ESGOTH 3
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A story
by: Momo
Entertainment
Main concept and characters: The Pokémon Company
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Early
Summer Girls
❁
Capitolo
19
Non
avere paura delle dissonanze
La
brezza di mare scuoteva le punte dei cipressi nel paesino di
Soffiolieve, a sud della regione.
Poche
case a quell'ora tenevano ancora le luci accese: la popolazione giovane
di quell'area non eguagliava in numero neppure uno solo dei quartieri
delle metropoli più famose.
Questo perché Soffiolieve non era mai stata né
una meta, né una grande attrazione.
Tutti
gli Allenatori prima o poi sarebbero stati destinati a lasciare quella
città, a migrare verso il nord e verso le luci sfavillanti
di città
come Austropoli e Sciroccopoli.
Si
potrebbe definire la quieta cittadina come un luogo di partenze, dove
tutto ha inizio.
Succedeva
che i ragazzini, una volta diventati autonomi, si alzassero dal letto
una mattina, salutassero la mamma ed il papà con un
abbraccio
affettuoso, poi per uno, due anni, qualche volta anche
dieci… non si
vedessero più in giro da quelle parti.
Ma, per
fortuna, non era raro che qualcuno di essi tornasse a casa, partito da
bambino, si ripresentasse da uomo o da donna.
Dunque
Soffiolieve era diventata un luogo anche di conclusione del viaggio, in
cui il giovane avventuroso rimetteva piede e subito ricordava tutte le
esperienze, le memorie e gli incontri raccolti lungo la strada ed in
maniera inevitabile paragonava la propria situazione corrente a quella
del momento in cui se ne era andato.
A
conoscere a menadito tale sentimento era una fanciulla di circa sedici
anni, la quale trovava in quel genere di fantasticherie l'unica
distrazione piacevole dal suo altrettanto piacevole lavoro.
Infatti
la ragazza, dal taglio a caschetto biondo grano e i sottili occhiali
rossi per contrastare la leggera miopia, aveva trovato la soluzione
migliore sul come passare la sua prima estate dopo aver completato il
suo viaggio in qualità di Allenatrice di Pokémon.
Come
denota il proverbio, aver trovato un lavoretto di assistente tanto a
lei gradito nel laboratorio della Professoressa Aralia, era come se non
dovesse più preoccuparsi della noia e del tedio che di
solito la vera e
propria definizione di "lavoro" porta con sé.
Ogni
giorno Belle (così infatti recitava la targhetta appuntata
alla sua
camicetta bianca) si godeva gli occhi illuminati di gioia dei piccoli
Allenatori in erba, mentre sceglievano il loro primo Pokémon
e
confrontavano i tre starter con quelli dei loro amici e futuri rivali,
quando prendevano fra le mani il Pokédex ed infine insegnava
loro a
catturare i Pokémon selvatici, sebbene molti fossero
già capaci di
farlo, e lei incolpava sempre internet per questa mancanza di
intraprendenza da parte delle nuove generazioni.
Il
sole nella calda stagione si atteggiava come i bambini che non vogliono
saperne di andare a dormire, rimaneva imperterrito ad arrossare il
cielo limpido, e la ragazza ne imitava il comportamento, sebbene la
professoressa avesse da un bel pezzo lasciato il laboratorio.
Con
un sorriso entusiasta e fanciullesco sulle labbra, aveva nutrito e
preparato lo Snivy, l'Oshawott ed il Tepig che il giorno dopo dovevano
farsi trovare in forma smagliante, sistemato le ultime ricerche a
proposito del cambiamento di forma di alcune specie a seconda
dell'ambiente ed ancora non si sentiva stanca o scocciata: era davvero
nata per quel lavoro.
«Beh,
direi che per oggi ho finito. — Ogni tanto le capitava di
parlare ad
alta voce per la gioia — Ah, no! Che sciocca! Devo mettere a
posto i
campioni che Zania ha inviato ieri!»
Belle
dunque zampettò verso la scrivania posandovi sopra un
pesante e
delicato scatolone, lo aprì con il taglierino e procedette a
sezionare
i vari vetrini in appositi raccoglitori, classificandoli per colore o
altre caratteristiche simili: frammenti di denti di drago, squame e
foglioline, peli, alette, un sacco di materiale biologico sulla cui
indagine sarebbe fiorito il progresso della scienza.
«Ma…
questo cos'è? — Si fermò nel mezzo
della sua
attività — Non ne ho mai visto uno così
prima…»
In
quel momento nel contenitore di carta l'ex-Allenatrice aveva
individuato un campione il quale destò la sua attenzione
più di tutti
gli altri: una persona senza neanche le basi scientifiche acquisite
dopo due mesi di applicazione in uno studio specializzato non si
sarebbe accorta della differenza.
Ma
lei, tanto adorava quella disciplina, si sbrigò a sistemare
le ultime
provette già viste e riviste, per concentrarsi su quel
bizzarro
contenitore.
Accese
la lampada da tavolo, si sistemò la montatura sul naso e
cominciò a rigirarselo fra le mani. Aveva la forma di un
cubo.
Belle
non aveva la più pallida idea di cosa fosse ed era sul punto
di
etichettarlo come un oggetto inutile, quando l'aver posato il dito per
sbaglio sulla sezione centrale di una delle sei facce fece scattare un
click e mosse verso l'alto un quadratino, che si rivelò
essere uno
scompartimento interno.
Curiosa
come mai in vita sua, fece cadere il contenuto sul palmo della propria
mano: una fiala stretta e lunga quanto il suo mignolo recava
un'etichetta scritta a mano in maniera frettolosa.
«Sangue
del Drago?»
Lesse ad alta voce, confusa. Non le sembrava un nome molto
scientificamente corretto.
Inclusa
ad essa, una serie di avvertenze figurava sul retro, con i soliti
simboli rossi, pieni di teschi e punti esclamativi, ce ne erano
parecchie e la ragazza le analizzò tutte.
«Attenzione: non ingerire,
non inalare, non esporre alla luce del sole o ad alte temperature, non
disperdere nell'ambiente… Non somministrare a uomini
né Pokémon.»
L'ultima
di esse fu il movente definitivo che la spinse ad aprire la boccetta,
versare una o due gocce di quel liquido rosso (come il sangue, almeno
lo pseudonimo aveva più o meno senso) su un vetrino sterile
e a
lasciare il verdetto finale al suo fidato microscopio.
Posò
l'occhio sulla lente e mise a fuoco l'immagine, cominciando a
discernere alcune particelle macroscopiche, appuntandosi delle formule
chimiche a lato, disegnando un modello atomico da cui poi avrebbe
decretato di che sostanza si trattasse.
Fu
impegnata in quel lavoro per una manciata di minuti, finché
all'interno
del laboratorio non si precipitò un giovane, talmente
d'impeto che
l'assistente della professoressa dovette corrergli incontro ed
allungargli una sedia.
Non
si reggeva in piedi. Portava una camicia bianca ormai sudata e sporca
di terriccio, la cravatta rossa snodata per il caldo: doveva aver
lottato contro una grande folla, aveva ricevuto spinte e gomitate, per
quello aveva perso il senso dell'equilibrio.
Sui capelli corvini
corti una patina opaca, stringeva fra le nocche scorticate la
Poké Ball
mentre le sue dita tremavano, ma il suo sguardo rimaneva rivolto verso
il pavimento, i denti stretti e le tempie pulsanti.
«Belle…
— iniziò un discorso, ma aveva la bocca seccata
dall'arsura — sei ancora qui, allora…»
«K-Komor,
non scherzare! — lo riprese lei, preoccupata come non mai
— C-Cosa ti è
successo? Contro chi hai lottato? Ho il diritto di saperlo!»
La
ragazza si era quasi gettata ai suoi piedi, tanto temeva per lo stato
del suo migliore amico. Si conoscevano dall'infanzia e Komor era una
persona astuta, intelligente ma soprattutto morigerata: sapeva
riconoscere il pericolo, non si immischiava mai in una lotta che non
era sicuro di poter affrontare.
Eppure
in quel caso doveva esserci stato qualcosa ad averlo spinto a
rischiare, qualcosa di più grande di lui e di sicuro non di
poco conto.
