissò.
“Si,
insomma...” Sam sorrise imbarazzato: “Se non riesci
ad affrontare
qualcosa, non c'è nulla di sbagliato nel chiedere aiuto a
chi ti sta
attorno. A chi vuoi bene. Monica, David, il guardiamarina Shatsky, tu
e Hua sembrate molto legate e pure Brown, a modo suo, sembra meno
propenso a litigare con te da un po' di tempo a questa parte. Il
dottor Shran sarà un po' musone ma anche lui scommetto che
è pronto
a rendersi utile. Quello che voglio dire...” le
mormorò con un
sorriso affettuoso, prendendole al contempo la mano: “Non
devi
affrontare tutto questo da sola, siamo tutti pronti ad
aiutarti.”
“Samuel
ha ragione!”
David,
seguito dal resto del gruppo, non aveva retto molto fuori da
lì.
“La
ringrazio del complimento, capitano. Non capita
tutti I giorni
farsi dare del “musone” dal proprio comandante.
Però ciò che ha
detto è corretto.”
“'Mora,
non mi sono fatta quindici ore a passarti un panno bagnato sulla
fronte per sport. L'ho fatto perché ti voglio bene, sei mia
sorella
e ci stavo male a vederti così sofferente, ed ero impotente
in quel
frangente. Ora posso fare qualcosa, permettimelo. Affronterò
con te
quello che ci aspetta su questo pianeta. E scopriremo quello che ti
è
capitato.”
“S-So
che n-non c'entro!” esclamò Victor in quel
momento, facendosi
faticosamente strada tra tutti: “P-Però tu non hai
bisogno di
sapere chi sei. S-Sei un'amica e tanto mi basta...”
balbettò,
rosso come un peperone.
“Il
piccoletto ha ragione!” continuò Monica, guardando
verso Hua con
aria complice: “Una famiglia la hai già, mi pare.
Hai due padri
fantastici, io non ho avuto neppure quello... Hai degli zii che sono
la fine del mondo e due fratelli e una sorella acquisiti, hai un
sacco di amici. Non ti serve scendere su Alma Mater per sapere chi
sei. Ci scenderai unicamente come tenente della Flotta, in missione
con i suoi compagni.” le parole che la coetanea cinese le
aveva
rivolto erano piene di affetto e malinconia, ma rimarcavano I
sentimenti generali dell'intero equipaggio lì presente.
Anche
quelli di Jason Brown che, silenzioso, aveva solo annuito.
Col
tempo, aveva capito le ferite che si portava addosso quella che lui
vedeva solo come una giapponesina orgogliosa dalla lingua lunga e
cominciava a rispettarla per averle superate: dopotutto, il passato
di entrambi era una cosa non da ridere e Demora non lo aveva preso in
giro e non si era neppure scomposta quando aveva scoperto il suo,
durante quella disastrosa missione su Rameelzel
III.
Trascorsero
alcuni minuti poi Demora, aiutata da Sam, si alzò,
stringendo tra le
dita il fazzoletto del capitano.
Asciugatasi
gli occhi, sembrò riprendere il buonumore.
E
con un ultimo “Grazie” sussurrato a fior di labbra,
la missione
iniziò.
§§§
La
giungla era calda e soffocante, umida oltre ogni previsione e la
squadra di sbarco camminava in silenzio, con le giacche malamente
allacciate attorno ai fianchi e le gocce di sudore che imperlavano le
fronti, i respiri affannati per il poco ossigeno e i phaser sguainati
per ogni evenienza.
Camminavano
ormai da alcune ore, disposti in una ordinata fila indiana con il
capitano McCoy in testa, il comandante Foster al suo fianco e dietro,
in ordine di grado, tutti gli altri, con il guardiamarina Shatsky
impegnato a raccogliere letture dall'ambiente circostante.
Di
rimando, Demora si sentiva inquieta.
La
sua mente registrava come familiari gli arbusti lussureggianti dai
colori improponibili e i fiori, sentiva una certa rassicurazione nei
versi lontani degli animali e, più di una volta, aveva
dovuto
reprimere il desiderio di strapparsi di dosso la divisa e gli stivali
per arrampicarsi sul primo albero a disposizione, come un bisogno
atavico.
Non
ricordava nulla, sentiva solo un legame profondo con quel posto.
Qualche
passo dietro di lei, Zheng
stava
sul chi vive, sia per la situazione di possibile pericolo che poteva
cascar loro addosso da un momento all'altro, sia per la
preoccupazione che provava nei confronti dell'amica.
Zheng
Hua l'aveva conosciuta in Accademia, erano state inseparabili e
compagne di stanza per tutto il tempo trascorso lì, avevano
affrontato assieme la prova della Kobayashi Maru...
Dopo
Monica, Demora la reputava la sua migliore amica.
E
per Zheng era lo stesso.
E
quest'ultima avrebbe fatto di tutto per proteggerla: da sé
stessa,
da quel pianeta che sembrava volerla ingoiare, dal passato e dai
ricordi.
Demora
le era stata vicino in tutto: dai primi esami fino alle sbronze
tristi prese durante le libere uscite serali e ora poteva ricambiare
la sua gentilezza e il suo affetto.
Non
seppe mai però quel che la colpì l'istante dopo.
Non
seppe mai come, dalla figura magra, snella e agile di Demora, i suoi
occhi passarono a vedere soltanto la flora lussureggiante che
popolava il sottobosco mentre le sue mani, persa la presa sul phaser,
venivano lentamente risucchiate dalle piante che sembravano vive.
Non
lo seppe mai perché, un secondo dopo, perse qualunque
contatto con
la realtà e attorno a lei scoppiò il caos.
Non
sentì Demora gettarsi su di lei per tirarla fuori dalla
presa delle
piante carnivore che, avevano scoperto forse troppo tardi, popolavano
quella parte di jungla, non vide David avvicinarsi per portarla via
di lì perché, non appena il gruppo si fu
allontanato a tutta
velocità, con Samuel che colpiva strategicamente gli arbusti
con il
phaser, l'ufficiale medico non poté che accertare il suo
decesso.
§§§
Quando
Hua era caduta a terra, Demora non aveva perso un momento e,
gettatasi a terra con impeto, aveva evitato per un soffio un dardo
lanciatole addosso da chissà dove e, strisciando, aveva
raggiunto il
corpo inerte dell'amica, riverso a faccia in giù e per
metà
sommerso da fiori e quelli che, incredibilmente, dovevano essere
licheni e muschi.
Attorno
a lei, i compagni avevano fatto barriera, colpendo a caso nella
boscaglia con i laser: “David! CHEKOV E ZHENG!”
aveva ordinato
Sammy da qualche parte sopra di lei: “Attento,
Shatsky!” seguito
dal tonfo di un corpo umano che cadeva a terra.
Con
le mani fredde della ragazza cinese strette tra le sue e le labbra
che diventavano progressivamente cianotiche col passare dei minuti,
il tenente Sulu-Chekov non aveva tempo né modo di
preoccuparsi di
ciò che accadeva attorno a lei, o meglio, non troppo: sapeva
che
Brown era davanti a loro, lo sentiva urlare imprecazioni piuttosto
colorite a ogni colpo che andava a segno ed era quasi certa di averlo
visto fianco a fianco con Sammy, quasi a volerlo coprire.
Un
attimo dopo, Shran si inginocchiò accanto a loro, la divisa
sporca
di uno strano liquido che mandava un puzzo insopportabile: non
sentiva quello che stava dicendo ma era chiara l'urgenza nei suoi
gesti mentre esaminava la ragazza.
E
quando, dopo che David si fu caricato in spalla Hua senza troppe
cerimonie, vide Brown tenderle la mano per tirarla in piedi, si
sentì
improvvisamente stanchissima: seguì la corsa indiavolata del
gruppo
di ufficiali per quella che le parve un'eternità e, quando
si
fermarono in una radura all'apparenza sicura, il primo pensiero che
ebbe fu per l'amica, tenuta cautamente in braccio dal primo
ufficiale.
