And Once for Love
Words from No One
Jon
Il
cielo era stranamente limpido. La notte prima aveva piovuto ed il
nevischio si era sciolto, mescolandosi alla terra ed infangando le
scarpe di cuoio duro dei lord ed i vestiti di velluto delle lady. Le
strade erano scivolose ed insidiose e gli zoccoli dei cavalli
affondavano al tal punto nel terreno, da costringere gli uomini a
trascinare i carretti. Ma capitava che i raggi delle ruote si
spaccassero, e allora erano necessari almeno quattro uomini forti che
sorreggessero il carro mentre veniva effettuata la riparazione. Il
legno marciva a causa dell’umidità ed i tronchi degli alberi venivano
attaccati dal muschio. Fortunatamente le temperature fin troppo
clementi non permettevano ancora le gelate, ma la gente del Nord non si
illudeva: il ghiaccio sarebbe arrivato presto ed avrebbe portato bufere
e grandinate.
Città
dell’Inverno si stava rapidamente popolando; per i suoi vicoli
riecheggiavano le urla dei bambini, i sospiri delle donne ed i comandi
concitati degli uomini. I campi erano stati abbandonati e le provviste
raccolte nei granai.
Si
cucivano mantelli bordati di pelliccia di volpe o di lupo ed abiti di
lana pesante, guanti e farsetti di pelle. Gli allevatori macellavano
gli animali e salavano le carni, consapevoli che neanche il più ricco
lord del Continente avrebbe potuto sfamarli in seguito all’arrivo del
vero freddo. Gli alberi erano abbattuti, i tronchi tagliati e disposti
disordinatamente nelle legnaie, mentre i fabbri battevano il ferro ed
il bronzo per forgiare armature robuste, spade, lance e punte di frecce.
L’ultimo
appello del Re del Nord invitava il popolo a collaborare, ad aiutare
non solo gli amici ma anche gli antichi nemici, a prepararsi per
l’inverno più difficile degli ultimi mille anni. Il corvo bianco era
arrivato non più di una settimana prima, silenzioso come un’ombra, ma
gli uomini l’avevano avvistato in ogni caso e sentito il sangue gelare
nelle vene. L’inverno era arrivato. Da allora il cielo era stato sfondo
del viaggio di innumerevoli corvi, tutti neri, che arrivavano da ogni
fortezza del Nord, dalla Valle e dalle Terre dei Fiumi.
In
tutti i villaggi si respirava la paura e la preoccupazione, ed i lavori
erano divenuti frenetici. Bisognava riparare i tetti e i muri delle
abitazioni incendiate dai Bolton e costruire ripari per i rifugiati che
fuggivano dai luoghi troppo vicini alla Barriera. Molti uomini erano
morti in guerra e la manodopera scarseggiava.
Quando
il Re del Nord aveva offerto il sostegno dei propri uomini, il popolo
era ammutolito spaventato. I bruti si erano stanziati nella pianura a
seguito della Battaglia dei Bastardi e, nonostante tutte le promesse e
i giuramenti, la gente comune continuava a temerli.
Ma
l’Inverno è capace di scrutare i luoghi più reconditi dell’animo e di
far emergere sentimenti inimmaginabili. Uniti dal dolore per le perdite
subìte e dal terrore per un futuro quanto mai incerto, il Popolo Libero
e le genti del Nord si erano reciprocamente accettati, scoprendosi
alleati in una guerra invisibile che non comprendevano.
Non
potevano immaginare quanto i legami che stavano faticosamente
instaurando avrebbero in futuro fatto la differenza fra la vita e
qualcosa peggio della morte. Perché il popolo del Nord non sapeva che,
quando le leggende si scoprono reali, la paura ha spade di ghiaccio ed
occhi più blu delle stelle.
Uno,
due, tre, quattro. Piccoli fiocchi iniziavano a cadere volteggiando e
bagnando i mantelli. Jon Snow si accorse di avere già i capelli umidi e
si affrettò a tirare su il cappuccio, cercando allo stesso tempo di
mantenere il controllo sul suo cavallo.
Era
un omaggio di lord Cerwyn, uno stupendo purosangue bianco dalla
criniera candida e l’animo ribelle. “Un cavallo bianco per il Lupo
Bianco” aveva detto soddisfatto il lord, “mi sembra una bestia degna di
un re.” Jon si era trattenuto dal far notare che probabilmente le
origini di quel cavallo erano più nobili delle proprie, ed aveva
accettato il dono sfoggiando il suo sorriso migliore. L’aveva chiamato
Ghiaccio, come la spada appartenuta a suo padre e di cui si erano perse
le tracce. Secondo il racconto di Sansa, Ilyn Payne aveva brandito
proprio quella spada il giorno in cui a Ned Stark fu mozzata la testa.
Una
bestia degna di un re. E’ questo quello che sono ora, un re.
Jon
non riusciva ancora a credere che proprio lui fosse stato scelto come
Re del Nord, non poteva pensare che fosse successo davvero, che i lord
di tutto il Nord si fossero alzati, acclamandolo e giurandogli fedeltà.
Come avevano potuto preferire il Bastardo di Grande Inverno alla figlia
legittima di Ned e Catelyn Stark?
Jon
aveva temuto di trovare il rancore e la delusione nello sguardo di
Sansa, ma lei gli aveva sorriso radiosa. Sembrava
felice… addirittura orgogliosa. Jon si era alzato in piedi a
disagio, chiedendosi se suo fratello Robb avesse in passato ricevuto
una cerimonia simile. Sembravano passati secoli, ma il Nord non
dimentica. Non dimentica gli oltraggi e le sventure che gli Stark
avevano dovuto subire a causa del gioco di qualcun altro. Non dimentica
il tradimento che uccise Ned, né le Nozze Rosse, in cui l’esercito del
Nord fu massacrato insieme a Robb e Catelyn. Non dimentica il fumo che
si levava dal rogo di Grande Inverno, la tirannia dei Bolton, la morte
del piccolo Rickon.
Jon
chiuse a pugno la mano della spada. Sentiva ancora le nocche sfrigolare
nei punti dove aveva colpito il viso di Ramsay Bolton. L’aveva preso a
pugni con una forza che non credeva di avere, con un furore
sconosciuto, e quell’essere non aveva mai smesso di sorridere. L’aveva
colpito ventuno volte.
Quando
Sansa gli aveva detto che Ramsay era morto, Jon non aveva fatto
domande, ma il mancato ritrovamento del cadavere e la successiva
soppressione dei mastini dei Bolton per volere di sua sorella gli
avevano fatto intuire la verità. Jon era rimasto stupito: non credeva
Sansa capace di una tale crudeltà, seppur ampiamente meritata dalla
vittima. La vita aveva cambiato profondamente Sansa; non era più la
ragazzina ingenua e sognatrice, amante dei cavalieri e delle storie
d’amore, ma una donna segnata dall’esperienza e dalla sofferenza, resa
forte e sospettosa dalle avversità che aveva incontrato.
Una
folata di vento gelido fece rabbrividire Jon, che abbandonò i suoi
pensieri per concentrarsi sulla strada accidentata. Ghiaccio avanzava
al passo, scivolando ogni tanto sulla pietra viscida, e Jon doveva
tenersi stretto alle redini per non essere sbalzato giù di sella. Si
voltò per assicurarsi che il resto del gruppo lo stesse seguendo. Davos
e Tormund cavalcavano appena dietro di lui, seguiti da alcuni cavalieri
concessi da lord Manderly.
Quella
limpida mattina si erano recati in un villaggio non lontano da Grande
Inverno dopo alcune segnalazioni di aggressioni da parte di fedeli ai
Karstrak scampati alla Battaglia dei Bastardi. Jon aveva subito guidato
un piccolo contingente armato ed i ribelli erano stati facilmente
sopraffatti. I contadini erano usciti dalle case, inginocchiandosi
davanti al Re del Nord e ringraziandolo tra lacrime di gioia. Alcune
donne gli avevano perfino porto i propri bambini perché li benedicesse.
E Jon li aveva abbracciati tutti, ascoltando le loro storie e ridendo
alle loro battute. Ovunque andasse la folla lo acclamava e Jon non si
era mai sentito così amato. Neanche
quando ero Lord Comandante dei Guardiani della Notte, aveva
dovuto ammettere.
Il
pensiero della Barriera aveva calato un’ombra sul suo viso e Jon
istintivamente portò la mano libera al cuore.
Davos
dovette accorgersene, perché spronò il cavallo raggiungendolo.
“Ti fa male, vostra grazia?” gli chiese con un tono vagamente
preoccupato.
Jon
abbassò lo sguardo. “No, Davos, è tutto a posto” rispose con
un sospiro, “e quante volte devo dirti di non chiamarmi in quel modo?”
Davos
accennò un sorriso sotto la folta barba. “Come vuoi tu, Jon” rispose
allontanandosi nuovamente.
Lentamente
Jon abbassò la mano stringendo i denti. Le ferite bruciavano e non si
erano ancora rimarginate del tutto, specialmente quella provocata dal
coltello che gli aveva attraversato il cuore. Jon scosse il capo,
tentando di scacciare pensieri malinconici. Il passato era
terrificante, ma il futuro che li attendeva lo era di più.
Finalmente
le mura di Grande Inverno furono in vista. Dopo che Wun Wun aveva
sfondato il grande portone di legno, l’entrata era sorvegliata da una
decina di sentinelle in attesa della costruzione di un nuovo cancello.