Gli
lasciò il tempo di riprendere fiato, non voleva sembrare
intransigente,
nonostante non potesse nascondere un'incredibile preoccupazione: non
era molto brava con le lotte Pokémon, ne aveva fatte ed
aveva vinto le
sue Medaglie, ma dopo aver sentito le ultime notizie regionali fra le
quali l'assalto delle nuove reclute, vedere una delle persone a lei
più
care ridotta in quello stato la fece rincuorare di aver scelto il campo
della ricerca scientifica al posto dell'allenamento.
Se
Komor si fosse scontrato contro qualcuno in una Battaglia Violenta, la
pace che riteneva assicurata dopo il fallimento del piano di N Harmonia
poteva considerarla lei stessa, che aveva pure assistito alla battaglia
finale al castello del Team Plasma, come morta e sepolta.
«Sono
stato alla Lega. — Cominciò a spiegare il ragazzo,
asciugandosi la
fronte perlata dal sudore — Quando ieri ho visto il servizio
in
televisione non ho trovato credibile nessuno dei discorsi di
Ghecis…
Non è questione di supportare o no un partito politico, ma
se
quell'uomo vuole diventare Campione della regione, dopo tutto quello
che ha fatto, dovrebbe almeno degnarsi di rispettare alcuni diritti
umani fondamentali…»
«Ti
riferisci al non voler lasciar tenere i Pokémon a tutte le
minoranze?»
Gli domandò Belle, che con le orecchie ascoltava il discorso
e con le mani proseguiva ad analizzare il bizzarro campione.
«Esattamente.
Quindi ho voluto cercare chiarezza da me.» Ammise
modestamente soddisfatto.
«Non
sei cambiato di una virgola da due anni fa.»
Scherzò l'assistente e riprese ad ascoltarlo.
«Sono
stato alla Lega Pokémon oggi. Pensavo di riuscire ad
entrare, essendo
ormai un Allenatore a tutti gli effetti, mi ricordo ancora di quando ho
attraversato Via Vittoria da solo, per la prima volta… non
ti dico cosa
ho visto stamattina.»
«La
Polizia Internazionale sta ancora indagando per cercare i responsabili
dell'attacco?»
Belle gli chiese, sempre più interessata. Komor invece
simulò una risata beffarda, prendendosi gioco della propria
illusione.
«Direi
proprio di no! Ghecis ormai si è talmente abituato a fallire
da sapere,
in qualche modo, che il suo piano di conquistare la Lega come se fosse
una roccaforte sarebbe stato un buco nell'acqua. — Il giovane
si chinò
e fece una carezza al suo Stoutland, il quale teneva nella sua squadra
dall'inizio della propria avventura — Non appena la notizia
dell'attacco si è diffusa in tutta la regione, lui ha
piazzato le sue
truppe intorno alla struttura principale, negando l'accesso alla Lega a
chiunque lui ritenesse, diciamo, "scomodo" per la riuscita della sua
farsa.»
Si
intuì la parte di mezzo nella vicenda: attacco fallito,
reclute
decimate. Il sovrano del Team chiede alle autorità locali ed
alle sue
strette alleanze nelle forze dell'ordine di sorvegliare l'edificio,
affinché nessuno venisse a vedere con i propri occhi la
verità, né
giornalisti, ma soprattutto nemmeno Nardo.
Poi
usa la disfatta come occasione per una doccia di petali di fiori, in
un’intervista su scala regionale si distacca dalla
responsabilità
dell'attentato e ne ricava un bel discorso per lavarsi la coscienza e
candidarsi legalmente alla carica di Campione.
«Per
fortuna che quelle nuove reclute erano tutte abbastanza scarse.
—
Asserì il ragazzo, portandosi vicino all'amica, ancora
intenta nel suo
lavoro — Erano tantissime però. Ho dovuto lottare
contro un esercito di
ragazzine delle medie e delle superiori prima di riuscire ad eludere la
sorveglianza ed entrare alla Lega! Ci riesci a credere?!»
«Komor!
Non parlare male così male delle ragazze! Le femmine possono
essere
anche molto brave dei maschi a lottare con i Pokémon,
sai?»
«Stavo
per essere letteralmente picchiato dai nuovi collaboratori del Team
Plasma e tu ti preoccupi del mio commento poco femminista?»
«Basta
che mi dici cos'hai visto quando sei entrato. Com'era messa la Lega?
Ghecis era lì?»
«Ovvio
che no, ma sembrava tutto abbastanza normale. Non ho controllato le
stanze dei Superquattro, dove dicono ci siano i danni peggiori, sono
subito sceso nella Sala d'Onore con l'ascensore, ed è stata
questione
di minuti prima che dei poliziotti affiancati da un Machamp mi
scortassero fuori di peso.»
Dopodiché
fece una pausa. Nel frattempo, la ragazza dagli occhiali spessi aveva
alzato gli occhi dalla sua analisi ed era pronta a dare il suo verdetto
in proposito del campione trovato all'interno della scatola cubica.
Mentre
era sul punto di eseguire tale operazione, il giovane Allenatore
estrasse dalla sua tasca un altro oggetto, che mai la bionda avrebbe
immaginato fondamentale per la loro ricerca della verità.
Si
trattava di un singolo pezzo di stoffa. Un brandello di stoffa nero
opaco.
I
fili del tessuto emergevano dai bordi dalla sagoma eterogenea, con
tutta probabilità era stato strappato via da un indumento in
materiale
sintetico, come una calza od una t-shirt.
«L'ho
trovato — cominciò a spiegarle, lasciandoglielo
fra le mani — sul
pavimento della Sala d'Onore, prima che la scientifica potesse tirarlo
su e rimuoverlo assieme a tutte le prove.»
Belle
lo prese in mano, senza riservare a quel pezzo di nylon
chissà che
riguardo, tanto che lo strinse nel pugno, mostrando all'amico uno
sguardo di leggera confusione.
Nonostante
la sua spiccata intraprendenza ed un effettivo quoziente intellettivo
esistente in mezzo a tutta quella materia grigia utilizzata per
memorizzare numeri di telefono ed orari degli spettacoli del
Pokémon
Musical, l'aspirante scienziata non aveva notato un dettaglio piuttosto
importante.
Quella
pezza nera era impregnata di qualcosa. Lo dedusse dall'odore acre,
molto particolare di essa e dalla viscosa consistenza del tessuto.
Un liquido non ancora asciugatosi nell'arco di quei tre giorni.
Piuttosto inusuale.
La
giovane mollò la presa e il rosso cremisi andò a
macchiare le sue dita bianche, rendendole appiccicose.
«È…
— rimase piuttosto basita, rendendosi conto del colpo di
scena che
poteva rivelarsi cruciale per la comprensione di tutta quell'intricata
congiura – L-Lo avrà perso una recluta?»
Il
giovane di Soffiolieve si sistemò la cravatta, cercando di
restituire
al proprio abbigliamento trasandato una certa rispettabilità.
«C'è
solo un modo per scoprirlo.» Indicò il microscopio
sul tavolo.
Belle
eseguì il comando, mentre un silenzio a metà fra
la curiosità fervente
ed una esitante preoccupazione animava i due ex-compagni di viaggio.
Al
contrario della prima analisi che aveva richiesto un po' di tempo, le
bastò una singola occhiata unita alla sua modesta dose di
esperienze
per riconoscere immediatamente la sostanza.
Il risultato fu artefatte inequivocabile.
«È
sangue. — Espose laconica, fattasi immediatamente plumbea in
volto — Sangue umano.»
I
due Allenatori si scambiarono uno sguardo di reciproco stupore,
più che
altro non avevano idea di come elaborare una risposta a
quell’informazione: il mistero dietro quella provetta
nascosta nella
Spugna di Menger si era infittito nel giro di pochi minuti.
Il
liquido ematico rimasto annidato nelle fibre dell’indumento
rappresentava la prova inconfutabile di una violenza davvero accaduta,
di entità non ben definita, ma se quello era sangue
autentico, Belle ne
avrebbe di sicuro potuto tracciare l’origine nel giro di una
settimana.
«Pensi
che...» La interrogò subito il ragazzo, desideroso
di
conferma per la sua più che plausibile ipotesi.
«Fammelo
controllare.» La bionda si precipitò
tempestivamente al microscopio,
senza neppure cambiare i settaggi utilizzati in precedenza
buttò
l’occhio alla lente. Anche lei voleva solo controllare a
fatti i propri
presentimenti.