“Stai
bene?” le chiese Jason, sedendola su una roccia piatta;
scuotendo
la testa, Demora s'alzò, barcollante, s'avvicinò
a Hua, immobile, e
le strinse nuovamente le mani gelate, consapevole dell'accaduto
ancora prima che la voce di Shran, raggiungendola, le
annunciò
tristemente ciò che aveva già intuito.
“Tenente
Zheng Hua, KIA.”
KIA...
KIA...
Come
un fiume in piena, tutte le emozioni, tutte le paure del sogno fatto
solo poche ore prima la travolsero con violenza, gettandola bocconi
per terra, incapace di respirare e sull'orlo del soffocamento.
Con
le mani a stringere un lembo del colletto della divisa e le unghie
conficcate nella carne del collo, Demora Sulu era entrata in
iperventilazione.
“TENETELA
FERMA!” urlò Shran, cercando di bloccarle le
braccia e al contempo
frugando nelle tasche alla ricerca di qualcosa.
Preso
dal panico, Victor incespicò nei propri piedi ma ebbe
abbastanza
agilità da rialzarsi e bloccare le gambe dell'amica
gettandosi
addosso a lei con tutto il proprio peso, coadiuvato da Monica,
terrorizzata ma propria volta a più lucida e controllata.
Per
il bene di 'Mora, doveva esserlo.
Jason,
David e Sammy, invece, nel tentativo di aiutare Shran, si erano
spartiti il busto superiore della ragazza e la testa: quando infine
l'ago epidermico venne iniettato nel collo e il tranquillante
cominciò a fare effetto, solo Samuel era rimasto a tenerla
affettuosamente in grembo a sé, accarezzandole le guance
rigate di
lacrime.
“CHE
CAZZO DI POSTO E' QUESTO?!”
Jason
mollò un calcio contro il primo albero capitatogli a tiro,
frustrato
e arrabbiato, spaventato a modo suo.
Sammy
l'aveva percepito chiaramente.
“Brown,
cool down.” l'aveva rimbeccato David, chino su Hua:
“Siamo in
missione, siamo addestrati per questo.”
Ma
se anche le sue parole volevano essere pacate e serie, i suoi occhi e
le lacrime che scendevano mostravano in realtà tutt'altro.
“E'...
colpa... mia...”
Sammy
strinse a sé il corpo di Demora, inconsolabile anche
nell'incoscienza poco riposante in cui era caduta.
“No,
non è colpa di 'Mora!” gridò Monica,
incapace di trattenersi e
pronta a frapporsi tra lei e Jason: “Non prendertela con
lei!”
Il
pugno serrato del giovane ufficiale, per un attimo, s'alzò,
come se
volesse colpirla: ed effettivamente il colpo partì,
infrangendosi
però contro la corteccia accanto a lei.
“Non
ho detto che sia colpa di Sulu. Datti una calmata, Scott, che non
è
proprio la mia giornata ideale questa...” borbottò
Brown,
massaggiandosi le nocche: “Dico solo che questo posto
è un inferno
in terra e al diavolo la missione! Finché possiamo,
andiamocene!”
Tutti
si voltarono verso Samuel: il capitano era lui e spettava a lui
decidere.
Con
un sospiro, questi sfiorò il volto pallido di Demora e
rivolse una
preghiera silenziosa al corpo inerte della giovane ufficiale caduta
prima di sfiorare il comunicatore appuntato al petto:
“Squadra di
sbarco a Enterprise, riportateci a bordo. Abbiamo un caduto e un
ferito.”
Ma
lo statico che proveniva dall'apparecchio non preannunciava nulla di
buono.
“Meraviglioso...
Questo pianeta sta cercando di ucciderci e noi siamo bloccati
qui!”
gridò Jason, tirando un calcio ad una pietra.
Questa,
lanciata a tutta velocità, finì lontano, in mezzo
alla boscaglia,
ed esplose.
“Credo
di aver appena avuto un deja-vù dai racconti degli
zii...”
bisbigliò Monica.
“Anche
io, e neppure troppo piacevole, a dire la
verità...” replicò il
Capitano, accorgendosi con discreto disgusto che la morte di Zheng
era stata identica a quella di un guardiamarina in servizio sulla
nave dei genitori anni prima.
“Ma
qui non siamo su Gamma Trianguli VI! Siamo su un fottutissimo pianeta
di un fottutissimo mini-sistema solare lontano parsec luce dal
sistema Trianguli!”
“Se
il tenente Brown ha finito di illustrarci la sua non comune
conoscenza delle imprecazioni terrestri, possiamo cominciare a
organizzarci.”
Samuel
aveva infine ripreso il controllo di sé e della propria
autorità e
aveva riportato ordine nella squadra di sbarco con un solo gesto e
poche parole.
Jason
annuì, sbuffando e sedendosi in silenzio.
“Bene.”
Samuel si guardò attorno, cercando disperatamente di non
lasciar
trasparire le proprie emozioni e di tenere a bada la propria rabbia e
la propria delusione e paura: quegli uomini e donne erano la sua
famiglia e non avrebbe perso nessun altro di loro.
A
qualunque costo.
§§§
La
sensazione di libertà che l'andare in giro senza vestiti le
portava...
Cos'erano
i vestiti, poi?
Certo
non lo ricordava, la sua mente, a poco a poco, pareva tornare
indietro, il mondo attorno tornava ad essere familiare e accogliente,
i suoi apparenti pericoli non erano più tali ai suoi occhi
mentre
l'istinto, e un richiamo atavico sembrava attirarla.
Demora
si era lasciata indietro i corpi morti dei compagni, aveva salutato
con una carezza e una lacrima ciascuno di loro, poi l'istinto aveva
preso il sopravvento.
Non
era più il tenente Sulu, era la Figlia di Alma Mater, e
desiderava
ricongiungersi con la Madre.
In
un modo o nell'altro.
Non
ricordava più nulla.
Né
il volto dei genitori né quello degli zii, dei fratelli...
Degli
amici...
La
sua famiglia pareva non essere mai esistita.
Nella
sua mente, c'era solo quella voce che la chiamava, la attirava a
sé.
Era
tornata bambina, quella piccola di sette anni che l'Excelsior aveva
salvato, quel giorno lontano di tanti anni fa, nella mente, sebbene
non nel corpo.
E
stava tornando a casa.
Coi
pochi brandelli dell'ormai inutilizzabile divisa addosso a coprirla
sommariamente sulle parti intime, la giovane brandiva una rozza arma
fatta di legno e pietre, i suoi occhi brillavano di rabbia e furia,
di desiderio e follia animalesca.
Eppure,
c'era qualcosa che non andava, nel profondo di sé, e lo
sentiva: pur
non sapendo perchè, dentro il suo cuore si annidava una
collera
inumana, divoratrice, che bramava distruzione.
Distruzione
per quella voce, per sé stessa e per quel pianeta.
Come
se un frammento della coscienza originaria stesse ancora lottando,
come se la morte del capitano McCoy e dei suoi uomini non si fosse
portata del tutto via con sé il tenente Sulu, come se questa
fosse
sopravvissuta, in un angolo della mente folle della ragazza.
Come
se per lei ci fosse ancora speranza, in qualche modo.
Il
primo a cadere era stato David: Samuel aveva dovuto lasciare il suo
migliore amico, il suo primo, vero amico al di fuori dello stretto
nucleo familiare, alla mercè delle belve feroci, il suo
corpo senza
vita abbandonato a sé stesso a malincuore.
Era
morto per lui, spingendolo via dalla traiettoria dell'ennesima pianta
velenosa che li aveva aggrediti: gli era morto tra le braccia senza
che Shran avesse potuto fare nulla per impedirlo.
Poi
Jason e Victor, che avevano tirato fuori Demora da un banco di sabbie
mobili e che la ragazza aveva visto morire sotto i propri occhi: non
avrebbe mai potuto dimenticare né gli occhi di Jason, aveva
letto
la disperazione e la frustrazione in loro, né quelli
terrorizzati di
Victor che aveva cercato di tirare su sé stesso e il
compagno.
E
ancora Monica e l'ufficiale medico, rimasti sotto la frana della
grotta in cui si erano rifugiati per la notte.