Le guardie si inchinarono al passaggio del re e un ragazzo si fece
avanti per prendere in custodia Ghiaccio.
Jon
smontò da cavallo e si girò verso Tormund. “Voglio guardie
sulle mura e davanti alle porte delle sale più importanti” comandò con
voce autoritaria. “E che tutti i lord e le lady siano informati della
convocazione del concilio per stasera prima di cena.”
Il
grosso bruto si accarezzò la barba rossa ed incolta facendo una smorfia.
“Ti piace dare ordini, eh Snow?”
Jon
sorrise: almeno Tormund non aveva alcuna intenzione di chiamarlo vostra
grazia, il massimo che poteva aspettarsi dai bruti era un borbottato Re
Corvo.
Evitando
i numerosi servitori che gli si affollavano intorno, Jon tirò dritto,
conscio del fatto che Davos si sarebbe occupato dei loro problemi.
Aveva voglia di vedere Sansa. Attraversò i corridoi semibui del
castello e raggiunse la camera della sorella. Stranamente la porta era
socchiusa ed un fascio di luce si allungava sul pavimento. Da dentro
provenivano delle voci. Incuriosito, Jon si fermò ad ascoltare e
riconobbe facilmente quella cristallina di Sansa.
“Non
ho alcuna intenzione di ascoltarti, lord Baelish” stava dicendo e Jon
strinse le labbra udendo il nome di Ditocorto: Sansa stessa l’aveva
avvisato di non fidarsi di quell’uomo.
“Quello
che dici è assurdo, per favore esci dalla mia stanza” stava continuando
a voce più alta Sansa. Jon non poteva vedere all’interno della stanza,
ma era certo che sua sorella si fosse avvicinata alla porta.
“Sansa,
ascoltami” disse la voce pacata di Baelish, “capisco che tu sia
sconvolta, tutto questo non sarebbe dovuto accadere, ma io…” Si sentì
un rumore secco.
La
voce di Sansa era carica d’ira. “Lord Baelish, esci dalla mia stanza o
chiamo le guardie.” Jon non resistette oltre e spalancò di colpo la
porta.
Sansa
era in piedi davanti a lui con un’aria esterrefatta, i lunghi capelli
rossi raccolti a treccia su una spalla, mentre Ditocorto era balzato in
piedi con sguardo omicida.
“Nessuno
ti ha insegnato che spiare una conversazione è cattiva educazione, vostra
grazia?”
Jon
si girò verso di lui. “Credo che nessuno abbia insegnato a te che
minacciare una lady sia un atto ancora più maleducato, lord
Baelish.”
Ditocorto
stava per protestare, ma intervenne Sansa. “Non mi ha minacciata, Jon”
disse riconciliante, “e poi Petyr stava andando via, non è così?”
Baelish
sembrò valutare le alternative. “Ma certo mia signora” disse
inchinandosi e voltandosi. All’ultimo si girò verso di Jon.
“Mio
signore” sussurrò con un sogghigno prima di sparire.
Sansa
tirò un sospiro di sollievo e si lasciò cadere sul letto. Jon rimase in
piedi. “Che ti stava dicendo, Sansa?”
Lei
si prese la testa fra le mani. “Non mi dà tregua, Jon!”
esclamò con le lacrime agli occhi “Voleva che fossi io a essere
nominata regina e minaccia di sottrarre al Nord i Cavalieri della
Valle.”
“Sansa,
ti prego sii sincera” la interruppe Jon prendendole le mani, “devo
sapere se sei arrabbiata o insoddisfatta. Di' solo una parola e ti farò
proclamare Regina del Nord al mio posto, è un titolo che ti spetta per
nascita.”
Sansa
rise. “Jon, credimi, nessuno più di te merita questo onore e io non
sono pronta ad assumermi tutte quelle responsabilità” rispose convinta.
“E poi è proprio questo che Ditocorto vuole, che io governi il Nord
così che lui possa estendere il suo potere fin qui. Non possiamo
permetterlo Jon, Baelish è pericoloso. L’ho visto uccidere mia zia a
sangue freddo e non si fa scrupoli ad eliminare coloro che sono sulla
sua strada. Ha complottato per uccidere Joffrey facendo ricadere la
colpa su Tyrion Lannister e prima di lui aveva fatto avvelenare Jon
Arryn, l’amico di nostro padre.”
Jon
era disgustato: come poteva un uomo del genere aver ispirato, anche
solo per un momento, la fiducia di sua sorella?
Sansa
lo stava fissando. “So bene cosa stai pensando” disse con
voce canzonatoria, “ma Baelish mi ha salvata, mi ha portata via da
Approdo del Re, ed era l’unica persona di cui potessi fidarmi.”
Jon fece una smorfia. “Già, così fedele da venderti all’uomo
che ha piantato un pugnale nel cuore di nostro fratello.”
Gli
occhi di Sansa si fecero lucidi e Jon si pentì immediatamente di ciò
che aveva detto. “Scusami, io non intendevo…”
“Hai
ragione” lo interruppe singhiozzando Sansa, “sono stata una sciocca.”
Si aggrappò alle spalle di Jon e lui l’abbracciò a disagio.
“Qualche
volta lo vedo ancora” mormorò Sansa senza guardarlo negli occhi, “sono
sola in una stanza con lui e grido, grido, ma non arriva nessuno. E lui
ride… ti ricordi come rideva?” Jon rivide davanti agli occhi il ghigno
di Ramsay quando aveva trafitto il povero Rickon con una freccia, come
avesse usato suo fratello per attirarlo in una trappola, e sentì la
rabbia ribollirgli nelle vene.
“Ramsay
è morto” disse deciso prendendole il viso tra le mani, “è morto e non
tornerà più per farti del male, Sansa.”
Lei
lo fissò con angoscia. “Sai cosa mi fa paura?” gli chiese
con un filo di voce “Che sia diventata come lui. Un mostro… come lui…”
Jon
la scrollò dolcemente. “Non dirlo neanche per scherzo.”
Sansa
iniziò a tremare. “L’ho fatto sbranare dai suoi stessi cani” disse in
un soffio. Jon non ne fu stupito.
“E
ho guardato” continuò disperata Sansa, “ho guardato e mi sono sentita
rinascere. Ho anche sorriso, proprio come faceva lui…”
Jon
comprese che sua sorella era in preda ad una crisi isterica. Si sentì
terribilmente fuori posto: consolare e rincuorare non erano attività in
cui eccelleva. Neanche lontanamente. Deglutì e prese fiato.
“Non
importa, lui è morto e tu sei viva. Puoi continuare a vivere tra le
ombre del passato o adoperarti per scrivere il tuo futuro. Tu sei la
lady di Grande Inverno.” Il silenzio regnò per qualche secondo.
“Credo
che mi ami” confessò infine Sansa.
“Chi?”
chiese Jon colto alla sprovvista. Per un folle attimo, uno solo, aveva
pensato si riferisse a Ramsay.
“Baelish”
rispose Sansa, “vuole che io lo sposi così da governare insieme.”
“La
Valle?” Una parte di lui conosceva già la risposta.
Sansa
lo guardò addolorata. “Non solo la Valle” spiegò con
amarezza, “lui vuole il Trono di Spade.” Jon rimase a bocca aperta:
quali diritti poteva avere Ditocorto sul Trono di Spade?
“Inizierà
col prendersi il Nord” proseguì Sansa abbassando gli occhi. “La sua
tattica consiste sempre nel lasciare che gli avversari si facciano
guerra da soli, per poi distruggere il vincitore. Quando mi ha
consegnata ai Bolton aveva detto che Stannis avrebbe sconfitto Ramsay.
Siamo stati noi a battere i Bolton, quanto credi che passerà prima che
ci si ritorca contro? Abbiamo perso più di mille uomini durante la
Battaglia dei Bastardi e le altre casate hanno perduto i propri soldati
al seguito di Robb. Ditocorto ha i Cavalieri della Valle.”
“Tuo
cugino Robin ha i Cavalieri della Valle…”
“Mio
cugino Robin ha tredici anni e fa esattamente quello che Baelish gli
dice di fare. Non possiamo sconfiggerlo sul campo Jon, possiamo solo
essere più furbi di lui.”
Jon
ebbe un senso di vertigine. Complotti, alleanze e sotterfugi non erano
il suo campo; l’ultima volta che vi si era accostato, i suoi
confratelli l’avevano ucciso.
“Sansa,
io non so se sono capace di…”
“Devi,
Jon: si tratta di sopravvivenza. Tu sei un ostacolo per Petyr Baelish e
se non ti guarderai le spalle finirai ammazzato, di nuovo. Ed io sarei
costretta a sposare l’assassino di mio fratello, di nuovo. Ti prego, tu
sei tutto quello che mi resta della nostra famiglia, l’unica speranza
per il Nord, promettimi che farai attenzione e che mi ascolterai.”
Jon
le sorrise incoraggiante. “Non aver paura” le disse, nascondendo il suo
turbamento, “te lo prometto. E poi, Baelish avrà anche i Cavalieri
della Valle, ma io ho Spettro!”
Sansa
si concesse un timido sorriso. “Spero sia sufficiente” disse
alzandosi. Per una manciata di secondi rimasero fermi, a pochi
centimetri l’uno dall’altra. Jon poteva percepire il fiato caldo di lei
ed avvertì una sensazione sconosciuta allo stomaco. Non lascerò mai che qualcuno ti faccia del
male, pensò travolto dall’emozione. Ti proteggerò finché potrò e anche oltre…
In
quel momento la porta si spalancò facendoli sobbalzare entrambi. Davos
era apparso sulla soglia. Aveva il fiato corto e stringeva un pezzo di
pergamena.