Fecero silenzio entrambi, poi lei gli rispose.
«Ecco.
Lo sapevo. Alla fine, come fa del sangue a non seccarsi dopo tre
giorni? Una tossina anticoagulante che gonfia di ossigeno i globuli
rossi.»
«O-Okay,
vai piano, Einstein. – Komor la interruppe, vedendo che dallo
sgomento
la ragazza sarebbe potuta addirittura svenire – Una tossina?
Cosa fa
esattamente questa tossina?»
«Facilita
l’ossigenazione dei tessuti, te l’ho detto, ed
è terribile!»
Ci
vollero un paio di secondi prima che l’aspirante scienziata
realizzasse
di non trasmettere in maniera per nulla efficace la propria
preoccupazione usando un linguaggio incomprensibile ai comuni plebei
non acculturati come lei.
«Cioè…
in teoria è una cosa buona: più ossigeno il
sangue porta ai tessuti,
maggiori sono le prestazioni fisiche del soggetto. È un
ottimo
anabolizzante, me ne avevano parlato a lezione di chimica.»
Komor
ripensò a tutti gli strumenti per la lotta che sortiscono lo
stesso
effetto rinvigorente per i Pokémon: Muscolbanda,
Stolascelta,
Assorbisfera… ma non gliene venne in mente alcuno che
sfruttasse tale
principio.
Quindi non a caso la sostanza che era entrata a contatto
con il tessuto connettivo liquido doveva possedere almeno un effetto
collaterale. Uno solo, ma molto grave.
«Non
è possibile che una medicina finita nel sangue possa
resistere
all’ambiente per tre giorni e non deteriorarsi. Poi chi mai
inietterebbe o farebbe bere una cosa del genere ad un
Pokémon?»
«Infatti!
Questa robaccia è proibita nelle competizioni ufficiali, si
rischia
addirittura la squalifica da un torneo, nel peggiore dei casi le
terminazioni nervose del Pokémon che la assume perdono
contatto con il
cervello, si perde la sensibilità ed il controllo degli
organi interni
e della facoltà di reagire agli stimoli
e…»
L’Allenatore
dai capelli corvini strinse immediatamente l’amica fra le sue
braccia,
cercando con il suo abbraccio di strangolare da sé la
bestiale paura
nella quale ella era rimasta intrappolata. Nel corso dei due anni le
spalle che un tempo erano gracili e minute erano aumentate di stazza ed
ormai lui poteva dirsi uomo anche fisicamente oltre che
psicologicamente.
«Capisco.
È come morire di overdose.»
Lanciò uno sguardo verso il tavolo di lavoro e intravide
anche
lui il bizzarro contenitore del cosiddetto Sangue Del Drago.
«Quindi
la recluta… a… a quella recluta… era
stata
somministrata questa droga?» Chiese, agitata.
«Il
tessuto è quello delle loro uniformi. –
Constatò, fattuale – Ormai il
tabù dietro alla figura del Team Plasma è stato
praticamente rimosso.
Ogni giorno vedo membri girare senza problemi per strada con addosso i
loro vestiti neri e il loro nuovo simbolo su collane, bracciali e
cappelli. Nessuno sospetta niente, però.»
«Komor,
capisci? – Lo prese per le spalle, incapace di esprimersi con
calma
—Quel verme schifoso di Ghecis ha costretto una delle sue
reclute a
fare uso di un veleno mortale solo per seguire i suoi interessi! Questo
è un crimine! È orribile! Si tratta pur sempre di
persone…»
«Potrebbe
averne drogata una… come potrebbe averle drogate tutte. Cosa
ne sappiamo noi?»
Quella
falla nel perfetto sistema di segreti di stato e silenzi retribuiti
all’interno del Neo Team Plasma non era stato previsto,
questo era
assodato. Non era possibile che la copertura fosse saltata in maniera
così lampante, solo per colpa di un piccolo ficcanaso e
della sua amica
che aveva fatto un corso di chimica base.
Non
si riusciva a capire se ciò fosse dovuto
all’incompetenza del Campione
a venire, il quale aveva sottovalutato la massa che magari credeva di
poterla controllare senza problemi, o fossero proprio i componenti di
quel duo ad aver sviluppato un’iniziativa propria e fossero
riusciti a
penetrare le linee dell’omertà.
Belle
si staccò dalla sua zona di conforto e andò a
prendere la fiala
analizzata prima ed il suo taccuino pieno di note. Aveva
un’aria molto
più seria.
«La
tossina nel sangue della recluta e quello che questa provetta contiene
hanno la stessa struttura sintetica. La chiamano Sangue del Drago, ma
è
al cento per cento artificiale. Zania lo ha prelevato da uno dei tanti
Pokémon che sono stati liberati l’anno scorso,
dopo la scomparsa di N.»
Komor
sorrise.
«Quindi
funziona sia su umani che sui Pokémon? – Belle
annuì – Ghecis ha preso
due Pidove con una fava, ma non può averla inventata
lui.»
«Chiunque
l’abbia inventata, primo: è uno spreco di vita,
secondo me. – La
ragazza prese fiato —Secondo, poteva venderla al mercato nero
e farci
su un bel gruzzolo di soldi, invece ci regalarla al capo di
un’organizzazione ormai del tutto legalizzata.»
«Strano
però… ciò che prima era legale adesso
è
diventato illegale. Adesso è legale ciò che una
volta
consideravamo illegale.»
Vi fu un momento di pausa, per riflettere su quella, per quanto
romanzesca, assai calzante affermazione.
Da
due mesi, ad Unima era ammesso lo spaccio ed il consumo di droghe
potenzialmente distruttive. Ma guai a chi osava opporsi alla dottrina
del capo del Team, le opinioni differenti erano assolutamente proibite.
La
violenza giustificava i fini di una politica lucrosa, ma solo per chi
ne reggeva in mano le redini. L’onestà di chi
aveva tentato di puntare
al bene comune e al senso di giustizia era stata castigata con un
forzato regime di terrore basato sulla pubblica umiliazione.
Il cambiamento promesso alla televisione non sembrava portare con
sé alcuna nota di miglioramento.
Ed
agosto era alle porte: cosa avrebbe deciso la cittadinanza? Avrebbe
dato il suo consenso a farsi manipolare da un individuo senza scrupoli,
pronto a sfruttare l’ingenuità di delle ragazzine
raccoltesi sotto la
sua protezione per portare avanti il suo folle piano di predominio?
«Avviso
subito Aralia e Zania. Le chiederò gli altri campioni,
dobbiamo avere
una statistica di quanti Pokémon sono stati avvelenati. Non
possiamo
aspettare oltre.»
Belle si levò il camice in fretta e furia, accantonandolo su
una sedia ed andando in cerca del telefono.
«Dille
che si tratta di una situazione di emergenza. – Komor fece
per andare
anche lui, probabilmente alla ricerca d’ulteriori indizi su
quale fosse
il progetto del Team Plasma nello specifico – Non so quanto
possiamo
fare per i Pokémon e le persone già intossicate.
Ma è nostro obbligo
fare di tutto per fermare questi malati di potere e assicurarci che chi
ne è responsabile paghi con la giusta pena.»
L’assistente
della Professoressa strinse i pugni, mandando un’ultima
preghiera al
cielo prima di cominciare a spiegare alla donna competente nel campo la
tragica scoperta fatta da lei e Komor.
«Speriamo
solo che nel frattempo non succeda nulla di male alle cinque
Campionesse.
Senza di loro a contrastare l’ascesa di Ghecis
Harmonia… è finita.»
❁
Quando
si sente dire, specie ascoltando le chiacchiere degli esterni al
settore, che nel mondo dei Pokémon è
normalissimo, anzi, indispensabile
rinunciare all’istruzione per mettersi in viaggio e vivere
mille
avventure, da qualche parte nel grande macrocosmo delle sei e
più
regioni un qualche Allenatore ride.
Ride
divertito, sia chiaro: una società ha bisogno di medici, di
architetti
e di ministri; gli Allenatori che lottano, scambiano ed allevano
mostriciattoli per lavoro si contano sulle dita di una mano.
D’estate
però le scuole erano chiuse, almeno tale privilegio era
concesso ai numerosi studenti sognatori.