E
con infine la morte di Samuel, il cerchio si era richiuso, lasciando
da sola la giovane giapponese e facendo scattare in lei
quell'interruttore che pensava non esistesse più: era
regredita
nuovamente allo stadio primitivo, allo stato quasi animalesco in cui
aveva trascorso quei lunghi mesi della sua infanzia che credeva di
essersi ormai lasciata alle spalle.
Ma
non ricordava più nulla di allora e neppure di
ciò che era stata
fino a quel momento.
Esisteva
solo il presente e quel desiderio irresistibile di ricongiungersi a
chi la stava cercando.
A
chi le aveva continuamente sussurrato all'orecchio per tutto il
tempo.
“Bentornata
a casa, figlia mia... Bentornata tra noi...”
§§§
E
alla fine, era arrivata.
Davanti
a quel laboratorio ormai in rovina da cui tutto era cominciato, ormai
inglobato nella giungla soffocante e calda, con la stessa atmosfera
elettrica e pregna di radiazioni che la sua pelle, rabbrividendo,
pareva ricordare fin troppo bene, Demora si fermò, ansimando.
Doveva
entrare: l'urgenza del farlo le mozzava il fiato in gola e sentiva
come se una forza misteriosa la stesse spingendo verso l'accesso
principale, seminascosto da piante e detriti coperti di muschio
mentre il campo elettromagnetico tutto attorno la rendeva cauta e
timorosa mentre si muoveva, a fatica, attraverso quello che, senza
dubbio, all'epoca doveva essere il cortile principale del complesso.
In
quella piana ben definita e battuta davanti al cancello principale,
anni prima dovevano esserci stati dei mezzi di trasporto, dei
magazzini perfino.
Ora,
tutto quel che si vedeva erano i rottami e le rovine, le lamiere in
metallo...
Nella
mente folle del tenente si annidava un briciolo di coscienza
distruttiva che, per un secondo appena, riprese il controllo,
catalogando rapidamente i dintorni, la planimetria del luogo e
rinsaldando ulteriormente il proposito di distruggere tutto quello e
vendicare gli amici perduti prima di morire a propria volta.
Non
sapeva quello che la aspettava mentre, esausta, lasciava nuovamente
campo libero alla follia e all'irrazionale ma di una cosa era certa.
Sarebbe
arrivata fino in fondo, ad ogni costo.
Lanciando
un urlo belluino, la giovane si precipitò all'interno dove
l'aria
ancora aveva l'olezzo della morte.
E
una volta fatto irruzione nel laboratorio principale illuminato da
una inquietante luminescenza sanguigna, la parte razionale di
sé,
rannicchiata in un angolo della sua mente, si rese conto di quello
che stava accadendo: di energia non avrebbe più dovuto
essercene da
molto tempo, i bisbiglii che sentiva attorno a sé non
potevano
essere reali perché di persone, là dentro, non
avrebbero dovuto più
essercene, almeno non vive.
Eppure
le mani che uscivano dagli angoli ombrosi, difficilmente
raggiungibili dalla debole fonte luminosa a cui i suoi occhi
già
s'erano abituati, nel tentativo di afferrarla erano reali e si
muovevano lungo tutto il suo corpo semi-nudo, toccandola e
spingendola verso il centro della stanza disastrata.
Non
poteva vedere i visi degli esseri che la circondavano ma sapeva che
stavano sorridendo, che sorridevano per il suo ritorno.
E
mentre la sua parte razionale precipitava sempre più in
basso,
perdendo quel barlume di coscienza che era riuscita faticosamente a
mantenere fino a quel momento nonostante la follia e lo shock,
riconobbe il volto sfigurato della persona che le stava davanti,
troneggiante su tutti.
“Otou...-san.”
§§§
“DEMORA!”
Il
risveglio improvviso di Samuel dal suo incubo fu accompagnato da
fitte di dolore atroci su tutto il corpo e alla testa; il giovane
capitano si rizzò seduto, dimenandosi come un'anguilla, con
gli
occhi pieni di lacrime mentre si lamentava, ma una mano fu subito
svelta nel ributtarlo sdraiato, sul giaciglio fatto di vecchie divise
strappate e foglie morbide.
“Fermo,
capitano. Lasci lavorare il dottor Shran,” disse una voce
familiare: “Ha preso una brutta botta.”
Preoccupata
per il suo ufficiale comandante, Zheng Hua lo teneva fermo,
bloccandolo a terra delicatamente per le spalle, sperando che la
confusione in seguito al trauma non lo facesse reagire in modo
inconsulto.
Nel
frattempo, Foster le stava accanto, tenendo sotto controllo
ansiosamente i sussulti del corpo del suo migliore amico, la sua mano
era poggiata sulla fronte sudata del biondo: “Muoviti e ti
lego nel
tuo alloggio per una settimana, stupido...”
borbottò, mentre il
CMO andoriano armeggiava con il kit di primo soccorso.
Sam
sollevò lentamente una palpebra, mettendo faticosamente a
fuoco il
viso del suo primo ufficiale: “Questa è
insubordinazione...”
mormorò con voce roca.
David
scosse la testa e scrollò le spalle: “Non importa,
non
costringermi a farlo. Lascia lavorare il dottor Shran.”
Quest'ultimo
annuì, sollevato, mentre riponeva il tricorder e preparava
un'ipo-siringa: “Sono ustioni piuttosto serie ma se la
caverà, la
concussione è meno grave di quanto avessimo
previsto.” disse,
iniettando il liquido nel corpo del capitano.
Jason,
accanto a lui, sembrava frastornato mentre Monica, che sedeva a pochi
passi di distanza dal gruppo di sopravvissuti, aveva gli occhi rossi
di chi aveva pianto a lungo: “So che non è una
domanda da fare,
ma... Perché siamo ancora vivi?” chiese lei.
In
quel tratto di giungla lontano parecchie miglia dal laboratorio cadde
il silenzio.
Monica
Scott ricordava chiaramente la sensazione di risucchio della propria
coscienza in qualcosa di più grande, infinitamente
più grande, il
dolore, la mancanza di ossigeno...
E
aveva visto, “sentito” nella propria testa le voci
e le presenze
della grande coscienza collettiva dentro il laboratorio: migliaia di
anime unite in un calderone di emozioni, di urla, di suppliche.
E
aveva visto Demora.
Sapeva
che anche gli altri avevano vissuto quelle sue stesse cose e sapeva
che non erano le ustioni e la concussione ad aver ridotto
così
Samuel: il responsabile delle sue condizioni era il sovraccarico
empatico di cui si era ritrovato vittima, era stato troppo per lui.
“Non
siamo noi quelli che vogliono.” singhiozzò Hua,
massaggiandosi le
tempie: “Noi non serviamo, ci hanno usato per arrivare a
Demora.”
“Bastardi.”
ringhiò Jason, stringendo i pugni.
“E
ci sono riusciti.” concluse Shran, severo.
“Dovete
andarvene da qui.” decretò David, alzandosi in
piedi e sorreggendo
il corpo semi-incosciente di Sam: “Niente discussioni,
è un
ordine. Non siete nelle condizioni di poter portare avanti la
missione.” aggiunse, passando a Brown il capitano,
“Tenente.
Appena il guardiamarina Shatsky sarà di ritorno, cercate di
mettervi
in contatto con la nave e fatevi riportare a bordo.”
“E
lei?” chiese il CMO con tono lapidario.
David
scosse la testa: “Una mia compagna ha bisogno di me. Sono
quello
nelle condizioni migliori per tentare almeno di salvarla.”
ribatté
con una voce estremamente malinconica, “Se la lasciassi qui,
non
potrei mai perdonarmelo. E neppure il capitano potrebbe mai
perdonarmi.”
“Anche
il farti ammazzare da solo è qualcosa che difficilmente
potrebbe
meritarsi il mio perdono.”
Debolmente,
Samuel tossì mentre Brown lo aiutava a mettersi in piedi:
“Datemi...
Datemi un attimo... Recuperate Victor... E poi partiamo.”
Jason
annuì poi, tallonato da Monica e Hua, s'inoltrò
nella jungla.
Shran
scosse la testa e si allontanò, lasciando i due ufficiali
superiori
da soli.
