Ven, 24 novembre, mattina
Strinsi gli occhi e rischiai di strozzarmi con la mia stessa saliva. Il
ragazzo si allontanò da me bruscamente e puntò lo sguardo a terra, laddove
sicuramente non poteva vedermi. Tirai il bordo della maglia finché potevo
sul cavallo dei pantaloni e mi voltai imbarazzato come mai prima d'allora.
- Ehm... -
Riccardo mi appoggiò una mano sulla schiena con tenerezza e si alzò sulle
punte, tentando di sbirciare oltre le mie spalle. Mi cercava con gli occhi,
ma non riuscivo a sostenere il suo sguardo. Sospirò rassegnato e mi cinse
il bacino da dietro, muovendo una guancia contro il mio giubbino di piume.
- Va tutto bene... sei un ragazzo -
- Be'... dopo quello che è successo è evidente che sono un maschio -
- Scemo, non intendevo questo! -
Sorrisi con il capo basso e accarezzai le sue mani con le mie dita fredde.
- Scusa... -
- Non mi sono offeso... diciamo che potrei considerarlo un complimento,
parlando molto, molto, molto generalmente -
Mi feci di nuovo tutto rosso e interruppi il contatto fra noi.
- Volevo solo dirti che non devi avere vergogna o paura di me, perché per
me non c'è niente di male in tutto quello che fai e qualsiasi cosa
accada... cercherò sempre di capirti -
Appoggiò di nuovo il capo sulle mie spalle e mi strinse più forte ma,
notando che non avevo la minima intenzione di rispondergli a causa del
troppo imbarazzo, pensò bene di farmi desiderare ancora di più di
sprofondare sotto terra.
Si alzò nuovamente sulle punte e mi sfiorò un orecchio con le labbra.
- Guarda che sto parlando con te... mi dà fastidio quando le persone non
rispondono -
Cominciai seriamente a pensare che quel ragazzo fosse bipolare o perlomeno
provasse gusto nel farmi sospirare di sollievo, per poi distruggere ogni
mia facoltà mentale. Non sapevo se odiarlo per questo.
"Forse piace anche a me"
Le sue mani appoggiate sul mio ventre si disgiunsero e una di esse,
sorprendentemente calda, scivolò sulla mia pelle scoperta.
- Ro... che stai facendo? -
Cominciai a respirare più affannosamente e tentai di fare un passo in
avanti, ma l'altro mi trattenne con forza.
- N-non mi sembra il caso... -
- A quanto pare non sono l'unico a non conoscere le buone maniere... -
"Cazzo, lo odio!"
Purtroppo il mio corpo non era della stessa idea del mio cervello.
"Ma come fa a piacermi questo nano malefico?!"
Con un movimento inaspettato, Riccardo tirò giù la zip dei miei jeans.
Proprio in quel momento, prima di poter dire o fare qualcosa, il suono di
un clacson ci fece sobbalzare entrambi; sulla strada presso la quale
eravamo avvinghiati, una macchina sostava con il motore acceso. Non capimmo
che attendeva noi fin quando uno dei finestrini anteriori si abbassò e ne
spuntò il capo stempiato di Mr. Giraffa. L'uomo ci fece cenno con la testa
di avvicinarci.
- Cosa state combinando in questa stradina sperduta? Abbiamo impiegato
mezz'ora a trovarvi -
Si scoprì un polso e gettò una veloce occhiata all'orologio.
- Trentaquattro minuti, per la precisione -
Mr. Orso ci guardò con disappunto e annuì alle parole dell'altro.
- Fortuna che esiste il GPS -
Ricordai che erano dei professionisti, anche se i loro aspetti non lo
confermavano affatto.
- Forza, salite in macchina -
Riccardo, che fino a poco prima non aveva fatto altro che stuzzicarmi e
scherzare, rimase muto come un pesce per tutto il viaggio, guardando fisso
fuori dal finestrino e chiedendosi sicuramente dove ci stessero portando;
ma entrambi non osammo chiedere.
L'auto si fermò dinanzi allo stesso edificio che avevamo visitato pochi
giorni prima per denunciare il fatto della macchina trovata misteriosamente
in garage. Rabbrividii: avevo un bruttissimo presentimento.
I due uomini ci guidarono silenziosamente fino a un ascensore che salì per
molti piani prima di arrestarsi con un assordante rumore metallico. Le
lunghe vetrate del corridoio dell'ultimo piano erano coperte da spesse
tende blu.
Mr. Orso bussò rozzamente a una porta chiusa e attese di sentire lo scatto
di una chiave. I due agenti si fecero avanti, noi li seguimmo lenti e
titubanti.
- Buongiorno, siete in ritardo -
Seduto dietro l'ampia scrivania, vi era lo stesso uomo che aveva ascoltato
con disponibilità tutte le informazioni che io e Riccardo gli avevamo
ceduto: il capo del gruppo investigativo; ma il suo sguardo era molto meno
gentile e caloroso della volta precedente.
