(Quindi, alla fine l'ho
fatto davvero?)
Buonasera! Eccomi qui - anche
qui, perché non ne ho mai abbastanza di fangirlare in giro
- a presentarvi la mia prima OS su Bungo Stray Dogs.
Con grande onore posso dire di essere stata io a scoprirlo e proporlo a
mio fratello (il mio spacciatore di anime/manga), e siccome stavo
troppo in fissa dopo la fine della seconda stagione ho deciso di
mettere giù questa cosa dal punto di vista di Atsushi e
Akutagawa, i miei patatini *^* Ho cercato di restare fedele a
ciò che è successo nell'anime, ignorando i
capitoli successivi del manga, e se c'è stato qualche
mescolamento tra le due cose vi chiedo perdono. Così come vi
chiedo umilmente scusa nel caso in cui i personaggi non siano
perfettamente IC (ho fatto del mio meglio, sob).
Come sempre tutti i commenti sono ben accetti 8-)
Vi auguro una buona lettura ricordando che i personaggi e le
ambientazioni non mi appartengono e che questo scritto non ha alcuno
scopo di lucro.
Alla prossima!
_Pulse_
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MESSAGING
La festa organizzata
per Kyouka, ora membro effettivo dell'Agenzia dei Detective Armati, era
durata più del previsto sia per via dell'alcool scorso a
fiumi che per colpa del rivale di Ranpo, Poe.
Il detective col procione infatti li aveva spediti tutti all'interno
del suo ultimo romanzo giallo con la sua abilità e un
irriconoscibile Kunikida ubriaco si era messo in testa di poter
riuscire a risolvere il mistero senza l'aiuto del vero ed unico
investigatore. Mortalmente offeso, Ranpo aveva incrociato le braccia ed
era rimasto a guardare, incurante delle suppliche di tutti gli altri.
Non ne sarebbero mai usciti se Dazai non avesse finalmente deciso di
presentarsi alla festa, trovandoli tutti svenuti sul pavimento ed
annullando gli effetti di "Gatto nero nella Rue Morgue". Una volta
venuto a conoscenza dei dettagli, l'ex-membro della Port Mafia si era
fatto una grassa risata, pensando a come si sarebbe divertito il giorno
seguente a tormentare un Kunikida in pieno post-sbronza. Per questo si
era offerto di portarlo a casa, evitando così che la
dottoressa Yosano potesse metterci su le mani e farlo tornare come
nuovo dopo essersi divertita.
«Atsushi-kun»,
aveva richiamato la sua attenzione mentre si metteva un braccio del
partner intorno al collo. «Mi raccomando, non andare via fino
a quando non sarà tutto pulito».
Il ragazzo-tigre aveva
sgranato gli occhi ed era impallidito nel constatare in quali
condizioni fosse ridotto l'ufficio.
«Che cosa?! Perché io?!».
Il sorriso che Dazai
gli aveva rivolto, malizioso e al limite del diabolico, lo aveva fatto
rabbrividire, ma Kyouka lo aveva distratto prendendogli un lembo della
camicia.
«Ti
darò una mano io», aveva detto, col suo solito
tono di voce pacato.
Atsushi aveva
incrociato i suoi grandi occhi azzurri e un moto di rabbia gli era
rimbombato nel petto come un ruggito.
«Non se ne parla neanche! Tu sei la festeggiata, non
è giusto! Vedrai che si fermerà qualcun
altro!».
Alla fine nessuno si
era fermato, ovviamente. Accampando varie scuse, tutti i membri
dell'Agenzia se n'erano andati seguendo l'esempio di Dazai. L'ultima ad
avviarsi verso la porta era stata Yosano, la quale nonostante avesse
bevuto così tanto da reggersi a malapena in piedi aveva
preso Kyouka per mano e affermato che l'avrebbe portata a casa. Atsushi
era sicuro che sarebbe accaduto l'inverso e la ragazzina gliene aveva
dato conferma abbozzando un sorriso e rassicurandolo che non le sarebbe
successo nulla di male, ora che aveva sotto controllo - o quasi - il
Demone Biancaneve.