I
grandi occhi azzurri del capitano erano ancora lucidi e lievemente
annebbiati ma era innegabile che avessero in loro il fuoco della
vita.
“David
Foster, ti giuro che vi riporterò tutti indietro, nessuno
escluso.
Non voglio vedervi morire di nuovo.” mormorò il
biondo, sedendosi
cautamente: “Ritroverò Demora e
prenderò a calci nel sedere
chiunque ci abbia fatto questo scherzetto fosse l'ultima cosa che
faccio.” aggiunse con l'ombra di un sorriso sulle labbra
screpolate.
Il
secondo-in-comando sospirò, passandogli una borraccia:
“Lo so,
Samuel... So che faresti l'impossibile per questo equipaggio e per la
Flotta proprio come i tuoi genitori prima di te. Ma non possiamo
perderti, lo capisci?”
“E
non mi perderete. Porteremo a compimento questa missione assieme e
poi torneremo a casa. Fidati di me, David.”
Questi
sorrise: “Mi sono sempre fidato di te, capitano. Se
così non fosse
stato, non ti avrei seguito.” sorrise prima di tendergli la
mano:
“E non sarei stato così pazzo di propormi come tuo
secondo, non
credi?”
Entrambi
risero.
“Capitano,
come si sente?”
Victor
si precipitò fuori dalla boscaglia, capitombolò
in una radice
sporgente e ruzzolò a terra fino a finire con la faccia a
neppure un
metro dal suo comandante, che sospirò esasperato prima di
tirarlo su
di peso: “Io sto bene ma non vorrei vederla con il naso
rotto,
guardiamarina.” lo rimproverò bonariamente,
“Abbiamo già
abbastanza problemi, almeno voi restate interi.”
Il
russo ridacchiò nervosamente con lo sguardo basso:
“Mi scusi,
capitano, ero solo contento di saperla di nuovo in piedi.” si
giustificò.
Samuel
annuì, radunando con un semplice sguardo tutti i suoi uomini
attorno: “Vi chiedo solo un ultimo sforzo. Recuperiamo il
tenente
Sulu, risolviamo il mistero di Alma Mater e torniamo a casa
insieme.”
“Capitano...
Come possiamo contrastare un nemico che non sappiamo neppure chi o
cosa sia?” chiese Hua titubante.
Per
tutta risposta, Jason estrasse il suo phaser: “Qualunque cosa
sia,
non credo sia immune a una scarica proveniente da questo gioiellino.
Ci hanno preso alla sprovvista ma contrattaccheremo.”
Monica
annuì: “Anche se i modi di Brown sono piuttosto...
da cow-boy,
approvo il suo punto di vista. Avrà un accidenti di punto
debole e
poi, credo che il gioco di squadra ci metta in vantaggio!”
Samuel
faticò a trattenere la risatina che gli era salita spontanea
alle
labbra.
“I-Io
farò del mio m-meglio!” anche Victor aveva mosso
coraggiosamente
un passo in avanti.
“Sarà
meglio, gamberetto.” borbottò Jason, dandogli una
manata scherzosa
sulla spalla.
“Allora
cominciamo a organizzarci.” ribattè Foster,
tirando fuori da tasca
un foglietto di carta su cui sembrava avesse appuntato qualcosa:
“Ho
fatto qualche calcolo sulla base delle radiazioni che questa giungla
emana, ammesso e non concesso che i rapporti dell'epoca fossero
corretti. Se davvero il complesso che ospitava il team di ricerca del
Progetto Alma Mater è stato gravemente danneggiato a causa
di una
fissione incontrollata del piccolo impianto nucleare che forniva loro
energia, allora dobbiamo seguire la traccia più forte. Ho
estrapolato dal computer di bordo, prima di scendere, le mappe della
zona che la missione, all'epoca, aveva tracciato quindi dobbiamo solo
metterci in marcia.”
“Ma
dobbiamo fare attenzione. Se ci hanno lasciato andare è
perché non
serviamo ma dobbiamo evitare di farci scoprire, altrimenti rischiamo
di mettere a repentaglio non solo la vita del tenente Sulu ma anche
la nostra. Quindi, niente colpi di testa, sono stato chiaro?”
McCoy
si rivolse in special modo a Brown e Scott.
Rapidamente,
il capitano e il suo luogotenente decisero l'ordine della fila per la
marcia e, cinque minuti dopo, col favore delle tenebre che scendevano
rapidamente, il gruppetto cominciò a muoversi: armati, coi
phaser in
pugno, senza proferire parola, seguirono con facilità il
capitano
attraverso gli alberi che si chiudevano a riccio su di loro.
Non
riuscivano neppure a vedere un lembo di cielo quindi, per orientarsi,
dovevano unicamente affidarsi al tenue bip del
mini contatore
Geiger che Foster maneggiava, l'unico in grado di dare loro una
direzione più o meno approssimativa da seguire.
Fu
quando ormai l'alba era prossima che, finalmente, giunsero nei pressi
del loro obiettivo: rannicchiati dietro i cespugli, osservarono con
il cuore in gola il pulsare rossastro che avvolgeva l'intera
struttura; come già era stato appuntato sulla documentazione
che
avevano consultato prima di scendere sul pianeta, notarono il
cancello quasi del tutto distrutto, gli edifici che emanavano
radiazioni percepibili fin dalla distanza di dieci metri e in
generale l'atmosfera spettrale.
Ma
anche da quella distanza si potevano sentire delle voci come un
mormorio lontano.
Victor
si lasciò sfuggire un gemito strozzato.
“Andiamo.”
Sammy fu il primo a sfrecciare fuori dal loro rifugio e a correre
verso il cancello: la luna dalle tenui tinte violacee non faceva
abbastanza luce perché una qualsivoglia sentinella lo
notasse e
quindi anche gli altri lo seguirono il più svelti possibili,
riunendosi a lui giusto accanto al portone di quello che era
l'edificio principale.
“Ora,
ascoltate con attenzione.” disse il comandante col fiato
corto:
“Non possiamo stare troppo all'interno, queste radiazioni ci
ucciderebbero. Voi concentratevi sul recupero del tenente ed
io...”
L'urlo
di sofferenza del suddetto tenente spezzò la
tranquillità della
notte e li fece rabbrividire.
Al
diavolo un qualunque piano d'azione!
Monica
e Jason si precipitarono all'interno assieme, tallonati da Victor e
Hua, mentre Shran aveva già approntato un angolo di primo
soccorso:
“Capitano, signor Foster, andate. E tornate tutti sani e
salvi.”
§§§
“Otou...-san.”
La
Demora bambina rannicchiata nell'angolo più nascosto del suo
cuore
riconobbe il volto dell'uomo che le stava davanti come quello del suo
padre biologico; istintivamente, guardò al suo fianco e
rivide, nel
volto senza emozione della donna che ivi trovò, quello di
sua madre.
L'uomo
aprì le braccia: “Bentornata.” disse con
una voce strana,
metallica: “La Coscienza ti stava aspettando, figlia
mia.”
La
Coscienza...
La
Ricerca, da parte dei genitori, della Coscienza che credevano
governasse quel pianeta al fine di addomesticarla...
Cominciava
a ricordare...
L'esplosione...
Il
virus che aveva attaccato i computer...
Le
persone che venivano assorbite e portate via...
E
la sua fuga.
Ora
ricordava!
Ora
sapeva!
La
Demora bambina venne scacciata dalla Demora adulta, dalla figlia di
Hikaru Sulu e Pavel Chekov, dalla tenente Sulu della Flotta Stellare,
e questa non restò con le mani in mano.
Era
furibonda: quelli non erano più i suoi genitori biologici,
li
ricordava vagamente ma erano sempre sorridenti e non avrebbero mai
voluto una cosa del genere!
Da
terra, raccolse una spranga di ferro, posizionandosi in guardia.
Un
passo, un colpo.
Armonia
nei gesti e nei movimenti...
La
spada era un tutt'uno con la sua mente e con la sua mano.
E
attaccò.