“Vostra
gra… Jon, è appena arrivato un corvo.”
Jon
e Sansa si separarono. Jon sentiva le guance andargli a fuoco.
Davos
sembrava imbarazzato. “Perdonami, mia signora” disse
guardando Sansa. Poi si rivolse a Jon.
“Il
corvo arriva da Delta delle Acque.”
Jon
scattò in avanti, ma Sansa fu più rapida ed afferrò il foglio. Jon
attese paziente.
Chi
mai poteva scrivergli da Delta delle Acque? Il castello era ora
controllato dai Frey, e quale Frey sarebbe stato così sciocco da
credere in una possibile pace con gli Stark dopo gli eventi delle Nozze
Rosse? Gli occhi di Sansa guizzavano rapidi sulla lettera. Presto tornò
a guardare Jon, colta da una forte emozione. Gli porse la pergamena
stropicciata.
“Tieni,
leggila tu” lo incoraggiò con voce misteriosa. Jon prese la lettera e
la dispiegò. Con una grafia incerta e disordinata vi erano buttate giù
solo poche parole.
Valar
Morghulis
Walder
Frey è morto
Lunga
vita al Re del Nord!
Jon
fissò attonito il pezzo di carta, che all’improvviso acquisiva valore
di documento prezioso, riflettendo sulle parole che aveva appena letto.
Walder Frey, l’uomo che aveva architettato il massacro delle Nozze
Rosse, l’alfiere traditore di Robb, colui che aveva causato la totale
distruzione dell’esercito del Nord, era davvero morto? Chi scriveva
sembrava esserne certo. Magari è il suo assassino.
Studiò
la grafia, ma essa non aveva nulla di familiare. Tornò a concentrarsi
sulle parole. “Cosa significa Valar
Morghulis?” chiese, a nessuno in particolare. Sansa scosse la testa
pensierosa.
“E’
una frase in alto valyriano” intervenne a sorpresa Davos. Jon e Sansa
si voltarono stupiti.
“Shireen
mi aveva detto che era una frase usata spesso da non so quale setta”
spiegò lui, intristendosi al pensiero della bambina. “Significa: Tutti
gli Uomini Devono Morire.”
Sansa
rabbrividì mentre Jon si accorse di avere le idee ancora più confuse.
“Non
c’è scritto il mittente?” chiese alla fine Sansa. Jon scosse la testa,
girandosi la lettera tra le mani.
All’improvviso
scorse una scritta minuta sul retro del foglio. Soffocando
un’esclamazione, aguzzò la vista. In una grafia più nitida e spigolosa
vi era scritta una sola semplice parola.
Sansa
si protese in avanti. “Allora?” chiese impaziente “Chi l’ha inviata?”
Jon alzò lo sguardo.
“Nessuno.”
Jaime
Le
rovine del tempio di Baelor bruciavano ancora. Dalle macerie si levava
un’esile colonna di fumo e i detriti invadevano le strade.
Erano
passati solo pochi giorni dall’esplosione e la città viveva nel
terrore. Le Cappe Dorate pattugliavano ogni vicolo di Approdo del Re,
dalla Fortezza Rossa a Fondo delle Pulci, controllando che il popolo
fosse docile e non incline ad altre ribellioni.
Chiunque
fosse udito pronunciare frasi di scherno nei confronti della regina,
fosse egli nobile o plebeo, veniva condannato a morte senza alcun
processo. Le teste dei traditori venivano esposte sulle mura del
palazzo, così che tutti conoscessero il destino degli insorti. Ormai
erano così tante che le picche si stavano rivelando insufficienti.
Le
case erano silenziose, le strade deserte. La città era morta.
La
sala del Trono non era gremita di curiosi come un tempo; la maggior
parte dei nobili era ritornata ai propri possedimenti ed i cortigiani
rimasti cercavano in tutti i modi di frapporre almeno due stanze fra
loro e la Regina Folle.
Perché
Jaime sapeva che era così che il popolo chiamava sua sorella quando era
certo di non essere ascoltato. Jaime faceva ancora fatica ad accettare
quello che Cersei aveva fatto alla sua gente, ai suoi alleati. A loro
figlio. Ricordava la gioia che aveva provato quando era tornato in
città a seguito della sua missione nelle Terre dei Fiumi, la felicità
trattenuta a stento per poter finalmente riabbracciarla. Si aspettava
che avesse vinto il processo con facilità e che fosse giunta ad accordi
diplomatici con i Tyrell. Credeva che si fosse riappacificata con lo
zio Kevan e che avesse rafforzato la presa di Tommen sul Trono. E
invece trovava i Tyrell sterminati, suo figlio morto ed il Tempio in
preda all’Altofuoco.
Quando
Jaime aveva visto sua sorella salire i gradini e sedersi sul Trono di
Spade, aveva creduto di rivivere i giorni della Ribellione. All’epoca
aveva ucciso Aerys Targaryen per evitare che consumasse l’intera città
con l’Altofuoco che l’ossessionava.
Se
fossi arrivato in tempo, avrei avuto la forza di uccidere Cersei per la
medesima ragione? Quel pensiero lo
tormentava, gli toglieva il sonno. Cersei non aveva versato una lacrima
per la morte del suo ultimo figlio.
Si è suicidato, pensava sconvolto
Jaime. Il suo… il nostro bambino si è buttato da una finestra
perché sua madre ha distrutto tutto ciò che amava.
Per
la prima volta Jaime si era ritrovato a pensare a Margaery Tyrell, a
quanto Tommen avesse dovuto amarla per togliersi la vita alla sua morte. Un
amore ingenuo. Ma aveva avuto conseguenze
catastrofiche. E Cersei odiava Margaery. Odiava che avesse occupato il
suo posto nel cuore di Tommen, odiava che fosse diventata regina. Così
l’aveva eliminata insieme a suo fratello, suo padre e l’Alto Passero.
Jaime
si accorse che sua sorella si era alzata dal Trono venendogli incontro. E’
ancora più bella di quando l’avevo lasciata.
Cersei
lo fissò con i suoi occhi spietati. “Mi sembra che l’etichetta preveda
che ci si inchini al cospetto della propria regina.”
Jaime
la fissò interdetto e tentò un sorriso. "Io sono tuo
fratello."
Lei
rimase impassibile. “Come posso sperare di incutere rispetto se neanche
mio fratello omaggia il mio ruolo?” chiese inclinando leggermente il
capo.
Tu
incuti terrore, non rispetto dolce sorella. “Come
desideri, vostra grazia.” Jaime accennò un inchino.
Cersei
parve soddisfatta. “Molto bene” disse, ora con voce più rilassata,
“abbiamo alcune questioni importanti da discutere. Fatti trovare nelle
stanze del Primo Cavaliere tra cinque minuti.”
Jaime
non ne fu sorpreso. “Convochi il Concilio Ristretto?”
Cersei
lo fissò a lungo. “Non abbiamo un Gran Maestro” rispose con
un sibilo, “non abbiamo un Mastro della Flotta, né un Capo delle Spie o
un Mastro del Conio. Abbiamo solo un Primo Cavaliere. Ti sembra forse
un Concilio Ristretto?” Senza dargli il tempo di rispondere, Cersei si
voltò allontanandosi. Jaime rimase fermo al suo posto.
Poi,
lentamente, si avviò verso la scalinata infinita che portava alla Torre
del Primo Cavaliere. Arrivato in cima si guardò intorno. Qyburn non
aveva cambiato quasi per nulla l’arredamento e gli stemmi dei Lannister
erano rimasti. Jaime si sentì invaso dalla tristezza.
Questa
era la stanza di mio padre. In quella stanza Tywin
Lannister aveva ideato i piani che avevano portato alla morte di Robb
Stark e all’alleanza con i Martell di Dorne.
Prima
che Tyrion lo uccidesse.
Non
riusciva ancora a perdonarsi per aver liberato quel mostriciattolo. Sono stato uno sciocco, si disse. Nostro padre odiava Tyrion e Tyrion odiava
nostro padre. Quello che è accaduto era inevitabile. Si ricordò
che quella era stata anche la camera di Tyrion e non riuscì a reprimere
un sorriso. Come doveva essere buffo
mentre impartiva ordini a uomini alti il doppio di lui, mi sarebbe
piaciuto vederlo. Tyrion era riuscito a salvare la città
dall’assedio di Stannis e anche lui era ricorso all’Altofuoco.
Cersei
e Tyrion potrebbero andare d’accordo più di quanto credano.
In
quel momento la porta si spalancò e Cersei entrò, seguita da Qyburn e
dall’immancabile ser Gregor Clegane. Jaime sentì un brivido
percorrergli la schiena alla vista della Montagna. Ricordava bene come
quel mostro avesse fatto esplodere a mani nude la testa di Oberyn
Martell durante il processo di Tyrion. Ma Cersei si fidava di lui e
Jaime non aveva mai trovato argomentazioni che la convincessero.
Presero
posto al lungo tavolo di mogano. Jaime si chiese quante persone fossero
passate per quella stanza, sedendo allo stesso tavolo. E dov’erano ora?
Renly Baratheon era morto, Pycelle era morto, Mace Tyrell era morto,
Varys e Ditocorto erano scomparsi e Tyrion era fuggito.
Cersei
si schiarì la voce. “Molto bene” esordì, “secondo i rapporti, in città
è tornata la pace.”