Tuttavia,
una comunicazione urgente era giunta nella casella di posta elettronica
di tutti gli alunni dell’istituto superiore di Alisopoli,
richiedendo
la loro partecipazione ad una conferenza che si sarebbe tenuta quello
stesso pomeriggio.
Chiunque
avesse avuto la balzana idea di saltare un evento così,
impostogli
dall’alto a caso, avrebbe dovuto mostrare la giustifica
firmata dai
genitori e nessun ragazzo si scomodò per farlo, nonostante
tale
imposizione violasse in qualche modo i loro diritti.
Quindi,
una folla di Allenatori pubescenti sedeva nell’aula magna
apparentemente controvoglia, abbandonando le loro membra sulle sedie in
legno alla ricerca della posizione più comoda e meno
sospetta per
schiacciare un pisolino, sussultando ogni volta che alle loro spalle
compariva un professore ad intimarli di tirar fuori carta e penna per
seguire il dibattito con attenzione.
«La
presentazione – dicevano, e non scherzavano neanche
– verrà inserita
nel programma scolastico e sarà oggetto di verifica in
futuro.»
Si
discuteva dunque l’oggetto della conferenza: la sua
importanza era tale
da meritare ore di approfondimento in classe, ma nessuno aveva idea di
che cosa trattasse nello specifico.
Dopo
una buona mezz’ora di attesa e preparativi, il preside della
scuola procedette all’introduzione del relatore.
«Buonasera
a tutti, oggi abbiamo l’onore di ospitare nel nostro istituto
una
figura di enorme influenza nel panorama socio-politico della nostra
regione, Violante Gropius Harmonia, membro del consiglio dei Sette
Saggi indetto dal candidato alla carica di Campione, Ghecis Gropius
Harmonia.»
Un
signore di età avanzata, la cui vecchiezza nascondeva un
qualcosa di
rancido, come se gli anni inclementi ne avessero apposta imbruttito
l’aspetto e rattrappito l’animo, salì
sul palco, accostandosi al podio
come se di orazioni come quella ne avesse tenute centinaia, tale
padronanza espresse quando agguantò il microfono.
Prima
di iniziare a parlare, l’uomo digrignò la mascella
in un’espressione
troppo contorta per sembrare un sorriso, visto che di fronte ad un
pubblico così giovane e facilmente abbindolabile non
bisognava che si
fregiasse di chissà quali doti retoriche.
Tutti
gli studenti ammutolirono da soli alla vista di costui, senza il
bisogno che i professori li ammonissero.
«Fratelli
e sorelle. – La voce era così tonante,
così autoritaria e vigorosa da
risuonare all’interno della cassa toracica di ognuno dei
presenti –
Giovani e brillanti menti, futuro della regione benedetta dai totem
leggendari della pioggia, del vento e della terra.»
La sala
si riempì di una forte aura sacrale, come ad una cerimonia
riservata a soli eletti.
«Fratelli,
non sapete qual grande onore sia per me essere portavoce del messaggio
di cambiamento più aperto, più inclusivo e
progressista di cui la
vostra generazione sarà mai testimone: perché
oramai è inutile cercare
di voltare il capo ed ignorare la situazione… la sicurezza
di ognuno
dei cittadini è messa a repentaglio tutti i giorni da
minacce a cui
ognuno di noi sembra essere del tutto indifferente.»
Violante
pausò, dando mezzo minuto per concedere al suo pubblico poco
avvezzo a
ricevere notizie di tal calibro per metabolizzare la sorpresa.
«Io
stesso, – L’anziano si indicò il petto,
quasi volesse trafiggersi con
quel gesto – in quanto parte dei sette ultimi discendenti
della stirpe
nobile degli Harmonia-Gropius mi sento colpito in prima persona da
questa catastrofe, come abitante nativo di Unima.»
Improvvisamente
tutti provarono un millesimo di compassione per quell’uomo.
Se era vero
che costui discendesse da una delle due casate che in principio
governarono come unicum e poi si divisero in base al loro schieramento
fra ideali e libertà, allora doveva aver vissuto il periodo
di
splendore che interessò il territorio prima della guerra,
almeno
attraverso i resoconti dei suoi illustri antenati.
Certo,
sembrava vecchio d’aspetto, ma di sicuro non nato otto secoli
prima di loro.
I
ragazzi si interrogavano fra di loro, anche l’attenzione dei
meno
interessati alla conferenza venne solleticata menzionando il malessere
nella loro patria. Molteplici erano le cause secondo i media, dalla
distribuzione ineguale delle risorse al tasso di disoccupazione alla
mancanza di fondi per finanziare l’istruzione e la
sanità.
Dunque
tutti i presenti in sala non videro l’ora di sentire per
quale di
questi ostici problemi l’uomo avrebbe proposto una soluzione
fattibile.
«Tutti
voi avete presente cosa sia una Poké Ball,
suppongo.»
Violante
prese la suddetta fra le grinzose mani, squadrandola con lo stesso
disgusto e confusione di come un cavernicolo osserverebbe una lampadina
od un fiammifero, trasmettendo il messaggio a tutta la platea.
«Da
quando gli umani hanno iniziato ad affidare la propria connessione
emotiva ai loro fidati Pokémon a queste… volgari
sfere di plastica,
espressione materiale dello schiavismo moderno e del capitalismo
più
spietato, la nostra società è implosa, in una
detonazione di
indifferenza, odio, razzismo, omofobia, transfobia, misoginia,
sessismo, misogynoir, binarismo, cissessismo e
eternormatività!»
Tutti
trattennero il fiato, quelle parole grosse, arcaizzanti e
specialistiche avevano gonfiato l’aria e gravavano come
macigni sulla
coscienza dei poveri studentelli, già affannati dal doversi
ricordare
ogni sillaba di quel discorso ed appuntarsela sul quaderno.
Cosa ne sapevano dei ragazzini di odio, tutto quell’-ismo e
quelle fobie?
«Nel
ventunesimo secolo il legame fra Allenatori e Pokémon si
è talmente
affievolito e meccanizzato che è solo grazie ad un vile
congegno che
gli umani riescono a guadagnarsi l’obbedienza dei loro
Pokémon.
Ma
quale obbedienza! Timore, paura di essere lasciati a marcire in un Box
Lotta, od in mezzo ad un’autostrada semplicemente
perché “non aveva la
Natura adatta” o “questo Pokémon lo
volevo cromatico” o ancora, mille
scuse basate sul più totale egoismo!
I Pokémon non vivono più in
simbiosi con il genere umano, ma ne sono schiavi, incapaci di esprimere
i loro pensieri e sentimenti, vengono trattati da ognuno di noi come
passatempo.
Pensateci,
Allenatori in erba: sfruttare il potenziale di queste creature
meravigliose, nate libere e dotate dei vostri stessi diritti di
esistere e di essere felici, ingaggiare lotte sanguinose solo per
ottenere compensi e fama, investendo una quantità abnorme di
quel
denaro nell’industria competitiva.
Sfogare
su di esse la frustrazione ed il sadismo insito nella nostra specie,
ferendo e sacrificando delle vite per intrattenere una folla di
vigliacchi! Non ricordiamo mai che furono i tre Spadaccini Solenni a
salvare i loro compagni, mentre le foreste venivano bruciate, i mari
riarsi e le montagne franavano per colpa della più
disastrosa delle
guerre?
Quando
mai l’Eroe della Verità o quello degli Ideali, che
tanto vengono
idolatrati nei libri di storia, quando mai provarono compassione per i
Pokémon che privarono dei loro habitat e delle loro genie?
I due,
acciecati dalla loro ambizione, continuavano a combattersi a vicenda,
dimostrando come anche gli uomini più virtuosi in
realtà sono incapaci
di comprendere i sentimenti dei loro Pokémon.
Poco
tempo fa, ricordate tutti di un… pazzo visionario, se mi
è concesso il
termine, che spergiurava e farneticava per le piazze delle
città,
dicendo di riuscire a parlare con i Pokémon! Tutte idiozie!
Costui
non poteva comprendere quanta ipocrisia nascondessero le sue parole:
l’uomo, ce lo spiegano filosofi come Locke e Hobbes,
è malvagio per
natura. L’uomo uccide, distrugge, violenta e fa de male a
tutte le
creature più deboli, pur di riuscire a sopravvivere.