Menò
fendenti ad ogni mano che la afferrava, colpì alla cieca
chiunque le
si parava dinanzi senza farsi troppi problemi: non stava allontanando
il suo passato, lo stava proteggendo, piuttosto, e avrebbe fatto di
tutto per questo.
Poi
sarebbe tornata a casa.
Avrebbe
pianto Samuel e gli altri dopo: adesso doveva vendicare tutte le
persone che aveva perso a causa di quella Coscienza.
Con
un urlo belluino, si lanciò sul fantoccio che era il
cadavere del
padre, poteva vederlo e sentirne l'odore di imputridimento, di
marciume: cercò di concentrarsi sul volto di
Hikaru-chichi-ue e
sulle mani sempre profumate di Pavel-papa, sulle ninne-nanne che zia
Uhura cantava a lei e a Moni quando erano piccole e dormivano assieme
quando i loro papà erano in missione insieme; si
concentrò su Hua,
su Samuel, su Monica, su tutti i suoi compagni perduti.
L'avrebbe
fatto per loro.
Sentiva
il fuoco avvilupparle il corpo, la pelle venire mangiata dalle
fiamme, ma non si fermò: colpì con furia cieca i
due avversari,
sorda al rumore della carne marcia che si spappolava sotto i suoi
colpi violenti, sorda alla Coscienza che le urlava nelle orecchie e
nella mente, incurante delle fitte di dolore alla testa e spinta
oltre il limite.
Quando
ormai non era più rimasto nulla dei due corpi, quando ormai
la
Coscienza stava esalando l'ultimo respiro, lasciando liberi i propri
gusci fisici, alla fine si lasciò andare alla stanchezza.
Immersa
fino al collo nella pozza di liquidi organici, chiuse gli occhi,
lasciò che il proprio respiro si attenuasse e che il cuore,
a poco a
poco, rallentasse senza neppure tentare di lottare.
Era
stanca.
Forse
troppo.
Talmente
tanto stanca che, pur registrando la sua mente le voci che si
avvicinavano, che la chiamavano, non le riconobbe neppure.
Jason
e Monica furono i primi ad arrivare e ad assistere allo spettacolo
tremendo che la stanza offriva loro e furono anche i primi,
trattenendo l'intestino al proprio posto, a raggiungere di corsa la
ragazza per soccorrerla: “'MORA!” gridò
Scott, rinfoderando il
phaser mentre Jason la avvolgeva nel pezzo di sopra della propria
divisa, incurante del fatto che, a torso nudo, le radiazioni lo
avrebbero senza dubbio colpito più in profondità
di chiunque altro.
Victor
e Hua furono la seconda coppia a raggiungerli e, subito dopo, Samuel
e Foster.
“CAZZO,
USCIAMO DI QUI!” sbottò David mentre spingeva
Brown fuori dalla
sala: “Veloci!” ribattè McCoy,
“Seguite il signor Foster
all'esterno, è un ordine!”
“E
lei, capitano?” chiese Shatsky tremante.
“Io
arrivo subito, devo solo finire una cosa...”
“Resto
io con lei!” si offrì Hua, estraendo da tasca un
dischetto dati:
“Mi occupo del computer centrale, non dovrebbe volerci molto.
Lei
cerchi di capire, come solo lei sa fare.” replicò
la giovane con
un sorriso.
Lavorarono
in fretta: Samuel riuscì faticosamente a percepire frammenti
residui
della Coscienza, scoprì a grandi linee della ricerca
intrapresa dal
Progetto Alma Mater, seppe perchè volevano Demora.
“Mancava
solo lei... per l'organismo perfetto... Per dominare il
Quadrante...”
“Ho
preso tutti i dati capitano!” Hua comparve all'improvviso,
dopo un
tempo apparentemente infinito, nel campo visivo di McCoy,
strappandolo dall'influenza dannosa di quel brandello di
volontà fin
troppo più forte della sua, salvandolo inconsciamente dalla
caduta
nel baratro.
Tremando,
egli si aggrappò a lei per rimettersi in piedi:
“O-Ottimo,
tenente. A-Andiamo...”
Era
finita, definitivamente.
La
Coscienza era morta, Demora era libera.
“Torniamo
a casa...”
§§§
“Capitano!
Siamo qui!”
La
voce di David risuonò attraverso la jungla, guidando Hua e
Samuel
fino ai loro compagni: prudentemente, avevano messo un chilometro di
distanza tra loro e il laboratorio, consci che fosse solo una misura
temporanea e che avrebbero dovuto tornare a bordo, e alla svelta.
Shran
si stava occupando sia di Demora, priva di sensi, sia di un
insofferente Brown che aveva al braccio una flebo ripiena di un
cocktail anti-radiazioni: “Se non vuole che le spunti una
terza
gamba o un secondo naso, mi dia retta. Se la tenga ben stretta
finchè
non le dico diversamente.”
Mugolando,
Jason obbedì, accogliendo con un rantolo il ritorno degli
ultimi due
membri della spedizione: “Trovato qualcosa di
interessante?”
chiese poi con voce roca.
“Stia
tranquillo, Brown, non le abbiamo tolto la parte dell'eroe. Pensi a
obbedire al dottor Shran e a stare bene.” lo
rimbeccò Sam,
sedendosi stancamente accanto a David: “Tutto a
posto?” chiese a
bassa voce.
“A
meraviglia.” ribattè ironico David: “Non
riesco a contattare la
nave e abbiamo bisogno di cure. Tutti e urgentemente. Siamo qui da
una settimana, Samuel, per quel che ne sappiamo potrebbero anche
essere tornati indietro in cerca di soccorsi.”
In
quel momento, il comunicatore del capitano gracchiò,
crepitando, e
la voce agitata di O'Malley riempì l'angusta radura in cui
si
trovavano: “...prise a squadra di s...rco... ...erprise a
squadra
di s...co”
“Capitano
McCoy a Enterprise. E' bello sentirla, O'Malley.”
Dall'apparecchio
malconcio si udirono grida di giubilo: “C...itano!
F...nalmente!
...iamo sulle v...tre coordinate. Vi por...iamo su.”
“Grazie,
O'Malley, avvertite la squadra medica, abbiamo due feriti
gravi...”
Quando
infine il ronzio familiare del teletrasporto riempì le sue
orecchie,
Samuel si lasciò sfuggire una lacrima mentre chiudeva gli
occhi,
esausto.
Quando
li riaprì, si ritrovò sdraiato su di un lettino
dell'infermeria,
con la dottoressa Vanh, la sostituta di Shran - una giovane
vietnamita alla sua terza assegnazione su di una nave interplanetaria
- che armeggiava con la flebo inserita nel suo braccio:
“Capitano,
è sveglio finalmente...” disse lei con tono
sollevato, “Non
provi ad alzarsi, stanno tutti bene... Il tenente Sulu è
stata messa
in quarantena ed è tenuta sotto osservazione 24 su 24, non
si è
ancora svegliata ma è stabile. Il dottor Shran ha dato il
comando
congiunto temporaneo a O'Malley e Foster, che stanno cercando di
contattare l'Ammiragliato anche per fornirle cure mediche migliori.
Le nostre attrezzature sono rimaste danneggiate da una tempesta
solare e funziona a malapena il supporto vitale.”
Malgrado
le spiegazioni precise e succinte della donna, McCoy non le diede
retta perché era il suo compito di capitano che lo obbligava
a dover
parlare con l'Ammiraglio.
“Mi
dia i miei vestiti... per favore...” rantolò
esausto: la testa gli
faceva male ed era esposto a qualunque reazione empatica, anche la
più insignificante, le sue difese erano nulle, eppure voleva
andare
sul ponte e guidare fino alla fine la missione.
Sconfitta,
conscia che il suo capitano, alla prima occasione, sarebbe anche
scappato pur di raggiungere il suo scopo e già
preventivamente
avvertita di ciò da Shran, Vanh gli allungò una
divisa pulita: “La
aiuterò a salire sul ponte, parlerà con chi deve
parlare ma poi
tornerà qui senza fare storie.”
Grato,
McCoy annuì e, cinque minuti dopo, uscirono dal
turbo-ascensore
della plancia.