Non appena io e il più piccolo ci fummo accomodati, l'agente Alfieri - come
citava la targa sul suo petto - fece cenno a Mr. Orso e Mr. Giraffa di
lasciare la stanza. Rimanemmo di nuovo solo noi tre, immersi in
un'atmosfera stranamente fredda.
- Non vorrei fare troppi giri di parole... -
L'uomo incrociò le dita e si inumidì le labbra con la lingua. Allungai una
mano verso il braccio di Riccardo e gli strinsi il polso con forza; di
rimando lui la afferrò e se la mise in grembo, intrecciandola con la sua.
- Abbiamo individuato e catturato il colpevole. Stando alle regole che mi
sono state imposte, non dovrei comunicare il tutto direttamente a voi, ma
qui non si tratta certo di automi, siamo umani anche noi e ritengo sia
giusto che voi due lo sappiate prima di chiunque altro esterno al caso -
L'agente sembrava seriamente dispiaciuto per noi, ma ciò non bastò a
rallentare il battito irrefrenabile del mio cuore, che mi martellava nel
petto all'unisono con quello di Riccardo.
Non appena le labbra dell'agente si schiusero di nuovo, feci un respiro
profondo; ma puntò entrambi gli occhi sull'altro, il quale divenne pallido
e deglutì.
- È stato il compagno di tua madre, Roberto -
Per poco non caddi a peso morto dalla sedia, privo di sensi. Percepii una
pungente sensazione di freddo, anche se ero più che certo di star sudando.
- M-ma... -
La voce di Riccardo si spense all'improvviso così come era venuta fuori.
- No, non è morto. C'è stato uno scambio di corpi, se così si può dire -
Sapevo di non essere in grado di sopportare ciò che mi era stato detto né
tutto quello che avrei ascoltato successivamente, ma dovevo andare avanti e
resistere. Mi feci più avanti sulla sedia e lanciai una veloce occhiata a
Riccardo: era sconvolto, e più di quello non potevo descrivere come si
sentisse, perché era per me inimmaginabile.
- L'incidente con la macchina ha coinvolto un'altra persona, mentre il
pluriomicida è fuggito senza lasciare alcuna traccia, o almeno così credeva
-
Non c'era bisogno di dirlo a voce: si trattava indubbiamente del padre di
Noemi; difatti l'uomo non ne fece menzione.
- È da escludere che i due fossero complici. Con ogni probabilità ci sono
state minacce o addirittura uso di stupefacenti, dal momento che la vittima
e l'assassino non avevano alcun legame che andasse oltre quello nell'ambito
lavorativo. Il colpevole ha confessato, ma riguardo a ciò non posso dirvi
altro. La buona notizia è che la vostra innocenza è evidente e per il
momento non riteniamo necessario che voi due partecipiate al processo -
Io stesso non comprendevo fino a che punto pendessi dalle labbra di
quell'uomo: ogni cosa stava diventando magicamente più chiara ai miei
occhi, ma allo stesso tempo avrei voluto porre mille domande.
Non capivo la situazione in cui mi trovavo, mi era impossibile analizzare
così tante informazioni contemporaneamente e il mio cervello si rifiutava
di ritornare alle orribili esperienze passate per esaminarle. L'unica cosa
che contava in quel momento, erano le parole dell'uomo che si diffondevano
nella stanza, per essere immediatamente assorbite dalla mia mente avida di
ulteriori spiegazioni.
- Ora, se non ti dispiace... -
Il suo sguardo fu interamente su di me.
- Alessio, ti chiedo gentilmente di lasciare la stanza e attendere in
corridoio. Vorrei parlare da solo con Riccardo -
Prima che potessi aprir bocca, il più piccolo mi precedette.
- Lui ha il diritto di sapere, di qualsiasi cosa si tratti... -
Poi si corresse, rendendosi conto di essere stato troppo informale.
- Sempre se è possibile... -
- D'accordo. Alessio, se vuoi puoi restare -
Mi sedetti di nuovi tirando un sospiro di sollievo: non avrei resistito un
altro secondo a reggermi sulle gambe che sembravano due ramoscelli in
procinto di spezzarsi.
- Cercate entrambi di mantenere la calma, si tratta di un tema alquanto
delicato... -
- Lo so -
- Come, scusa? -
La voce acuta di Riccardo riecheggiò nella stanza e rimase sospesa sopra le
nostre teste, in attesa che qualcuno ne cogliesse il senso.
- I- io so cosa sta per dirmi... lui mi picchiava e... e mi ha violentato -
Emise un gemito simile a un singhiozzo, ma non piangeva.