Nakajima era stanco,
tanto che era certo che si sarebbe addormentato anche sul pavimento, ma
sapeva che non l'avrebbe mai fatto: tremava al solo pensiero di essere
svegliato a calci da un Kunikida irritato e, soprattutto, per via di
quello che Dazai e Ranpo non gli avevano detto. Perché
sì, ormai aveva capito che quei due non facevano mai nulla
per caso ed era convinto che doveva esserci un motivo se l'avevano
costretto a rimanere lì a pulire nonostante non fosse ancora
guarito del tutto dalle ferite riportate nello scontro contro il capo
della Guild. In particolare lo avevano messo in allerta le parole del
detective, il quale gli aveva raccomandato di tenere una finestra
aperta per far arieggiare l'ambiente.
Sbuffò
irritato quando il cumulo di coriandoli e briciole così
faticosamente formato venne spazzato via dall'ennesima folata di vento.
«Adesso ne
ho abbastanza», mormorò a mezza voce e si
avvicinò alla finestra per chiuderla, quando delle familiari
fauci nere gli sfrecciarono accanto all'orecchio sinistro.
Con un balzo
finì in piedi sulla scrivania lì accanto, ma la
testa di Rashomun non lo seguì: precisa e veloce,
affissò qualcosa alla parete e si ritirò prima
ancora che Atsushi potesse attaccare.
Era già ritornata dal suo padrone quando il ragazzo-tigre si
affacciò alla finestra, incrociando lo sguardo metallico di
Akutagawa per un breve attimo. Aprì la bocca per chiamarlo,
ma non aveva alcun senso: l'oscurità del vicolo in cui si
era infilato l'aveva già inghiottito e non ne sarebbe
riemerso per lui.
Il ragazzo dai capelli
argentati chiuse la finestra, certo che ormai la previsione di Dazai e
Ranpo si fosse avverata (e stupendosi come sempre delle loro
capacità quasi divinatorie), e sospirando si diresse a
strappare dal muro il messaggio della Port Mafia. Lo lesse,
più e più volte, poi lo buttò nel
sacco della spazzatura e tornò a pulire l'ufficio: in
qualche modo doveva ingannare il tempo prima del suo appuntamento con
Akutagawa.
*
«Akutagawa-senpai,
ho sentito che il boss l'ha convocata. Di che si tratta?».
Higuchi l'aveva
intercettato subito dopo il suo breve colloquio con Mori e per quanto
lo infastidisse il suo comportamento da cagnolino ammaestrato, non
sarebbe mai stato in grado di allontanarla da sé: lei era
l'unica oltre a sua sorella a preoccuparsi davvero per lui, tanto da
prendersi due pallottole e rischiare la vita pur di difenderlo
quand'era in coma. Coma causato dallo stesso Atsushi Nakajima, la tigre
mannara con cui si era ritrovato ad avere un appuntamento. Il solo
pensiero lo disgustava, ma si trattava di un ordine e non poteva in
alcun modo ignorarlo.
Aveva tuttavia provato
a chiedere spiegazioni al vertice della Port Mafia, il quale
però sembrava più interessato al catalogo di case
delle bambole che stava sfogliando per trovarne una da regalare a
Elise. Akutagawa non si era arreso e alla sua insistenza il boss aveva
finalmente alzato gli occhi e con tono divertito aveva esclamato:
«È stato deciso che, volenti o nolenti, tu e la
tigre lavorerete ancora insieme, perciò questo incontro
è puramente una formalità. Nemmeno lui
avrà scelta».
Akutagawa aveva
stretto i pugni lungo i fianchi, tanto forte da sentire le unghie
conficcarsi nei palmi. «E se io lo uccidessi, a questo
incontro?».
Il boss aveva
ridacchiato a bocca chiusa. «Non lo farai. L'idea
è del nostro caro Dazai, il quale ha un'interessante teoria
in merito a ciò che è successo alla Moby Dick.
Lui non è più un nostro esecutivo, è
vero, ma questo non mi impedisce di avere totale fiducia nelle sue
intuizioni e sfruttarle a mio vantaggio. Per questo la tregua tra le
nostre organizzazioni è stata prolungata. Sei il primo a
saperlo, sei contento?».
