Unrequited

di visbs88
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Unrequited.

 

 

 

You just want attention, you don't want my heart,

maybe you just hate the thought of me with someone new.

You just want attention, I knew from the start,

you're just making sure I'm never getting over you.

 

 

 

Intossicante.

Era l'unica parola che Shizuo aveva per descrivere Izaya, quando – quando quella mosca gli prendeva il viso tra le mani e si impossessava delle sue labbra, e poi faceva scivolare le dita tra i suoi capelli, e si premeva sul suo petto, approfittando dei suoi sensi storditi dal veleno del suo sapore.

Shizuo lo afferrava per i fianchi e lo spingeva contro il muro più vicino, chiudendo gli occhi, perché vederlo quasi non serviva, anzi, gli permetteva di fingere che nemmeno si trattasse di lui. Il bacio diventava pura perdizione, un sottile miasma che gli pervadeva ogni muscolo, insinuandosi sotto la sua pelle a partire da ogni luogo in cui Izaya lo sfiorava. Era così sottile e ossuto, il suo corpo, così magro e... piccolo, si ritrovava a pensare, mentre per baciarlo più a fondo doveva abbassare la testa un po' di più, incombere su di lui. Se muoveva la lingua in modo appena più audace, riusciva a strappargli il più lieve e piacevole dei gemiti. Entrambi rabbrividivano da capo a piedi.

Gli si svuotava il cervello. Cazzo, quanto era buono il suo odore. Quanto più semplici erano le cose, quando poteva illudersi che Izaya fosse suo, fantasticare su una vita in cui tutto non fosse un inferno governato da uno spiritello dalle labbra morbide sempre atteggiate in un sogghigno.

 

 

Appagante.

Il graffiare dei suoi denti sul suo collo, le sue carezze rudi che lasciavano un livido ovunque arrivassero: era così appagante domare un mostro lasciandolo cullarsi nel sogno di avere il controllo.

Forse... forse cederglielo davvero, gli sussurravano il suo corpo e perfino il suo cuore – Shizuo lo faceva annaspare, sospirare, contorcersi, fino a quando il petto di Izaya non pareva diventare troppo stretto: quanto lo odiava, provava a dirsi, le labbra in fiamme dal desiderio di riassaporare le sue, il ventre contratto alla sensazione inebriante della bocca sorprendentemente delicata che avvolgeva il suo sesso, il respiro affannoso.

Quanto era fastidioso, sentire l'autocontrollo che scivolava via tra le sue dita come pioggia, ritrovarsi a desiderare alla follia che Shizuo non lo lasciasse mai andare; serrargli le gambe e le braccia attorno alla schiena mentre tra piacere e dolore i loro corpi si univano come le loro anime non avrebbero mai potuto fare. Ma in quella frenesia ogni grammo di Izaya gioiva – in segreto, così in segreto che nemmeno lui riusciva a scoprirlo.

Sedurlo era semplice quanto fargli perdere il lume della ragione dalla rabbia; era una pura soddisfazione, mormorava la sua mente al suo cuore, ignorando il pressante desiderio che Shizuo si addormentasse accanto a lui, scacciando l'insonnia con i suoi respiri.

 

 

Imperdonabile.

Ogni volta che il ricordo si riaffacciava nella sua mente, ciò che aveva tra le mani si rompeva. Un mobile del suo appartamento andava in frantumi. La sua anima si corrodeva un poco di più.

Era di certo stata una follia, sperare di potersi un giorno fidare di lui.

Doveva dimenticare ogni istante – ogni fugace carezza delle sue dita affusolate, ogni sguardo appena più trasparente, ogni volta che Izaya gli aveva appoggiato una guancia sul petto senza più proferire una parola, ma accettando che Shizuo giocasse con i suoi capelli. Lo avevano solo condotto in una gattabuia umida, a fissare il vuoto, a domandarsi perché.

Non aveva mai dubitato che fosse un bastardo. Non gli era nemmeno mai piaciuto, no?

Si promise ancora e ancora di non perdonarlo mai, di cancellare ogni sua traccia da sé. Ben presto, cominciò a fallire.

 

 

Divertente.

Davvero, era da scompisciarsi, e Izaya non lo nascondeva: lo scherniva. Lo beffava. Si prendeva gioco di lui. Lo feriva, lo dilaniava, gli sogghignava dritto in faccia prima di baciarlo.

Era esilarante, la facilità con cui Shizuo perdeva contro di lui; con cui gli ritornava tra le braccia, soffiando e contorcendosi, incapace di resistere. La più semplice provocazione bastava ad attirarlo vicino; e una volta che lo aveva avvolto con il proprio odore, la battaglia era già vinta.

Sapeva fin troppo bene che non sarebbero mai ritornati a ciò che era stato – di aver sorpassato un confine e di averlo fatto senza ancora essersene pentito. E perché mai avrebbe dovuto? Aveva distrutto ogni cosa, era tutto finito, ma esattamente cosa mai era iniziato?

Gli bastava continuare a tormentarlo. Gli bastava essere sempre negli angoli più remoti del suo cervello, svanire e riapparire come un fantasma, sussurrargli qualche parola in un vicolo per poi sfiorargli la gola con il coltello; sapere che Shizuo Heiwajima non l'avrebbe mai dimenticato, di essergli impresso a fuoco sulla pelle e sulle costole.

