«Kyouya, ti ho preso una scatola di cioccolatini per San Valentino. Spero ti piacciano» Dino tese il braccio verso l’altro, sorridendogli cordiale e aspettando che prendesse la scatola; ma così non fu. Kyoya si limitò a guardare l’oggetto ricoperto di stoffa di colore rosso e a forma di cuore contenente – supponeva – diversi cioccolatini ripieni di creme e decorati ad arte in occasione della festività tanta amata dalla coppie Occidentali.
Che inutile ricorrenza da erbivori…
«Pensavo ti piacesse il cioccolato... Io… devo essermi sbagliato. Fa niente, li darò a Romario: lui adora il cioccolato, anche se non dovrebbe mangiarne così tanto tutte le volte… Glielo dico sempre, eppure lui continua a-»
Kyoya tolse dalla presa di Dino la scatola e ritornò nel suo ufficio, prima che l’erbivoro potesse aggiungere altro e far aumentare la sua emicrania.
Prevedibile. Dino rise della facilità con cui ormai riusciva ad “ingannare” il suo pupillo e fargli accettare i suoi regali durante le festività.
Dino rimase sul tetto della scuola ancora qualche minuto, lasciando che il vento smuovesse i suoi capelli biondi. Forse era arrivato il momento di tagliare quelle ciocche: cominciavano ad ostruirgli la vista, e lui odiava non avere una chiara visione della realtà; doveva osservare, scrutare il minimo dettaglio di qualsiasi cosa lo circondasse. Suo padre lo aveva abituato ad osservare con occhio critico tutto quello che si trovava sulla sua strada, con gli anni non aveva perso questa capacità, anzi, l’aveva affinata.
“Guarda una prima volta, poi cancella quella visione e osserva attentamente. La seconda volta si vede tutto più chiaramente. Non idealizzare ciò che hai davanti, Dino, sviscerala dall’interno e sii in grado di catturarne la vera essenza.
Ora, cosa vedi?”
Abbandonò anche lui quel tetto e seguì Romario alla macchina che lo aspettava fuori dalla scuola media Namimori.
Prima di salire sul sedile posteriore dell’auto, lanciò un ultimo sguardo a quella che sapeva essere la finestra dell’ufficio di Kyoya, che in realtà era una normale aula che Kyoya aveva adibito a ufficio personale. Nessun insegnante aveva avuto il coraggio di contraddirlo, ovviamente, e lo vide appoggiarsi con una spalla ad essa, in mano la scatola rossa – forse è indeciso su quale mangiare per primo. Non riuscì a trattenere il sorriso che gli si delineò sulle labbra, intenerito da tale visione. Per qualche ragione, gli tornarono in mente le parole di suo padre…
“Ora, cosa vedi?”
«Una fragile anima che si nasconde in un corpo destinato alla distruzione. Ecco cosa vedo.»