Akutagawa era stato
raramente "contento" in vita sua - si potevano davvero contare sulle
dita di una mano, i momenti che l'avevano reso tale - e quello non lo
era stato. La rabbia gli aveva fatto ribollire il sangue nelle vene e
un attacco di tosse più forte del solito l'aveva costretto
ad uscire dall'ufficio del boss senza aggiungere altro. Non voleva
lavorare con quello
là, ma non aveva scelta e odiava che fosse
così.
«Senpai?».
Higuchi stava ancora
aspettando la sua risposta. La guardò con la coda
dell'occhio, poi sospirò brevemente e ammise, lugubre:
«Mi è stato detto che non avrei ricevuto alcuna
punizione per la mia insubordinazione, dato che avevo contribuito alla
vittoria contro la Guild, ma era una bugia».
La bionda
sobbalzò. «Una punizione?».
Akutagawa si
fermò davanti all'ascensore dalle porte dorate e premette il
tasto della chiamata.
«Qualunque
sia, la merito anche io. È colpa mia, in fondo. Se non le
avessi dato quelle informazioni...».
Con un delicato ding
le porte dell'ascensore si aprirono e Akutagawa entrò,
evitando accuratamente di specchiarsi e ricambiando per la prima volta
lo sguardo della sottoposta. La ragazza arrossì vistosamente
e questo provocò al corvino il solito senso di
inadeguatezza. Perché, perché lo ammirava tanto?
Che aveva fatto per meritarsi il suo affetto?
Con la fronte
aggrottata come se fosse infastidito - una delle sue espressioni
più frequenti - esclamò: «Questa
punizione non è condivisibile».
«Però...!».
«Grazie,
Higuchi», la interruppe bruscamente, dicendo finalmente a
voce alta quello che aveva rimandato da quel giorno.
La bionda rimase
letteralmente a bocca aperta, mentre il rossore sulle sue guance
aumentava e delle lacrime iniziavano a formarsi agli angoli dei suoi
occhi.
Akutagawa
sentì un'altra fitta al petto e ringraziò
silenziosamente le porte che si chiusero prima che lei potesse dire
qualcos'altro. Solo nell'ascensore, il proprietario di Rashomun
abbandonò le spalle contro uno degli specchi e si
portò la mano destra alla bocca, tossendo piano.
Se non avesse
sfruttato le informazioni di Higuchi e l'odio che provava nei confronti
del nuovo allievo di Dazai non avrebbe mai sentito le parole che tanto
aveva desiderato che il suo maestro pronunciasse.
Quel momento sì che l'aveva reso contento e prima o poi - in
un futuro lontano - avrebbe ringraziato Atsushi Nakajima per averlo
aiutato ad arrivare fino a lì.
*
Atsushi
arrivò al luogo dell'appuntamento mezz'ora prima dell'orario
stabilito.
Finite le pulizie,
aveva deciso di avviarsi per contrastare il sonno e in quel senso il
vento l'aveva aiutato a rinfrescarsi le idee. Il messaggio lasciato da
Akutagawa era sintetico e ben poco esplicativo, un semplice "ora e
luogo", perciò aveva ipotizzato due possibili scenari: il
primo, nel quale il cane della Port Mafia aveva deciso finalmente di
porre fine alla loro rivalità; e il secondo, quello che
riteneva più probabile, per cui si sarebbe trattato di un
semplice incontro deciso da persone sopra di loro, tra cui senza ombra
di dubbio Dazai.
Atsushi
sospirò afflitto e, incapace di trattenere la
curiosità, chiamò il mentore col proprio
cellulare. L'uomo rispose dopo appena uno squillo, come se attendesse
quella chiamata.
«Ehilà,
Atsushi-kun! Hai già finito di pulire?».
«Sì»,
rispose. «E ho ricevuto un invito da parte di
Akutagawa».
«Ah!».
«Non finga
di essere sorpreso. Lei sapeva che sarebbe successo. Come ha
fatto?».
«Mi hai
scoperto, eh?».
Atsushi
capì che non avrebbe risposto alla domanda,
perciò ne pose un'altra: «Di che cosa si tratta?
Devo prepararmi a combattere?».