E’
tornata la paura vorrai dire. Jaime cambiò posizione
sulla sedia.
“Tuttavia
nel mio regno ci sono ancora ribelli che cospirano contro di me.”
Jaime
riuscì a stento a trattenersi dall’alzare gli occhi al cielo. Tutti cospirano contro di te, dolce
sorella, pensò esasperato. Dopo
quello che hai fatto.
“Qyburn?
Puoi metterci al corrente delle novità?” chiese Cersei.
Qyburn
fece un cenno ossequioso con la testa. “Dal Sud arrivano
notizie allarmanti: Dorne e l’Altopiano sono in aperta rivolta.”
“Mi
sembra naturale” disse annoiato Jaime, “dopo la fine di Oberyn e dei
Tyrell.” Cersei lo fulminò con lo sguardo.
“Pare
che le Serpi delle Sabbie abbiano stretto un’alleanza con lady Olenna”
continuò Qyburn.
“Quella
megera si è allontanata dalla capitale prima dell’esplosione” disse
Cersei stringendo il pugno.
“E
le Serpi delle Sabbie hanno ucciso Myrcella” terminò Jaime per lei. Il
ricordo di Myrcella bruciava ancora, il sangue che le colava dal naso
mentre gli confessava di aver sempre saputo chi fosse veramente suo
padre.
“Dalle
Terre dei Fiumi ci è giunta voce della morte di Walder Frey” proseguì
Qyburn “e del suo erede diretto.”
Questa
notizia stupì Jaime. “Ho visto Walder Frey poco più di una
settimana fa e stava benone” osservò, “come è potuto morire?”
Qyburn
lo fissò. “L’hanno trovato con la gola squarciata, mio
signore, pare che qualcuno gli abbia anche servito i suoi figli in
pasto.” Jaime sentì lo stomaco rivoltarsi. “Indizi per scovare
l’assassino?” chiese Cersei. Qyburn scosse la testa. “Nessuno” rispose,
“sembra essersi volatilizzato.”
Cersei
sospirò. “Walder Frey era il nostro principale alleato” osservò con
calma, “dobbiamo essere certi che le Torri Gemelle e Delta delle Acque
siano dalla nostra parte.” Poi si rivolse a Qyburn. “Invia
un corvo e scrivi che per ordine della regina il nuovo lord del
Tridente dovrà portare il suo esercito e ciò che resta di quello dei
Tully nella capitale. E voglio anche Edmure Tully e suo figlio morti:
non desidero complicazioni.”
Jaime
sentì un nodo alla gola. “Edmure è prigioniero dei Frey” disse
guardando sua sorella, “non rappresenta un pericolo.” Cersei lo fissò.
“Non mi interessa quanto tu sia diventato suo amico” disse freddamente,
“ho preso la mia decisone.”
Jaime
abbassò la testa. Quando aveva parlato con Edmure gli aveva detto che
l’unica cosa che contava sul serio per lui era l’amore di Cersei, ma
era ancora così? Gli avevo promesso
che avrebbe visto suo figlio, pensò sentendosi invadere da
un’inspiegabile tristezza. Sono
riuscito a prendere Delta delle Acque senza usare la violenza, ma non è
servito a nulla.
Qyburn
stava proseguendo. “Le notizie più straordinarie arrivano dal Nord,
pare che gli Stark abbiano ripreso Grande Inverno.” Jaime quasi si
strangolò con la sua stessa saliva e anche il viso di Cersei tradì lo
stupore.
“Gli
Stark sono tutti morti” disse la regina con voce atona.
“Mi
dispiace, mia signora, ma devo contraddirti.” Jaime vide la rabbia
stravolgere i lineamenti di sua sorella.
“Sansa”
sibilò lei tra i denti. Qyburn annuì.
Jaime
fissò il pavimento. Cersei credeva ancora che Tyrion e Sansa avessero
complottato insieme per uccidere Joffrey, ma lui sapeva che la verità
era diversa.
“Come
ha potuto quella puttana riprendersi da sola il Nord?” stava urlando
Cersei.
“Non
era sola, vostra grazia, è stata aiutata da Jon Snow, il figlio
bastardo di Ned Stark.”
Calò
il silenzio. Jaime non sapeva se era peggiore la notizia che un nemico
avesse ripreso il controllo del Nord o che esistessero Stark ancora
vivi dopo lo sterminio che avevano subìto.
“Jon
Snow era nei Guardiani della Notte” osservò Cersei, “dunque è un
disertore. Sarebbe dovuto essere condannato a morte.” Qyburn si agitò a
disagio. “Secondo i racconti che arrivano, Snow è stato ucciso alla
Barriera dai suoi confratelli e poi riportato in vita dalla strega
rossa di Stannis.”
Cersei
scoppiò a ridere. “E il Nord crede ad una sciocchezza
simile?” chiese divertita. “Evidentemente sì” continuò Qyburn, “perché
l’hanno nominato Re del Nord.” Cersei scattò in piedi furiosa.
“Come
osano? Non gli basta la morte di Robb Stark? Nessun regno può essere
indipendente, dobbiamo intervenire subito e costringere il Nord in
ginocchio. Non dispongono neanche di un esercito…”
“Dolce
sorella” intervenne Jaime, “i Bolton avevano seimila uomini, credi
davvero che Snow sia riuscito a cacciarli senza un esercito?”
“Ser
Jaime ha ragione mia signora” spiegò Qyburn, “da quanto i miei
uccellini mi hanno riferito Snow ha attaccato Bolton con un esercito di
circa duemila uomini.”
Cersei
rimase a bocca aperta. “E dove li ha trovati?” chiese
esterrefatta.
“Erano
bruti, mia signora.”
Cersei
si rimise a sedere. “Bruti…” ripeté “Non ci posso credere.” Jaime non
poté non provare un moto di ammirazione per Jon Snow che era riuscito a
convincere quei selvaggi a combattere per lui. In ogni caso i conti non
tornavano.
“D’accordo,
Snow aveva duemila bruti” concesse Jaime, “ma come diavolo ha fatto a
sconfiggere seimila Bolton?”
Qyburn
lanciò un’occhiata alla regina. “Perché il suo esercito è
stato supportato dai Cavalieri della Valle.” Fece una pausa. “Guidati
da Ditocorto.”
Calò
nuovamente il silenzio. “Ditocorto mi aveva promesso la testa di Sansa
Stark su una picca” sibilò Cersei, “e ora l’aiuta a riprendersi il suo
castello?!” Qyburn abbassò lo sguardo. “Così pare.”
“JAIME!”
tuonò Cersei “Parti immediatamente per il Nord. Raduna il nostro
esercito e quello delle Terre dei Fiumi. Sconfiggi quei selvaggi e
brucia ogni villaggio in cui ti imbatterai. Voglio Sansa, Snow e
Baelish morti e voglio Grande Inverno distrutto definitivamente.” Jaime
non rispose.
“Io
ve lo sconsiglio vostra grazia” si intromise Qyburn, “presto avrete
bisogno di tutto il sostegno possibile. Qui, nella capitale.” Jaime e
Cersei lo fissarono.
“E’
arrivata una lettera da Pyke” continuò Qyburn, “da parte di Euron
Greyjoy, nuovo Re delle Isole di Ferro.”
Jaime
sbuffò. “C’è qualcuno nei Sette Regni che non stia giocando a fare il
re?”
Qyburn
lo ignorò. “Ha inquietanti novità, vostra grazia: scrive che Daenerys
Targaryen ha lasciato Meeren e che sta navigando verso Approdo del Re.
Ha stretto un’alleanza con le Serpi delle Sabbie e lady Olenna. E’ al
comando di ottomila Immacolati e di un numero imprecisato di guerrieri
Dhotraki. Inoltre ha tre draghi che, stando ad Euron, sono diventati
enormi. Viene per il Trono di Spade.” Jaime guardò sua sorella. Cersei
sedeva impassibile.
“Vai
avanti, Qyburn.”
“Dice
che Daenerys abbia scelto come Primo Cavaliere vostro fratello, Tyrion
Lannister.”
Vi
fu un rumore sordo. La sedia di Cersei era stata scaraventata
all’indietro.
“E’
ANCORA VIVO?!”
Jaime
ne ebbe paura. “Cersei, calmati” le disse alzandosi.
“Ha
ucciso nostro padre!” gridò lei rossa in viso “Ha ucciso nostro figlio!”
Jaime sbiancò. Si voltò verso Qyburn e notò con sollievo che non era
per nulla sconvolto dalla rivelazione. In fondo
tutto il mondo lo sa ormai. Tyrion non aveva ucciso Joffrey, questo
Jaime lo sapeva, ma non aveva il coraggio di dirlo.
“Vostra
grazia, non agitarti” intervenne con voce di miele Qyburn, “non tutto è
perduto. Questo Euron ti ha proposto un’alleanza contro la Regina dei
Draghi, dice che la sua flotta potrà attaccarla dal mare.”
Cersei
riprese il controllo. “Quante navi possiede?” chiese
raccogliendo la sedia.
“Scrive
mille navi, ma non so se sia attendibile. Chiede altri soldati.”
Cersei
annuì. “Molto bene” decretò, “rispondi che avrà oro a
sufficienza per assoldare mercenari del Continente Orientale. Pirati,
contrabbandieri, tagliagole, va bene qualsiasi uomo che sappia rimanere
fedele a colui che lo paga.”