O'Malley
fu svelto a cedergli la poltrona e a mettersi alle comunicazioni al
posto del guardiamarina Mitte, suo temporaneo sostituto:
“Capitano,
siamo riusciti a trovare una frequenza adatta a comunicare. Stiamo
chiamando ad intervalli regolari il Comando ma ancora non abbiamo
ricevuto risposta.”
“Inserisca
il codice 7564 e riprovi, è il codice alfa che si usa per le
emergenze.”
Qualche
secondo più tardi, il volto dell'Ammiraglio Carter
riempì lo
schermo grande della plancia, accolto da grida di giubilo
più forti
di quelle che avevano seguito il recupero del capitano e della
squadra di sbarco.
“Enterprise,
sono lieto di vedere che siete vivi. Temevamo il peggio...”
Carter
sembrava invecchiato di almeno vent'anni in quel video distorto:
“Ci
scusi per le condizioni pietose, Ammiraglio, e mi assumo la
responsabilità di aver usato il canale per i disastri
interplanetari
ma...”
“Di
questo non si deve preoccupare, Capitano. L'importante è che
io
possa rettificare il vostro status. Siete scomparsi per dieci giorni,
non ho potuto fare altro che classificarvi come KIA, Samuel.”
Nella
plancia cadde un silenzio tombale.
“Cosa
vuol dire, signore?” domandò Samuel, pallido come
un morto.
“L'ultimo
vostro contatto è stato 10.5 giorni fa, quando il tenente
Sulu ha
chiamato l'Excelsior in missione diplomatica. Sono stati loro a dare
l'allarme e a far scattare il protocollo d'emergenza quando non
abbiamo più ricevuto un segno da voi.”
Samuel
si appuntò mentalmente di ringraziare gli zii.
“Leggerà
tutto nel rapporto comune che stiamo approntando con tutte le
sezioni.” - altro appunto, assicurarsi che David avesse
seguito il
loro personale protocollo - : “Ma prima... Abbiamo bisogno di
soccorso, c'è un ferito in condizioni critiche e un
contaminato
dalle radiazioni.”
“Non
si preoccupi, capitano, una flotta di supporto è
già in viaggio da
ieri, vi raggiungerà presto. Caduti?”
s'informò l'Ammiraglio.
McCoy
scosse la testa: “Nessuno, per fortuna. Abbiamo dei dati
interessanti per voi però.”
“Ne
parleremo poi.” taglio corto lui con un sorriso:
“L'equipaggio
dell'Enterprise ha l'ordine di mantenersi in vita fino all'arrivo
della flotta e di venire scortato fino all'attracco spaziale. Carter
chiudo.”
L'immagine
dell'Ammiraglio sparì e, un minuto dopo, sia Mitte, che si
era
spostato al radar, sia O'Malley si voltarono trionfanti verso il
capitano: “La flotta di soccorso è qui!”
esclamarono, “La
guida l'Excelsior.”
McCoy
pensò che avrebbe ringraziato gli zii prima di quanto avesse
mai
previsto.
Quando
il viso del Capitano Sulu comparve sullo schermo, Samuel si concesse
il lusso di sorridere: “Siete stati gentili a passare da
queste
parti.” sapeva di essere uno spettacolo pietoso ma non gli
importava granché, “Vi andrebbe di lanciarci un
salvagente?”
A
poco a poco, l'intero staff di plancia uscì senza farsi
notare: il
loro capitano doveva riferire del tenente Sulu e forse era meglio
lasciare il campo e prepararsi al viaggio di ritorno.
“Sempre
felici di essere d'aiuto, Sammy.” rispose Hikaru Sulu, anche
lui,
agli occhi di McCoy, sembrava più vecchio: “E
soprattutto lo siamo
di sapervi vivi.”
“Zio
Hikaru, abbiamo bisogno di mio padre. Solo papà Len
è in grado di
aiutare Demora.”
“Abbiamo
già chiesto all'Ammiragliato di contattare Leonard, ci
aspetteranno
all'attracco spaziale.” lo rassicurò il
giapponese: “Cosa è
successo, Sammy? Siete spariti e non si è più
saputo nulla di voi.
E tu sembri uscito da un trita-carne.”
“Abbiamo
scoperto cos'è successo ad Alma Mater e al team di
scienziati. Siamo
stati attaccati, ce la siamo vista brutta e Demora è quella
conciata
peggio. Li ha affrontati da sola, credeva che fossimo morti, glielo
hanno fatto credere. Papà Len è l'unico che
conosce bene la sua
storia medica ed è l'unico che può
aiutarla.”
Il
viso di Hikaru Sulu si irrigidì: senza dubbio, il nipote
acquisito
era incoerente per lo shock e avrebbero avuto tutto il tempo di
parlare dopo.
“Torna
in infermeria, Samuel, ci penserò io a guidarvi al sicuro.
Pavel è
già in sala teletrasporto con la squadra di supporto che si
occuperà
di aiutarvi a superare indenni il viaggio di ritorno. Non avete scudi
funzionanti?”
“L'energia
basta appena per il supporto vitale...”
“Allora
la USS Orage vi rifornirà di energia per gli scudi, anche i
loro
tecnici stanno arrivando. E' finita Sammy, potete rilassarvi.”
Quando
infine ridiscese in infermeria, scortato dalla dottoressa Vanh dopo
aver dato istruzioni allo staff di plancia, il capitano finì
praticamente addosso a Pavel Chekov.
“E'
bello vederti, zio...” rantolò il giovane capitano.
Suddetto
zio lo prese sottobraccio, congedò la donna e lo
portò
personalmente all'interno: “Siete stati fortunati. Abbiamo
visto i
danni e ricevuto una prima bozza di rapporto, non so come siate
riusciti a uscirne.”
“Abbiamo
la pelle dura...” rispose mentre si lasciava cadere sul
letto:
“Zio, mi dispiace per 'Mora, avrei dovuto proteggerla meglio,
io...”
“Tu
non hai responsabilità. Quando è entrata nella
Flotta era
consapevole dei pericoli dei pericoli, è una tenente capace
e in
gamba, è mia figlia e ti assicuro che se la
caverà anche questa
volta.”
Fu
in quel momento che Monica decise di fare irruzione in infermeria,
restando immobile sul posto non appena visto che Sam aveva compagnia;
poi riconobbe l'ospite e gli gettò le braccia al collo:
“Zio
Pavel!”, dire che fosse felice di vederlo era scontato.
Il
russo la abbracciò con calore: “Come stai,
Moni?” domandò lui,
osservandola attentamente.
La
ragazza si ravvivò i riccioli scuri: “Sono stata
dimessa
dall'infermeria stamattina e sono uscita ora dal turno di baby-sitter
a 'Mora. Con lei c'è Shatsky adesso. Ti accompagno, se il
capitano
me lo permette.”
E
lanciò un'occhiata scherzosa al giovane a letto.
“Potrei
tramutarlo in un ordine, sai?” le ribatté Sam,
lamentandosi poi
sottovoce per un'improvvisa fitta alla testa: “Scusatemi
ma...”
“Capitano,
le consiglio di riposare, a meno che non voglia che la leghi al
letto.”
Shran,
entrato in quel momento, si avvicinò al letto per
assicurarsi che il
comandante obbedisse e per presentarsi al nuovo arrivato:
“Dottor
Shran, CMO della USS Enterprise.”
“Comandante
Pavel Chekov, ufficiale scientifico della USS Excelsior”
I
due si strinsero la mano con forza, poi Shran estrasse un DiPadd che
consegnò al russo prima di voltarsi verso l'altra ragazza:
“Tenente,
faccia strada al comandante, io vi raggiungerò
subito.” disse lui,
congedando entrambi.
Zio
e nipote uscirono dalla stanza, lasciando il CMO in compagnia del suo
ufficiale superiore: “La dottoressa Vanh mi ha riferito della
sua... prevedibilità, capitano.” iniziò
l'andoriano, approntando
il macchinario adatto a misurare la pressione del giovane uomo,
“Ho
fatto bene ad avvertirla, a quanto pare.”
“La
sua preoccupazione per me è ammirevole, doc.”
ribattè Samuel con
un vago sorriso: “Sia mai che mi prenda un richiamo ufficiale
per
aver permesso che il capitano si facesse ammazzare da sé
stesso.”