 

 

Calmo.

Era così che si sentiva, dopo tanto tempo.

Non aveva più bisogno di quella presenza fluttuante e opprimente che aveva avuto come ombra per anni, per fingere di avere qualcuno in più accanto a sé.

Aveva imparato – all'improvviso, con un sussulto del cuore – ad accettare ogni parte di se stesso. Aveva capito che forse era davvero possibile che qualcuno lo amasse per come era davvero, senza maschere, senza corde invisibili a stringergli i polsi e la volontà.

Rimaneva difficile scordare la sensazione delle labbra di Izaya sul suo ventre, ignorare l'impulso nelle sue ossa a cercare ancora il suo calore, disintossicarsi dal brivido di adrenalina che la sua vista non aveva mai mancato di causargli e che era diventato un'ossessione, una dipendenza. Ma ogni giorno si svegliava con quei pensieri un poco più lontani dal centro del suo petto. Izaya era davvero svanito da Ikebukuro, in fondo, forse una volta per tutte.

Perfino la sua parte più istintiva e irrazionale, quella più profonda e radicata nelle sue incertezze e in quell'infinita spirale che li aveva avvolti così stretti, cominciava a non sentire più la sua mancanza.

Era una libertà dal retrogusto appena amaro, ma non gli impediva di sorridere.

 

 

Superfluo.

Questo era ciò che Izaya Orihara era sempre stato per Shizuo Heiwajima, a quanto pareva – superfluo.

Scoprire con quanta tranquillità quel mostro avesse continuato a vivere tra i suoi adorati esseri umani lo riempì di un odio che solo a gran fatica riuscì a tenere a bada. Forse, in fondo, sarebbe bastato stuzzicarlo una volta di più, per farlo crollare di nuovo ai suoi piedi, per fare sì che tornasse a concentrarsi su di lui come quando gli ansimava con voce spezzata all'orecchio che era così stretto, così piacevole...

Ed era quando si agiva in preda agli impulsi più infantili e irrazionali che ci si ritrovava con una lama piantata dritta nel fianco, pensava nel buio, torturandosi in preda all'irrequietezza. Rifletteva, e aspettava, certo però che almeno la disgrazia che non aveva saputo prevedere non fosse accaduta per nulla: Shizuo sarebbe arrivato. Per ucciderlo, o per l'ebbrezza di impossessarsi del suo corpo ferito su un letto d'ospedale, una qualsiasi delle due opzioni andava bene. Ma di certo sarebbe arrivato, come al solito, perché lui potesse sbeffeggiarlo e ricordargli che, in fondo, quella pulce che tanto odiava non poteva smettere di attirarlo a sé.

Non arrivò. Pareva anzi avesse qualcuno di nuovo ad accompagnarlo per la città – una donna.

La decisione fu come la scintilla di un cortocircuito: non poteva più sopportare oltre. Non c'era più altro gioco che valesse la pena giocare. Era tempo di calare il sipario per sempre, su di lui, su tutti gli altri. Di liberarsi di un'orrenda bestia che per troppo tempo aveva osato fare il re sulla scacchiera, senza mai inchinarsi davvero al dio che la governava.

 

 

Vuoto.

Shizuo era diventato un guscio vuoto, capace solo di raggiungere con passi lenti il pesante distributore automatico di merendine che giaceva poco più in là. Non riusciva a fermarsi – lo sollevò, si trascinò di nuovo di fronte a lui.

Lui, che lo guardava, le pupille dilatate da un terrore di cui non pareva nemmeno essere conscio mentre rideva, mentre la disperazione e la follia gli contorcevano quei lineamenti così affilati, così belli. Lui, che gli stava gettando ai piedi la propria vita, pur di essere certo che il mondo non perdonasse mai Shizuo Heiwajima, e che Shizuo Heiwajima non perdonasse mai più se stesso.

Izaya stava per morire, e sogghignava con gioia selvaggia alla propria vittoria. Mai come allora Shizuo fu certo di amarlo, e che l'avrebbe amato per sempre, e che anche Izaya l'aveva fatto – non aveva smesso per un secondo di quella loro dannata vita passata a frantumarsi a vicenda per poi ricostruirsi fra baci e illusioni. Era stato tutto un piano i cui ingranaggi avevano funzionato alla perfezione: non ci sarebbe più stato modo per lui di andare oltre. Era condannato. Legato a lui da un sentimento atroce e irrefrenabile che ormai era parte stessa delle sue vene.

Non provò alcun sollievo quando Vorona e Simon lo fermarono, quando Izaya si dileguò come fumo in una luce accecante.

Aveva comunque perso. Non avrebbe più dimenticato.

Non avrebbe più speso un singolo giorno senza odiarlo, senza ripensare alla prima volta in cui aveva ceduto alla tentazione delle sue labbra; senza sapere che non si sarebbero mai più rivisti, e che non avrebbe mai smesso di rivedere di fronte a sé quell'ultimo sguardo di lucidissima pazzia nei profondo dei suoi occhi.

 

 

 

 

 

Questa one-shot partecipa alla quinta settimana del COWT #8 di Lande di Fandom, per il prompt “Attention” (Charlie Puth) del team Ruby.





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