“Sarà
fatto, mia signora” annuì Qyburn, “ma vi è un’altra sua richiesta. Che
possa venire ricompensato con terre e titoli nel Sud.” Jaime ne fu
sorpreso: gli Uomini di Ferro di solito sono molto affezionati alla
patria. “Accordato” acconsentì Cersei.
“Per
quanto riguarda il Nord la faccenda si complica" disse poi. "Che questo
Re del Nord riceva una nostra lettera. Può sottomettersi e appoggiarci
in battaglia oppure essere distrutto.”
“E
credi che appoggerà te dopo quello che abbiamo fatto alla sua
famiglia?” chiese ironico Jaime.
“Vostra
grazia, il Nord potrebbe fare la differenza fra vittoria e sconfitta”
osservò Qyburn, “dobbiamo garantirci la sua alleanza prima che la
ottenga Daenerys Targaryen.”
Cersei
scoppiò a ridere. “Il giorno in cui un lupo si unirà ad un
drago finirà il mondo. In ogni caso, scriverò la lettera io stessa,
vedrò se aggiungere la possibilità di ricompense oppure no.” Si alzò in
piedi. “La riunione è terminata, potete andare.”
Qyburn
si inchinò ed uscì. Jaime cercò di trattenere sua sorella.
“Cersei, ti vorrei parlare…”
Lei
lo fissò con sufficienza. “Ora non ho tempo, Jaime” disse
dirigendosi verso la porta, “credo che questa città si debba preparare
ad un altro assedio.”
Jaime
si morse un labbro. “Cersei, io…”
“Buona
giornata, ser Jaime”
tagliò corto lei scostandolo bruscamente ed uscendo seguita subito
dalla Montagna.
Rimasto
solo Jaime si prese la testa tra le mani. Il freddo dell’oro lo colpì
come un pungo: ancora non si era abituato bene a quella mutilazione.
Una brezza leggera gli accarezzò la testa e Jaime cadde vittima dei
ricordi. Intorno a lui rimase solo il silenzio.
Sansa
Le
finestre della Sala Grande erano appannate e la poca luce che filtrava
era di colore grigio cenere.
Sansa
diede disposizioni di accendere le candele e di preparare le panche.
Tirò fuori dalla sacca un enorme arazzo candido. Al centro vi era
raffigurato un meta-lupo grigio con il pelo arruffato ed i denti
digrignati. Gli uomini dei Bolton l’avevano strappato, ma Sansa aveva
lavorato sodo per ricucirlo. Il lavoro era stato eseguito con grande
maestria e quasi non si notava la differenza dei tessuti e dei fili
utilizzati. Sansa appese l’arazzo al muro principale, osservandolo
soddisfatta.
Fece
scivolare un dito lungo le parole del loro motto, ricamate in lettere
argentee, e si chiese se suo fratello avrebbe voluto invertire i colori
del loro stemma. In passato i Blackfyre avevano scelto come simbolo un
drago nero su sfondo rosso, l’opposto del drago rosso su sfondo nero
dei Targaryen. Jon avrebbe preferito un lupo bianco?
Sansa
si rese conto che si stava soffermando su pensieri piuttosto futili,
così si recò nelle cucine per dare disposizioni per la cena. Quando
Ramsay aveva dato alle fiamme Grande Inverno tutti i suoi abitanti
erano stati sterminati. I nuovi inservienti provenivano quindi da Forte
Terrore, da Ultimo Focolare o Moat Cailin e Sansa non li conosceva.
Tuttavia erano gentili e soprattutto felici della fine della tirannia
dei Bolton.
Risalendo
le scale Sansa quasi si scontrò con Tormund, che si precipitava verso
l’armeria. Il grosso bruto borbottò una scusa facendosi da parte.
“Cos’è
successo?” chiese Sansa salendo un altro gradino.
“Mi
sono dimenticato di avvertire gli anziani del concilio di stasera... Ti
prego, mia signora, non dirlo a Jon, altrimenti poi fa fare tutto solo
a Davos.”
Sansa
represse una risata. “Va bene” acconsentì ammiccando
complice. Tormund provò un goffo inchino e si dileguò.
Sansa
continuò a salire immersa nei suoi pensieri. Il concilio sarebbe
incominciato di lì a breve e lei si doveva ancora cambiare. Entrò nella
sua camera, licenziò le ancelle e si sedette alla toilette. Quel mobile
era appartenuto a sua madre e Sansa dovette trattenere le lacrime al
ricordo di come Catelyn le permettesse di acconciarle i capelli mentre
le cantava una ninnananna. Sansa si guardò allo specchio. Poi afferrò
la spazzola e sciolse i lunghi capelli rosso fuoco, che le ricaddero
sulle spalle. Iniziò ad intrecciarli, sistemando le ciocche ribelli
dietro le orecchie. Poi scelse un abito blu scuro con ricami d’argento
che imitavano dei fiori primaverili. Infine chiuse il fermaglio del
mantello e si preparò ad uscire.
La
Sala Grande era gremita di gente e i lord rumorosi si scontravano per i
seggi migliori. Davos Seaworth era già arrivato ed aveva preso il suo
posto a sinistra del trono di legno riservato a Jon. Sansa strinse le
labbra: non amava ser Davos e la sua franchezza, ma Jon le aveva
raccontato come fosse stato lui a convincere Melisandre a riportarlo in
vita. Dovrei essergli grata. A
Sansa spettava la sedia a destra del trono.
Tra
la folla che aveva davanti riconobbe solo i volti dei lord presenti
all’acclamazione di Jon. Tra tutti spiccava la piccola Lyanna Mormont,
che a soli dieci anni era riuscita ad ottenere il posto migliore
sbaragliando un’orda di nobili signori assetati di sangue. Sansa
sorrise: lady Mormont rappresentava tutto quello che lei non era mai
stata.
Il
Re del Nord era in ritardo e Davos si protese verso Sansa.
“Mia signora, quale lady di Grande Inverno potresti fare un discorso
introduttivo. Spiegare i problemi che affronteremo, per esempio.”
Se
li sapessi. Sansa rimase in silenzio.
Entrò
anche Ditocorto e Sansa fece l’impossibile per non doverlo guardare. La
sala era affollata e Sansa pensò che almeno Petyr Baelish si sarebbe
dovuto accontentare di un posto in fondo, ma immediatamente lord Royce
si alzò lasciando il suo seggio a Ditocorto. Sansa fece una smorfia. Perfetto,
ora è in prima fila.
Finalmente
Jon fece il suo ingresso facendo cessare all’istante la confusione. Il
Re del Nord avanzò seguito da Tormund ed un gruppo di anziani bruti e
da Spettro, che si accucciò ai piedi del suo padrone. Jon indossava un
farsetto marrone ed aveva i capelli legati all’indietro come usava
portarli dalla sua risurrezione. Sorrise nervosamente a Sansa e diede
il benvenuto alla platea.
Immediatamente
esplosero mille voci che inneggiavano al Re del Nord e Jon fu costretto
ad urlare più forte per sovrastarle. “Lo amano” si accorse Sansa,
“proprio come amavano nostro padre.” Invece di sentirsi trascurata, si
scoprì emozionata e soddisfatta. Notò che Baelish era rimasto in
silenzio. Finalmente tornò la calma.
“Siete
stati convocati per discutere dei pericoli che minacciano il Nord che,
ahimè, non sono pochi” iniziò Jon con voce profonda. Alcuni lord
bofonchiarono tra loro.
“Presto
ci sarà una guerra per il Trono di Spade” spiegò Jon poggiando le mani
sul tavolo, “e io chiedo a voi cosa ne pensate.” Si scatenò l’inferno.
“Non
ce ne frega un cazzo di quello che succede al Sud!”
“Noi
abbiamo già il nostro re, perché mai dovremmo curarci della battaglia
di qualcun altro?”
“Che
si uccidano pure fra loro!” Molti risero.
Jon
sbatté un pugno sul tavolo e tutti si zittirono. “Non è la battaglia di
qualcun altro” disse facendo scorrere lo sguardo sui presenti, “perché
quando il vincitore si accorgerà che il Nord è di nuovo unito verrà a
distruggerci, a sottometterci, e noi non possiamo permetterlo.” Tutti i
lord lo fissavano come ipnotizzati. Sansa dovette riconoscere che suo
fratello aveva abilità oratorie nascoste.
“Cersei
Lannister, la donna che di fatto ha condannato a morte nostro padre,
siede sul Trono di Spade” continuò Jon, “ed oggi pomeriggio ci è giunta
una sua lettera.” Fece segno a Davos di leggerla.
“A
Jon Snow, che si fa chiamare Re del Nord. Westeros riconosce una sola
regina, che non tollera i traditori. Recati da solo nella capitale,
inginocchiati e giurami fedeltà e io ti prometto clemenza. Saremo
alleati contro coloro che minacciano il mio regno. Rifiutati e io
marcerò a Nord ed ucciderò tutti coloro che ti sono fedeli, a
cominciare da quella puttana di tua sorella. Scegli bene Snow, ricorda
quale fine hanno fatto i traditori come tuo padre e tuo fratello.
Cersei Lannister, prima del suo nome, regina degli Andali, dei Rhoynar
e dei Primi Uomini, protettrice del Reame.”
Il
silenzio regnò per qualche secondo, poi tutti ripresero a parlare
contemporaneamente.
“Non
ci inginocchieremo mai più ad un re del Sud!” urlò lord Cerwyn
“Specialmente se è un Lannister.” Molti gridarono la loro approvazione.