«Non ce ne
sarà bisogno. Anzi, ti dirò di più:
l'Agenzia e la Port Mafia non si metteranno i bastoni tra le ruote
ancora per un po'».
«Sta dicendo
che la tregua...».
«... non
è ancora cessata, esatto».
Una folata di vento
gli portò dei ciuffi di capelli negli occhi e Atsushi se li
spostò con la mano, trovandosi improvvisamente sollevato
all'idea di non dover lottare con altri possessori di
abilità, o almeno non quelli della Port Mafia, ancora per un
po'. Il silenzio prolungato di Dazai però non lo
rassicurò, così come il tono improvvisamente
serio che adottò quando riprese a parlare.
«Atsushi-kun,
la verità è che presto ci troveremo di fronte ad
un avversario ben più forte della Guild. Ne ho parlato col
Presidente e si è trovato d'accordo con me, quando gli ho
proposto che tu e Akutagawa...».
«No».
«No?».
Atsushi
sentì il sangue scaldargli il volto. La lingua era stata
più veloce del cervello, direttamente collegata al cuore.
Aveva capito quello che Dazai stava per dire e l'aveva interrotto,
orripilato.
L'uomo fissato coi
suicidi si lasciò andare ad una risata leggera.
«Perché sei andato all'incontro, allora?
Atsushi-kun... guarda davanti a te».
L'oceano brillava
delle luci della città, riflettendo la forma della ruota
panoramica e il bagliore rossastro dei grattacieli che squarciavano le
nubi e toccavano le stelle.
Quel panorama era
talmente bello che Atsushi l'avrebbe guardato per ore. Non avrebbe
permesso a niente e a nessuno di distruggerlo, anche a costo della sua
stessa vita.
Dazai pose fine alla
comunicazione: non aveva nient'altro da dire. Atsushi chiuse a sua
volta il cellulare e lo ripose nella tasca dei pantaloni.
«La
città che abbiamo protetto...», disse quando ormai
non c'era più nessuno ad ascoltarlo. O almeno
così credeva.
Dei colpi di tosse lo
costrinsero a voltarsi e alla sua destra vide Akutagawa, sferzato dal
vento tanto quanto lui.
«Che inutile
sciocchezza», affermò arcigno, gli occhi metallici
che brillavano alla luce della luna piena.
Se non fosse stato per
il Presidente dell'Agenzia, Atsushi non sarebbe mai riuscito a
controllare la tigre che ruggiva nel suo petto, desiderosa di
manifestarsi, e gli ci volle il doppio dello sforzo quando quelle
parole raggiunsero le sue orecchie.
Si voltò
verso il corvino, fissandolo, e si chiese se davvero quello fosse
l'unico modo per affrontare il nemico che a detta di Dazai stava
già pianificando il prossimo attacco su Yokohama.
Probabilmente era così, se sia il Presidente che il boss
della Port Mafia avevano dato la loro approvazione.
«Questa
città, con tutti i suoi abitanti, è finalmente
diventata la mia casa», ruppe il silenzio Atsushi, sentendo
un piacevole calore riempirgli il petto mentre si convinceva di quelle
parole. Persino la tigre si acquietò e la sua espressione si
fece più serena, davanti a quella stizzita di Akutagawa.
«Farò
di tutto per proteggerla, persino combattere al tuo fianco».
Il corvino strinse
forte i pugni lungo i fianchi. «Sei davvero senza pudore, jinko».
«E
perché? Riconosco che senza di te non sarei mai riuscito a
battere Fitzgerald e che mi hai salvato la vita, per ben due volte. Per
questo ti ringrazio, Akutagawa-kun».
Due teste di Rashomun
si conficcarono fulminee sul cemento, a pochissimi centimetri dagli
stivali di Atshusi, il quale non si era mosso di un centimetro. Il suo
sorriso si ampliò e Akutagawa sentì il cuore
esplodergli nel petto senza una ragione.
«Non ti
azzardare a chiamarmi in quel modo. Noi non siamo amici, né
ti rispetto. Se sono qui, è solo perché mi
è stato ordinato. Mi viene da vomitare al solo pensiero, ma
devo farlo».