Quindi,
una volta che ha imparato a non sottovalutare la forza e la purezza dei
Pokémon, i quali non avevano più la
capacità di sottomettere con la
costrizione, ha affidato alla tecnologia questo subdolo incarico.
Fratelli
e sorelle, — Violante si discostò dal palco per
avvicinarsi alla
platea, con la mano tremante mentre reggeva il microfono: ormai il
fervore era riuscito ad infuocare anche il suo animo — chi di
voi ha
ora il coraggio di guardare negli occhi il suo Pokémon senza
sentirsi
lercio nell’anima?!
Allora?
Chi è senza peccato, sia lui a lanciare la prima
Poké Ball!»
Facce
di incredulità, letterale terrore era dipinto nei volti
abbagliati dai
riflettori e tempestati dall’acne di quei poveri giovanotti:
si
sentivano colpevoli due volte.
Colpevoli
di non aver mai riconosciuto i propri misfatti, colpevoli di non avere
la più pallida idea di come farvi ammenda. Una ragazzina si
mise a
piangere addirittura, strepitando e scusandosi con le povere creature
che da sempre aveva inconsapevolmente offeso con il suo solo esistere.
Altri
studenti si guardavano sbalorditi invece, sentivano che, riconoscendo
una volta per tutte il loro privilegio di essere uomini bianchi
eterosessuali avrebbero potuto contribuire a liberare i loro coetanei
meno bianchi eterosessuali e meno uomini in questo modo.
Qualcuno
addirittura accettò la sfida di Violante e si mise a fissare
il proprio
Herdier mentre si rincorreva la coda per l’oppressione, o un
Lucario
tranquillo su una sedia ignaro del razzismo sistematico a cui era
esposto, chi invece provò a cercare conforto nelle pupille
tonde del
suo Minccino, beatamente addormentato in mezzo a quell’orda
di umani
barbari, incivili e ignoranti!
Il
vice-capo dei Sette Saggi si godeva un battere di mani scrosciante,
colmo di commozione e riverenza, ed il personale scolastico stava
già
asserendo di che gran utilità per gli studenti della scuola
di
Alisopoli fosse stata quell’ora tolta alle loro vacanze
estive (se non
ci avessero pensato loro, quegli Allenatori si sarebbero potuti mettere
ad allenare la loro squadra per i tornei della stagione, contribuendo
così al problema!).
Infatti,
non era forse il titolo di Allenatore l’emblema
dell’autoritarismo del
Pokédex? Perché poi, nei documenti ufficiali si
usava la medesima
versione del nome anche per le Allenatrici femmine? Quello era un atto
di sessismo vero e proprio. E chi non identificava se stesso
né nel
sesso maschile né in quello femminile, come facevano i Ditto?
Dunque,
dopo che la platea si fu acquietata ed i cori di supporto nati in mezzo
al marasma cessarono di gridare i loro “lunga vita al Team
Plasma” e
slogan simili, ci sarebbe dovuto essere il momento riservato alle
domande.
Il
classico quarto d’ora accademico in cui il pubblico
può interagire con l’oratore, immancabile.
Violante
aveva già posto un microfono all’inserviente
affinché si affrettasse a
gironzolare per la sala senza una meta, sotto centinaia di occhi
dubbiosi e inteneriti dalla penuria della situazione.
Come se
qualcuno di loro si sarebbe mai azzardato a porgli una singola domanda.
Se
lo spessore delle parole si potesse misurare dalla quantità
di
sostantivi astratti dalla lunghezza superiore alle tre sillabe
all’interno di una frase, allora la presentazione sul
pericolo
rappresentato dalle Poké Ball aveva più rilevanza
del discorso Sulla
Corona.
E
poi, chi è che non ha a cuore non solo il voler essere
buono, ma anche
l’apparire tale di fronte ai suoi simili?
L’omologazione fa bene allo
spirito, perché non c’è nulla di meglio
che andare d’accordo.
Non
importa la sostanza e la natura dell’opinione comune. Bisogna
accettarla in nome della pace.
Della
pace e del silenzio. Violante annuì soddisfatto, sotto la
lunga barba
canuta un sorriso di pietà, per quel suo pubblico
indottrinato, così
squisitamente manipolabile.
Fece
per scendere dal palco, quando le casse acustiche risuonarono con un
acuto straziante.
«Una
domanda dalle ultime file!» Si sentì echeggiare.
Piombò
il silenzio. Qualcuno aveva il fegato di contestare le basi poste per
essere un individuo decente? Tutti i presenti morivano dalla voglia di
sentire cosa avesse da dire quel, anzi, quei bifolchi.
Avevano
la stessa capigliatura, la forma ricordava gli aculei di un frutto
tropicale: non riuscivano a stare seduti per qualche ragione, erano
entrambe in piedi ed apparivano spavaldi, come se avessero aspettato
quell’occasione dall’inizio dell’evento.
Il primo fra i due, quello
che indossava un paio di pantaloni da jogging e sfoggiava perentorio
una visiera da allenamento, prese la parola, schiarendosi la voce per
l’imbarazzo.
Non
era suscettibile al panico da palcoscenico, ma era sicuro che la sua
reputazione sarebbe stata marcata per tutta la durata
dell’anno
scolastico a venire, per colpa del suo intervento imminente.
Non
ci guadagnava nulla, Nate, dall’essere accettato in una folla
dalle
menti monocromatiche, né tantomeno il suo compare si sarebbe
mescolato
a quel coretto perfetto: per quanto ciò potesse urtare i
sentimenti dei
loro compagni di scuola, doveva esserci almeno una voce a stonare e
riportare tutti ai fatti, rompendo quella camera sigillata di pensieri
conformati all’autorità.
«Buongiorno.
Quindi, uhm… Pensiamo, io e il mio amico, che questa domanda
sia molto
importante, perché io credo fermamente che i diritti dei
Pokémon siano
anche diritti nostri.
Quindi
vorrei sapere, in quali circostanze è una cosa accettabile
dire: “Solo
noi potremo servirci dei Pokémon e governeremo
sull’umanità inerme”,
“Io dominerò il mondo intero” e
“Sarò il burattinaio della gente
ignorante! Tutti mi daranno ascolto!”?»
Il
suo compagno dai capelli blu metallizzato riprese la sua
argomentazione, per evitare che potessero linciarlo in assenza di prove
concrete.
«Tanto
per dare un po’ il contesto generale, queste cose sono state
dette da
Ghecis Harmonia prima della cattura non riuscita del Drago Leggendario
e sono state riportate da testimoni oculari, fra cui
l’ex-Campione
Nardo.
Vorremmo sapere la sua opinione in merito al capo del Team che lei
supporta, signore.»
Poi
i due attesero con educazione la risposta, non badando molto alla
reazione decisamente poco oltraggiata dei loro coetanei e a quella a
dir poco rincresciuta dei loro professori, che di sicuro avrebbero
fatto pagar loro il prezzo dell’insolenza davanti ad una
personalità
politica così vicina al governo a suon di brutti voti per il
resto
dell’anno.
Il
loro obiettivo non era tanto quello di additare il capo del Neo Team
Plasma in quanto ipocrita od opportunista; ciò che volevano
mettere in
risalto era bensì l’incoerenza
dell’ideologia astratta di voler privare
gli Allenatori dei loro Pokémon in quanto incapaci di
soddisfarne la
felicità.
Avevano
imparato a dimostrare le loro tesi nella maniera più civile
e
logicamente corretta proprio a scuola, se neppure lì
potevano dare
prova delle loro conoscenza, perché sprecare il loro tempo
assimilando
nozioni inutili, con la passività degli Slowpoke che si
lasciano
trascinare dalle onde per non dover incorrere nella fatica di imparare
a nuotare da sé.
Violante
si prese la fronte in mano, facendo intendere quanto
quell’intervento
suonasse privo di senso alle sue orecchie. Stette un attimo in
silenzio, per trasmettere il suo imbarazzo anche al pubblico: ormai si
era sviluppata una forma di forte empatia, i sentimenti potevano
guidare le intenzioni a discapito dei fatti.
Poi
riprese a parlare, avendo trovato l’espediente perfetto per
cavarsela anche quella volta.
«Visto
che ci tenete tanto a ricercare il contesto, voi due
ragazzi… Il
contesto qui è quello di celebrare una comunità,
di discutere insieme i
problemi della nostra regione, soprattutto quelli che hanno un impatto
negativo sui cittadini amanti dei Pokémon e dei loro
inalienabili
diritti.