Era
impossibile battibeccare con Shran e averla vinta.
Con
una semplice risatina sommessa, il biondo lasciò cadere il
discorso:
“Novità da Sulu e Brown?” chiese poi con
espressione più seria.
“La
tenente Sulu è sotto osservazione mentre Brown è
stato messo agli
arresti nel suo alloggio, dal momento che si rifiutava di stare a
riposo e di seguire la mia prescrizione. Appena giunti a
destinazione, però, credo avrò bisogno della
consulenza di alcuni
specialisti per loro.”
In
quel momento, la porta dell'infermeria si aprì nuovamente e
fece
capolino la testa spettinata di Foster, il cui viso si
illuminò nel
vedere il proprio migliore amico quantomeno cosciente:
“Bentornato
tra i vivi, Sammy!” esclamò lui, entrando nella
stanza a larghi
passi, “Ho visto in sala macchine l'equipaggio della Orage
mentre
quello della Saudade è in giro a controllare i danni. E ho
visto
anche quelli dell'Excelsior in plancia.” aggiunse, osservando
con
attenzione il volto pallido come la morte del capitano McCoy.
Non
aveva affatto una bella cera, e difatti glielo disse: “Se
dormire
per tre giorni filati fa questo effetto, allora spero di non finire
mai in letargo come gli orsi.”
Sam
scoppiò a ridere, trattenendo il respiro per l'ennesima
staffilata
dolorosa al cervello: “Il protocollo?”
s'informò per prima cosa.
“Rispettato
sin dal primo momento in cui abbiamo rimesso piede a bordo!”
lo
rassicurò David: “Sono stati allertati tutti i
capo-sezione, o chi
per loro, ho indetto una riunione straordinaria, abbiamo messo
assieme i dati e abbiamo compilato un primo rapporto preliminare per
l'Ammiragliato. Lo abbiamo spedito all'Excelsior non appena sono
stati rilevati per informarli della nostra situazione ma solo quando
l'avremo unito a quello effettivo della missione, e quando ci
metterai sopra il tuo autografo, lo inoltreremo
all'Ammiraglio.”
“Fammelo
avere qui e me ne occuperò appena ne avrò le
forze...”
“Poi,
volevo parlarti di Brown...”
Samuel
drizzò le orecchie mentre cercava di mettersi seduto:
“Che gli è
successo?” non poteva nascondere che fosse preoccupato.
“Nulla,
per ora, ho eseguito l'ordine del nostro qui presente segaossa e ho
fatto in modo di farlo... riposare forzatamente, ma mi sembra
strano...”
“Che
sia l'effetto delle radiazioni?”
“Io
credo piuttosto che sia per un altro motivo. Ho... consultato
-”
“Eufemismo
per dire ho chiesto a Shatsky di consultare per me,
vero?”
disse Samuel ridendo.
“Non
mi abbasserò ad accettare le tue frecciatine ironiche,
amico...
Dicevo, ho consultato il suo file e ho notato che...”
“Il
tenente Brown è già stato nominato per un breve
soggiorno di
qualche settimana in un centro di riabilitazione dal momento che,
ufficialmente, quando non è nello spazio, alloggia da solo
in uno
dei dormitori degli ufficiali e non risulta che abbia una famiglia
stabile a cui appoggiarsi.” fu Shran a intervenire, lapidario.
“Ero
a conoscenza del fatto, e allora?” ribatté Samuel,
incapace di
comprendere dove David volesse andare a parare.
“Beh...
Io credo che questa missione non abbia colpito solo Demora, ma abbia
avuto un effetto non da poco anche su di lui. Mi spiego,”
Foster si
rese conto che Samuel faticava a seguire il suo discorso:
“Tutti
noi siamo a conoscenza, a grandi linee, dei dati che Hua ci ha
procurato. E non è difficile, alla luce di questi ultimi,
intuire
cosa sia successo.”
“La
Coscienza che ha formato e che permeava il pianeta controllava quel
che restava del gruppo del Progetto Alma Mater; per qualche motivo,
Demora si è salvata ma la sua famiglia biologica era tra le
vittime.”
“Esattamente.”
asserì Foster, abbassando lo sguardo: “Sappiamo
tutti come Brown
si è sempre comportato, con te soprattutto, ma abbiamo dato
per
scontato una bruciante invidia e gelosia. E se invece fosse
altro?”
Ora
Samuel cominciava a capire e si diede dello stupido per non averlo
mai compreso prima.
“La
mancanza di un ambiente famigliare stabile e sereno può
condurre a
una crescita mentale fin troppo rapida e all'incapacità di
avere una
stabilità emotiva durante tale periodo, soprattutto durante
quello
adolescenziale.” concluse per loro Shran.
Il
capitano restò in silenzio, con gli occhi concentrati a
fissare un
interessantissimo pezzo di soffitto, per parecchi minuti, a vagliare
numerose possibilità; d'accordo, forse la situazione era
più
complessa del previsto ma Jason Brown non era più il
bulletto
dell'Accademia, piuttosto era un suo valido sottoposto e aveva a
cuore il suo benessere.
“Scusate
il disturbo.”
Sulla
soglia era ricomparso Pavel Chekov, il viso lievemente pallido ma
controllato e tranquillo: “Non ho potuto fare a meno di
sentire i
vostri discorsi e mi chiedevo se fosse possibile dire la mia.”
“Faccia
pure, questa nave ormai è quasi più sotto il
vostro controllo.”
“Dottor
Shran, così li fa sembrare dei pirati Ferengi!”
“Tenente
Foster, posso revocare il comando congiunto e sbatterla nel primo
lettino disponibile per il resto della crociera di ritorno, sa che
posso farlo.”
Il
battibecco tra i due venne interrotto da un gesto di Samuel, che
spostò lo sguardo sul russo: “Non cercate di
scavalcare la mia
autorità, voi due...” bofonchiò
sorridendo.
“Ecco,
ho sentito che il tenente Brown ha bisogno di assistenza medica e che
dovrà trascorrere del tempo in una struttura preposta a
farlo. Ma,
se, per ipotesi, qualcuno potesse occuparsi di lui, lui non sarebbe
obbligato ad una permanenza forzata in un ospedale, è
giusto?”
“Esatto.”
“Credete
sia possibile convincere il suo responsabile sanitario ad affidarlo a
noi? Cioè, a me e al Capitano Sulu?”
Samuel
guardò sbalordito lo zio, Foster nascose il proprio risolino
divertito dietro la mano mentre Shran consultava l'ennesimo DiPadd:
“Credo che il responsabile in questione non avrebbe nulla da
ridire, anche alla luce della richiesta di una licenza per motivi
familiari che entrambi i richiedenti hanno inoltrato all'Ammiragliato
per occuparsi della figlia.” Shran sembrava molto soddisfatto
della
piega che avevano preso gli eventi: “Andrò a
preparare il paziente
per il trasferimento.” concluse prima di uscire.
“Zio
Pavel... Ma zio Hikaru lo sa?” Samuel attese che il medico
fosse
uscito per rivolgersi al russo, che gli rivolse un sorriso
malinconico: “Moni mi ha detto che si è fatto
esporre alle
radiazioni per proteggere mia figlia, sarebbe da ingrati non
riconoscere i suoi sforzi. E poi, una volta spiegate le cose, anche
Hikaru la penserà come me.”
Per
Samuel fu come se un peso gli fosse stato tolto dal cuore:
“Grazie...
Davvero.”
§§§
Quando
sui radar dell'approdo spaziale comparve il segnale identificativo
della piccola flotta di quattro navi che si stava avvicinando, il
centro che regolamentava l'accesso era già stato avvertito
della
priorità che questa aveva nel venir accolta mentre un
nutrito gruppo
di medici e infermieri, nonché di tecnici, era pronto a
mobilitarsi
per occuparsi dei danni e dei feriti dell'Enterprise.
Per
l'ennesima volta, i veterani videro un'esponente della dinastia delle
navi interplanetarie che portavano quel glorioso nome venir
praticamente trainata al sicuro perché incapace di far
funzionare i
propri motori e costretta ad affidarsi ai raggi traenti.