“Ha
minacciato il nostro re ed insultato la nostra lady” continuò lord
Glover.
Sansa
sedeva in silenzio, stordita da tutto quel chiasso. Cersei mi odia ancora, pensò
lisciando le pieghe del vestito. Ma
mai quanto io odio lei, specialmente dopo quello che ha fatto a
Margaery. Quando qualche giorno prima il corvo aveva recato la
notizia della morte della reginetta, Sansa aveva pianto lacrime amare.
Margaery era stata l’unica amica che aveva avuto ad Approdo del Re,
l’unica persona che avrebbe voluto aiutarla senza nascondere secondi
fini.
Jon
riprese la parola. “Cersei non è l’unico problema” disse con voce
spenta, “Daenerys Targaryen sta navigando verso la capitale ed ha un
esercito impressionante.”
“Chi
vincerà tra Daenerys e Cersei?” chiese la piccola Lyanna Mormont.
“Secondo
i calcoli Daenerys Targaryen dovrebbe farcela senza troppi problemi”
rispose Davos. I mormorii ricominciarono. “Un Targaryen sul Trono di
Spade?” chiese disgustato lord Glover “Dopo quello che il Re Folle ha
fatto a lord Rickard e a suo figlio Brandon non possiamo accettarlo.”
“E
non possiamo neanche opporci” intervenne Jon, “Daenerys ha tre draghi.”
Vi furono esclamazioni di sorpresa. “Allora le storie sono vere!”
osservò lord Manderly.
Jon
annuì. “La faccenda è delicata” spiegò, “se non
interveniamo, saremo considerati dei traditori da entrambe le fazioni,
ma se entriamo in guerra non potremo difenderci dal vero nemico.”
“Ma
se Daenerys vincerà, potrà distruggere l’intero Nord con il fuoco dei
draghi” fece notare Sansa. Jon si voltò a guardarla. “Hai ragione”
ammise, “ma io dico che non dovremmo entrare in guerra, non ancora
almeno.” Tutti i presenti ruggirono frasi di approvazione. Jon guardò
Tormund, che annuì.
“Come
molti di voi già sapranno, i bruti ed i Guardiani della Notte si sono
scontrati con creature che ritenevamo frutto di fantasia.” Jon fece una
pausa. “Gli Estranei.”
“Sono
solo favole!” intervenne lord Cerwyn. “Lo credevo anch’io, prima che un
morto con gli occhi blu cercasse di uccidere Jeor Mormont” ribatté Jon.
“Ad Aspra Dimora io e Tormund abbiamo visto il loro esercito. Hanno più
di centomila non-morti ed ogni caduto delle nostre fila va ad
ingrossare le loro. Solo il fuoco può fermarli.”
“E
cosa uccide gli Estranei?” chiese lord Manderly. Jon sospirò. “Gli
Estranei hanno delle spade di ghiaccio che distruggono qualsiasi nostra
arma tranne le spade d’acciaio di Valyria. Adesso vi chiedo, quante
famiglie possiedono ancora un’arma in acciaio di Valyria?”
“Mio
zio ne aveva una” intervenne Lyanna Mormont, “era di mio cugino Jorah
prima che tradisse la famiglia. Ora non so dove sia.”
Jon
sorrise. “Eccola!” esclamò sfoderando Lungo Artiglio “Tuo
zio me l’ha donata dopo che gli ebbi salvato la vita.” Lady Mormont
annuì soddisfatta.
“Joffrey
aveva una spada di acciaio di Valyria” disse Sansa ricordando Lamento
di Vedova, “ma non ho idea di dove sia finita.”
“Quella
spada fu forgiata con l’acciaio di Ghiaccio, la spada di Ned Stark”
intervenne Ditocorto. “Tywin Lannister la fece fondere e ne ricavò due
spade, quella di Joffrey e quella di Jaime.” La sala si riempì di urla
di indignazione e Sansa notò che anche Jon aveva stretto i pugni con
rabbia.
“Non
c’è un altro modo per uccidere gli Estranei?” chiese infine lord
Glover. Jon abbassò lo sguardo.
“Vetro
di Drago, ma è andato tutto perduto” rispose Tormund. “Stannis diceva
sempre che Roccia del Drago è piena di quella roba” intervenne Davos,
“potrebbe essere recuperato.” Jon annuì, rimanendo pensieroso per
qualche secondo.
“Benissimo”
decise infine. “Ser Davos Seaworth, ti incarico di recarti a Roccia del
Drago con una scorta di cinquanta uomini. Partirai tra una settimana,
quando avremo definito il viaggio. Com’è la situazione lì?”
“Stannis
non ha lasciato una guarnigione: è deserta.”
Sansa
pensò che quella missione sarebbe potuta risultare pericolosa, ma non
disse nulla.
“Perfetto”
proseguì quindi Jon, “adesso dovremmo parlare della Barriera. Essa è
tutto ciò che ci separa dagli Estranei, ma i Guardiani della Notte non
possono più difenderla. Sono rimasti in meno di trenta ed il Lord
Comandante Edd mi supplica di inviare altri uomini. Noi dobbiamo
aiutarli, so che non vi piacerà miei lord, ma ho deciso di mandare una
guarnigione alla Barriera.” Ci furono mormorii sorpresi.
“L’inverno
è arrivato” osservò lord Cerwyn, “non è possibile effettuare un tale
viaggio.”
“Non
costringerò nessuno” puntualizzò Jon, “ma mi aspetto che ogni lord
onorevole trovi dei volontari. Tormund ha già offerto di inviare
duecento bruti.” Gli altri lord si misero a parlottare fra loro. Sansa
ritenne che Jon fosse stato molto abile a far leva sull’onore, in modo
da ottenere il suo scopo senza imposizioni. Alla fine si decisero i
numeri da inviare e Jon ringraziò tutti.
“C’è
ancora una questione di cui vorrei discutere” si intromise lord
Baelish. Sansa si sentì stringere lo stomaco. “Riguarda la sicurezza di
lady Stark” continuò Ditocorto, “chiedo il permesso di portarla al
sicuro nella Valle, così che possa ricongiungersi con suo cugino, lord
Robin Arryn.” Sansa avrebbe voluto urlare: era appena riuscita a
tornare a casa e quell’uomo voleva già portarla via? Guardò Jon e con
sollievo si accorse che aveva un’aria disgustata.
“Sono
desolato, lord Baelish, ma lady Stark resterà al mio fianco, nel luogo
a cui appartiene, fino a quando non esprimerà un desiderio differente.”
“E
per quanto credi di poterla proteggere, vostra grazia?
Prima o poi dovrà risposarsi e si dà il caso che suo cugino sia il
miglior partito disponibile.” Sansa stava tremando di rabbia repressa.
“Credi
sul serio che farei sposare di nuovo mia sorella senza il suo consenso
dopo tutto quello che ha passato con Ramsay?” chiese Jon alzandosi in
piedi “Credi veramente che l’affiderei nuovamente all’uomo che l’ha
consegnata ai Bolton?”
Baelish
sorrise. “Attenzione, vostra grazia” disse
con voce suadente, “ricordati che sono stato io a portare i Cavalieri
della Valle in vostro aiuto. Senza di me sareste tutti morti. E se io
negassi il mio appoggio alla vostra causa…” Lasciò la frase incompiuta.
“Mi
stai forse minacciando?” chiese Jon, faticando ora a trattenere l’ira.
“Ti
sto solo dando un consiglio” sussurrò Ditocorto con aria innocente,
“non vorrei che ti capitasse qualcosa di spiacevole… vostra
grazia.” Jon fece per sfoderare la spada, ma Davos lo fermò in
tempo. Jon dissimulò il gesto aggiustando la cintura. Spettro sollevò
la testa minaccioso. Tutti i presenti erano ammutoliti e Sansa poteva
sentire il suo cuore batterle forte in petto.
“Che
sciocco!” esclamò alla fine lord Manderly per cambiare discorso
“Dobbiamo ancora decidere la data della festa d’incoronazione. Le mie
nipoti non vedono l’ora di conoscerti, vostra grazia.” La tensione
scomparve in un secondo. Tormund scoppiò a ridere ed i lord iniziarono
a proporre alternative. Tutti volevano avere la possibilità di tornare
a casa a prendere la propria famiglia, così si optò per un banchetto
tre giorni dopo. Sansa si sforzò di sorridere mentre la sala intorno a
lei si svuotava. Jon uscì per primo, correndo fuori ancora furioso.
Davos, Tormund e gli altri lord lo seguirono.
Alla
fine Sansa si accorse di essere rimasta sola con Ditocorto. Lui le si
avvicinò abbottonandosi la giacca. Sansa capì di non poterlo ignorare,
così l’affrontò. “Così volevi portarmi nella Valle?” chiese
in tono di sfida “Perché?”
“E’
il posto più sicuro per te” rispose Baelish sedendole accanto.
“O
forse perché così tu avresti potuto complottare senza intralci qui a
Grande Inverno per spodestare mio fratello.”
“Fratellastro”
replicò lui e Sansa si chiese quante volte lei stessa aveva fatto
quella correzione ad Arya, “e sappiamo che dovresti essere tu la
regina, non quel bastardo…”
Sansa
scattò in piedi allontanandolo con violenza. “Non parlare di
mio fratello a quel modo” sibilò irata, “lui mi ha soccorso alla
Barriera, lui mi ha accompagnato a parlare con le altre casate del
Nord, lui ha combattuto contro Ramsay. Tu non hai fatto nulla più che
mettere a disposizione l’esercito di qualcun altro.”