Qui,
fratelli, sono in presenza di due Allenatori maschi bianchi etero, che
si sentono esenti dalla partecipazione a ciascuna delle soluzioni che
ho proposto e…»
Non
si riuscì ad udire il resto. Tutti avevano già
ripreso ad applaudire,
non ci è però permesso sapere cosa stessero
applaudendo.
Violante
proseguiva e la sua voce veniva offuscata dallo strepitio, il pubblico
aveva voglia di un po’ d’intrattenimento e lo
avrebbe tratto da sé
gioendo di come il Saggio avesse messo a tacere i due, dimenticandosi
totalmente della tolleranza e della compassione menzionate poco prima.
Come
gli antichi Romani si divertivano a guardare uomini come loro sbranati
dalle belve feroci al circo, pur di potersi permettere di chiudere un
occhio sullo sgretolarsi lento e graduale del loro impero, guidato da
cortigiani corrotti.
«Le
parole che presumete di aver sentito – riprese Violante,
deciso a
chiudere qui la serata – vengono probabilmente da qualche
blog
fascista. Sapete, siete ancora giovani, troppo giovani per poter
riconoscere cosa sia giusto per il bene della regione.
Ed
io, in quanto rappresentante della persona infamata da queste false
notizie, mi farò giudicare soltanto dal nostro impeccabile
lavoro per
risanare l’economia schiavista, dare importanza alle
minoranze
razziali, alle donne, agli immigrati clandestini e per il rispetto
dell’ambiente, non da un discorso pronunciato o non
pronunciato dieci o
venti anni fa.
Ora,
direi che questi giovanotti maleducati ci abbiano fatto perdere
abbastanza tempo prezioso e non ritengo sia necessario offrire
ulteriore spazio alle loro posizioni estremiste e
contrariate.»
Dopo
l’ennesimo visibilio della folla, ormai pendente dalle sue
labbra, la
sicurezza accompagnò Hugh e Nate fuori dalla stanza,
pregandoli di non
dover usare la forza per costringerli ad andarsene.
I
due non protestarono, non sentendosela di rimanere comunque
lì, visto
che, come sosteneva Violante, nessuno poteva fare niente, il Team
Plasma aveva il monopolio su tutto, perfino sull’educazione e
le
opinioni della gente.
Quand’è
che la libertà di esprimere dubbi riguardo al sistema aveva
portato le
persone ad ostracizzare i dissidenti, in una regione moderna ed evoluta
come Unima?
Tanto,
finito l’evento, il peggio che poteva capitare è
che qualcuno si
scordasse di quella tiritera e continuasse a vivere normalmente.
Chissà
quanti Allenatori Ghecis avrebbe convinto a liberare i loro
Pokémon e a
rinunciare ai loro sogni, al loro passatempo preferito, le lotte.
«Grazie
per la vostra attenzione. Spero che la vostra fiducia nelle ottime
intenzioni del Neo Team Plasma sia stata consolidata.
Fratelli e sorelle, buona serata.»
L’anziano
oratore si avviò immerso in una quieta sensazione di
vittoria. Forse il
doversi confrontare con quei guastafeste armati di schiaccianti accuse
sul suo conto aveva accresciuto la sua sicurezza nella presa di potere
definitiva di Ghecis.
I molti ci avrebbero rimesso, un po’ gli dispiaceva,
dopotutto.
Ma
l’idea di condividere con uno degli uomini più
ricchi e senza scrupoli
parte del ricavato, ville, automobili, donne e cariche, rendeva quella
fatica molto più piacevole, agli occhi del vecchio e
irrancidito Saggio.
❁
Parlando
di diritti dei Pokémon: nella costituzione di Unima, al
contrario di
quello che sostenevano i seguaci del Team Plasma, nessun
Pokémon
possedeva il diritto alla vita di principio.
Solo
i Pokémon ufficialmente catturati, ironia della sorte, con
una Poké
Ball e quindi dotati di un numero di identificazione registrato in
tutti i database dei Centri, potevano scampare del tutto alla
predazione degli esseri umani.
Proprio
quel fortuito cavillo nella legge aveva infatti permesso a Nardo in
persona di organizzare una modesta grigliata nel suo giardino, visto
che i molteplici occhi del cosmo apertisi sopra Venturia sotto forma di
stelle non avrebbero condannato la sua comprensibile voglia di
festeggiare un momento di gioia all’intendo della sua
famiglia.
«Nonno,
mi racconti ancora la storia di come la mamma e il papà si
sono incontrati?»
Si
sentì domandare, mentre sulla brace la cena sfrigolava a
ritmo di un
allegro scoppiettare. L’uomo si girò con calma,
sentendo la vecchiaia
legargli i muscoli logorati come facevano i coleotteri con la mossa
Millebave.
Ma
dato che la sua nipotina era per lui la cosa più importante
del mondo
subito dopo la propria figlia, avrebbe scalato a mani nude il Monte
Luna e attraversato a piedi scalzi il Cammino Ardente per continuare a
vederla sorridente, in quel piccolo kimono comprato da qualche
rivenditore di terza parte, le cui maniche erano troppo lunghe per lei.
Stava
per incominciare la narrazione, quando una voce femminile lo
rimproverò; riflettendoci, la loquacità della
bimba era decisamente a
lui preferibile di quegli aspri rimproveri intrusivi.
«Giulietta,
questa storia te l’ha già raccontata mille volte.
Lascia stare il
nonno, probabilmente non se la ricorda neanche tutta… A
proposito,
papà, meglio che non ti distrai. Se la carne si brucia,
avrò fatto un
chilometro a piedi per niente.»
«Sembra
quasi che ti dispiaccia sentirla ogni volta, amore mio.»
Si
intromise nella conversazione il coniuge, che stava cercando da quasi
un’ora di installare delle stelle filanti in mezzo alla verde
distesa
di erba, non arrendendosi alla lettura delle istruzioni per provare
alla famiglia la propria mascolinità.
Nardo
allora prese in braccio la bambina, sacrificando le poche forze
rimastegli da un intero pomeriggio di preparativi, parlando
più ad alta
voce affinché i due diretti interessati assaporassero per
l’ennesima
volta il suo aneddoto preferito, al quale avrebbe sovrascritto pagine e
pagine di miti della fondazione e leggende fuorimoda.
Anche
se il come sua figlia Marina avesse conosciuto Ottaviano, suo marito,
non sarebbe mai entrata a far parte degli annali, non si sarebbe mai
stancato di ripetere la loro vicissitudine.
«Vedi,
tesoro, quando ancora riuscivo a percorrere le scale dalle stanze dei
Superquattro fino alla Sala d’Onore facendo due scalini alla
volta, —
alludeva ad un tempo abbastanza lontano — quando tua mamma
aveva
quindici o sedici anni, ed aveva questo suo sogno di diventare lei la
Campionessa della Lega Unima quando io mi sarei ritirato.»
«A-Aspetta:
quindi in qualità di Campione è effettivamente
possibile
passare la carica al primogenito in maniera ereditaria?!»
Il
più grande dei due nipoti di Nardo aveva ordinato al proprio
Dragonite
cromatico (che per essere il frutto di continui accoppiamenti e della
schiusa di una centinaia di uova di Dratini non pareva
chissà quanto
minaccioso, specie visto il suo manto color rosa shocking) di planare
svelto, interrompendo la sua serale passeggiata a spasso per
l’aria
tiepida.
Qualche
settimana addietro credeva di essersi liberato dall’illusione
di non
poter essere lui, Fedio, il nuovo giovanissimo Campione, a sbaragliare
tutti gli avversari con la potenza dei suoi draghi allenati ad hoc.
Quella
notizia invece aveva innescato quella bomba di rabbia che credeva di
avere represso con la consolazione che la pratica del nepotismo fra gli
Allenatori fosse illecita e degradante.
«Certo
che sì, caro mio! – Nardo gli
scompigliò la creta vermiglia che gli
aveva trasmesso con i suoi geni di irrefrenabile testa calda
– Ma pensi
davvero che avrei lasciato a tua madre il titolo, solo
perché è mia
figlia? Giammai! E sono fermo su questa decisione ancora
adesso!»