Era
triste vederla in quelle condizioni, soprattutto per le famiglie dei
membri dell'equipaggio, che erano assiepati ad attendere i loro cari
presso uno dei gate riservati allo sbarco d'emergenza.
E
fu da quel gate che, con un lieve ronzio del teletrasporto, per primi
cominciarono a scendere i feriti più gravi.
Quando
le barelle con sopra Demora Sulu e Jason Brown comparvero sulla
piattaforma, scortate dal Capitano dell'Excelsior e dal suo ufficiale
scientifico, il nugolo di esperti medici che li circondò era
capitanato da Leonard McCoy.
Il
medico ormai novantenne sbraitava ordini e istruzioni agli altri
presenti mentre il dottor Shran, che era sceso assieme alle barelle,
lo informava di ogni minimo particolare.
Quando
si furono allontanati, ricominciò l'attesa, attesa che, a
poco a
poco, s'interrompeva per coloro i quali si erano riuniti ai figli, ai
nipoti, alle mogli e ai mariti finalmente a casa, e che infine si
concluse quando, per ultimi, comparvero Monica, David, Samuel e
Victor, seguiti da Thomas O'Malley.
Victor
venne letteralmente rapito da una sua versione più alta e
massiccia,
dai lunghi baffoni alla cosacca - che Samuel identificò come
il
fratello maggiore del suo guardiamarina – mentre O'Malley era
riuscito a fare soltanto un paio di passi prima che la figlioletta di
tre anni, saltellando sulle gambette paffute, lo raggiungesse
ridendo.
Mentre
la sorella di David lo aveva trascinato via con sé,
borbottando
qualcosa di simile a: “Fammi prendere un altro colpo del
genere e
il mio spettro ti perseguiterà in eterno”.
Monica,
che era aggrappata al braccio di Samuel, si guardò attorno,
notando
con estremo dispiacere che i suoi genitori non erano lì.
Fu
Jim ad avvolgere lei e il figlio in un abbraccio soffocante; non
aveva neppure atteso che scendessero, era salito di persona sulla
piattaforma: “Nyota e Scotty stanno arrivando, erano
preoccupati
per te.”
Monica
ricacciò il groppo che le si stava formando in gola,
ricambiò
l'abbraccio dello zio, si asciugò le lacrime e
cercò di sorridere
prima di sgusciare via dalla sua presa per lasciarlo solo con Sammy.
Mentre
andava a sedersi su una delle poltroncine, vide chiaramente una
tunica nera occuparle la visuale mentre si avvicinava a padre e
figlio che parlottavano tra le lacrime e ne riconobbe le lunghe
orecchie appuntite con un vago sorrisino.
“BAMBINA
MIA!”
Un
tornado dall'inconfondibile accento scozzese le piombò poi
addosso
all'improvviso, cogliendola alla sprovvista mentre il profumo di erbe
della madre le assalì le narici: avvolta dall'amore dei
genitori, si
lasciò andare ad un pianto a dirotto.
§§§
Non
c'era muscolo che non le facesse male eppure, vedere Hikaru-chichi-ue
addormentato accanto a lei, cancellava tutto: dolore, stanchezza,
paura.
Certo,
se ci fosse stato lì anche Pavel-papa...
Amava
il suo genitore giapponese dal profondo del cuore, adorava stare con
lui, sfidarlo nella scherma, ma con quello russo aveva un rapporto
diverso: dopotutto, il primo, vero sonno l'aveva fatto in braccio a
lui, era stato lui per primo a farla sentire amata...
E
sentiva il bisogno di averlo vicino mentre i ricordi frammentari
della sua avventura riaffioravano gradualmente.
Cautamente
– si sentiva ancora molto debole e frastornata –
ella spostò la
propria testa di modo da toccare quella del padre, che si mosse
appena nel sonno, mugolando infastidito mentre serrava con
più forza
la sua mano.
“Tribble,
se vuoi svegliarlo, non devi fare così.” le
sussurrò all'orecchio
una voce conosciuta e rotta dall'emozione: “Devi fare
così.”
Ed
una mano andò a pizzicare la guancia del capitano
dell'Excelsior:
“Capitano in plancia! Nave klingon in avvicinamento! Non
sembra
avere buone intenzioni!” gridò al contempo,
svegliando di
soprassalto il giapponese e strappando una debole risata alla figlia:
“...Otou-san, sai che i Klingon sono nostri alleati,
vero?”
domandò lei con voce roca.
Hikaru
Sulu sbattè più volte le palpebre, come a volersi
assicurare che
non stesse ancora sognando, poi le sorrise prima di abbracciarla
delicatamente per non farle ulteriormente male: “Ci hai fatto
preoccupare, Tribble...” le mormorò per poi
baciarla sulla fronte
mentre lo spettro di una lacrima gli sfiorava la guancia tirata.
Demora
abbassò lo sguardo mordendosi il labbro inferiore:
“Mi
dispiace...” rantolò, cercando di reprimere le
lacrime.
“Non
sforzarti, piccola...” le mormorò Hikaru con tono
amorevole: “E'
tutto a posto, sei al sicuro, sei a casa...”
Fu
solo in quel momento che riconobbe come il letto della stanza dei
genitori quello su cui si trovava: “C-Come sono arrivata
qui...?”
domandò debolmente, gli occhi le si chiudevano per la
stanchezza,
“Ricordo che... gli altri... erano morti... io...”
“Ne
parleremo quando starai meglio. E i tuoi compagni stanno benissimo.
Sono arrivati poco fa e adesso sono con Jason-kun nella stanza degli
ospiti.”
Pavel
annuì poi si alzò per portarsi accanto al marito
e stringergli la
vita con il braccio: “Leonard ti ha rimesso in
sesto.”
Per
qualche minuto, la ragazza restò in silenzio ad assimilare
tutte
quelle informazioni, poi realizzò come stavano davvero le
cose:
“Fatemi capire... Jason Brown è qui da noi mentre
zio Len ha
dovuto rattoppare le mie ustioni e mi ha sentito molto probabilmente
delirare?”
“Tribble,
il tenente Brown ti ha salvato la vita quasi a costo della sua... Non
ha nessuno al mondo e aveva bisogno di qualcuno che gli stesse vicino
durante la convalescenza. E poi, di Leonard ti puoi fidare, insomma,
ha rattoppato me e tuo padre un'infinità di volte. C'erano
delle
volte in cui sembravamo due coperte patchwork!”
scherzò Pavel.
Si,
forse ricordava vagamente...
“Cosa
gli è successo?” s'informò, tremando
per un improvviso refolo di
vento freddo proveniente dal corridoio: “Cos'è
successo a tutti?
Dove sono?”
“Proprio
qui, abbiamo sentito i toni soavi di zio Pavel e abbiamo realizzato
che, forse, ti eri svegliata. Buongiorno tanuki!”
Nel
vedere Samuel sulla porta, tallonato da tutta la squadra di sbarco,
Jason in pigiama e Hua compresi, per un attimo Demora si
sentì
sopraffare dalle lacrime di sollievo: “Non sono un tanuki,
folletto.”
“Touchè!”
esclamò il capitano con una risata salvo poi indicare col
pollice il
proprio sottoposto alle sue spalle, in pigiama e con un reggi-flebo
accanto: “Brown ha disobbedito ai miei ordini e si
è precipitato a
salvarti, esponendosi a corpo nudo alle radiazioni. Ho deciso di
metterlo agli arresti domiciliari.”
“Capitano
McCoy, sono qui presente, non crede sia meglio evitare di parlare
come se io fossi lontano mezzo miglio?” replicò
debolmente lui.
“Sei
stato coraggioso, Brown, sto decantando le tue lodi! Non
senti?”
“Sembro
un insubordinato, a sentire lei..”
Nel
vederli battibeccare così amabilmente, vestiti in abiti
civili,
Demora si sentì stranamente serena.
Voltandosi
verso i genitori con un sorriso, fece loro cenno di avvicinarsi:
“Avevate ragione, quel posto non ha più alcun
significato. Il
vostro amore è sempre stato abbastanza per me.”.
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