“Ma
quell’esercito è stato determinante” osservò Baelish. “Sansa, tu non
sei sciocca come tuo fratello, sai che non è conveniente farsi nemici
potenti. Tutto ciò che ti ho dato posso riprendermelo in qualsiasi
momento, ricordalo. E poi si sa…” Ditocorto si avviò verso l’uscita,
per poi voltarsi all’ultimo con un ghigno sul volto.
“Valar
Morghulis.”
Arya
Il
castello era in agitazione. I suoi corridoi erano percorsi da domestici
frettolosi e dalla sala da pranzo proveniva il vociare alto dei lord.
La
notizia della morte di Walder Frey si era sparsa rapidamente ed i suoi
numerosi figli e nipoti si accapigliavano per la successione. I figli
legittimi venivano messi da parte dai bastardi, i figli maggiori da
quelli minori ed i nipoti pretendevano di partecipare alla spartizione
dell’eredità. I loro litigi scossero le Torri Gemelle, le loro urla
incresparono le acque della Forca Verde.
Verso
mezzanotte l’accordo sembrava ben lontano dal nascere, quando un altro
urlo, di natura diversa, squarciò le tenebre.
“Il
prigioniero è fuggito!” gridavano le sentinelle “Edmure Tully è
scomparso!”
Delta delle Acque non era come l’aveva sempre immaginata. Arya si era
aspettata un castello minaccioso arroccato su una rupe e circondato da
acque impetuose, e invece si trovava davanti una romantica fortezza
coperta d’erica e languidamente accarezzata dal fiume. Arya sbuffò:
quello era il genere di castello che sarebbe piaciuto a Sansa, non a
lei.
Si
voltò verso suo zio, che le cavalcava affianco. Era ancora sconvolto
dalle brusche novità e i suoi occhi erano sgranati e circondati da
occhiaie profonde.
Liberarlo
era stato molto più facile di quanto aveva pensato. Dopo aver ucciso
Walder Frey, Arya aveva indossato il volto di un’altra servetta,
piuttosto brutta questa volta, ed era sgattaiolata nelle segrete. I
figli di Frey erano troppo impegnati a discutere e le guardie troppo
ubriache per accorgersi di lei. Per sicurezza aveva tagliato comunque
una gola o due prima di raggiungere la cella di Edmure. Lui non l’aveva
ovviamente riconosciuta e Arya aveva dovuto trascorrere una buona
manciata di minuti a rievocare lieti ricordi di una bambina capricciosa
dai lunghi capelli scuri che Sansa chiamava Arya-faccia-di-cavallo. Da
lì ad aprire la porta della cella con una chiave rubata, uccidere il
mastro dei cavalli, trovare due destrieri e fuggire, il passo fu breve.
Non furono nemmeno inseguiti.
Edmure
le aveva detto che ciò che restava delle forze dei Tully si trovava a
Delta delle Acque, così si erano diretti in quella direzione, scendendo
verso sud. Suo zio le aveva anche raccontato delle terribili Nozze
Rosse, di come Jaime Lannister l’avesse costretto a cedere il castello,
e della morte di Brynden Tully, il Pesce Nero.
Quando
Arya chiese chi l’avesse ucciso, Edmure rispose che non ne aveva idea.
Peccato, pensò Arya sbuffando. Niente nome nuovo per la mia lista.
Sulla sua lista dell’odio, dopo aver cancellato Walder Frey, rimanevano
solo due nomi, entrambi inaccessibili: Cersei Lannister e Gregor
Clegane. Arya aveva saputo che la prima era stata incoronata regina e
che il secondo era diventato la sua guardia del corpo personale. Una
parte di lei avrebbe voluto raggiungere Approdo del Re per eliminare
anche gli ultimi due nomi, ma la voglia di ritornare a casa aveva avuto
la meglio.
A
Delta delle Acque Edmure era rapidamente entrato in sintonia con il suo
ruolo di lord ed aveva lanciato un ultimatum ai Frey, intimando loro di
arrendersi. Arya trascorreva le giornate gironzolando per le
stanze, allenandosi con Ago e attendendo notizie dal Nord.
Finalmente
Edmure la convocò nel suo studio. “E’ arrivato un corvo da
Grande Inverno” esordì, invitandola a sedere. Aveva un viso raggiante
ed era evidente che le novità fossero positive. “Tua sorella e tuo
fratello hanno sconfitto i Bolton e ripreso il vostro castello.”
Arya
fece fatica a nascondere lo stupore. Sansa? pensò tra il sollevato e il
divertito. Quindi è ancora viva?
Come ha fatto a tornare al Nord e a trovare un esercito?
“Quale mio
fratello?” chiese curiosa “Da quanto sapevo Bran e Rickon erano morti.”
Edmure divenne scuro in volto.
“Di
Bran non si hanno più notizie da quando Theon Greyjoy ha preso Grande
Inverno” spiegò, improvvisamente triste, “e Rickon è stato ucciso da
Ramsay Bolton durante la Battaglia.”
Arya
sentì una parte di lei abbandonarla. La sua mente si riempì di immagini
di Bran e Rickon sorridenti tra le braccia di Catelyn, che correvano
nel Parco degli Dei, che giocavano a fare i cavalieri. Rickon i cui
occhi si illuminavano ogni volta che voleva un dolcetto, Bran che
sorrideva gentile a tutti e tutto. Gregor Clegane,
Cersei Lannister, Ramsay Bolton. Ripeté
mentalmente stringendo i pugni e trattenendo le lacrime. Vi fu una
pausa.
“E’
stato Jon Snow a riprendere Grande Inverno.”
Arya
sollevò la testa di scatto non credendo alle proprie orecchie.
“Il mio fratellone?” chiese eccitata “Ne sei proprio sicuro, zio?”
Edmure annuì.
Arya
faticò a restare lucida: in quel momento invidiava la posizione di
Sansa, che era già riuscita a riabbracciarlo. Non ci credo, non ci credo, pensò
euforica. Jon ha finalmente lasciato
la Barriera! Chissà se mi riconoscerà… Si passò una mano tra i
capelli che stavano lentamente ricrescendo.
Sì,
sì, mi riconoscerà, deve farlo.
Edmure
dovette accorgersi della sua felicità perché sorrise. “Le notizie che
giungono dal Nord sono sempre frammentate” spiegò con calma, “ma sembra
proprio che Ramsay sia stato ucciso.”
“Spero
solo sia stata una morte molto dolorosa” aggiunse Arya con voce roca.
“Un nome in meno per la mia lista.” Edmure la fissò interdetto:
probabilmente non si era ancora abituato a questa nuova versione di
nipote.
“Devo
partire immediatamente per il Nord” esclamò Arya saltando in piedi.
“Calma,
calma” la interruppe lo zio, “Scriverò a Jon e gli dirò di inviare una
scorta a prenderti. Ti cederei volentieri i miei uomini, ma non ne ho
nemmeno sufficienti per tenere questo castello e non posso sapere se e
quando i Frey attaccheranno.”
Arya
fissò suo zio. “Mi stai dicendo che dovrei aspettare?”
Edmure
scoppiò a ridere. “Sì, ma solo per un paio di giorni.”
Dopo
aver atteso anni interi ed aver attraversato mezzo mondo Arya non aveva
alcuna intenzione di sprecare un singolo attimo della sua esistenza. Stavolta
non arriverò tardi. Ogni volta che provava ad avvicinarsi alle
persone che amava, queste le morivano sotto gli occhi. Non avrebbe mai
dimenticato la notte delle Nozze Rosse, quando, fuggendo, si era
trovata davanti il cadavere di suo fratello Robb con la testa di Vento
Grigio al posto della propria. Se
dovessi attendere, di sicuro arriverei quando Jon e Sansa sarebbero già
morti, pensò arrabbiata. Non
lo posso permettere. Decise di fare buon viso a cattivo gioco e
sfoderò un sorriso disarmante.
“Hai
ragione, zio” disse con voce mielata, “credo sia proprio un’ottima
idea, ma lascia che sia io a scrivere la lettera a Jon, lui e Sansa
credono ancora che io sia morta.”
Come
previsto Edmure annuì commosso, cadendo nella trappola. “Ma
certo Arya, pensa che bella sorpresa sarà…” Arya fece un cenno
affermativo col capo e si avviò verso la porta.
“Arya,
un’ultima cosa” la richiamò suo zio. Lei si voltò in attesa.
“Tuo
fratello l’hanno fatto Re del Nord.”
Un
oceano di emozioni si riversò su Arya mentre chiudeva la porta alle sue
spalle. Era felice che Jon avesse finalmente ottenuto il rispetto che
meritava, contenta che agli altri lord e, a quanto pareva, perfino a
Sansa non importassero quali fossero le sue origini, ma anche
preoccupata per ciò che questa nomina avrebbe potuto comportare. Ricorda
cosa hanno fatto all’ultimo Re del Nord.
Si
recò in biblioteca assorta nei suoi pensieri e si fece dare penna,
inchiostro e pergamena. Mentre il messaggio prendeva forma nella sua
mente, si impegnò a rendere irriconoscibile la sua grafia. Quando
giunse il momento di apporre la propria firma si bloccò. Soppesò le sue
alternative per un minuto abbondante, poi girò il foglio e scarabocchiò
un’ultima parola. Nessuno sta
tornando a casa, pensò osservando soddisfatta il suo lavoro.