- Più volte... -
Il mio cuore parve essersi arrestato: la verità mi era stata sbattuta
bruscamente in faccia, dopo che io avevo fatto lo stesso con lui. Capivo
molto meglio come ci si sentiva.
"Ironico, eh?"
- È così, ma c'è dell'altro. Tua madre non ha mai alzato un dito su di te
né tu su di lei -
- A-allora perché... -
- Droga, un tipo di droga molto forte che causa vuoti di memoria, uno stato
simile all'inconscienza a distanza di pochi minuti dall'utilizzo e, se
usata ripetutamente, uno stato d'ansia e disagio fisico continuo. In poche
parole sei inconsapevolmente dipendente da questa sostanza -
- E... e che sostanza è? -
- È bene che tu non lo sappia, altrimenti la cercheresti, visto che è molto
comune... soprattutto fra voi giovani disgraziati -
Il suo sguardo passò da me a lui più volte.
- Mi auguro che non facciate già uso di sostanze stupefacenti, per la
vostra salute... -
Riccardo sembrava totalmente assente, focalizzato su altro.
- D-da quanto tempo... -
- Non saprei dirti con precisione, ma non dovrebbe essere molto. Un mese al
massimo -
Parve un po' più sollevato.
- So che tutte queste notizie sono molto difficili da digerire e vi hanno
sicuramente scombussolato, ma almeno adesso siete sicuri di due cose: siete
innocenti e non più sotto minaccia. Soprattutto tu, Riccardo, anche se hai
ancora un po' di strada da fare... -
- I-in che senso? -
- Ho contattato uno psicologo esperto in questo campo, al quale ho
raccomandato anche te, Alessio. Mentre tu, Riccardo, in aggiunta dovresti
unirti a un'associazione che ha come scopo la reintegrazione nella società
e la disintossicazione dalla droga -
- Uhm... sì, d-devo parlarne con nonna, grazie... -
- Non preoccuparti, ci penserò io-
Il ragazzo ruotò gli occhi e li puntò sul pavimento; sembrava turbato da
altri motivi esterni a quelli che mi erano già noti, ma mi imposi di non
darvi troppo peso.
- Bene, questo è quanto -
L'uomo disgiunse le mani e ci fece cenno di alzarci.
- Alessio, ho già contattato il tuo tutore, Franco, ti sta aspettando giù.
Si è proposto di accompagnare anche Riccardo -
Avevo già appoggiato le dita sulla maniglia della porta, quando la sua voce
richiamò nuovamente l'attenzione di entrambi.
- Ovviamente ci sono molte altre cose di cui parlare, per esempio i motivi,
che vorrete sicuramente conoscere, che hanno mosso il colpevole a fare ciò che ha fatto, ma provvederò a comunicarvi il tutto in seguito
al processo che si terrà dopodomani. Nel frattempo vi prego di fare
attenzione: non è da escludere quel 2% di probabilità che ci siano dei
complici. E soprattutto... non fate parola con nessuno di queste
informazioni, neanche con le persone di cui vi fidate di più -
Io e Riccardo annuimmo all'unisono, poi uscimmo dalla stanza con la testa
pesante e il cuore che batteva all'impazzata, ma decisamente più leggero.
Nessuno dei due, però, era intenzionato a riprendere gli sconvolgenti temi
di cui si era trattato poco prima.
Non appena mettemmo piede nel grande parcheggio, scortati da un agente di
cui non riuscivo neanche a leggere il nome sulla targa - tanta era
l'eccitazione - Franco mise in moto la macchina e suonò il clacson per
segnalare la sua presenza.
- Andiamo... -
Afferrai un lembo del cappotto dell'altro e lo invitai a seguirmi, ma le
sue gambe sembravano essere fatte di pastafrolla. Si fermò di punto in
bianco e alzò il capo lentamente; i suoi occhi erano spenti e tristi, ma
sul volto risaltava un abbozzo di sorriso falsamente incoraggiante.
- Penso che dovresti parlare con Matteo -
- Matteo? Cosa c'entra adesso... -
- D-dovreste fare pace... ecco. Solo questo -
Strabuzzai gli occhi e lasciai ricadere le braccia lungo il busto, in un
gesto di estrema sorpresa.
- Solo questo? Dopo tutto quello che abbiamo saputo, l'unica cosa
che riesci a fare è mettere in mezzo Matteo? Che diamine... -
L'altro abbassò lo sguardo e prese a tormentarsi le dita con le unghie.
- Scusami Ro, non volevo essere così diretto, ma capiscimi... -
- So che sei scosso, lo sono anche io... appunto per questo non voglio che
tu rimanga da solo, hai bisogno di sostegno in un momento così... -
- Non mi serve la compassione di Matteo né quella di nessun altro, finché
ci sei tu sto bene -
Non volli sentire ragioni. Troncai ogni suo tentativo di pronunciare parole
inutili: non aveva bisogno di stressarsi ulteriormente per problemi che non
lo riguardavano.