«Che cosa
devi fare?», domandò con quel suo tono ingenuo,
davvero inconsapevole di come girasse il mondo.
Stupido
gatto troppo cresciuto.
Akutagawa
tossì ancora, sentendo del veleno corrodergli le pareti
della gola mentre quelle parole gli raggiungevano la bocca:
«Vorresti allearti alla Port Mafia e diventare mio
partner?».
«Come scusa?
Non capisco nulla se parli mentre tossisci. A proposito, penso dovresti
vedere un dottore. Scommetto che Yosano-sensei riuscirebbe a fartela
sparire in un baleno...».
«Stai
zitto!», gridò Akutagawa, attaccandolo ancora con
le fauci di Rashomun. Questa volta però non si trattenne e
se Atsushi non avesse trasformato le proprie gambe nelle zampe
posteriori della tigre per spiccare un balzo, di certo sarebbe stato
morso.
Il corvino aspettò il contrattacco, ma il ragazzo-tigre si
limitò ad appollaiarsi sulla ringhiera che impediva
l'accesso diretto alla spiaggia, osservandolo con espressione esausta.
«Dazai-san
non sarebbe per niente contento se ti uccidessi»,
bofonchiò.
A quelle parole,
Rashomun sparì all'interno del suo cappotto sferzato dal
vento. «Allora è vero che è stata
un'idea di Dazai-san».
«Sì,
a quanto pare. Secondo lui, se lottiamo insieme siamo più
forti. Ed è vero, come ti dicevo prima. Quando Rashomun ha
avvolto il mio pugno per quel colpo combinato... l'hai sentita anche
tu, quella sensazione?».
Akutagawa quasi
trasalì, ricordando fin troppo bene come si era sentito
quando le loro due abilità si erano fuse in una. Per la
prima volta da che aveva memoria, il suo corpo non gli era
più sembrato debole e fragile. Invece che un ammasso di
pelle e ossa sempre sul punto di lacerarsi e crollare, l'aveva sentito
perfettamente in grado di sostenere il suo spirito e proteggerlo dalla
forza spaventosa di Rashomun.
Deviò i
suoi occhi dal colore indefinibile, ben deciso a non dargli la
soddisfazione di aver avuto ragione, ma Atsushi non si
demoralizzò, tutt'altro. Saltò giù
dalla ringhiera e si avvicinò, i piedi di solito impacciati
guidati dalla tigre.
«Per la
prima volta in vita mia, ho attaccato senza avere alcuna incertezza.
Ero sicuro che ce l'avrei fatta e non ho avuto paura, nemmeno per un
attimo».
Lentamente, Akutagawa
incrociò di nuovo il suo sguardo, rilassando le spalle. Ora
finalmente capiva perché Dazai pensava che insieme avrebbero
formato una squadra perfetta: le mancanze dell'uno venivano colmate
dall'altro.
Il corvino si
domandò quando se ne fosse reso conto, se avesse addirittura
previsto tutto quanto fin dall'inizio. Le informazioni ottenute da
Higuchi... forse era stato lui stesso a fare in modo che trapelassero.
«Ciò
nonostante...», riprese Atsushi, abbassando il capo per
portarsi una mano sulla nuca. «Ci vorrà del tempo
prima che io possa perdonarti per tutto ciò che hai fatto e
considerarti il mio partner. Non so nemmeno se posso fidarmi».
«Non si
tratta di fiducia, ma di ciò che è più
conveniente», replicò Akutagawa, nonostante le sue
parole l'avessero punto più di quanto avrebbero dovuto.
«E non mi scuserò per aver cercato di ucciderti, jinko. Tu stesso
non ti sei risparmiato, se non ricordo male».
Il ragazzo dai capelli
argentati esibì un nuovo sorriso. «Hai iniziato tu
però».
«Facevo solo
quello che...».
«... che ti
è stato ordinato? Non ne sono del tutto convinto».
Atsushi avanzò di un altro passo e Akutagawa ebbe l'istinto
di arretrare, ma non lo fece. Mantenne anche il contatto visivo fino a
quando il movimento della sua mano destra non attirò la sua
attenzione: la stese tra loro, in attesa della propria.