Andò
quindi nell’uccelliera e, dopo aver liberato il corvo con il messaggio,
lasciò le grate spalancate permettendo a tutti gli animali di fuggire.
Questo rallenterà le ricerche, si
disse guardando gli uccelli disperdersi nel cielo rosso del tramonto.
Solo uno era diretto a Grande Inverno.
Tornò
sui suoi passi e si chiuse in camera. Cacciò i suoi pochi averi nella
sacca da viaggio, premurandosi di non dimenticare l’oro rubato alle
guardie delle Torri Gemelle. Poi estrasse Ago. Le sembrava di sentire
ancora la voce di Jon quando gliel’aveva donata. Infilzali
con la punta diceva. Ed Arya ne aveva uccisi
tanti in quel modo. Sarà fiero di me. Si
scoprì perfino ansiosa di rivedere Sansa, nonostante l’ultimo ricordo
che avesse di lei risaliva al loro litigio. Speriamo sia cambiata, pensò
rinfoderando la spada.
Aspettò
paziente che le tenebre avvolgessero Delta delle Acque, poi attese che
albeggiasse, e solo allora si avviò con passi leggeri verso l’uscita.
Aveva
nuovamente il volto della cameriera che aveva servito a Walder Frey il
pasticcio farcito con la carne dei suoi stessi figli ed eluse
tranquillamente le sentinelle delle mura interne. Sapeva che con quelle
delle mura difensive sarebbe stato più difficile, anche perché
avrebbero dovuto abbassare il ponte levatoio. Arya decise quindi di
attraversare il fossato a nuoto. La fortuna sembrava sorriderle e le
guardie non udirono nemmeno lo spostamento d’acqua. Arya attese in
apnea qualche secondo, il corpo scosso da brividi e le orecchie tese ad
eventuali rumori.
Quando
si convinse di non essere stata scoperta, nuotò fino all’altra sponda e
corse a rifugiarsi dietro gli alberi più vicini. Tremando per il
freddo, si tolse gli abiti fradici ed indossò quelli più asciutti che
riuscì a trovare. Aspettò un poco cercando di riscaldarsi come meglio
poteva, poi si inoltrò nel bosco. Mentre il sole sorgeva, Arya definì
il suo piano.
Avrebbe
costeggiato la Forca Rossa, che l’avrebbe condotta fino alla Strada del
Re, la quale arrivava dritta a Grande Inverno. Era un viaggio piuttosto
lungo ed Arya era consapevole di non poterlo affrontare a piedi. Così
nel primo villaggio che incontrò comprò un cavallo marrone che
ribattezzò Nessuno. L’allevatore non fece domande ed Arya gli chiese di
indicarle un luogo dove avrebbe potuto dormire. Passò due notti nella
locanda che le aveva suggerito, per poi rimettersi in viaggio.
In
tre giorni raggiunse la Strada del Re. L’ultima volta che l’ho percorsa ero con
mio padre e mia sorella e stavamo andando ad Approdo del Re con Robert
Baratheon, pensò amareggiata.
Decise
che la strada era troppo rischiosa e preferì avventurarsi nel Tridente.
Ricordò come con Mycah avevano cercato i rubini dell’armatura del
principe Rhaegar e come si fossero sfidati con bastoni di legno. Prima
che il Mastino lo uccidesse.
Calciò
un sasso con tanta foga da sollevare una nube di polvere. Era stato il
Mastino a salvarla dalla morte alle Nozze Rosse e lei l’aveva lasciato
da solo a morire. Era sulla mia
lista, si diceva Arya per convincersi. Aveva ucciso Mycah. Ma non poteva
mentire a sé stessa, l’Orfana l’aveva avvertita, ed Arya era arrivata
quasi a vergognarsi della fine a cui aveva costretto Sandor Clegane. Forse avrei dovuto ucciderlo, pensò
a disagio, dargli misericordia come
chiedeva. Ricordò il terribile combattimento tra il Mastino e
quella strana donna in armatura, ricordò come Clegane l’avesse
implorata di porre fine alle sue sofferenze e di come lei si fosse
voltata ignorandolo. Il giorno stesso si era imbarcata sulla nave per
Braavos e si era lasciata tutto alle spalle.
Aveva
creduto di poter entrare a far parte degli Uomini Senza Volto, di poter
diventare Nessuno, ma non aveva mai realmente chiuso con il passato. Jaqen H’ghar lo sapeva, pensò Arya
continuando a camminare. Ha sempre
saputo che non sarei mai diventata una di loro. Alla fine le
aveva anche sorriso.
Il
sentiero proseguiva con una salita ed Arya iniziò a sentire la
stanchezza. Desiderò di trovarsi già a Grande Inverno, nella sua stanza
dalle lenzuola rosse, e di non dover finalmente preoccuparsi più di
nulla. Quando comprese che se avesse voluto continuare ad evitare la
Strada del Re avrebbe dovuto inoltrarsi in un bosco, Arya liberò
Nessuno nel pascolo e proseguì da sola.
Il
bosco era scuro e silenzioso. Le foglie morte invadevano il sentiero e
scricchiolavano sotto i suoi passi. Gli arbusti si protendevano a
graffiarle le gambe e Arya li scostava senza troppi complimenti.
All’improvviso
percepì una presenza alle sue spalle. Si voltò lentamente ed il suo
cuore perse un battito. Davanti a lei avanzava un lupo grigio, le zanne
scintillanti di bava al chiarore della luna.
Arya
sfoderò Ago, ma la bestia non arretrò di un passo. Un nuovo fruscio la
costrinse a girarsi un’altra volta. I due lupi marroni erano più grandi
del primo ed apparivano ancora più minacciosi. Occhi gialli si accesero
nella radura tutto intorno a lei e presto Arya si ritrovò circondata.
Tentò di agitare la torcia che reggeva in mano, ma non ottenne alcun
risultato. Cercò invano una via di fuga, mentre il cerchio di lupi si
stringeva inesorabilmente.
Questa situazione è paradossale, si
ritrovò a pensare. Tutta questa
strada, tutti i pericoli scampati, solo per diventare la cena di un
branco di lupi famelici. La sua unica consolazione era che non
fossero leoni: non avrebbe mai tollerato l’idea di farsi sbranare dai
leoni.
I
lupi in prima fila snudarono le zanne, le lingue a penzoloni,
preparandosi all’attacco. Arya si accucciò a terra, coprendosi la testa
con le mani e chiudendo gli occhi. Ed attese.
Poi
un lungo, straziante ululato fendette la notte.
Arya
percepì i lupi intorno a lei muoversi verso quel suono. Lentamente,
cercando di controllare il tremito degli arti, scostò le braccia dal
viso e riaprì gli occhi.
Sulla
roccia che aveva di fronte, investito dalla luce pallida della luna,
era comparso il lupo più grande che Arya avesse mai visto. Aveva il
pelo marrone chiaro, con qualche ciuffo grigio, e le orecchie
appuntite. Ma ciò che la colpì maggiormente furono gli occhi. Occhi
grandi ed allungati, di un giallo-grano splendente. Occhi così familiari.
Un
meta-lupo.
L’animale
avanzò leggiadro ed aggraziato e tutti gli altri lupi abbassarono il
capo, facendosi da parte.
Arya
sentì il cuore batterle forte e gli occhi riempirsi di lacrime mentre
si metteva in ginocchio. Il meta-lupo si fermò, il suo muso a pochi
centimetri dal viso di Arya. Le lacrime sgorgarono copiose quando lei
accostò una mano tremante alla pelliccia morbida dell’animale.
Il
meta-lupo non protestò, non si ritrasse, ed Arya affondò il viso nel
suo pelo soffice, soffocando i singhiozzi. Le sue braccia circondarono
il collo dell’animale, che appoggiò il muso sulla spalla della
ragazzina. Arya era incapace di articolare un pensiero completo,
talmente travolta da emozioni ritenute dimenticate.
“Nymeria”
sussurrò solamente, crogiolandosi in quell’attimo perfetto.
"Io non vado da nessuna parte, io sto
andando e basta."
N.D.A
Ciao a tutti e benvenuti! Intanto grandi se siete arrivati fin qui XD,
so che il capitolo è piuttosto lungo... Questa è la prima storia che
pubblico sul sito e spero davvero vi piaccia. Come avrete già intuito
inizia dalla fine della sesta stagione, quando Jaime è da poco tornato
nella Capitale e Daenerys è in viaggio. Ho cercato di operare un mix
che fosse il più realistico possibile fra la serie, a cui questa storia
si aggancia, e i libri. Alcuni personaggi e situazioni quindi saranno
ripresi da entrambe le parti e vedrete sfumature di comportamento che
la serie non ci ha mai mostrato. Ci tengo a dire che questa storia è
stata iniziata quando ancora della settima stagione non si sapeva
neppure il mese di inizio, quindi se anche alcune scene vi potranno
sembrare simili, in realtà è interamente farina del mio sacco (e
possiamo dire che siano stati loro a copiarmi qualche volta XD).
Se
siete tra quei fan delusi dalla previdibilità della settima stagione e
lamentate la perdita della politica che ha reso grande Got, allora
questa è la storia che fa per voi...
Cercherò di aggiornare regolarmente, ma ritardi possono sempre
capitare: sono un po' parte di me XD
Mi
raccomando: recensite. Anche se avete critiche o domande, sono sempre
pronta a rispondervi. Non siate timidi e fatemi sapere cosa ne pensate!
Bastano poche parole!
NB: la frase
finale è una citazione di Luciano Ligabue, non è mia :-)
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