Nardo
era una persona decisamente molto generosa e malleabile, andava in giro
per la regione a stringere la mano ai bimbi e a regalare Bacche
succulente per i loro Pokémon. Aveva istituito una piccola
tassa sulla
partecipazione ai tornei pur di mantenere gratuite le cure istantanee.
Sentirlo negare alla sua unica e amatissima figliola tale
opportunità
non era un qualcosa di credibile per chi lo conosceva.
«Infatti,
— riprese, dopo aver rivoltato le bistecche, ormai striate
dal calore
della Carbonella – Marina se l’è presa
non poco. Quindi, di punto in
bianco, chiese a me e alla nonna di poter viaggiare per conto suo
attraverso le altre regioni, in modo da poter diventare più
forte e
venire a sfidarmi in una lotta legittimamente e diventare la prima
Campionessa femmina di Unima.»
La
donna, mentre apparecchiava un tavolo basso, sistemando dei cuscini
sull’erba per sedersi senza sporcare il suo di yukata,
cercò di
ignorare la conversazione al meglio delle sue capacità.
Pensò
a quanto era impulsiva e arrogante da giovane, a tutti i litigi avuti
con il padre per via di quella questione poco burocratica, a quanto
poco riconoscente si fosse mostrata nei suoi confronti solo per quel
privilegio negatole per una giusta causa.
Però,
se non fosse mai partita da Venturia, la situazione di quel momento
probabilmente sarebbe stata molto diversa da quella corrente. E
ciò non
l’avrebbe resa altrettanto contenta, dopotutto.
«Poi
cosa hanno fatto?»
La piccolina si era messa in bocca un gambo di sedano per mangiucchiare
qualcosa in attesa del pasto vero e proprio.
«La
mamma è andata in giro per Hoenn e Johto, cercando di
diventare
sempre più forte. Poi, quando è arrivata a
Kanto…»
L’anziano
rivolse uno sguardo compiaciuto al suo genero, il quale stava provando
finalmente a seguire passo per passo il manuale delle istruzioni,
aiutato dal suo Primeape, ancora più impaziente di far
fioccare le
scintille da quell’aggeggio piantato al suolo di lui.
«…Ha
incontrato papà e ha detto “ciao ciao”
al fare la Campionessa, meglio
fare la casalinga mentre lui porta a casa i soldoni della
Silph.»
Completò
il ragazzino, che aveva avuto anche lui la sua dose di
curiosità
riguardo quella materia, ma a cui l’argomento aveva finito
per andare a
noia con l’arrivo della pubertà.
Come
mai molte ragazze sostenessero di avere un obiettivo da portare a
compimento e poi mollassero tutto in media res solo per aver trovato
qualcuno con cui fidanzarsi, si chiedeva. Non si trattava di idol, la
cui carriera sarebbe terminata all’arrivo del primo amore,
che motivo
c’era di mandare all’aria i piani di una vita
intera? La logica
femminile per lui non aveva senso.
«Non
è una questione di soldi, Fedio, — lo riprese la
madre, che aveva
assegnato a ciascuno i posti e disposto un colorato centrotavola di
frutta esotica, noci e dolcetti tipici dell’estate
– ma del fatto che
una Campionessa deve rinunciare a molte cose nella sua vita ed io non
fossi veramente pronta.»
«Nonnino,
ma quindi non è bello fare il Campione?» Giulietta
si rabbuiò un pochino.
Marina
cercò di esporle le vere ragioni per cui riteneva che quello
stile di
vita non fosse adatto a lei, per far sembrare la sua scelta
più
ragionevole, ma l’esito che ottenne fu quello di preoccupare
la sua
bambina ancora di più.
«Vedi
tesoro mio, il Campione di una regione deve affrontare oltre trenta
lotte Pokémon al giorno, e quindi ha poco tempo per
occuparsi dei
propri hobby, di uscire con gli amici… poi il Campione non
è pagato,
quindi molti (come per esempio quello di Kanto e quella di Kalos),
hanno anche un lavoro per guadagnarsi da vivere.
Poi
ci sono spesso tornei, cerimonie e riunioni in giro per il mondo,
quindi viaggiando sempre è molto difficile trovare un
compagno o una
compagna per crearsi una famiglia, infatti molti Campioni sono single.
Inoltre, questi ritmi frenetici comportano molto stress, ore di sonno
ridotte, una pazienza ed un autocontrollo inimmaginabili per le persone
normali.
Il rischio di ammalarsi gravemente è molto alto.»
Marina
aveva dunque scelto per convenienza di rinunciare al suo sogno
d’infanzia non appena una possibilità assai
più gradevole le si era
presentata davanti: mentre si trovava a Kanto e le sue limitate
conoscenze della lingua le impedivano di leggere correttamente gli
orari del treno ad alta velocità
Zafferanopoli-Fiordoropoli.
Essendo
cresciuta in una placida cittadina di campagna, tutti quei turisti e la
confusione della metropoli l’avrebbero rallentata nel suo
viaggio.
Ma
eccolo, un giovane dalle palpebre lisce come foglie di tè ed
i capelli
combinati in un antiquato taglio con la frangia le domandò
se le
servisse aiuto e lei, impacciata nella comunicazione,
dimenticò la
forma cortese e di rivolgersi a lui con l’onorifico, facendo
quindi una
pessima figura.
Allora
Ottaviano decise di venirle incontro, provando ad abbozzare qualche
parola in un inglese a dir poco maccheronico, che per la loro
generazione rappresentava il picco della fluidità in un
paese non
anglofono.
Risero
l’uno del tentativo dell’altro. E da quel momento
cominciarono a
condividere questi momenti di reciproca commiserazione, sviluppando da
essi un profondo legame prima di amicizia, poi Marina
annunciò, poco
più che ventenne, di volersi sposare con questo giovanotto
dalla pelle
giallognola ed una capigliatura leggermente meno obsoleta della
precedente, ma comunque ridicola per gli standard occidentali.
Aveva
fatto un sacrificio, lo sapeva. Ma quella della figlia del Campione
Nardo era comunque una storia a lieto fine: avevano due bambini
meravigliosi (finché Fedio non fosse entrato
all’università o si fosse
trovato a sua volta una morosa matura e affidabile) ed un futuro
altrettanto brillante davanti a loro.
E
proprio in quel giorno di luglio i due, ancora per un altro anno,
festeggiavano il loro anniversario di matrimonio insieme a tutti i
testimoni del loro amore; solo una persona mancava fisicamente al loro
appello, ma era come se fosse lo stesso lì con loro, a
vegliare su di
loro da uno dei tanti astri su nel cielo.
La
famiglia stava per mettersi finalmente a tavola, quando Giulietta
cominciò a chiamare con insistenza suo nonno, sbracciandosi
dalla sua
posizione sopraelevata per attirare la sua attenzione dietro di lui.
«Nonno,
nonno, nonno… Ci sono dei signori al
cancello…»
Non
aspettavano di certo ospiti, specie vestiti in giacca e cravatta, con
tanto di una scorta armata con un seguito di Pokémon pronti
alla bega a
coprirgli le spalle.
Il
cuore del vecchio Campione fu preso da un terribile sentore,
l’atmosfera gioiosa era stata spazzata via da un tifone di
inaspettata
pericolosità.
Fece
cenno al nipote ed alla coppia di non muoversi, che se ne sarebbe
occupato da solo.
Sempre
tenendo la bambina con sé, avanzò verso questi
loschi figuri: notò
sulle loro uniformi spille appartenenti a divisioni private
dell’intelligence governativa.
Egli
non aveva alcuna traccia di misfatti all’interno
dell’arco temporale
che lo aveva visto in carica, lo sapeva per certo, dato che spesso
collaborava insieme ad i più alti piani
dell’amministrazione regionale.
Se
quella visita era stata organizzata a sua insaputa e si erano
così
mobilitati i servizi di difesa, di sicuro l’ordine doveva
essere
partito da qualcuno che non lo vedeva assai di buon occhio, con cui non
aveva piacere parlare o negoziare.
Il
Campione conosceva bene la persona che per ben due anni non si era mai
mostrata al suo cospetto. Ora invece, che non aveva più
paura di
nascondersi, costui aveva sguinzagliato i tirapiedi che lui prima
temeva peggio della morte e li aveva indirizzati contro il suo
più
acerrimo nemico: non Nardo.