«Da qualche
parte dovremo pure cominciare», spiegò il
ragazzo-tigre, scrollando le spalle.
Riluttante, Akutagawa
grugnì ed afferrò la sua mano, la quale,
nonostante il palmo coperto dal guanto di pelle nera, era tanto calda
che ebbe paura di scottarsi. Atsushi invece rabbrividì, ma
si morse il labbro ed imitò il suo silenzio composto.
Com'era successo la
prima volta, toccarlo senza avere l'intenzione di ferirlo fece
stringere lo stomaco di Akutagawa, il quale conosceva abbastanza bene i
morsi della fame per capire che non si trattava della stessa
sensazione. Era simile a quella che provava quando si trovava accanto
ad Higuchi e lei lo trattava con gentilezza, solo
d'intensità centuplicata.
Per questo si
sottrasse bruscamente dalla stretta e gli diede le spalle, stringendosi
la mano al petto. Lì, sotto gli strati dei vestiti, il suo
cuore sembrava di nuovo sul punto di esplodere. Che diavolo gli stava
succedendo? L'agitazione gli causò un violento attacco di
tosse.
«Va tutto
bene, Akutagawa?».
«Non fingere
che ti importi, jinko».
«Atsushi. Il
mio nome è Atsushi».
«E
quindi?».
Il ragazzo-tigre
sospirò, arrendendosi all'evidenza: non sarebbero mai andati
d'accordo e Akutagawa non ci avrebbe nemmeno provato.
«Hai
ragione, per quello che mi interessa puoi anche soffocare. Adesso sono
stanco, vado a casa».
Akutagawa
sgranò un poco gli occhi a quelle parole. Non poteva
permettergli di andarsene in quel modo, come se fosse stato lui ad
invitarlo e non viceversa. Inoltre, non aveva ancora ricevuto la
risposta da riportare al boss della Port Mafia.
«Chi ti ha
dato il permesso di andartene?!», gridò e senza
pensarci su due volte allungò una mano per fermarlo. Avrebbe
potuto usare Rashomun, però... imbarazzato, si
scoprì a voler sentire ancora una volta il suo calore sulla
pelle. Anziché afferrargli la mano però
finì per stringere il palmo intorno a qualcosa di molto
più soffice e peloso. Atterrito, abbassò gli
occhi e scoprì di avergli preso la coda.
Atsushi si
immobilizzò, il collo stretto tra le spalle e il corpo
scosso dai brividi.
Akutagawa sapeva di
doverlo lasciare andare, ogni fibra del suo corpo glielo stava dicendo,
eppure esitò: accarezzò la pelliccia bianca e
nera, godendosi il tepore in grado di riscaldargli la pelle e trovando
quella morbidezza estremamente confortante.
Ciò che lo
fece tornare alla realtà fu una specie di morbido ruggito,
il quale venne subito soffocato dalle mani che Atsushi si
portò alla bocca mentre si voltava per guardarlo con le
guance in fiamme e gli occhi lucidi. La sua espressione, un misto di
imbarazzo e malcelato desiderio, costrinse Akutagawa a lasciarlo
finalmente andare e a voltarsi verso il mare, il vento a spingergli una
ciocca di capelli dalle punte bianche negli occhi.
Cos'era quel verso? si
domandò, mentre il cuore gli batteva furiosamente nella
cassa toracica. Sembrava quasi che fosse sul punto di fare le... fusa.
Atsushi si
schiarì la gola e prendendosi la coda tra le mani se la
strinse al petto, incapace anche solo di posare gli occhi sul corvino.
«Devi dirmi
qualcos'altro?», riuscì a chiedergli alla fine,
spezzando quell'imbarazzante silenzio.
«Sei tu che
non hai risposto alla mia domanda», grugnì.
«Conosco la risposta, ma devo sentirla da te per poter
considerare la missione completata».
«Se voglio
unirmi alla Port Mafia? No, grazie».
«Bene»,
sospirò Akutagawa, sollevato. Non avrebbe sopportato di
averlo tra i piedi tutti i giorni. «Adesso puoi tornare nella
tua gabbia».
«Akutagawa».