Lo presi per mano con decisione e lo condussi fino alla macchina.
Franco sapeva di non poter fare domande, quindi si limitò a un semplice
"tutto bene?". Un sorriso involontario si fece spazio sul mio viso: quella
frase suonò alle mie orecchie così maledettamente normale, finalmente un
po' di normalità; e, dopo tanto tempo, Franco mi sembrò più un
gentile padre che un freddo tutore. Forse, fino a quel momento, mi ero
limitato a vederlo così come la mia stupida mente corrotta e impazzita
voleva che lo vedessi.
Come di consuetudine, voltai il capo verso il finestrino puntellato di
goccioline d'acqua che non mancavano di fare a gara su quale si dissolveva
prima.
Mentre scrutavo gli alberi spogli e i quartieri deserti, un contatto
inatteso mandò in cortocircuito il mio sistema nervoso che si era da pochi
minuti ristabilito.
La mano di Riccardo era intrecciata alla mia, più forte che mai, e lui mi
sorrideva felice, davvero felice.
Scossi la testa in modo interrogativo, ma lui mi rispose facendo spallucce
e scuotendo a sua volta il capo; poi, notando che non demordevo, infilò la
mano libera in una tasca dei pantaloni e ne tirò fuori il cellulare, con lo
schermo ancora segnato da un profondo spacco.
Mi lasciò la mano e cominciò a digitare lentamente, assicurandosi di non
commettere errori. Dopo una manciata di secondi, il mio telefono vibrò
impercettibilmente, facendomi quasi sobbalzare per lo spavento.
Riccardo <3
Non preoccuparti per me, sto bene. Non voglio pensare a quello che è
successo, altrimenti non potrei mai andare avanti. Sarà difficile, ma
ho uno stupido spilungone a sorreggermi, ed è più forte di qualsiasi
roccia, sai?
inviato
alle 16:07
Sorrisi come un ebete e non persi un secondo a fiondarmi sulla tastiera del
cellulare.
Non
posso dire lo stesso. Mi vergogno di far sapere in giro che per me
la persona più coraggiosa del mondo è un nanetto che crede ancora
negli unicorni e ha manie di protagonismo.
inviato alle 16:08
Il mio cellulare vibrò una seconda volta sotto il sorrisetto divertito
dell'altro, che mi fece perdere un battito.
Ora però devi farmi un favore, perché sono tanto triste! Dimmi la
cosa che voglio sentirmi dire più di tutte le altre, e sarò il nano
più felice del mondo
inviato alle 16:08
Avrei voluto urlargli in faccia quanto era maledettamente bello mentre
rideva scrivendomi, e si portava le ciocche ribelli prima dietro un
orecchio, poi dietro l'altro, sbuffando perché gli coprivano gli occhi.
Lessi le sue parole con la fronte corrugata e le palpebre ridotte a due
fessure: non avevo idea di cosa volesse sentirsi dire e cominciai a
farmi prendere dal panico; era come se quel messaggio fosse scritto in
geroglifici. Mi feci mille domande, ma cestinai tutto. Non era il caso
di ribadire un altro "andrà tutto bene" o "con il tempo passerà tutto",
questo me l'aveva già detto lui stesso.
Ripescai il cellulare sballottolato di qua e di là sul sedile a causa
delle curve stradali.
Perché non mi dai un indizio? Al momento il mio cervello è un po'
fuori uso, sai com'è...
inviato alle 16:10
Riccardo <3
Il tuo cervello è sempre fuori uso! Se spremi le meningi un po' di
più non ti scoppia la testa, sai?
inviato alle 16:10
Mi balzò in mente una pazza idea, prima ancora che il mio cervello si
attivasse davvero e, una volta tanto, guidasse con un minimo di
razionalità le mie azioni.
Afferrai la mano del più piccolo, senza chiedermi più di una volta se
gli desse fastidio o no; scacciai le ansie e i brutti pensieri e chiusi
gli occhi. Mi lasciai guidare dal mio stupido istinto inaffidabile,
perché ogni cellula del mio corpo mi gridava di farlo. Erano due
parole, due stupide parole, eppure speravo che lui ne avrebbe colto
l'intero significato, tutto ciò che c'era dietro. Mossi le labbra così
come i miei nervi impazziti mi avevano imposto di fare, in un sussurro
che io stesso non sentii. Non sapevo neanche se lui avesse capito, se
io l'avessi detto bene, visto che non l'avevo mai fatto e, soprattutto,
se fosse la cosa giusta da fare.
Aprii prima una palpebra, cautamente, poi l'altra. Mi ritrovai i suoi
occhi sbarrati e lucidi di fronte, a pochi centimetri dai miei.
L'avevo reso il nanetto più felice del mondo.
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