Giulietta
si era stretta forte al collo del nonno, scrutando quegli individui
piuttosto stranita.
Certo
che in quei mesi stava arrivando tanta gente nuova; solo che quei
brutti ceffi non le ispiravano alcun comportamento amichevole. Vestiti
così di nero, nella notte, le ricordavano quelle streghe
cattive del
Neo Team Plasma, a dirla tutta.
L’uomo
tirò un sospiro: non sapeva cosa aspettarsi. Ma aveva un
brutto, bruttissimo presentimento.
«Cosa
volete?» lì interrogò, mostrando a sua
volta una
Poké Ball, per intimarli a non attaccare.
Un
qualche tizio mostrò un distintivo della Polizia di Unima il
quale, a
differenza di quello dei falsari presentatisi a casa sua il mese prima,
appariva lecito.
«Ex-Campione, — disse semplicemente –
è qui che
risiedono al momento Iris Calfuray, Camelia Taylor, Anemone Reyes,
Catlina Yamaguchi e Camilla Kuroi?»
Per
poco Giulietta non si mise a gridargli contro e l’uomo
dovette farle segno di stare zitta.
Tuttavia,
sebbene fosse più vecchio e navigato di esperienze
allarmanti, non
nascose di esserci rimasto di sasso. Cercò comunque di
prendere la
situazione con la massima professionalità, anche
perché, se avesse
mentito anche solo per proteggerle, avrebbe pagato conseguenze
addirittura peggiori.
«Sì,
le ragazze sono di sopra, dovrebbero essere ancora sveglie.»
«Dica
loro di scendere immediatamente, è un ordine
cautelare.» Gli rispose un altro di loro.
Nardo
mise giù sua nipote, la guardò negli occhi come
se potesse vedervi
riflessi tutti gli sguardi delle sue cinque apprendiste, alcune delle
quali conosceva da più o meno quando quelle avevano la
stessa età della
bimba dalle ciocche arancio.
«Giulietta,
vai di sopra e chiedi alle tue amiche di venire giù, per
favore.»
Cercò di nascondere tutta la genuina paura che aveva in
corpo.
«No!
– Urlò. Con la sua vocina stridula,
spazientì gli agenti —Nonno, io
non…»
Ma spingendola, la persuase a fare quanto gli aveva richiesto.
«Andrà
tutto bene, cucciolotta. Le tue amiche sono tutte molto forti e
intelligenti. Non gli succederà nulla di male,
vedrai.»
Pronunciando
quell’ultima asserzione, fissò uno degli uomini in
nero con sguardo
truce, per confermare a se stesso che per davvero non sarebbe stato
torto un capello alle giovani Allenatrici, quindi Giulietta corse ad
eseguire l’ordine con diligenza.
Aspettò
che ella zampettasse via, prima che il rimorso soffocasse del tutto il
suo animo ormai arrugginito e non predisposto più a tali
colpi.
Era
stato lui a domandare che venissero fatte più indagini con
l’aiuto
delle professoresse, sempre lui le aveva mandate a cercare le ladre
all’interno del centro commerciale e la sua sconsiderata sete
di
giustizia le aveva spinte alla ricerca della droga ad Austropoli,
gettandole tutte nella tana del lupo.
Giurò
che non si sarebbe mai perdonato quelle sue azioni, non
importa quanti anni sarebbero passati.
«Vedo
– fece il capo delle guardie, insultandolo a denti stretti
– che
finalmente anche tu, caro Nardo, testardo e beota come sei, hai ceduto
alla ragionevolezza di chi ti è in tutto e per tutto
superiore…»
«Cosa
volete fare a queste ragazzine innocenti? Cosa c’entrano loro
con i vostri affaracci?»
Tuonò infine, al limite della disperazione.
Era
successo. Quella sera, Unima aveva definitivamente ceduto alla minaccia
di un regime distopico.
«Alla
prima domanda non ti possiamo rispondere, vecchio.
Però
possiamo farti presente che queste cinque sono ufficialmente
considerate, dalla prima all’ultima, “oppositrici
del governo” e
“terroriste ideologiche”. Per questo è
necessario che, in quanto tali,
vengano sottoposte alla giustizia di Unima.
Alla
giustizia di Ghecis Gropius Harmonia.»
❁
«Intanto
che aspettiamo che mio suocero torni... Marina, non mi hai mai
raccontato di cosa facessi durante il tuo viaggio, nonostante ci siamo
conosciuti quasi diciassette anni fa.»
«D-Davvero,
Ottaviano, amore mio? C-Credevo che il mio passato n-non ti ineressasse
così tanto. Non è più importante il
presente, per te?»
«Certo
che lo è! Però mi piacerebbe poter dire di
conoscere un minimo mia
moglie. Molte delle cose che so di te le ho scoperte solo dai racconti
di Nardo, quado uscivamo a bere di nascosto alcol e sake insieme,
mentre tu mettevi i bimbi a dormire...»
«Tu
e mio papà che cosa?!»
«Calma,
calma! Piuttosto, dubiti della mia fiducia? Per questo mi tieni
nascosto ciò di cui parlavamo prima?»
«Adesso
sì!»
«Raccontami
che tipo di Allenatrice eri. Ti piacevano che generi di
Pokémon? Che team avevi? E quante Medaglie? Prima
che decidessi di smettere, ti mancava poco al raggiungimento della
categoria dei professionisti, quelli che possono sfidare
la Lega...»
«E
va bene! Lo ammetto: non ero granché come Allenatrice.
Speravo
che nelle altre regioni ci fossero Capipalestra un po' più
scarsi, così
avrei potuto ottenere le Medaglie più velocemente e
finalmente
permettermi di sfidare Nardo faccia a faccia... Sono una fallita, lo
so. Ma all'epoca non avevo il coraggio di rassegnarmi al fatto che io,
la figlia del Campione di Unima, non fossi tagliata per la lotta...»
«Tesoro,
è tutto okay! Per me sarai sempre la numero uno! Senza di te
non saprei
a chi affidare tutte le mie camicie sudat, i piatti sporchi, la spesa
ed il bucato.»
«Ottaviano!
Certo che voi di Johto siete proprio dei grandi maschilisti! Solo
perché io faccio eccezione, le donne sono comunque
ugualmente capaci
nella lotta come gli uomini, in fatto di potenziale!»
«...Luce
dei miei occhi: hai cercato di ottenere le Medaglie di una regione che
non è Unima... per sfidare la Lega. Ad Unima.»
«Domani
mi presenterò dgli assistenti sociali e firmerò
un divorzio.
Così
le camicie dovrai finalmente imparere a lavartele da solo, quando avrai
finito di montare la stella filante qui in giardino.»
❁
Behind
the Summery Scenery #19
1.
Questo capitolo è un po' una mia personale sperimentazione.
Mi
chiedevo: è possibile scrivere un capitolo di ESG senza G,
quindi senza che le ragazze compaiano? A quanto pare sì!
Tanto
per campiare un po', proverò ad auto-impormi delle challenge
di
scrittura, vi terrò aggiornati su come vanno.
2.
Chi non muore si rivede, ed in questo capitolo rivediamo i nostri
rivali Komor e Belle. Non sto andando avanti con una checklist per
inserire ogni singolo personaggio, sia chiaro... ma più si
è, meglio è! A-A meno che non si cominci a
morire, non
mi
chiamo Martin (anche se gli faccio concorrenza per
quantità di
titshots su capitolo).
3. La
scena della scuola e specialmente quella delle domande l'ho presa da qui.
Traetene l'opi nione che volete, non me ne frega niente.
Edit:
l'hanno arrestata nel 2018. Kek.
4.
"Momo fa backstory ai personaggi secondari (stavo legit per scrivere
"secondaries", skeegee, che m'hai fatto) invece di guardare ai buchi di
trama" è un mood.
5.
Mi prendo questo punto per porgere un saluto a quei fenomeni degli
autori che su instagram mi seguono sul profilo personale
perché
vogliono che legga la loro roba pubblicata su Wattpad, quelli che
leggono solo i dialoghi di ESG per risparmiare fatica(???), quelli che
droppano la storia perché io come persona gli sto
antipatica,
gli autori della sezione che ancora si augurino che io scompaia
nonostante ciò non accadrà finché
l'amministrazione non mi caccia (che comunque non accadrà,
lol).
Hi, how
are you?
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