Il corvino
osò fissarlo con la coda dell'occhio, trovando sul suo volto
un'espressione quasi confusa.
«Perché
non hai seguito Dazai-san quando ha lasciato la Port Mafia?».
Il silenzio che cadde
su di loro fu tanto profondo che Akutagawa temette che il ragazzo-tigre
potesse sentire i battiti del suo cuore ferito. Inoltre, ebbe come la
sensazione che la temperatura si fosse abbassata di almeno cinque gradi
all'improvviso.
«Non me l'ha
chiesto», confessò alla fine, senza nemmeno sapere
perché. «Un giorno sparì e basta, senza
lasciare traccia».
«E tu non lo
cercasti?».
«Certo che
lo cercai!», urlò, la rabbia a graffiargli la
gola. «Spesi ogni minuto libero alla sua ricerca, ma fu tutto
inutile. Quando scoprii che si era unito all'Agenzia dei Detective
Armati, solo allora... capii che ero stato lasciato indietro
perché non ero abbastanza forte». Si
guardò le mani, per poi stringerle nuovamente in pugni.
«E poi Rashomun, capace solo di distruggere e uccidere
nell'oscurità, non avrebbe mai trovato posto
all'Agenzia».
«È
la stessa cosa che pensava Kyouka, e guarda com'è andata a
finire», affermò Atsushi, tornando a comportarsi
come il fiero possessore del potere de "La bestia al chiaro di luna":
il suo sguardo era un concentrato di forza e determinazione, due
caratteristiche di quel felino potente quanto regale.
«Tu hai
abbandonato la speranza di poter vivere nella luce, ma la
verità è che non ci hai mai provato. Forse
è per questo che Dazai-san...».
«Stai
zitto», lo interruppe bruscamente, la fronte increspata e i
denti stretti nella bocca. Il ragazzo-tigre però lo
ignorò.
«Ti
presterò la mia forza, Akutagawa».
Il corvino
impiegò diversi secondi di troppo per voltarsi e gridare con
tutto il fiato che aveva nei polmoni: «Non te l'ho mai
chiesto!».
«Hai
ragione, ma lo farò lo stesso. Adesso siamo partner, giusto?
Dobbiamo fare del nostro meglio per essere all'altezza delle
aspettative di Dazai-san».
A quel punto Akutagawa
non trovò nulla di abbastanza intelligente da dire e, ferito
nell'orgoglio, gli diede definitivamente le spalle per andarsene.
«Forse
dovremmo... scambiarci i numeri di telefono», disse ad un
tratto Atsushi, con tono di nuovo incerto. Quando il corvino gli
lanciò uno sguardo tagliente, aggiunse:
«È semplicemente più comodo».
Aveva ragione, ma non
l'avrebbe mai ammesso. Akutagawa chiamò a sé una
delle teste di Rashomun, la quale estrasse fulminea il cellulare del
ragazzo-tigre dalla tasca dei suoi pantaloni, facendolo arrossire
nuovamente.
Si scrisse rapidamente
il suo numero e poi se lo lanciò alle spalle, costringendo
Atsushi ad uno scatto per poterlo prendere al volo prima che cadesse
sull'asfalto.
Steso a pancia in
giù, il giovane dai capelli argentati lo sentì
vibrare tra le sue mani e lesse il messaggio che gli era appena
arrivato da parte di un numero sconosciuto.
"Non osare cercarmi a meno che non sia assolutamente necessario o te ne
pentirai, jinko."
Atsushi
sollevò gli occhi per rispondere a voce, ma Akutagawa era
già lontano, il lembo inferiore del cappotto nero che gli
svolazzava dietro le gambe.
Col solo scopo di
innervosirlo, il giovane scrisse velocemente: "Hai salvato il mio
numero con quel nomignolo, vero?"
Non ricevette
riscontro, ma nemmeno si vide tranciare uno degli arti per aver
risposto al suo SMS.
Sorridendo, si alzò da terra e dopo essersi spolverato i
vestiti, a piedi nudi si diresse nella direzione opposta a quella di
Akutagawa.
Non poteva
lontanamente immaginare che il mastino infernale della Port Mafia
avesse la sua stessa espressione in volto.
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